CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. V PENALE - SENTENZA 24 settembre 2012, n.36737
- Pres. Teresi – est. Guardiano
Ritenuto in fatto
Con sentenza pronunciata il 9.6.2010 il tribunale di Teramo in composizione monocratica, sezione distaccata di Atri, previa concessione in suo favore delle circostanze attenuanti generiche, condannava B.N. alla pena di anni uno mesi sei di reclusione per i reati di cui agli artt. 612 bis c.p. (capo a); 582, 61 n. 1, c.p. (capo b); 635, 625, n. 7, c.p. (capo c), commessi tra il (omissis) ed il (omissis) in danno di P.A. , applicando contestualmente nei suoi confronti, ritenuta la sussistenza del vizio parziale di mente, la misura di sicurezza del ricovero in casa di cura e custodia per il periodo di dieci mesi.
Con sentenza pronunciata il 25 marzo 2011, su impugnazione dell'imputata, la corte di appello di L'Aquila, in parziale riforma della decisione di primo grado, escludeva la suddetta misura di sicurezza, confermando nel resto la sentenza impugnata.
Riteneva, al riguardo, la corte territoriale, condividendo completamente le argomentazioni del giudice di primo grado, che le condotte criminose addebitate alla B. fossero dotate di un solido compendio probatorio, costituito dalle dichiarazioni, valutate come assolutamente credibili, della persona offesa P.A. , confortate inoltre da alcuni elementi di riscontro di natura estrinseca, costituiti: dai certificati medici in cui sono state refertate le lesioni subite dal P. in occasione delle diverse aggressioni di cui è stato vittima ad opera dell'imputata; dalle dichiarazioni dei suoi familiari; dalle dichiarazioni dei testi M.G. e L.G. ; dal rinvenimento nell'autovettura della B. della chiave con cui il P. ha affermato di essere stato colpito da quest'ultima nel corso dell'episodio del (omissis) ; dalle centinaia di SMS e dai messaggi vocali dal contenuto minaccioso ricevuti dal P. ; dagli esiti della perizia psichiatrica disposta dal giudice di primo grado, che hanno evidenziato come la B. , impossibilitata ad avere figli, abbia sofferto per la nascita del nipotino del P. , evento che aveva determinato uno scompenso nel suo delicato equilibrio psico-fisico, in ciò trovando conferma quanto dichiarato dalla persona offesa sulla causa scatenante del comportamento della B. nei suoi confronti, che, a partire dal (omissis) , giorno del battesimo del nipotino, aveva conosciuto una inarrestabile progressione.
Tutto ciò aveva determinato nel P. , come evidenziato dai giudici di secondo grado, un grave turbamento, che lo aveva indotto ad alterare le proprie abitudini di vita, staccando la linea telefonica, rinunciando ad uscire la sera, cercando percorsi alternativi a quelli usuali per evitare di incontrare l'imputata e, da ultimo, in conseguenza delle reiterate minacce ed aggressioni, un fondato timore per la propria incolumità.
In ordine ai motivi di appello, la corte territoriale non li riteneva fondati (ad eccezione, come si è detto, di quello relativo all'applicazione della menzionata misura di sicurezza), in quanto, da un lato la comprovata frequentazione della B. da parte del P. anche dopo l'episodio scatenante del 28.12.2008, non priva di veridicità il racconto della persona offesa e non dimostra affatto una diversa dimensione del rapporto tra i due soggetti; dall'altro quanto sostenuto dalla prevenuta a proposito delle violenze subite dal P. e della ricezione a sua volta di messaggi minacciosi, a differenza delle dichiarazioni della persona offesa, non risulta riscontrato dal alcun elemento estrinseco alla narrazione dell'imputata. La corte di appello disattendeva, infine, le doglianze difensive sull'assorbimento nel reato di cui all'art. 612 bis, c.p. di quello di cui all'art. 582, c.p., stante la diversità dei beni giuridici tutelati dalle due previsioni normative, e sulla mancata concessione della sospensione condizionale della pena, rilevando, a tale ultimo proposito, come correttamente il tribunale avesse fondato il suo rifiuto sulla circostanza che erano state accertate ulteriori pressioni ed attività di disturbo dell'imputata nei confronti del P. , persino in occasione della celebrazione del processo di primo grado.
Ha proposto ricorso l'imputata personalmente articolando due motivi.
