Data: 2011-04-23 12:39:25

Per non decadere non bastano 2 scontrini - TAR Toscana 126/2011

Per non decadere non bastano 2 scontrini - TAR Toscana 126/2011

T.A.R. Toscana Firenze Sez. II, Sent., 21-01-2011, n. 126

Svolgimento del processo

Espone la ricorrente di essere titolare di un'autorizzazione per la somministrazione di alimenti e bevande di tipo "A" rilasciata il 3 marzo 2000 dal Comune di Lucca.

Con comunicazione dell'interessata del 1° ottobre 2002 tale licenza veniva sospesa per la durata di un anno, fino all'1 ottobre 2003. In tale data la società ricorrente notiziava l'Amministrazione comunale della riapertura del locale.

In data 2 ottobre 2003 il servizio di vigilanza annonaria della Polizia municipale eseguiva un accesso presso il locale ove la predetta attività viene svolta, constatando la permanente inattività dell'esercizio.

Nonostante la contestazione di tale circostanza da parte dell'interessata, con il provvedimento in epigrafe il Comune di Lucca disponeva la revoca dell'autorizzazione.

Contro tale atto ricorre la società in intestazione, chiedendone l'annullamento, previa sospensione, con vittoria di spese e deducendo i motivi che seguono:

1. Nullità per violazione di legge con riferimento all'art. 4, comma 1, lett. a), della l. n. 287/1991.

2. Nullità per eccesso di potere.

Si è costituita in giudizio l'Amministrazione intimata opponendosi all'accoglimento del gravame.

Con ordinanza n. 1257/04 depositata il 14 dicembre 2004 veniva respinta la domanda incidentale di sospensione dell'efficacia dell'atto impugnato.

Alla pubblica udienza del 4 gennaio 2011 il ricorso è stato trattenuto per la decisione.

Motivi della decisione

Con il ricorso in esame viene impugnato l'atto in epigrafe con cui il Dirigente del Settore Dipartimentale 1 del Comune di Lucca, ha revocato alla società ricorrente l'autorizzazione per la somministrazione di alimenti bevande di tipo "A" alla medesima rilasciata nell'anno 2000.

Il ricorso non è suscettibile di accoglimento.

Con il primo motivo la società ricorrente deduce la violazione dell'art. 4, comma 1, lett. a), della l. n. 287/1991, atteso che, contrariamente a quanto affermato da controparte, l'attività in parola sarebbe ripresa regolarmente dopo il periodo di sospensione previsto dalla legge e ritualmente comunicato all'Amministrazione.

La tesi non può essere condivisa.

La norma in questione (ora abrogata dall'art. 85, comma5, lett. a), del d.lgs. n. 59/2010) stabilisce che "L'autorizzazione di cui all'articolo 3 è revocata: a) qualora il titolare dell'autorizzazione medesima, salvo proroga in caso di comprovata necessità, non attivi l'esercizio entro centottanta giorni dalla data del rilascio ovvero ne sospenda l'attività per un periodo superiore a dodici mesi".

La previsione normativa di cui sopra, è stato precisato dalla giurisprudenza, trova la sua ragione di essere, specie nelle ipotesi di esercizi soggetti ad indicazioni limitative stabilite sulla base di parametri numerici ottimali (come nel caso che ne occupa), nell'esigenza che un'autorizzazione assentita in osservanza degli stessi parametri e non attivata nei termini previsti dalla legge non sottragga a tempo indefinito unità di somministrazione al pubblico ad altri esercenti che intendano svolgere la stessa attività e che non possano ottenerla in conseguenza dell'esistenza di esercizi autorizzati, ma non aperti. (T.A.R. Lazio, sez. II, 21 febbraio 2001, n. 1363; id. sez. II, 5 gennaio 2006, n. 103).

Ne discende che l'obiettivo accertamento della protratta inattività dell'esercizio costituisce presupposto al contempo necessario e sufficiente per l'adozione del provvedimento di revoca.

In punto di fatto, la ricorrente contesta proprio che tale presupposto si sia effettivamente realizzato, in quanto nella giornata del 2 ottobre l'esercizio avrebbe ripreso la sua attività, come dimostrato dall'emissione di due ricevute fiscali avvenuto proprio nel giorno suddetto.

L'assunto, tuttavia, non persuade.

Invero, come rilevato dalla difesa dell'Amministrazione, le due ricevute emesse per lo stesso importo con riferimento a due pasti serviti "con cibo precotto e riscaldato con forno a microonde" (come è riportato nella descrizione della prestazione eseguita), a prescindere dalla loro autenticità, non appaiono di per sé idonee a dimostrare l'effettivo intendimento di riprendere l'attività interrotta, tenuto conto dell'analogo comportamento tenuto in passato dalla società ricorrente.

Quand'anche si volesse accedere alla tesi della ricorrente, va rimarcato che non può ritenersi sufficiente, ai fini della dimostrazione della effettiva volontà di svolgere concretamente e continuativamente l'attività, la circostanza che l'esercizio sia stato riaperto per un solo giorno (o per pochi giorni), avuto riguardo alla finalità perseguita dal citato art. 4 della l. n. 287/1991 (TAR Veneto, sez. III, 22 gennaio 2001, n. 134; T.A.R. Abruzzo L'Aquila, 27 maggio 2003, n. 330).

Ugualmente infondato si palesa il secondo motivo con cui si lamenta che l'Amministrazione non abbia assunto l'interesse pubblico a riferimento del suo provvedimento, tenuto conto che la legge non pone limiti al numero di sospensioni che possono essere richieste, né all'intervallo di tempo intercorrente tra l'una e l'altra.

Osserva il Collegio che la misura della revoca dell'autorizzazione al commercio, per effetto dell'accertata inattività protratta per un periodo superiore a dodici mesi, procede dal suddetto accertamento e ne è conseguenza automatica, a meno che l'intestatario non deduca comprovate necessità, per effetto delle quali la decadenza può essere differita di un anno, ovvero abbia dato prova di asserite cause di forza maggiore che gli avrebbero impedito di eseguire le opere necessarie a riavviare la sua attività commerciale, mentre nessuna rilevanza può essere assegnata a soggettive esigenze del titolare, peraltro nella circostanza neppure rappresentate.

Ne discende che l'obiettiva natura vincolata del provvedimento attenua l'esigenza di una diffusa motivazione del relativo provvedimento, apparendo sufficiente, ai fini di un'esauriente esternazione delle ragioni che lo giustificano, che dal tenore dell'atto emerga l'insussistenza di tutti i requisiti previsti dalla legge (T.A.R. Lazio Roma, sez. II, 5 gennaio 2006, n. 99).

In ogni caso, va rilevato che, come già argomentato, la ratio della norma è appunto quella di evitare che vengano sottratte, a tempo indefinito, unità di somministrazione al pubblico ad altri soggetti che intendano svolgere la stessa attività e che non possano ottenere la necessaria licenza in conseguenza dell'esistenza di esercizi autorizzati, ma non effettivamente attivi.

Per le considerazioni che precedono il ricorso deve pertanto essere rigettato.

Le spese di giudizio seguono la soccombenza come da liquidazione fattane in dispositivo.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana (Sezione Seconda) definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese di giudizio che si liquidano forfettariamente in Euro 3.000,00 (tremila/00), oltre IVA e CPA.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

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