Data: 2012-09-21 04:04:13

Consiglio di STato 17/9/12 - avvio del procedimento ex art. 7 della L. n. 241/90

Consiglio di STato 17/9/12 - avvio del procedimento ex art. 7 della L. n. 241/90

Individuazione dei casi in cui e' superflua la comunicazione di avvio del procedimento ex art. 7 della L. n. 241/90
(Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 17.9.2012, n. 4925)
N. 04925/2012REG.PROV.COLL.

N. 04359/2012 REG.RIC.



REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente
SENTENZA

ex artt. 38 e 60 del codice del processo amministrativo
sul ricorso numero di registro generale 4359 del 2012, proposto da:
Innova Consulting - Societa' Cooperativa di Servizi A R.L., in persona del legale rappresentante in carica rappresentato e difeso dall'avv. Salvatore Lamarina, con domicilio eletto presso Alessandro M. Levanti in Roma, via Mercalli 6;
contro
Comune di Mesagne, in persona del legale rappresentante in carica rappresentato e difeso dagli avv. Nicolangelo Zurlo, Anna Luisa Valente, con domicilio eletto presso Luciana Francioso in Roma, viale Parioli, 54;
per la riforma
della sentenza breve del T.A.R. della PUGLIA – Sezione Staccata di LECCE- SEZIONE I n. 00348/2012, resa tra le parti, concernente REVOCA DEI LOTTI IN ZONA PIP

Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Mesagne;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nella camera di consiglio del giorno 10 luglio 2012 il Consigliere Fabio Taormina e uditi per le parti gli avvocati Alessandro Levanti su delega di Salvatore Lamarina e Elia Barbieri su delega di Nicolangelo Zurlo;
Sentite le stesse parti ai sensi dell'art. del 60 codice del processo amministrativo;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO
Con il ricorso di primo grado l’odierna parte appellante aveva impugnato, chiedendone l’annullamento, il provvedimento con cui era stata disposta la revoca dei lotti (A29 e A31) assegnati nell’ambito della zona PIP del Comune di Mesagne, per l’inadempimento all’obbligo di pagamento degli oneri di urbanizzazione
Aveva prospettato svariate doglianze di violazione di legge ed eccesso di potere.
In particolare, aveva prospettato le censure, riposanti rispettivamente nella violazione dell’art. 7 L. n. 241/90, non essendo stato comunicato l’avvio del procedimento; violazione dell’art. 8 del Regolamento approvato con delibera C.C. n. 50/1998 ed eccesso di potere, atteso che nel provvedimento si motivava la revoca con riferimento alla suddetta disposizione, che la prevedeva per la diversa ipotesi di mancato inizio dei lavori; violazione dell’art. 14 D.L. 28.2.1983 n. 55 e dell’art. 4 L.R. n. 2/2003, avendo la originaria ricorrente fatto affidamento sull’onnicomprensività del prezzo di assegnazione e risultando comunque immotivata la quantificazione degli oneri di urbanizzazione in € 34.509,70; difetto di motivazione ed erroneità nella determinazione degli oneri di urbanizzazione e violazione dell’art. 19 DPR . 380/2001, in quanto non v’era contezza delle modalità di calcolo e difettava la previa determinazione dei parametri con deliberazione del Consiglio comunale.
Il primo giudice, all’adunanza camerale dell’11 gennaio 2012 fissata per la delibazione dell’incidente cautelare ha definito la causa nel merito ed ha respinto il ricorso.
Ha in primo luogo evidenziato che una causa analoga a quella in oggetto era stata già in passato proposta dalla stessa odierna appellante.
Infatti, prima che fosse (nuovamente) disposta la revoca dell’assegnazione con il provvedimento impugnato, la stessa misura era stata già disposta nei confronti della Società ricorrente con determina del 14/3/2006, anche in quel caso per l’inadempimento agli obblighi di versamento degli oneri di urbanizzazione.
Il ricorso avverso la suddetta determina era stato definito con sentenza reiettiva del 9 novembre 2006 n. 5217 dal medesimo Tribunale amministrativo della Puglia, -sede di Lecce- a seguito della quale, proposto appello al Consiglio di Stato, il Comune di Mesagne e la Società erano pervenuti alla definizione della lite in via transattiva (di cui era stato dato conto nelle premesse del provvedimento gravato), prevedendo l’assegnazione di un lotto di dimensioni inferiori e determinando consensualmente il prezzo di cessione.
