Data: 2013-01-05 20:06:58

Demolizione opera edilizia anche se sequestrata

CGA, SEZ. GIURISDIZIONALE sentenza 18 settembre 2012 n. 768.

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana in sede giurisdizionale ha pronunciato la seguente
S E N T E N Z A
sul ricorso in appello n. 385/2011, proposto da
D’ANGELO ROSARIA,
rappresentata e difesa dall’avv. Luigi Savoca, per legge domiciliata in Palermo, via Filippo Cordova n. 76, presso la segreteria di questo C.G.A.;
c o n t r o
il COMUNE DI MISTERBIANCO, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall’avv. Giuseppe Giuffrida, per legge domiciliato in Palermo, via Filippo Cordova n. 76, presso la segreteria di questo C.G.A.;
per l’annullamento
della sentenza del T.A.R. per la Sicilia - sezione staccata di Catania (sez. I) - n. 4374/2010 dell’11 novembre 2010;
Visto il ricorso con i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio dell’avv. G. Giuffrida per il comune di Misterbianco;
Visti gli atti tutti della causa;
Relatore il consigliere Giuseppe Mineo;
Nessuno comparso per le parti alla pubblica udienza del 14 dicembre 2011;
Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue:
F A T T O
Si discute l’appello presentato avverso la sentenza indicata in epigrafe, con la quale il Giudice di prime cure ha respinto il ricorso presentato dalla signora D’Angelo, odierna appellante, per l’annulla-mento:
- dell’ordinanza n. 156/12.5.2008, con la quale il Comune di Misterbianco, odierno appellato, ordinava la demolizione delle opere abusive, realizzate dall’odierna appellante su un proprio edificio; nonché,
- dell’ordinanza n. 69/24.5.2010, con la quale la medesima Amministrazione, avendo riscontrato la mancata ottemperanza all’ordine di demolizione, disponeva l’acquisizione gratuita dell’immobile abusivo al patrimonio comunale.
Resiste con controricorso il Comune di Misterbianco, per il rigetto dell’appello.
Nell’udienza del 14 dicembre 2011, l’appello è stato assunto in decisione da questo Consiglio.
D I R I T T O
Nel respingere il ricorso, il Giudice di prime cure ha motivato la propria decisione deducendo che, con l’esecuzione delle opere abusive in oggetto, "era stato realizzato un manufatto notevolmente più esteso e con destinazione, a tutta evidenza, diversa da quella assentita".
In effetti, come risulta dagli atti prodotti dall’Amministrazione nel primo grado del giudizio, la ditta appellante, dopo aver presentato istanza, ed ottenuto la relativa concessione edilizia, "per la realizzazione di un deposito attrezzi ad una sola elevazione fuori terra", in concreto aveva proceduto a realizzare "su una piattaforma in cemento armato, una costruzione a due elevazioni fuori terra con struttura in c.a. e solaio in lacero cemento, con copertura a due falde in legnamento e tegole, avente le dimensioni in pianta di ml. 9,25 x 9,00, con altezza alla gronda di circa mt. 4,35 ed al colmo di circa 6.50". Inoltre – secondo quanto accertato e documentato fotograficamente dal medesimo verbale redatto dalla Polizia giudiziaria in seguito al sopraluogo condotto in data 8.4.2008 – "il piano terra si trovava con le pareti divisorie rifinite e con gli impianti tecnologici completi, mentre il sottotetto era costruito in un unico ambiente raggiungibile con una scala interna in cemento armato": sicché – come dedotto nel controricorso al presente giudizio dall’Amministrazione appellata – "per potersi definire ultimati i lavori necessitavano solo delle chiusure esterne e delle porte interne".
Di qui, in un primo momento, la cit. ordinanza di demolizione n. 156/12.5.2008 – e, in seguito alla accertata inottemperanza, la successiva ordinanza n. 69/24.5.2010, con la quale si disponeva l’acquisizione gratuita dell’immobile al patrimonio comunale. Peraltro, proprio in tale circostanza, i VV.UU. accertavano che "nonostante il sequestro penale del cantiere la ricorrente (odierna appellante) aveva completato i lavori realizzando la chiusura della scala, la installazione degli infissi esterni e posto in opera le tramezzature interne del sottotetto".
Questi i fatti ed i provvedimenti dell’Amministrazione comunale che hanno segnato la vicenda che ha indotto il Giudice di prime cure a respingere il ricorso presentato dall’odierna appellante, con la motivazione sopracitata.
