CINEMA - controinteressati e liberalizzazione del settore - TAR 13/6/2012
T.A.R. Lazio Roma, Sezione II Quater, 13 giugno 2012 n. 5409
FATTO
La società ricorrente, esercente l’attività di una multisala cinematografica a tre schermi, denominata “Iris”, in Piacenza, Corso Emanuele II n. 49, impugna, chiedendone l’annullamento, l’autorizzazione rilasciata alla SIRIO per gestire, nel medesimo Comune, in località Galleana, una multisala di 10 sale, per 2052 posti.
Avverso il suindicato provvedimento, la ricorrente deduce i seguenti articolati motivi:
1) Violazione e falsa applicazione dell’art. 3 comma 5 del DPCM 391/98 con riferimento all’art. 4 co. 5 lett g) del DLvo n. 114/98;
2) Violazione sotto altro profilo dell’art. 3 co. 5 del DPCM 391/98.
3) Violazione dell’art. 5 del DPCM 391/98.
Si è costituito in giudizio il Ministero per i Beni e le Attività Culturali, con memoria scritta contro deducendo, relativamente ai vari motivi di ricorso, che il rilascio dell’autorizzazione in parola costituiva per l’Amministrazione, in presenza della dichiarazione della sussistenza dei relativi requisiti, confermata dallo stesso Dirigente del Settore Urbanistica del Comune interessato, un atto dovuto.
Si è costituita in giudizio la società controinteressata con memoria scritta nella quale eccepisce l’irricevibilità del ricorso chiedendone comunque il rigetto in quanto infondato.
Con ordinanza n. 6987 del 12.12.2002 è stata respinta l’istanza incidentale di sospensione del provvedimento impugnato.
In vista della discussione del merito le parti hanno presentato articolate memorie conclusionali.
All’udienza pubblica del 16 febbraio 2012 la causa è trattenuta in decisione.
DIRITTO
In via preliminare va esaminata l’eccezione di irricevibilità sollevata dalla società contro interessata.
L’eccezione va disattesa.
Non rileva, a tal fine, la circostanza che il Sig. Giancarlo Leonardi, in qualità di legale rappresentante della società Artis Domus, avesse avuto conoscenza del provvedimento impugnato in data 25.6.2002 – secondo quanto dallo stesso affermato nel ricorso straordinario al Capo dello Stato proposto dal medesimo nel 2003 successivamente al ricorso al TAR in esame.
Invero il decorso del termine di decadenza in esame va riferito alla conoscenza da parte della società Esercizi Cinematografici ricorrente, di cui risulta legale rappresentante il Sig. Fabrizio Bertamoni, mentre per il predetto Sig. Leonardi la contro interessata genericamente asserisce essere “socio di riferimento” della società ricorrente, senza dimostrare che questi rivesta una specifica carica sociale.
Né il provvedimento impugnato può presumersi essere pervenuto alla società interessata in data prossima a quella indicata nella nota di comunicazione (25.6.2002), essendo invece a tal fine onere, a carico della parte chi eccepisce l’irricevibilità, di comprovare la data dell’effettiva recezione dell’atto.
Ancora la controinteressata solleva dubbi sulla legittimazione a ricorrere, atteso che l’esercizio gestito dalla società ricorrente è sito nel centro del Comune di Piacenza e quindi non si pone in concorrenza con la nuova multisala ubicata in zona periferica “La Madonnetta”.
L’eccezione va disattesa alla stregua dell’orientamento giurisprudenziale in materia che ha riconosciuto la legittimazione dell’esercente di un Cinema multisala di un Comune, confinante con quello nel quale viene ad essere autorizzata una nuova sala cinematografica, ad impugnare il provvedimento che autorizza un’impresa concorrente a svolgere analoga attività, nell'ambito dello stesso possibile mercato di riferimento (TAR Lombardia, Sez. III n. 2298 del 2.10.98 che appunto affermava on riferimento alla legittimazione a ricorrere degli esercenti sale nel centro storico avverso l’apertura di multisale in aree periferiche; cfr Cons.Stato, Sez. V, 30 gennaio 2003 , n. 469).