Il Tribunale amministrativo di Lecce ha quindi dato atto della circostanza che erano state nuovamente riproposte le censure già vagliate con la sentenza suindicata, e le ha parimenti disattese.
In particolare, la riscontrata mancanza della comunicazione di avvio del procedimento non poteva condurre all’annullamento dell’atto impugnato, ai sensi del secondo comma dell’art. 21-octies della legge n. 241/90, trattandosi di provvedimento interamente vincolato.
La impugnata revoca, peraltro, richiamava non solo l’art. 8 del Regolamento comunale approvato con la delibera n. 50/1998, bensì anche l’art. 9, concernente l’inadempimento di specifici obblighi derivanti dall’atto di assegnazione provvisoria, tra cui il versamento degli oneri di urbanizzazione determinati dall’Ufficio Tecnico (cfr. l’art. 2 della convenzione del 27/3/2008).
La Società odierna appellante aveva presentato il progetto il 26/9/2008 (peraltro, oltre il termine di quattro mesi dalla sottoscrizione della convenzione, fissato a pena di decadenza automatica dell’assegnazione dall’art. 4), senza poi versare gli oneri di cui all’art. 16 del DPR n. 380/01, determinati il 15/10/2009: ne discendeva che l’interessata non avrebbe potuto arrecare alcun apporto idoneo a porre nel nulla gli effetti automatici conseguenti all’inadempimento.
Per altro verso, l’atto di assegnazione aveva posto a carico della Innova Consulting il rispetto di precisi obblighi, a pena di decadenza, la cui perentorietà si giustificava per assicurare la pronta attuazione del piano degli insediamenti produttivi.
In particolare, l’art. 2 della convenzione aveva previsto l’impegno a versare il 20% del prezzo di cessione al momento della stipula (unico obbligo assolto dalla odierna appellante); l’art. 4 stabiliva che nei successivi quattro mesi (e, precisamente, entro il 28/7/2008) occorreva presentare il progetto per l’ottenimento dell’autorizzazione unica e, dal suo rilascio, intraprendere i lavori entro tre mesi (a pena di decadenza automatica dell’assegnazione: cfr. il penultimo comma); l’art. 2, infine, obbligava al pagamento del residuo prezzo di cessione all’ultimazione del rustico (30%) e alla stipula dell’atto definitivo (50%), con l’aggiunta degli oneri di urbanizzazione determinati dall’U.T.C. e con l’uguale comminatoria di decadenza per l’ipotesi di mancato pagamento (art. 2, ultimo comma).
Del pari doveva essere respinta la doglianza contenuta nel secondo motivo di ricorso (nella parte in cui si era sostenuto che il Comune non poteva invocare l’art. 8 del Regolamento, avendo impedito l’inizio dei lavori non rilasciando il permesso di costruire), essendo esclusivamente ascrivibile alla appellante il non aver dato corso al programma costruttivo.
Quanto alle censure attinenti alla quantificazione degli oneri esse, ad avviso del Tribunale amministrativo, erano prive di fondamento, (come del resto osservato nella precedente sentenza del 9 novembre 2006 n. 5217) venendo in rilievo anche in tal caso la piena consapevolezza che al prezzo di cessione andava aggiunto l’importo degli oneri di urbanizzazione, come disponeva l’art. 2 dell’atto di assegnazione provvisoria (“il prezzo di cessione dei lotti n. A29 e A31 è stato stabilito con la Delibera (…), a cui saranno aggiunti gli oneri di urbanizzazione determinati dall’Ufficio Tecnico Sezione Urbanistica”).
Ciò escludeva che la Società avesse in buona fede confidato di aver assolto ad ogni obbligo correlato al pagamento, dovendosi al riguardo disattendere l’interpretazione data all’art. 14 del D.L. n. 55/83 ed escludere la possibilità “di accedere ad un’interpretazione secondo cui il disposto di cui al richiamato art.14 sarebbe da intendersi come cumulativamente riferito ai due importi (al contrario, il disposto letterale dell’art. 14, cit. – che faceva riferimento al ‘prezzo di cessione’ – sembrava univocamente e senza margini di errore riferirsi ad un importo non comprensivo degli oneri di urbanizzazione”).
In ultimo la censura rivolta alla concreta determinazione del quantum degli oneri di urbanizzazione era formulata in modo generico, “lamentandosi una non meglio specificata contrarietà rispetto alle indicazioni ed ai criteri rinvenibili nell’art. 19 del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 (c.d. ‘Testo unico dell’edilizia’)” (sentenza n. 5217/96), per cui doveva essere del pari disattesa.