Con il primo lamenta l'erronea applicazione della legge penale in relazione all'art. 612 bis, c.p. Ad avviso della ricorrente, diversamente da quanto ritenuto dalla corte di appello, i risultati cui è pervenuta l'istruttoria dibattimentale svoltasi innanzi al giudice di primo grado non consentirebbero di ritenere integrata l'ipotesi di reato in contestazione, in quanto le stesse dichiarazioni della persona offesa e di alcuni dei testi, escussi, sia del pubblico ministero che della difesa, indicate nel ricorso, nonché le certificazioni mediche relative a lesioni patite dall'imputata, redatte, come quella del (omissis), il giorno successivo a quello in cui è stato redatto il referto medico relativo alle lesioni riportate dal P. in conseguenza dell'aggressione subita il (omissis), consentirebbero di operare una diversa valutazione dei fatti, facendo emergere la persistenza di un legame sentimentale e di costante frequentazione tra la persona offesa e l'imputata durato sino all'estate/autunno 2009, pur se caratterizzato da una notevole conflittualità, sfociata in reciproci comportamenti lesivi della rispettiva integrità fisica, che non consentirebbe di configurare l'ipotesi di reato ritenuta dalla corte territoriale. Inoltre, ad avviso della ricorrente, ulteriori ostacoli alla possibilità di ritenere integrati gli elementi costitutivi del delitto di cui all'art. 612, c.p., vanno individuati: 1) nelle condizioni fisiche della stessa B. ('ragazza malata di parkinson con problemi motori'), che non le consentono di rappresentare una fonte di un grave stato d'ansia per un uomo giovane e sano come il P. ; 2) nella mancanza di un accertamento che certifichi nella persona offesa l'esistenza di un tipo di stress clinicamente definito, consistendo il grave disagio psichico cui si riferisce l'art. 612 bis, c.p. solo in forme patologiche suscettibili di verifiche mediche; 3) nella mancata dimostrazione che il P. sia stato costretto a modificare rilevanti e gratificanti abitudini di vita a causa della condotta dell'imputata. Con il secondo motivo di ricorso, invece, la ricorrente eccepisce, ai sensi dell'art. 606, co. 1, lett. d), c.p., la mancata assunzione da parte del giudice di primo grado di una prova decisiva consistente nell'acquisizione dei tabulati telefonici del P. in entrata sull'utenza telefonica della B. , che avrebbero evidenziato la reciprocità delle molestie, con il conseguente venir meno della illiceità delle condotte dell'imputata.
Infine la ricorrente eccepiva l'illegittimità costituzionale dell'art. 612 bis, c.p., la cui formulazione normativa viola i principi di legalità, tassatività e determinatezza della fattispecie penale, per contrasto con gli artt. 13, co. 2; 25, co. 2 e 3; 27, co. 1 e 54, co. 1, Cost., chiedendo che la Corte di Cassazione, in funzione di giudice a quo pronunciasse ordinanza di rimessione della relativa questione innanzi alla Corte Costituzionale.
Considerato in diritto
Il ricorso è infondato e, pertanto, non può essere accolto. In via preliminare va rilevato che non può essere condivisa la sollecitazione della ricorrente volta ad ottenere la rimessione innanzi alla Corte Costituzionale della questione di legittimità costituzionale dell'art. 612 bis, c.p., stante la assoluta genericità dei motivi posti a fondamento della suddetta richiesta, che si risolve nella mera indicazione dei parametri costituzionali che si assumono violati (artt. 13, co. 2; 25, co. 2 e 3; 27, co. 1 e 54, co. 1, Cost.), accompagnata dalla generica affermazione della indeterminatezza della fattispecie penale di cui si invoca la declaratoria di illegittimità costituzionale (cfr. ultima pagina del ricorso presentato dalla B. ).
La questione proposta, peraltro, appare manifestamente infondata, in quanto la disposizione normativa espressa nell'art. 612 bis, c.p., delinea esaurientemente la fattispecie incriminatrice in tutte le sue componenti essenziali, giacché il fatto costitutivo del reato assume i connotati dell'antigiuridicità attraverso la realizzazione reiterata di condotte, che, sia pure non definibili preventivamente stante le diverse modalità con cui può concretamente atteggiarsi l'aggressione al bene giuridico tutelato dalla fattispecie incriminatrice, non risultano assolutamente indeterminate, ma, anzi, sono fatte oggetto da parte del legislatore di un elevato grado di determinatezza, dovendo consistere non in generiche minacce e molestie, ma solo in quelle che assumono una gravità tale da cagionare nella vittima uno degli eventi alternativamente previsti dalla stessa disposizione normativa, vale a dire 'un perdurante e grave stato di ansia o di paura ovvero da ingenerare un fondato timore per l'incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona al medesimo legata da relazione affettiva ovvero da costringere lo stesso ad alterare le proprie condizioni di vita'.