Al riguardo la Sezione ritiene che, seppure non può escludersi che la collocazione di simili esercizi in un contesto urbanistico caratterizzato da una particolare “continuità” territoriale di inurbazioni e di rapida mobilità tra le diverse parti abitate, sia in grado di determinare un’opportunità di attrazione di ulteriori flussi di utenti piuttosto che il dedotto sviamento di clientela (cfr., in tal senso TAR Lombardia, Milano, IV n. 247 del 4.2.2005 ove si osserva che “in mancanza di dimostrazione contraria, l’implementazione di una nuova iniziativa commerciale potrebbe perfino risultare vantaggiosa agli operatori presenti nella zona, grazie ad un maggior afflusso di consumatori, nella misura in cui la loro offerta venga differenziata e qualificata”), tuttavia, non può essere negato l’interesse strumentale del gestore della sala già esistente a fronteggiare il prospettato rischio di sviamento di parte dei clienti, per effetto dell’ingresso di un nuovo operatore nello stesso bacino di utenza, non essendo a tal fine necessario dare compiuta comprova, in tale sede preliminare, dell’effetto di saturazione dell’offerta cinematografica che conseguirebbe all’attivazione della Multisala concorrente (TAR Lazio, II quater, n. 3545 del 24.4.08).
Applicando tali principi alla fattispecie in esame non può negarsi che la ricorrente sia legittimata ad agire in giudizio a tutela della sua posizione già consolidata nel settore nell’area del centro storico di Piacenza, considerata la possibilità della multisala SIRIO di intercettare i flussi d’utenza - altrimenti diretti alla propria sala - degli spettatori provenienti dalla Provincia, grazie alla vicinanza dell’uscita autostradale prossima alla nuova struttura in costruzione, nonché di nuovi utenti provenienti dalla stessa località Galleana in forte espansione.
Si passa pertanto ad esaminare il merito del gravame.
La questione sottoposta all’esame del Collegio concerne la legittimità di un’autorizzazione all’esercizio di una multisala cinematografica, “in deroga” ai criteri previsti dall’art. 3 comma 2 del D.M. 29-09-1998, n. 391, di cui si contesta l’applicabilità alla fattispecie sia sotto il profilo della qualificazione come “centro commerciale” della struttura in cui dovrebbe sorgere il Cinema multiplex della contro interessata (sito in area periferica del Comune di Piacenza, località Galleana, dell’insediamento “La Madonnina”) anzichè come “area commerciale integrata” (primo motivo di ricorso), nonché della possibilità che detto esercizio possa ritenersi collocato “nell’ambito” di tale centro commerciale da cui sarebbe separato da arteria stradale (secondo motivo di ricorso).
L’esame dei primi due motivi di censura quindi investe l’applicazione della normativa derogatoria introdotta dall’art. 3 del D.M. 29-09-1998, n. 391, Regolamento recante disposizioni per il rilascio di autorizzazione per l'apertura di sale cinematografiche, ai sensi dell'articolo 31 della L. 4 novembre 1965, n. 1213, come modificato dall'articolo 4, comma 3, del decreto legislativo 8 gennaio 1998, n. 3.
Detta disposizione subordina il rilascio dell’autorizzazione all’apertura di detti esercizi alla verifica di determinati requisiti tecnici ed al rispetto del contingente (cioè del numero massimo di licenze autorizzabili) indicato al comma 2, che viene fissato a livello territoriale in base al rapporto fra la popolazione residente ed il numero dei posti delle sale presenti nella regione (quoziente regionale) nonché in base al rapporto fra la popolazione residente nel comune ove si intende ubicare l'insediamento e nei comuni limitrofi ed il numero complessivo dei posti delle sale ivi ubicate (quoziente d'area).