L’ odierna appellante ha proposto una articolata critica alla sentenza in epigrafe chiedendone la riforma previa sospensione della esecutività, riproponendo le tematiche disattese in primo grado, lamentando che la sentenza impugnata non aveva preso in esame dettagliatamente le proprie censure e riproponendo la doglianza relativa all’asserito malgoverno dell’art. 7 della legge n. 241/1990 e le ulteriori tre censure già articolate in primo grado e disattese.
L’appellata amministrazione comunale ha depositato una argomentata memoria chiedendo la declaratoria di inammissibilità dell’appello in quanto carente di alcuna critica alla impugnata decisione e fondato sulla meccanica riproposizione di censure già proposte in primo grado, e comunque la reiezione dell’appello medesimo perché infondato
All’adunanza camerale del 10 luglio 2012 la causa è stata posta in decisione dal Collegio.
DIRITTO
1.Stante la completezza del contraddittorio e la mancata opposizione delle parti rese edotte della possibilità di immediata definizione della causa, la controversia può essere decisa nel merito tenuto conto della infondatezza e parziale inammissibilità dell’appello.
1.1. Al fine di perimetrare il novero delle questioni esaminabili nel merito, ritiene il Collegio di dovere immediatamente rilevare la inammissibilità della doglianza – rubricata nel secondo motivo dell’appello- incentrata sull’asserito malgoverno dell’art. 8 del Regolamento comunale approvato con la delibera n. 50/1998.
Come esattamente rilevato dal primo giudice, infatti, e come si evince dagli atti di causa (secondo rigo del dispositivo dell’atto gravato) l’amministrazione comunale appellata ha fondato la revoca non soltanto sull’art. 8 del Regolamento comunale approvato con la delibera n. 50/1998 bensì anche facendo riferimento all’art. 9, concernente l’inadempimento di specifici obblighi derivanti dall’atto di assegnazione provvisoria, tra cui il versamento degli oneri di urbanizzazione determinati dall’Ufficio Tecnico.
L’appellante non ha contestato tale circostanza, né ha proposto alcuna censura avverso il capo di decisione che ha confermato l’applicabilità del richiamato art. 9 , limitandosi a riproporre (in modo inconferente e distonico rispetto alla motivazione contenuta nella impugnata decisione) le censure fondate sull’art. 8.
Il motivo di censura è senz’altro inammissibile, quindi, in ossequio al prevalente orientamento giurisprudenziale – che il Collegio senz’altro condivide- secondo cui (Consiglio di Stato sez. III 23 marzo 2012 n. 1690) “ è inammissibile il motivo d'appello avulso da qualsivoglia specifica e concreta critica alla motivazione della sentenza”.
1.2. Analoghe valutazioni devono essere rese con riferimento ai motivi n. 3 e 4 dell’atto di appello.
Quanto alla prima di esse, nel premettere che il Collegio condivide la tesi del primo giudice secondo cui l’art. 14 del D.L. n. 55/83 (“I comuni provvedono annualmente con deliberazione, prima della deliberazione del bilancio, a verificare la quantità e la qualità di aree e fabbricati da destinarsi alla residenza, alle attività produttive e terziarie ai sensi delle leggi 18 aprile 1962, n. 167, e successive modificazioni ed integrazioni, 22 ottobre 1971, n. 865, e 5 agosto 1978, n. 457, che potranno essere cedute in proprietà o in diritto di superficie. Con la stessa deliberazione i comuni stabiliscono il prezzo di cessione per ciascun tipo di area o di fabbricato”), facendo riferimento al ‘prezzo di cessione”, si riferisce ad un importo non comprensivo degli oneri di urbanizzazione, si rileva che nell’appello ci si è limitati a riproporre la censura di primo grado, senza alcuna deduzione critica alla sentenza: ciò in particolare, risulta vieppiù deporre verso una considerazione di assoluta strumentalità della proposta impugnazione (ma il tema sarà meglio sviluppato di seguito) laddove si consideri che l’odierna appellante ben conosceva l’orientamento dell’amministrazione sul punto (e quello del primo giudice, siccome manifestatosi in sede di decisione della “prima“ controversia) e non ha proposto alcuna critica verso la determinazione in concreto della somma.
In particolare – e ciò riguarda anche il quarto motivo dell’appello- ci si limita a censurare in termini generici la quantificazione resa dall’amministrazione appellata, senza al contempo neppure ipotizzare o semplicemente richiamare un indizio di tale erroneità.