Passando ad affrontare i motivi di ricorso, va rilevato che il primo sembra collocarsi ai confini della inammissibilità, articolandosi in una serie di censure, ricondotte dalla ricorrente al vizio di cui all'art. 606, co. 1, lett. b), c.p.p., in relazione all'art. 612 bis, c.p., già sollevate innanzi alla corte territoriale, da quest'ultima disattese con motivazione approfondita e immune da vizi o da evidenti errori di applicazione delle regole della logica ovvero da incongruenze che vanifichino o rendano manifestamente incongrua la motivazione adottata (cfr, in particolare, le pagine 7-8 dell'impugnata sentenza), risolvendosi, dunque, in una rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata, sulla base di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti.
In ogni caso, la principale argomentazione difensiva, consistente nel ritenere che la dimostrata persistenza (quale emergerebbe dai risultati dell'istruttoria dibattimentale di primo grado) di un legame sentimentale e di costante frequentazione tra la persona offesa e l'imputata durato sino all'estate/autunno 2009, pur se caratterizzato da una notevole conflittualità, sfociata in reciproci comportamenti lesivi della rispettiva integrità fisica, non consentirebbe di configurare l'ipotesi di reato di cui all'art. 612 bis, c.p., appare priva di pregio.
Come affermato, infatti, dal Supremo Collegio in una decisione di questa stessa sezione assolutamente condivisibile, 'il reato di atti persecutori, previsto dall'art. 612 bis c.p., può configurarsi anche in presenza di comportamenti reciprocamente molesti o minacciosi, quando si riscontri una posizione di ingiustificata predominanza di uno dei due contendenti, tale da dar luogo alla qualificabilità come persecutoria della condotta da lui posta in essere' (cfr. Cass., sez. V, 05/02/2010, n. 17698, M.).
Orbene anche a volere ammettere che ci sia stata una reciprocità di condotte lesive o minacciose, circostanza, peraltro, assolutamente indimostrata, risulta del tutto evidente, in tale conflittualità, la predominanza dell'imputata, che, attraverso una serie di condotte di forte valenza intimidatoria (consistenti in ripetute aggressioni, che avevano pregiudicato l'incolumità fisica della persona offesa, arrecandogli le lesioni indicate nel capo d'imputazione; nel reiterato danneggiamento della sua autovettura; in centinaia di messaggi, anche vocali, dal contenuto minaccioso inviati dall'imputata sul telefono del P. , insieme con insistenti telefonate notturne, che avevano indotto la madre di quest'ultimo a staccare l'utenza telefonica della propria abitazione), esaurientemente descritte nella sentenza del giudice di primo grado ed in quella della corte di appello di L'Aquila, ha travalicato ogni limite di (supposta) reciprocità, consentendo di qualificare in termini di vera e propria persecuzione la condotta, unitariamente considerata, derivante dai singoli episodi posti in essere in danno del P. .
Quest'ultimo, inoltre, come sottolineato dalla corte territoriale (cfr. pagina 8), ha ammesso di essersi incontrato più volte con la B. dopo l'episodio del (omissis) , che ha rappresentato l'inizio della persecuzione di quest'ultima nei suoi confronti, ma la ragione di tali incontri dallo stesso P. veniva individuata, del tutto credibilmente secondo il giudizio della corte di appello, in ragioni diverse da quella di una pretesa riconciliazione con l'imputata ed, in particolare, nel tentativo di farla desistere dalla sua condotta.
Anche le ulteriori considerazioni poste dalla ricorrente a fondamento del primo motivo di ricorso non sono condivisibili.