Il medesimo regolamento consente tuttavia di rilasciare autorizzazioni “in deroga” al tetto fissato da tale contingente nel caso in cui l’esercizio cinematografico si collochi in prossimità di strutture adibite ad attività complementari o sinergiche, come sancito dal successivo comma 5, il quale consente l’apertura di “un complesso multisala nell'ambito di centri commerciali, come definiti dall'articolo 4, comma 1, lettera g), del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 114, o nell'ambito di parchi permanenti attrezzati con strutture stabili per il tempo libero con finalità culturali o ricreative ed adeguate aree di parcheggio, ed afferma che “si prescinde dai criteri di cui al comma 2, se il numero complessivo di posti non è superiore a 2.500 e sempre che il complesso disti non meno di due chilometri dalla più vicina sala con numero di posti superiore a 1.300”.
Come già ricordato dalla Sezione nel precedente sopra citato (TAR Lazio, II quater, n. 3545 del 24.4.08), con ampio richiamo del complesso percorso evolutivo della disciplina in materia di apertura di sale o multisale cinematografiche - caratterizzato da un’oscillazione tra la scelta di introdurre e quella di eliminare i limiti al numero delle licenze rilasciabili - la norma in esame deve essere interpretata - l'articolo 4, comma 3, del decreto legislativo 8 gennaio 1998, n. 3, aveva in gran parte soppresso i vincoli autorizzatori limitandoli alle sole autorizzazioni relative alle strutture di grandi dimensioni (sale con una capienza superiore ai 1300 posti) in seguito ai rilievi ripetutamente formulati dall’autorità Antitrust, che inducono ad una lettura della norma che ha introdotto una deroga al limite quantitativo del numero di autorizzazioni all’esercizio cinematografico rilasciabili che sia costituzionalmente orientata e compatibile con i principi comunitari di libera concorrenza e di apertura del mercato. Ciò sia per considerazioni di ordine economico – che nel particolare settore del diritto pubblico dell’economia assumono valore di canone guida nell’interpretazione delle norme che disciplinano gli interventi pubblici nei vari settori dell’iniziativa economica - sia per ragioni giuridiche.
Sotto il primo profilo, va ricordato che gli effetti distorsivi della concorrenza e del corretto funzionamento del mercato derivanti dalle le modalità di intervento pubblico nel delicato (anche per il collegamento con la libertà di comunicazione ed espressione artistica, oltre che di iniziativa economica) settore del mercato dell’esercizio cinematografico previsti dalla normativa sono stati ripetutamente segnalati dall’Autorità antitrust a Parlamento e Governo, evidenziando la necesssità di una riforma del settore (vedi in particolare l’ Indagine conoscitiva sul settore cinematografico” ove si evidenzia che i criteri di valutazione posti come parametri per il rilascio dell'autorizzazione all'apertura di nuovi esercizi cinematografici “appaiono eccessivamente restrittivi …..non sembrano infatti tener conto dell'effettivo andamento della domanda, ma appaiono finalizzati a contingentare il numero delle sale presenti sul territorio” sicchè il vantaggio riconosciuto a chi già opera sul mercato riduce gli incentivi a migliorare la qualità del servizio e quindi non contribuisce ad aumentare il numero degli spettatori” (delibera n. 2335 del 5.10.1994, in Bollettino Agcm, n. 40/1994); nonché segnalazione del 23 novembre 1994 ove si evidenzia come il D.P.C.M. 8 introducesse i parametri che non sembravano tener conto dell'effettivo andamento delle presenze del pubblico, ma sostanzialmente finalizzati a contingentare il numero di sale presenti sul territorio evitando la concorrenza tra le stesse”, in Boll.AGCM n.47/94). In tale ottica è stato ribadito che“far dipendere l'apertura di nuove sale o la trasformazione di quelle in attività non già dalla domanda attesa, bensì da parametri per i quali non si è dimostrata esistere una effettiva connessione con le dinamiche del mercato, rischia di produrre un rallentamento nell'auspicata espansione del settore… può ostacolare la costituzione di più circuiti nello stesso ambito locale e quindi limitare il dispiegarsi della concorrenza secondo le modalità specifiche dell'attuale fase di sviluppo del mercato in esame” (segnalazione n. 10 del 19.12.1996, in Bollettino Agcm, n. 52/1996), apparendo a tal fine insufficienti le modifiche apportate con il DPCM 13 maggio 1996, che pure aveva ridotto le distanze minime tra gli esercizi e raddoppiato il quoziente di licenze rilasciabili nel singolo comune, concludendo per l’esigenza di una totale abrogazione dell'articolo 31 della legge n. 1213/65, tenuto conto peraltro del “processo di concentrazione nell'esercizio cinematografico che ha portato alla costituzione di circuiti di sale in quasi tutte le città capozona della distribuzione cinematografica”).
