Presupposto per l’adozione dell’ordinanza contingibile ed urgente è la sussistenza e l’attualità del pericolo a nulla rilevando che la situazione di pericolo fosse nota da tempo
La giurisprudenza ha precisato più volte che presupposto per l’adozione dell’ordinanza contingibile è la sussistenza e l’attualità del pericolo, cioè del rischio concreto di un danno grave e imminente per l’incolumità pubblica e per l’igiene, a nulla rilevando neppure che la situazione di pericolo fosse, come nel caso di specie, nota da tempo (C.d.S. sez. V, 28 marzo 2008, n. 1322). L’attualità della minaccia per incolumità pubblica e l’igiene, ad avviso del Collegio, esclude quindi rilevanza al fatto che la situazione di pericolo fosse nota da tempo.
(Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza 19.9.2012, n. 4968)
Fonte: http://www.gazzettaamministrativa.it/opencms/opencms/index.html
N. 04968/2012REG.PROV.COLL.
N. 01903/2012 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1903 del 2012, proposto da:
Adele Monteverdi, Luigi Monteverdi, Giuliano Monteverdi, Marta Monteverdi e Antonio Monteverdi, rappresentati e difesi dagli avv. Claudio Mazzadi, Guido Romanelli, Renzo Rossolini e Marcello Ziveri, con domicilio eletto presso Guido Romanelli in Roma, via Cosseria 5;
contro
Comune di Bedonia in persona del Sindaco p.t., non costituito;
nei confronti di
Gianfranco Bruschi, rappresentato e difeso dall'avv. Maurizio Palladini, con domicilio eletto presso Alfredo Placidi in Roma, via Cosseria, n. 2;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. EMILIA-ROMAGNA - SEZ. STACCATA DI PARMA: SEZIONE I n. 00013/2012, resa tra le parti, concernente interventi di messa in sicurezza e bonifica fabbricato fatiscente volti a fronteggiare situazioni di rischio e pericolo per la comunità locale
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Gianfranco Bruschi;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 13 luglio 2012 il Cons. Carlo Schilardi e uditi per le parti gli avvocati Rossolini e Reggio D'Aci, per delega dell'Avvocato Palladini;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
A seguito di accertamento A.R.P.A. presso un fabbricato in località Molino di Romezzano, evidenziando il grave pericolo per la pubblica incolumità per la concreta possibilità di ulteriori crolli di una struttura fatiscente e la possibile dispersione delle fibre di amianto presenti con effetti nocivi per la salute dei cittadini, il Sindaco del Comune di Bedonia, ai sensi dell’art. 50 del D.lgs n. 267 del 2000, con ordinanza n. 2100/2010 del 20.7.2010 ingiungeva ai ricorrenti, tutti in qualità di comproprietari dell’immobile, l’adozione di interventi (idonea recinzione, bonifica dell’area dall’amianto, rimozione parti pericolanti, smaltimento rifiuti presenti in loco) per eliminare i conseguenti rischi per la comunità locale.
Successivamente, l’Amministrazione comunale rigettava la richiesta di annullamento in autotutela dell’ordinanza contingibile e urgente, presentata dai ricorrenti (provvedimento in data 29 settembre 2010, prot. n. 4910).
I suindicati atti sono stati impugnati dagli interessati davanti al T.A.R. per l’Emilia Romagna - Sez. di Parma -, che hanno sostenuto di non essere mai stati proprietari dell’immobile, esibendo le risultanze della visura eseguita presso il Catasto, nonchè l’estraneità di detto immobile al patrimonio del defunto Angelo Monteverdi, la cui eredità è stata peraltro da loro accettata con beneficio d’inventario, con rilascio di tutti i beni ai creditori.
I ricorrenti hanno negato, inoltre, di essere titolari di diritti reali o di godimento sull’area o comunque di averne la disponibilità e contestato la sussistenza dei presupposti per un’ordinanza contingibile ed urgente, per essersi voluto provvedere con essa a risolvere l’emergenza in modo stabile e definitivo e a fronteggiare una situazione risalente nel tempo e non imprevista.
Essi hanno denunciato, infine, carenza di comunicazione di avvio del procedimento, difetto della condizione legale di obbligo a provvedere per non essere responsabili dell’abbandono dei rifiuti (art. 192 del d.lgs. n. 152/2006), insussistenza della situazione di possesso del bene.
Si è costituito in giudizio il sig. Gianfranco Bruschi, opponendosi all’accoglimento del ricorso.