Le dette censure, in quanto genericamente formulate, sono –prima che infondate- inammissibili, posto che non confutano la affermazione, reiteratamente ribadita dal primo giudice, secondo la quale trattandosi di atto paritetico sarebbe spettato all’appellante prospettare, quantomeno sotto il profilo indiziario, gli elementi militanti per la erroneità della determinazione comunale.
2.Quanto invece al primo motivo di censura,da scrutinare nel merito, in via preliminare ritiene il Collegio di non potersi esimere dal formulare una considerazione.
Come esattamente rammentato dal primo giudice, la controversia odierna è analoga ad altra in passato proposta dalla stessa odierna appellante: infatti, prima che fosse (nuovamente) disposta la revoca dell’assegnazione con il provvedimento impugnato, la stessa misura era stata già disposta nei confronti della Società ricorrente con determina del 14/3/2006, anche in quel caso per l’inadempimento agli obblighi di versamento degli oneri di urbanizzazione.
Il ricorso avverso la suddetta determina era stato definito con sentenza reiettiva del 9 novembre 2006 n. 5217 dal medesimo Tribunale amministrativo della Puglia, -sede di Lecce- a seguito della quale, proposto appello al Consiglio di Stato, il Comune di Mesagne e la Società erano pervenuti alla definizione della lite in via transattiva
Innanzi al Consiglio di Stato, infatti, (che con la ordinanza cautelare n. 3620/2007 aveva sospeso la esecutività della sentenza in quanto “ il Comune risulta aver impropriamente fatto applicazione nel caso all’esame dell’art. 8 del “Regolamento per la cessione e concessione delle aree”, lo specifico inadempimento dell’appellante circa il richiesto versamento dei contributi di cui all’art. 16 del D.P.R. n. 380/2001 ricadendo piuttosto nell’ipotesi di cui all’art. 9 del Regolamento stesso ed all’art. 4 dell’atto di assegnazione provvisoria del suolo, previo rigetto dell’istanza edilizia motivato con riferimento a detto inadempimento;”) con ’istanza depositata il 16 gennaio 2008, i difensori della società appellante avevano dichiarato che le parti avevano raggiunto una soluzione transattiva, in quanto il Comune, con delibera commissariale n. 138/07, aveva deliberato di assegnare alla società stessa un altro lotto, subordinando l’efficacia dell’assegnazione alla rinunzia al giudizio, e avevano conseguentemente chiesto la declaratoria di cessazione della materia del contendere (e la Sezione aveva disposto in conformità, con la decisione n. 740/2008 dichiarando il giudizio estinto per rinuncia e annullando senza rinvio la sentenza di primo grado).
Ne discende che la odierna appellante era ben consapevole di quale fosse la posizione del Comune sul punto, e ben edotta di quale fosse stata la linea da questi seguita.
Essa pertanto ha proposto censure – talune di natura formale, quale appunto l’omesso inoltro dell’avviso dell’avvio del procedimento che, a tutto concedere ed in via teorica, avrebbero potuto essere positivamente delibabili, laddove non inquadrate in una situazione di pregresso contenzioso: nel caso di specie esse risultano prive di fondamento alla luce, tra l’altro, della circostanza che nessun elemento di “novità” poteva essere ravvisabile nella posizione espressa dall’amministrazione appellata, in quanto ben conosciuta dell’appellante.
Invero l’avvenuto raggiungimento di un accordo transattivo poggiava – all’evidenza- sulla buona volontà dell’impresa di adempiere agli oneri discendenti dalla convenzione.
Risulta incontestato, invece, che la odierna appellante avrebbe già potuto essere dichiarata decaduta in quanto aveva presentato il progetto soltanto il 26/9/2008 ( e quindi oltre il termine di quattro mesi dalla sottoscrizione della convenzione, fissato a pena di decadenza automatica dell’assegnazione dall’art. 4), ma, soprattutto, che la stessa non aveva provveduto a versare gli oneri determinati il 15 ottobre 2009.
L’appellante quindi: ben sapeva di versare in una situazione di inadempienza; ben conosceva quali fossero state le precedenti determinazioni comunali, poi “superate” in sede transattiva; non avrebbe potuto apportare alcun contributo utile al procedimento in quanto la determinazione gravata era necessitata proprio dall’inadempimento reiterato dell’appellante.
L’incombente di cui all’art. 7 della legge n. 241/1990, nel caso di specie, lungi dallo svolgere la garantistica funzione prevista ex lege avrebbe avuto, unicamente, l’effetto di dilatare vieppiù i tempi di definizione del procedimento: uno strumentale abuso della garanzia procedimentale priva di ogni rispondenza al concreto interesse della parte.