Tali ragioni non hanno perso di attualità in quanto, a fronte della (parziale) liberalizzazione del settore operata nel 1998 – di cui l’Autorità ha riconosciuto gli effetti benefici per la collettività e per lo sviluppo dell’economia del settore dell’esercizio cinematografico– permane elevato il rischio di interventi distorsivi (segnalazione n. 20 dell'11 dicembre 2003, in Bollettino Agcm, n. 50/2003 sullo schema di decreto legislativo in materia di attività cinematografica, deliberato, in data 28 agosto 2003, dal Consiglio dei Ministri in attuazione dell’articolo 10 della legge delega n. 137 del 6 luglio 2002) aggravato a causa di comportamenti degli stessi operatori e dalle caratteristiche delle relazioni tra imprese di distribuzione e di esercizio in particolare ove queste ultime abbiano veste anche di imprese di produzione (segnalazione n. 16 del 17 febbraio 2000, in Bollettino Agcm, n. 6/2000, sul disegno di legge recante "Disposizioni volte a favorire la circolazione delle opere cinematografiche"). La necessità di iniziative legislative di liberalizzazione del settore è stata infatti anche di recente ribadita nell’ambito dell’indagine conoscitiva sul cinema e lo spettacolo dal vivo ed in prospettiva della riforma complessiva del settore in via di definizione (vedi nell’Audizione del Presidente dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato presso la VII Commissione Permanente del Senato della Repubblica, Atti Senato, seduta del 15 maggio 2007; decisione n. 397 del 28/05/2007 in bollettino AGCM n. 20/2007).
Sotto il profilo storico-giuridico è stato poi dubitato della validità attuale dell’impostazione fondamentale dell’intervento statale nel settore caratterizzato da una logica di piano - fondata su un contingente numerico predefinito di esercizi operanti nello settore di mercato in esame - che inizialmente rispondeva all’esigenza di promuovere (e proteggere) il settore in esame ma che non risultava più compatibile non solo con le mutate esigenze dei consumatori e della stessa struttura di mercato, ma con la “nuova costituzione economica” derivante dall’inserimento nel nostro ordinamento giuridico di diversi principi di concorrenza e di apertura del mercato di derivazione comunitaria.
Tali principi - che hanno indotto il legislatore ad un primo intervenuto di liberalizzazione con l'art. 4 del decreto legislativo 8 gennaio 1998, n. 3 relativamente dell’apertura delle sale di dimensioni inferiori a 1300 posti – devono essere tenuti ben presenti nell’interpretazione della normativa regolamentare in questione, che va letta tenendo conto sia della finalità dell’intervento pubblico nel settore disciplinato sia del fatto che essa rappresenta una deroga rispetto ai criteri di contingentamento, cioè a criteri che rappresentano essi stessi una deroga ai principi generali di concorrenza e libertà di iniziativa economica, sicchè non può ritenersi consentita una lettura in contrasto con questi. In materia di disciplina dei settori di mercato è infatti fondamentale criterio ermeneutico quello per cui le norme volte a stabilire limiti quantitativi al numero di operatori presenti in un settore di attività vanno lette ed interpretate in modo che il loro senso sia compatibile con i principi costituzionali e comunitari in materia di concorrenza (cfr. TAR Lazio, Sez. I ter n. 1890 del 10.3.2006, I TAR Liguria, Sez. II n. 151 del 30.12.2003; TAR Sicilia, Palermo, Sez. II n. 2947 del 7.10.2002). Principi cardine la cui rilevanza generale è stata di recente ribadita dall’art. 34 del d.l. n. 201/2011, conv. nella legge 213/2011.