Ed invero: 1) le rappresentate condizioni fisiche della B. non le hanno impedito di aggredire fisicamente il P. , di danneggiare la sua autovettura e di inviargli centinaia di messaggi minacciosi e numerose telefonate, anche notturne, turbandone la serenità; 2) a nulla rileva la mancanza di un accertamento che certifichi nella persona offesa l'esistenza di un tipo di stress clinicamente definito, in quanto, come già chiarito dal Supremo Collegio ed a differenza di quanto opinato dalla ricorrente, 'ai fini della integrazione del reato di atti persecutori non si richiede l'accertamento di uno stato patologico ma è sufficiente che gli atti ritenuti persecutori - e nella specie costituiti da minacce e insulti alla persona offesa, inviati con messaggi telefonici o via internet o, comunque, espressi nel corso di incontri imposti - abbiano un effetto destabilizzante della serenità e dell'equilibrio psicologico della vittima, considerato che la fattispecie incriminatrice di cui all'art. 612 bis c.p. non costituisce una duplicazione del reato di lesioni (art. 582 c.p.), il cui evento è configurabile sia come malattia fisica che come malattia mentale e psicologica' (cfr. Cass.,, sez. V, 10.1.2011, n. 16864, C, rv. 250158); 3) infine, premesso che il delitto di atti persecutori (c.d. 'stalking') è un reato che prevede eventi alternativi, la realizzazione di ciascuno dei quali è idonea ad integrarlo, per cui ai fini della sua configurazione non è essenziale il mutamento delle abitudini di vita della persona offesa, essendo sufficiente che la condotta incriminata abbia indotto nella vittima uno stato di ansia e di timore per la propria incolumità (cfr. Cass. sez. V, 19.5.2011, n. 29872, L, rv. 250399; Cass. sez. V, 22.6.2010, n. 34015, D.G.D., rv. 248412), nel caso in esame tali condizioni risultano entrambe soddisfatte, essendo stato dimostrato nel giudizio di primo grado, come sottolineato dal giudice della sezione distaccata di Atri, la cui decisione, sul punto, viene espressamente richiamata dalla corte territoriale (cfr. pagina 5), che, a causa della condotta della B. , il P. , era stato vittima, da un lato di un grave turbamento, in virtù del quale aveva cambiato le proprie abitudini di vita, staccando il telefono, non uscendo più la sera, cercando percorsi alternativi a quelli solitamente praticati per evitare di incontrare la B. , dall'altro di un timore, fondato sulle ripetute aggressioni subite, per la propria incolumità fisica.
Con riferimento al secondo motivo, si rileva che non può definirsi prova decisiva, la cui mancata assunzione da parte del giudice di primo grado ha integrato una violazione rilevante sotto il profilo dell’art. 606, co. 1, lett. d), c.p.p., l'acquisizione dei tabulati telefonici del P. relativi alle chiamate telefoniche in entrata sull'utenza in uso alla B. .
Infatti 'per prova la cui mancata assunzione può costituire motivo di ricorso per cassazione, deve intendersi solo quella che, confrontata con le ragioni poste a sostegno della decisione, risulti determinante per una diversa conclusione del processo' (cfr. Cass., sez. I, 15.4.2003, n. 17844, Milesi e altro, rv. 224800) ovvero, come pure è stato rilevato, che 'abbia, in una valutazione ex ante che il giudice di merito deve necessariamente operare, la potenzialità di sovvertire il valore degli altri elementi probatori utilizzati o ancora utilizzabili, nel senso che, ove l'assunzione sia richiesta dall'imputato, la stessa abbia l'attitudine ad infirmare i dati favorevoli all'accusa, convalidando, ad esempio, l'alibi difensivo' (cfr. Cass., sez. II, 3.3.2000, n. 2689, Rapisarda S., rv. 215714).
Orbene i tabulati telefonici del P. , dai quali sarebbe stato possibile desumere l'intensità del traffico telefonico tra quest'ultimo e l'imputata e che, nella prospettiva della ricorrente, avrebbero evidenziato la reciprocità delle molestie (o delle minacce), con il conseguente venir meno della illiceità delle condotte contestate, sarebbero stati assolutamente inidonei a sovvertire il valore degli elementi probatori utilizzati dal giudice di primo grado e, di conseguenza, a determinare una diversa conclusione del processo a carico della B. , in quanto non solo da essi non sarebbe stato possibile ricavare il contenuto delle conversazioni telefoniche tra il P. e l'imputata, ma, soprattutto, come si è già visto, la menzionata reciprocità delle molestie (o delle minacce) non avrebbe fatto venir meno il reato contestato alla B. , stante la posizione di predominanza da quest'ultima assunta nei confronti della persona offesa con i suoi comportamenti persecutori. Al rigetto del ricorso, consegue, ai sensi dell'art. 616, c.p.p., la condanna della ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.
P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.
Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di rito.