Contro tale decisione, la difesa della signora D’Angelo, odierna appellante, deduce:
1°) La genericità del provvedimento di acquisizione con riferimento alla precisa individuazione delle opere effettivamente realizzate - con conseguente difetto di motivazione del provvedimento impugnato;
2°) L’impossibilità di provvedere alla demolizione delle opere abusive, in presenza di "sequestro penale dato per ipotetico …, ma che invece è assolutamente esistente dato che lo stesso, come evincesi dalle premesse del provvedimento (di demolizione) è stato disposto dal corpo di P.M. del Comune medesimo". Sicché, si conclude, il Comune di Misterbianco avrebbe finito "per ordinare … una condotta penalmente illecita", quale sarebbe stata in concreto la demolizione di opere sottoposte a sequestro penale, viceversa esclusa proprio dall’ordine di acquisizione gratuita. In questo senso, peraltro, si sarebbe pronunciato il TAR con l’ordinanza di sospensione n. 1730/2008.
In conclusione, a detta della difesa della parte appellante, l’inte-ra condotta dell’Amministrazione sarebbe stata segnata da "estrema confusionarietà e contraddittorietà" giacché, da un lato "non si indica in alcun modo in cosa consista la difformità che renderebbe abusive parte delle opere; dall’altro, si ordina esplicitamente la demolizione di tutte le opere (abusive e legali) quale effetto dell’obbligo di demolizione delle sole opere abusive".
Gli stessi vizi, poi, segnerebbero il provvedimento di acquisizione, atteso che "non appare configurabile una inottemperanza all’ingiunzione di demolizione, posto che l’art. 349 c.p. vieta a chicchessia di alterare e distruggere il "corpo del reato".
L’appello va rigettato e va confermata la sentenza di prime cure.
Circa il primo motivo, come si evince dagli atti allegati e non contestati dalla difesa della parte appellante, l’intera costruzione, per come è stata realizzata, ha prodotto un opus quantitativamente e qualitativamente diverso: per volumetria e per destinazione d’uso, rispetto a quello assentito dalla concessione edilizia originariamente rilasciata dall’Amministrazione comunale.
Ciò comporta che l’abuso coinvolge la totalità delle opere realizzate – senza possibilità di distinguere tra opere lecitamente realizzate ed opere abusive. Ne deriva che l’ordine di demolizione coinvolge l’intero edificio realizzato, e non parti di esso.
Come ha rilevato esattamente il Giudice di prime cure, tutto questo è adeguatamente motivato "per relationem" con riferimento ai due provvedimenti richiamati, cioè il verbale di accertamento dei luoghi (atto di comunicazione n. 2632/2008) e il verbale di sequestro dell’8.4.2008: sicché risulta infondata, per come è stata eccepita dalla difesa della parte appellante, la censura di difetto di motivazione del provvedimento di demolizione, ingiunto dall’Amministrazione procedente.
Circa l’ulteriore motivo della illegittima acquisizione del manufatto abusivo al patrimonio comunale, determinata dall’oggettiva impossibilità di provvedere, in presenza di sequestro penale, alla demolizione delle opere abusive, in effetti esso risulta in linea con quell’orientamento giurisprudenziale secondo il quale non sarebbe possibile procedere all’acquisizione gratuita al patrimonio ove l’im-mobile sia sottoposto a sequestro penale, fino a quando lo stesso non sia venuto meno per intervento della competente Autorità giudiziaria.
Lo stesso Giudice di prime cure, peraltro, nell’ampia ricognizione giurisprudenziale dedicata all’argomento, ha esaurientemente riportato i termini di un secondo ed opposto indirizzo, secondo il quale, alla stregua di una più comprensiva ricognizione sistematica, l’acquisizione può senz’altro essere disposta:
(a) allorquando ricorre, con riferimento all’art. 31, comma 6°, del DPR n. 380/2001 (art. 7, comma 6° della legge n. 47/1985), l’inizio o l’esecuzione di opere eseguite senza titolo su aree assoggettate (da leggi statali, regionali, o da altre norme urbanistiche vigenti o adottate), a vincolo di inedificabilità. In tal caso la demolizione è disposta ex lege a carico della stessa Amministrazione interessata, ma a spese del responsabile dell’abuso;
(b) nell’ipotesi in cui essa sia stata disposta secondo l’art. 31, comma 2°, del DPR n. 380/2001 (art. 7, comma 2° della legge n. 47/1985), vale a dire con riferimento a difformità non riferite a zone o immobili vincolati, ove sia decorso il termine di novanta giorni senza che sia intervenuto il sequestro penale; ovvero:
(c) essa sia stata disposta nelle ipotesi di cui ai casi precedenti, ove, pur essendo intervenuto sequestro penale, l’interessato non dimostri di aver richiesto il dissequestro e questo sia stato rifiutato dalla competente Autorità giudiziaria.