I limiti all’ingresso di nuovi operatori determinati dall'intervento pubblico devono infatti essere funzionali all’interesse generale, che in questo caso è quello dell’interesse culturale ed economico della comunità alla promozione dell’attività cinematografica e ad una produzione e distribuzione del prodotto filmico compatibili anche con l’interesse degli spettatori alla qualità ed ai costi dei film offerti e quello di assicurare margini di profitto remunerativi delle imprese etc.
Al riguardo va peraltro rilevato che l’intervento di regolazione del settore di mercato dell’esercizio cinematografico assume un ruolo fondamentale nella politica pubblica di sostegno e promozione dell’attività cinematografica, in quanto complementare a quello della promozione della produzione e distribuzione dei film, come ultimo anello (e soprattutto come anello debole) della filiera produttiva. Tali funzioni sono suscettibili di essere compromesse da provvedimenti dell’autorità pubblica che, comportando restrizioni dell’offerta ed eventualmente agevolando alcune tipologie di operatori, espongano al rischio di programmazioni esclusive, nelle sale, di pellicole prodotte dalla stessa impresa, sottraendo spazio per la proiezione di film realizzati con sovvenzioni statali e impedendo in tal modo il recupero dei finanziamenti concessi, nonché sottraendo opere ritenute di particolare interesse al naturale sbocco della visione da parte degli spettatori.
D’altro lato la sottoposizione a regime autorizzazione dell’attivazione di esercizi cinematografici di rilevanti dimensioni è volto ad assicurare adeguati margini di redditività agli esercenti che si assumono ingenti impegni finanziari necessari per realizzare le strutture di grandi dimensioni e attraverso queste conseguire “esternalità positive” obiettivi di politica sociale ed economica oltre che culturale a beneficio della collettività in generale, quali il recupero delle periferie, la riqualificazione di aree dismesse etc., (Corte costituzionale, sentenza 7-19 luglio 2005, n. 285).
In conclusione occorre evitare di creare in via interpretativa ostacoli normativi al (fondamentale) principio della concorrenza e dell’apertura del settore di mercato in esame - che non trovano adeguato fondamento né nella lettera della norma in parola, né nel complessivo sistema di disciplina della materia.
È in quest’ottica che va risolta la prima questione sottoposta all’esame del Collegio e cioè se se la deroga di cui all’art. 3 comma 5 del D.M. 29-09-1998, n. 391 - che consente la realizzazione di un complesso multisala “nell'ambito di centri commerciali, come definiti dall'articolo 4, comma 1, lettera g), del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 114 , o nell'ambito di parchi permanenti attrezzati con strutture stabili per il tempo libero con finalità culturali o ricreative ed adeguate aree di parcheggio” - debba essere intesa nel senso (restrittivo) letterale, di limitarne l’applicabilità alle sole aggregazioni qualificabili come tale ai fini della disciplina (ad altro e diverso fine) delle autorizzazioni all’apertura di esercizi commerciali.
Al riguardo la società ricorrente lamenta la falsità delle dichiarazioni rese al riguardo dall’interessato e l’erroneità della qualificazione in tal senso operata dal Comune di Piacenza nella nota n. 6265 del 29.5.2002, che hanno qualificato il complesso della “Madonnina” come centro commerciale piuttosto come “area commerciale integrata” (nota del 7.10.2002 del Comune di Piacenza), in quanto secondo i criteri fissati dal Consiglio regionale con deliberazione n. 1253 del 25.9.99 - posta anche a fondamento nota n. 6265 del 29.5.2002 del Comune di Piacenza – costituisce “centro commerciale” l’insieme di esercizi che si collocano nella medesima struttura a destinazione specifica e/o fruiscono di infrastrutture comuni e spazi di servizio gestiti unitariamente (punto 1.3.) mentre è mera “area commerciale integrata” quella costituita da unità edilizie autonome considerate unitamente dal punto di vista della collocazione urbanistica, organizzazione insediativa, accessibilità etc. (punto 1.8.)
La prospettazione attorea non può essere condivisa.
Come sopra ricordato, l’art. 3 del regolamento in esame, ponendosi quale deroga ai principi costituzionali e comunitari sopra richiamati, deve essere interpretata nell’unico senso compatibile con questi (cd.interpretazione compatibile) e, trattandosi di norma che disciplina l’intervento pubblico nel settore, nel senso che maggiormente assicura il raggiungimento del fine perseguito con l’azione pubblica (cd.interpretazione funzionale).
