La PA non può disapplicare i propri atti neppure se illegittimi - TAR 4/12/12
T.A.R. Lombardia Milano, Sezione II, 4 dicembre 2012 N. 2893
FATTO
Con provvedimento del 6.2.2012, a firma del Dirigente del Servizio Interventi Edilizi Minori, il Comune di Milano annullava in autotutela il permesso di costruire n. 153 del 2007, avente a sua volta ad oggetto il frazionamento dell’unità immobiliare del sig. Mauro Orietti Carella, sita in via Crivelli n. 1, in due unità immobiliari (una delle quali seminterrata), aventi rispettivamente uso abitazione ed uso studio privato.
Nel medesimo provvedimento del 6.2.2012, era respinta l’istanza di variante al permesso di costruire del 2007, presentata dallo stesso sig. Orietti Carella ed era ingiunta la demolizione delle opere abusive realizzate.
A detta dell’Amministrazione, infatti, il locale posto al piano seminterrato non sarebbe mai stato agibile, avendo avuto destinazione a deposito senza permanenza di persone.
Contro il citato provvedimento comunale del 6.2.2012, era proposto il ricorso principale, con domanda di sospensiva, per i motivi che possono così sintetizzarsi:
1) violazione dell’art. 21 quater della legge 241/1990 ed in particolare del regime giuridico dei provvedimenti amministrativi, del divieto di disapplicazione di provvedimenti amministrativi non rimossi in via di autotutela, degli articoli 4 e 5 legge 2248/1865, dei principi di legalità, tipicità e tassatività dei poteri amministrativi, eccesso di potere sotto i concorrenti profili del difetto dei presupposti e dell’istruttoria, nonché dell’illogicità, contraddittorietà, travisamento dei fatti e, in subordine, violazione dell’art. 21 nonies della legge 241/1990;
2) violazione sotto altro profilo dell’art. 21 nonies della legge 241/1990, eccesso di potere per difetto del presupposto, difetto di motivazione, illogicità, contraddittorietà intrinseca ed estrinseca;
3) violazione del regolamento edilizio del 1920 e del regolamento edilizio del 1999, del principio “tempus regit actum”, dell’art. 15 c. 4 del DPR 380/2001, eccesso di potere per difetto dei presupposti, irragionevolezza, illogicità e difetto di istruttoria, violazione dell’art. 10 legge 241/1990 nonché difetto di motivazione;
4) eccesso di potere per difetto di istruttoria, di motivazione, illogicità, irragionevolezza, sviamento di potere e della procedura, violazione del regolamento edilizio del 1999 e del principio di legalità;
5) violazione: dell’art. 21 nonies della legge 241/1990, dell’art. 1 della legge 241/1990, dell’art. 97 della Costituzione e dell’art. 41 della Carta europea dei diritti fondamentali, del principio di legittimo affidamento, difetto di motivazione, violazione dell’art. 33 del DPR 380/2001 e dell’art. 38 del DPR 380/2001, difetto di istruttoria e di motivazione, sviamento di potere e della procedura, violazione del principio di proporzionalità.
Il successivo 27.4.2012, era depositato ricorso per motivi aggiunti, sempre con riguardo al provvedimento gravato in via principale, con il quale era proposta la seguente ulteriore censura:
6) violazione sotto altro profilo dell’art. 21 nonies della legge 241/1990, eccesso di potere per difetto del presupposto, difetto di istruttoria, travisamento dei fatti, illogicità e difetto di motivazione.
Si costituiva in giudizio il Comune intimato, concludendo per la reiezione del gravame.
Con decreto presidenziale n. 599 del 27.4.2012, era accolta la domanda di misure cautelari monocratiche.
In esito alla camera di consiglio del 10.5.2012, era altresì accolta la domanda di sospensiva, con ordinanza della Sezione II n. 666/2012.
Alla successiva pubblica udienza dell’8.11.2012, la causa era trattenuta in decisione.
DIRITTO
1.1 Con il permesso di costruire originario n. 153 del 2.3.2007 (cfr. doc. 18 del ricorrente), il Comune di Milano aveva autorizzato un intervento edilizio di manutenzione straordinaria, consistente nel frazionamento di una unità immobiliare ad uso laboratorio posta su due livelli, in due unità distinte, con cambio d’uso della stessa: in particolare l’unità al piano rialzato veniva destinata ad abitazione e quella seminterrata ad uso studio privato.