L’istanza cautelare dei ricorrenti veniva respinta dal T.A.R. in Camera di Consiglio con ordinanza n. 248/2010, ma è stata poi accolta da questa Sezione del Consiglio di Stato con ordinanza 9 marzo 2011 n. 1133.
Con sentenza del 7 dicembre 2011, il T.A.R. ha poi rigettato il ricorso.
Avverso la sentenza i sigg. Monteverdi hanno proposto appello eccependo i seguenti vizi:
a) difetto di motivazione, contraddittorietà, illogicità, errore e travisamento dei fatti;
b) violazione dell’art. 50 D.Lgs. 18 agosto 2000 n. 267, dell’art. 7 legge 7 agosto 1990 n. 241 e degli artt. 484, 832, 936, 1140, 2643, 2660 c.c., eccesso di potere per difetto di motivazione, illogicità e ingiustizia manifesta.
Con ordinanza n. 1521/2012 del 17.4.2012, questa Sezione ha accordato la tutela cautelare richiesta con la seguente motivazione: “ Considerato che ad un primo sommario esame proprio della fase cautelare, l’appello appare assistito da adeguato fumus boni iuris, non risultando che il de cuius sia stato proprietario del bene ritenuto poi dal Comune essere pervenuto a titolo successorio agli appellanti, i quali comunque a titolo cautelativo hanno accettato l’intera eredità con beneficio di inventario; Rilevato, inoltre, che non risulta che, in sede di procedimento, il Comune abbia esperito idonea istruttoria per accertare se il de cuius, deceduto da anni, abbia detenuto il possesso del bene in via continuativa o se il possesso sia stato dismesso nel tempo…”.
Si è costituito il controinteressato sig. Gianfranco Bruschi, il quale ha chiesto la conferma della sentenza impugnata.
Ad un più approfondito esame della vicenda in sede di merito deve ora ritenersi, diversamente da quanto osservato sommariamente in sede cautelare, che le conclusioni cui è pervenuto il giudice di prima istanza, pur nella particolarità della vicenda sul piano sostanziale, sono coerenti con il quadro normativo vigente.
L’appello è pertanto infondato e va rigettato.
Con il primo motivo di appello i sigg. Monteverdi sostengono che “non sono titolari di alcun diritto reale o personale di godimento e che non hanno alcun rapporto non de iure e neppure de facto con l’immobile da demolire…che lo stato di abbandono del suddetto immobile perdura da oltre vent’anni da quando, cioè, il de cuius sig. Angelo Monteverdi, dovendo abbandonare per motivi di salute l’attività di allevamento – dismetteva – corpore et animo – il possesso dei beni in parola”.
Evidenziano, inoltre, di aver prodotto in giudizio l’atto notarile di accettazione dell’eredità con beneficio di inventario, con conseguente rilascio dei beni ai creditori, nonché decreto 3 febbraio 2010 n. 155 con il quale il Presidente del Tribunale di Parma ha nominato il curatore incaricandolo di liquidare i beni del de cuius.
Tali documenti avvalorerebbero ulteriormente quanto già affermato dimostrando come, comunque, gli appellanti non fossero nel possesso del bene sul quale il provvedimento impugnato li obbligava ad intervenire.
Sul punto deve rilevarsi che gli appellanti, anche nell’ultima memoria prodotta, non negano che il de cuius abbia avuto il possesso del bene in questione, ma si limitano a sostenere che lo stesso era cessato dal possesso molto prima del suo decesso, come sarebbe provato dallo stato di lungo abbandono dell’immobile.
Orbene, come ritenuto dal T.A.R., l’utilizzo pieno e incontestato del bene da parte del possessore, deceduto nell’anno 1996, che ne ha goduto “uti dominus” già prima dell’anno 1969, data di richiesta di licenza edilizia per effettuare dei lavori, è elemento che rende inutile accertare chi fosse il formale titolare del diritto di proprietà.
L’Amministrazione comunale ha quindi correttamente ritenuto che l’obbligo di risanare l’immobile e i luoghi su cui esso insiste, competesse a chi ne aveva avuto il possesso e ne disponeva pienamente, tanto da realizzare autonomamente le strutture andate poi in degrado e dimostratesi comunque nocive per la pubblica salute ed incolumità.
A tal fine, trattandosi di necessità di eliminare pericoli e pregiudizi per i cittadini e per l’ambiente, come evidenziato dal T.A.R., per ricorrente giurisprudenza la posizione del possessore è equiparata a quella del proprietario e del titolare di diritti reali sul bene.