2.1. Si osserva al riguardo che la necessità della comunicazione dell’avvio del procedimento ai destinatari dell’atto finale è stata prevista in generale dal menzionato art. 7 non soltanto per i procedimenti complessi che si articolano in più fasi (preparatoria, costitutiva ed integrativa dell’efficacia), ma anche per i procedimenti semplici che si esauriscono direttamente con l’adozione dell’atto finale, i quali comunque comportano una fase istruttoria da parte della stessa autorità emanante.
La portata generale del principio è confermata dal fatto che il legislatore stesso (art 7, 1° comma, ed art. 13 L. 241/90) si è premurato di apportare delle specifiche deroghe ( speciali esigenze di celerità,, atti normativi, atti generali, atti di pianificazione e di programmazione, procedimenti tributari) all’obbligo di comunicare l’avvio del procedimento, con la conseguenza che negli altri casi deve in linea di massima garantirsi tale comunicazione, salvo che non venga accertata in giudizio la sua superfluità in quanto il provvedimento adottato non avrebbe potuto essere diverso anche se fosse stata osservata la relativa formalità ( cfr. CdS, sez. V n.2823 del 22.5.2001 e n. 516 del 4.2.2003; sez. VI n.686 del 7.2.2002).
Ha dato luogo a contrasti, in dottrina ed in giurisprudenza, la risposta al quesito relativo alla possibilità che la fase procedimentale indicata possa essere omessa o compressa per il fatto che si sia in presenza di provvedimento a contenuto vincolato.
Deve rilevarsi in proposito che parte della giurisprudenza ha affermato la sussistenza dell'obbligo di avviso dell'avvio del procedimento anche nella ipotesi di provvedimenti a contenuto totalmente vincolato, sulla scorta della considerazione che la pretesa partecipativa del privato riguarda anche l'accertamento e la valutazione dei presupposti sui quali si deve comunque fondare la determinazione amministrativa (cfr. CdS sez. VI 20.4.2000 n. 2443; CdS 2953/2004; 2307/2004 e 396/2004). Secondo tale tesi, invero, non sarebbe rinvenibile alcun principio di ordine logico o giuridico che possa impedire al privato, destinatario di un atto vincolato, di rappresentare all'amministrazione l'inesistenza dei presupposti ipotizzati dalla norma, esercitando preventivamente sul piano amministrativo quella difesa delle proprie ragioni che altrimenti sarebbe costretto a svolgere unicamente in sede giudiziaria.
In definitiva, quello che rileva è la complessità dell’accertamento da effettuare (V. CdS, sez. VI n.686 del 7.2.2002).
Secondo altra prospettazione, invece, “le norme sulla partecipazione del privato al procedimento amministrativo non vanno applicate meccanicamente e formalmente, nel senso che occorra annullare ogni procedimento in cui sia mancata la fase partecipativa, dovendosi piuttosto interpretare nel senso che la comunicazione è superflua - con prevalenza dei principi di economicità e speditezza dell'azione amministrativa - quando l'interessato sia venuto comunque a conoscenza di vicende che conducono comunque all'apertura di un procedimento con effetti lesivi nei suoi confronti. In materia di comunicazione di avvio prevalgono, quindi, canoni interpretativi di tipo sostanzialistico e teleologico, non formalistico. Poiché l'obbligo di comunicazione dell'avvio del procedimento amministrativo ex art. 7 l. 7 agosto 1990 n. 241 è strumentale ad esigenze di conoscenza effettiva e, conseguentemente, di partecipazione all'azione amministrativa da parte del cittadino nella cui sfera giuridica l'atto conclusivo è destinato ad incidere - in modo che egli sia in grado di influire sul contenuto del provvedimento - l'omissione di tale formalità non vizia il procedimento quando il contenuto di quest'ultimo sia interamente vincolato, pure con riferimento ai presupposti di fatto, nonché tutte le volte in cui la conoscenza sia comunque intervenuta, sì da ritenere già raggiunto in concreto lo scopo cui tende siffatta comunicazione. Alla luce di questa linea interpretativa si può affermare che la comunicazione di avvio del procedimento dovrebbe diventare superflua quando: l'adozione del provvedimento finale è doverosa (oltre che vincolata) per l'amministrazione; i presupposti fattuali dell'atto risultano assolutamente incontestati dalle parti; il quadro normativo di riferimento non presenta margini di incertezza sufficientemente apprezzabili; l'eventuale annullamento del provvedimento finale, per accertata violazione dell'obbligo formale di comunicazione, non priverebbe l'amministrazione del potere (o addirittura del dovere) di adottare un nuovo provvedimento di identico contenuto (anche in relazione alla decorrenza dei suoi effetti giuridici).”. (Consiglio Stato , sez. IV, 30 settembre 2002, n. 5003)
Tale orientamento da ultimo esposto appare al Collegio condivisibile, in quanto rispettoso delle garanzie procedimentali avulse da meccanicistiche applicazioni a natura essenzialmente formalistica.