Con successiva istanza di permesso di costruire in variante dell’8.11.2007 (cfr. doc. 19 del ricorrente), erano chieste alcune modifiche interne ed esterne, pur mantenendosi le due unità collegate da scala interna e facendo salva la destinazione d’uso già assentita.
L’Amministrazione comunale, tuttavia, con nota del 10.11.2008 (cfr. doc. 2 del ricorrente), ordinava la sospensione dei lavori e contestualmente avviava il procedimento per l’annullamento in autotutela del permesso di costruire n. 153/2007, adducendo a sostegno della propria pretesa la circostanza che il piano seminterrato non avrebbe avuto una destinazione a laboratorio agibile, ma a deposito senza permanenza di persone; da qui – sempre secondo il Comune – la necessità di annullare d’ufficio il titolo edilizio del 2007, in quanto con il medesimo si sarebbero consentiti interventi in un’unità (appunto quella seminterrata), non suscettibile di abitabilità e non computabile ai fini della s.l.p. (superficie lorda di pavimento) e del volume.
Il provvedimento finale di autotutela del 6.2.2012, oggetto del presente gravame, conferma che il locale seminterrato sarebbe stato in realtà privo di ogni agibilità, perché adibito a deposito senza permanenza di persone e non a laboratorio agibile (cfr. doc. 1 del ricorrente).
Nel primo mezzo di gravame, l’esponente lamenta l’illegittimità dell’atto comunale di autotutela, in quanto basato sulla presunta erroneità ed illegittimità di atti amministrativi pregressi dello stesso Comune (in particolare, come meglio sarà esposto, un provvedimento di condono ed il successivo certificato di agibilità), che però non sono mai stati a loro volta oggetto di formale annullamento in autotutela; sicché – si continua in ricorso – l’Amministrazione non potrebbe sostanzialmente disapplicare suoi atti pregressi per annullare d’ufficio un proprio successivo permesso di costruire.
La doglianza appare fondata, per le ragioni che seguono.
1.2 L’unità immobiliare di cui è causa, acquistata dal sig. Orietti Carella con rogito notarile del 29.5.2006 (cfr. doc. 6 del ricorrente), era stata oggetto di un pregresso provvedimento di condono edilizio, su domanda di sanatoria del 28.7.1986 della precedente proprietaria, sig.ra Frattini (cfr. doc. 12 del ricorrente, copia dell’istanza di condono, nella quale è espressamente indicato che l’intero immobile era agibile al 1.10.1983, cfr. pag. 4 del citato doc. 12).
Alla domanda di sanatoria era allegata denuncia di variazione catastale, depositata all’UTE (Ufficio Tecnico Erariale) di Milano il 21.7.1986, che in relazione al piano fuori terra prevedeva la categoria catastale C3, vale a dire “Laboratori per arti e mestieri” (cfr. il doc. 34 del resistente ed i documenti n. 27 e n. 29 del ricorrente, quest’ultimo è la copia della tabella delle categorie catastali).
Questo significa che, al momento di presentazione della domanda di condono nel 1986, l’accatastamento del locale seminterrato prevedeva già la destinazione a laboratorio, né sul punto gli uffici comunali preposti all’esame delle istanze di condono obiettarono alcunché, tanto è vero che gli atti dell’istruttoria relativa alla domanda di sanatoria di cui sopra fanno riferimento ad una unità immobiliare su due piani (terra e seminterrato) “ad uso laboratorio” (cfr. doc. 28 del ricorrente, rapporto tecnico in data 5.3.2003).
Anche il provvedimento finale di accoglimento della domanda di condono, vale a dire l’autorizzazione in sanatoria per opere edilizie n. 7397 del 25.3.2003, rilasciato alla signora Frattini, indica, quali opere edilizie sanate, le modifiche interne “in unità ad uso laboratorio al piano terra e seminterrato”, con riferimento agli atti allegati all’istanza di condono (cfr. doc. 14 del ricorrente); a tale provvedimento di sanatoria fece seguito la certificazione di abitabilità per l’intero immobile (cfr. doc. 15 del ricorrente).