Riscontrato ciò, è indubitabile che il possesso, indipendentemente da manifestazioni di volontà e della presa in carico del bene, si trasferisce automaticamente agli eredi, che subentrano, quindi, in tutti i diritti e gli obblighi che aveva il de cuius (art. 1146 c.c.).
Resta da considerare se tali diritti ed obblighi vengano meno nei casi in cui, come quello di specie, gli appellanti abbiano accettato l’eredità con beneficio d’inventario ai sensi dell’art. 484 cod. civ. e abbiano altresì provveduto al rilascio dei beni ereditari, a norma dell’art. 507 cod. civ..
Come osservato dal giudice di prima istanza, l’erede, dopo la morte del de cuius, risponde dei fatti ascrivibili al precedente possessore ex art. 1146 cod. civ. e dell’incuria del bene di pregiudizio per la collettività, fino al rilascio di esso a termini degli artt. 507 e 508 del cod. civ..
Del resto, il bene non risulta tra quelli oggetto dell’inventario o consegnati al curatore, per cui la consegna dei beni ai creditori, che comunque determina l’abbandono da parte dell’erede dei poteri di amministrazione e di disposizione, ma non anche la perdita del diritto di proprietà (cfr. Cass., 9 gennaio 1999, n. 123), non aveva, riguardo al bene in questione, l’effetto liberatorio di cui all’art. 507, comma 4, c.c.
In ordine al secondo motivo di appello, si richiama primieramente quanto già osservato circa l’equivalenza della veste di possessore uti dominus del bene a quella di proprietario e la conseguente osservanza degli obblighi imposti con l’ordinanza del Comune originariamente impugnata.
Non vi sono poi motivi per discostarsi da quanto ritenuto dal T.A.R. in ordine alla possibilità da parte del Comune di ricorrere allo strumento dell’ordinanza contingibile e urgente per eliminare definitivamente la situazione di pericolo rilevata, nella considerazione che “nella fattispecie, in particolare, il concorso dei rischi legati a possibili ulteriori crolli del fabbricato fatiscente e agli effetti pregiudizievoli per la salute pubblica derivanti dal pericolo di dispersione di fibre di amianto oltre che dalle conseguenze della presenza nei pressi della strada comunale di un contenitore di stoccaggio di deiezioni zootecniche parzialmente privo di copertura, come è evidente, palesa una situazione di concreta e immediata minaccia per la sanità e l’incolumità pubbliche, indice della necessità di interventi solleciti e indilazionabili.”
La scelta dell’amministrazione di provvedere a porre rimedio a tale situazione con l’emanazione di una ordinanza contingibile ed urgente a tutela dell’igiene e della sanità pubblica, nonché della sicurezza dei cittadini, “impinge nel merito dell’azione amministrativa che sfugge al sindacato di legittimità del giudice amministrativo, non risultando manifestamente inficiata da illogicità, arbitrarietà, irragionevolezza, oltre che da travisamento dei fatti” (Cons. St., sez. V, 28.9.2009, n. 5807).
L’attualità della minaccia per incolumità pubblica e l’igiene, esclude rilevanza al fatto che la situazione di pericolo fosse nota da tempo.
La giurisprudenza ha precisato più volte che presupposto per l’adozione dell’ordinanza contingibile è la sussistenza e l’attualità del pericolo, cioè del rischio concreto di un danno grave e imminente per l’incolumità pubblica e per l’igiene, a nulla rilevando neppure che la situazione di pericolo fosse, come nel caso di specie, nota da tempo (C.d.S. sez. V, 28 marzo 2008, n. 1322).
Neppure può trovare ingresso la censura relativa alla violazione delle garanzie procedimentali, ex art. 7 della legge 7 agosto 1990, n. 241, essendo queste incompatibili con l’urgenza di provvedere, anche in ragione della perdurante attualità dello stato di pericolo, aggravantesi con il trascorrere del tempo (C.d.S., sez. V, 2 aprile 2001, n. 1904).
Di fatto la comunicazione di avvio del procedimento nelle ordinanze contingibili e urgenti del Sindaco non può che essere di pregiudizio per l’urgenza di provvedere.
Conclusivamente l’appello è infondato e va rigettato.
Sussistono giusti motivi, per la complessità interpretativa propria della vicenda, perché le spese anche di questa fase del giudizio siano compensate tra le parti.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)
definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo rigetta.
Spese compensate tra le parti.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 13 luglio 2012 con l'intervento dei magistrati:
Stefano Baccarini, Presidente
Carlo Saltelli, Consigliere
Nicola Gaviano, Consigliere
Fabio Franconiero, Consigliere
Carlo Schilardi, Consigliere, Estensore
L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 19/09/2012
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)