Per contro, sempre secondo questo secondo indirizzo, l’acqui-sizione non potrà essere adottata, ove la parte interessata si sia attivata per sanare l’abuso, dovendo l’Amministrazione pronunciarsi sull’istanza di adeguamento e/o sanatoria, con la necessità di riedizione dell’ordine di demolizione in caso di mancato accoglimento della stessa, o, come sopra ribadito, vi sia stato il rigetto dell’istanza di dissequestro.
Secondo questo indirizzo, dunque, il sequestro non esclude di per sé la possibilità di procedere alla demolizione delle opere abusive; così come, per contro, non giustifica l’inerzia del privato sulla base del semplice rispetto delle esigenze probatorie e difensive che possono averlo determinato. Se così fosse, infatti, da strumento per un più incisivo contrasto all’abusivismo edilizio, il sequestro dell’opera in oggetto si trasformerebbe in un comodo alibi per congelare la situazione esistente a tutto vantaggio del privato, che per tutta la durata continuerebbe a mantenere sia la titolarità dell’opera che il godimento effettivo anche quando, come accaduto nella fattispecie oggetto del presente giudizio, non solo la ditta appellante non ha proceduto ad eliminare gli abusi commessi, ma, nonostante il sequestro, ha proseguito nella ulteriore consumazione dell’abuso, attraverso la realizzazione di ulteriori opere, come accertate dal Corpo dei VV.UU. del Comune.
Per evitare un tale abnorme risultato, una più coerente applicazione dei principi che presiedono alla disciplina del sequestro impone piuttosto al privato, il quale vuole evitare l’effetto ablatorio legato ope legis alla scadenza del termine per ottemperare all’ordine di demolizione, di tenere un comportamento attivo volto comunque ad eliminare l’abuso perpetrato: o sollecitando all’Autorità giudiziaria il dissequestro, secondo la procedura prevista dall’art. 85 disp. att. c.p.p., allo scopo di poter provvedere direttamente alla eliminazione, sicché, in tal caso, soltanto il rigetto dell’istanza giustificherebbe il factum principis che potrebbe inibire l’ordine di demolizione; ovvero, ove possibile, presentando un proprio progetto di adeguamento (demolizione parziale o modifica del fabbricato) che produca la riedizione del potere amministrativo e la conseguente caducazione della presupposta ordinanza di demolizione, quale effetto dell’obbligo amministrativo di esame di un progetto di adeguamento o in sanatoria.
Non risulta agli atti che l’odierno appellante abbia intrapreso alcuna delle iniziative sopra indicate. Piuttosto, mentre per un verso ha ritenuto di coprire la propria inerzia dietro le forme del sequestro penale, per altro verso, come sopra rilevato, ha dimostrato con il proprio comportamento omissivo di voler proseguire, godendo della disponibilità dell’immobile sequestrato, nella ulteriore consumazione dell’abuso, attraverso la realizzazione di ulteriori opere, manifestando così, per facta concludentia, la inequivoca volontà di non voler ottemperare all’ordine di demolizione.
E questo basta per giustificare l’acquisizione gratuita dell’im-mobile abusivo al patrimonio comunale, disposta dall’Amministra-zione appellata con i provvedimenti impugnati.
In conclusione l’appello va respinto.
Ritiene il Collegio che ogni altro motivo od eccezione di rito e di merito possa essere assorbito in quanto ininfluente ed irrilevante ai fini della presente decisione.
Le spese del giudizio, come di regola, seguono la soccombenza, e saranno liquidate nella misura indicata nel dispositivo
P. Q. M.
Il Consiglio di Giustizia amministrativa per la Regione Siciliana in sede giurisdizionale, definitivamente pronunciando sul ricorso in epigrafe, respinge l’appello per le ragioni indicate in motivazione.
Spese a carico della soccombenza Euro 3000, 00.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.
Così deciso in Palermo il 14 dicembre 2011 dal Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione Siciliana in sede giurisdizionale, in camera di consiglio, con l’intervento dei signori: Riccardo Virgilio, Presidente, Antonino Anastasi, Guido Salemi, Pietro Ciani, Giuseppe Mineo, estensore, Componenti.
F.to Riccardo Virgilio, Presidente
F.to Giuseppe Mineo, Estensore
Depositata in Segreteria 18 settembre 2012


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