Non pare possano esservi dubbi, di conseguenza, che per il provvedimento di sanatoria del 2003, di accoglimento dell’istanza di condono del 1986, l’unità immobiliare ora di proprietà del ricorrente aveva destinazione a laboratorio anche per il piano seminterrato: questo risulta anche dai documenti versati in giudizio dallo stesso Comune, che non può pertanto invocare una interpretazione dell’autorizzazione in sanatoria diversa da quella che emerge dalla semplice e piana lettura dell’autorizzazione e dei suoi allegati.
Neppure potrebbe essere invocata, da parte dell’Amministrazione, una presunta erroneità del provvedimento di sanatoria: in tal caso, infatti, il Comune sarebbe in ogni caso necessariamente vincolato all’osservanza dei propri provvedimenti e non potrebbe procedere nella propria azione amministrativa prescindendo dagli stessi, considerandoli tamquam non essent.
Non è, infatti, previsto in capo alla Pubblica Amministrazione (P.A.) alcun potere di disapplicazione dei propri atti giuridici (un simile potere è riconosciuto al giudice ordinario, nei casi e con le modalità di cui alla legge 20.3.1865, n. 2248, allegato “E”); qualora la P.A. ritenesse viziate od erronee le proprie precedenti determinazioni, non avrebbe altra possibilità che rimuoverle dal mondo giuridico avvalendosi del potere di annullamento d’ufficio o di revoca previsto dalla legge (in particolare, si vedano gli articoli 21 quinquies e 21 nonies della legge 241/1990).
Se, per assurdo, dovesse essere invece consentito all’Amministrazione disapplicare i propri provvedimenti, è facile comprendere come potrebbero essere pregiudicati non solo la necessaria certezza nei rapporti giuridici, ma anche i principi di buon andamento e di imparzialità della pubblica amministrazione previsti dall’art. 97 della Costituzione (sull’impossibilità per la P.A. di disapplicare i propri atti, si vedano: TAR Campania, Napoli, sez. III, 1.3.2011, n. 1248 e soprattutto TAR Puglia, Bari, sez. III, 30.9.2008, n. 2254).
1.3 Fermo restando quanto sopra esposto, occorre altresì rilevare come l’impugnato provvedimento del 6.2.2012, di annullamento d’ufficio del permesso di costruire del 2007 (cfr. ancora il doc. 1 del ricorrente oppure il doc. 32 del resistente), appare redatto in violazione dell’art. 21 nonies della legge 241/1990, visto che nel medesimo non sono effettuate adeguate e congrue valutazioni in ordine agli elementi che consentono il legittimo esercizio del potere di autotutela, vale a dire il termine ragionevole (nel caso di specie, giova evidenziarlo, l’annullamento è intervenuto dopo cinque anni dal rilascio del permesso di costruire) e gli interessi del destinatario e dei controinteressati (non si dimentichi, infatti, che il sig. Orietti Carella ha acquistato l’immobile nel 2006 e la domanda di condono era stata presentata addirittura nel 1986 e da un diverso proprietario).
Anche la comunicazione di avvio del procedimento del 6.11.2008 (cfr. doc. 2 del ricorrente), non contiene alcuna necessaria valutazione come sopra indicata.
Ciò premesso, il presente gravame deve essere accolto, con assorbimento di ogni altra censura e con conseguente annullamento del provvedimento comunale del 6.2.2012; mentre non devono annullarsi gli altri atti, impugnati peraltro in via di mero subordine (“per quanto occorrer possa”), visto il loro carattere meramente istruttorio ed endoprocedimentale.
2. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia (Sezione Seconda)
definitivamente pronunciando sul ricorso e sui motivi aggiunti, come in epigrafe proposti, li accoglie, nei sensi di cui in motivazione e per l’effetto annulla il provvedimento impugnato.
Condanna il Comune di Milano al pagamento a favore del ricorrente delle spese di causa, che liquida in euro 2.000,00 (duemila/00), oltre accessori di legge (IVA e CPA) e contributo unificato.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Milano nella camera di consiglio del giorno 8 novembre 2012 con l'intervento dei magistrati:
Angelo De Zotti, Presidente
Giovanni Zucchini, Primo Referendario, Estensore
Gaia Palmieri, Referendario