Sotto altro profilo, conforto a tale interpretazione si rinviene in relazione al sopravvenuto disposto del comma 2 dell’art. 21 octies legge 15/2005, specificamente riferita alla violazione procedimentale dell’articolo 7, ed applicabile tanto alla ipotesi di atto vincolato che a quella di atto discrezionale: la novella legislativa ha previsto che l’amministrazione può dimostrare in giudizio che il contenuto del provvedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato , così superando la censura di carattere formale (per una recente ricostruzione del sistema alla luce della “novella”, si veda Consiglio Stato , sez. VI, 07 gennaio 2008, n. 19).
Essa è applicabile in astratto ratione temporis anche alle controversie pendenti stante la natura processuale della norma (
L'art. 21 octies, l. n. 241 del 1990, il quale stabilisce che il provvedimento amministrativo non è annullabile per mancata comunicazione dell'avvio del procedimento qualora l'Amministrazione dimostri in giudizio che il contenuto del provvedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato, costituisce disposizione di carattere processuale, applicabile anche ai procedimenti in corso o già definiti alla data di entrata in vigore della l. n. 15 del 2005. L'orientamento in questione poggia sistematicamente sull'evidente ratio della disposizione da ultimo richiamata, volta a far prevalere gli aspetti sostanziali su quelli formali nelle ipotesi in cui le garanzie procedimentali non produrrebbero comunque alcun vantaggio a causa della mancanza di un potere concreto di scelta da parte dell'Amministrazione. (Consiglio Stato , sez. VI, 18 febbraio 2011 , n. 1040).
Orbene: se si pone mente alla circostanza che nessuna contestazione in punto di fatto è stata avanzata dall’appellante in ordine al mancato versamento degli oneri di urbanizzazione, e che le altre censure – come si è prima chiarito - si incentravano su circostanze di natura giuridica e confutavano – peraltro assai genericamente- una interpretazione di disposizioni di legge effettuata dall’Amministrazione e ben nota all’appellante anche in virtù del precedente contenzioso intercorso tra le parti, appare evidente che l’omissione dell’avviso non ha arrecato alcun vulnus né alla posizione dell’appellante, né tampoco all’azione amministrativa.
2.2. Nel caso di specie la superfluità dell’incombente non dipende (soltanto) dalla natura dell’atto di determinazione degli oneri inosservato, ed è superfluo immorare – come confusoriamente è dato riscontrare nell’atto di appello- sulla natura paritetica od autoritativa dello stesso.
La concreta situazione infraprocedimentale, il reiterato inadempimento dell’appellante, il pregresso contenzioso, sovrapponibile nei contenuti, rendeva la stessa pacificamente edotta delle conseguenze della propria omissione.
3. La censura conseguentemente, va disattesa e l’appello pertanto dichiarato in parte inammissibile ed in parte infondato.
4.Le spese processuali seguono la soccombenza, e pertanto l’appellante società deve essere condannata al pagamento delle medesime in favore dell’appellata amministrazione comunale, in misura che appare equo quantificare in Euro tremila (€ 3000,00) oltre accessori di legge, se dovuti.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)definitivamente pronunciando sul ricorso, numero di registro generale 4359 del 2012, come in epigrafe proposto,lo dichiara in parte inammissibile ed in parte lo respinge.
Condanna l’appellante al pagamento delle spese processuali nella misura di Euro tremila (€ 3000,00) oltre accessori di legge se dovuti, in favore dell’appellata amministrazione comunale. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 10 luglio 2012 con l'intervento dei magistrati:
Giorgio Giaccardi, Presidente
Raffaele Greco, Consigliere
Fabio Taormina, Consigliere, Estensore
Raffaele Potenza, Consigliere
Oberdan Forlenza, Consigliere


L'ESTENSORE IL PRESIDENTE





DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 17/09/2012
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)

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