In tale prospettiva va rilevato che il criterio della collocazione della multisala cinematografica “nell’ambito” della struttura commerciale cui il regolamento fa riferimento presuppone alcuni concetti chiave dell’economia e dell’urbanistica dell’intrattenimento che evidenziano il nesso di “complementarietà” delle strutture adibite al tempo libero con gli altri edifici pubblici e privati di zona adibiti a funzioni commerciali o servizi, cioè l’esistenza di “servizi terziari integrati”, che comporta un effetto di “aumento reciproco dei flussi di utenza” (cd.sfruttamento reciproco delle relative attrattività) nonché di “promozione ed integrazione del territorio”.
Orbene, se l’obiettivo perseguito dalla previsione in esame, mediante una deroga ai criteri quantitativi previsti per il rilascio delle autorizzazioni in parola, è proprio quello di conseguire tale effetto di aumento reciproco derivante dall’intercettazione dei flussi di utenza, attivato dalla particolare forza di attrazione del “complesso integrato di strutture” destinate a diverse funzioni (tempo libero, il commercio ed i servizi), è del tutto irrilevante che il complesso in cui è inserito l’esercizio cinematografico sia qualificato, a diversi fini, dalla normativa urbanistica o commerciale, come “centro commerciale” (qualifica riferito dalla normativa regionale all’insieme di esercizi che si collocano nella medesima struttura a destinazione specifica e/o fruiscono di infrastrutture comuni e spazi di servizio gestiti unitariamente) oppure come “area commerciale integrata” (che la medesima riserva invece ad un complesso di unità edilizie autonome considerate unitariamente). Ciò in quanto, quel che rileva ai fini considerati, non è che i cinema multiplex siano localizzati “nel medesimo edificio” oppure “in fabbricati distinti”, ma solo l’elemento del collegamento funzionale tra questi, e cioè l’effetto sinergico “di contesto” delle predette strutture (di attrazione reciproca) e la correlata possibilità che il consumatore di beni commerciali possa, in aggiunta a tale attività, divenire spettatore di un film e viceversa, a causa della vicinanza, o meglio accessibilità, dei relativi esercizi complementari (esercizi commerciali ed esercizio cinematografico). In altri termini, per la realizzazione dell’obiettivo in esame è sufficiente che l’avventore possa “prolungare i tempi di permanenza nell’area” grazie alla presenza in loco di altre attività complementari.
In tale prospettiva, si colloca, d’altronde anche le Norme di adeguamento degli urbanistici generali e attuativi agli indirizzi e criteri regionali emanati in attuazione del D.lvo n. 114/98 nella quale rientrano in senso lato sia il centro commerciale definitio dal comma 6.01 sia l’area commerciale integrata di cui al 6.04 ed all’art. 22.05, che fa rientrare nella nozione generale di Centro Commerciale, anche l’insediamento “La Madonnina”, cui fa specifico riferimento il precedente 22.04.
Per tali ragioni va respinto anche il secondo motivo di ricorso.
Nella prospettiva sopra richiamata, risulta infatti irrilevante che gli spazi destinati all’esercizio cinematografico o commerciale siano localizzati all’interno del “medesimo edificio” oppure “in fabbricati distinti”, atteso che quel che conta a tal fine è l’effetto sinergico “di attrazione reciproca” derivante dalle localizzazione delle predette strutture nel medesimo contesto e non il dato meramente materiale della dislocazione fisica di queste, essendo a tal fine irrilevante che la cinesala sia materialmente ubicata all’interno degli spazi commerciali o all’esterno in prossimità degli stessi ovvero “fisicamente separate” in quanto poste dall’uno all’altro lato di una strada . Il ripetuto “contesto di prossimità” non viene infatti interrotto qualora l’area che comprende le strutture considerate sia percorsa dalle necessarie infrastrutture, quali arterie stradali, parcheggi, passaggi e percorsi pedonali, etc., che non impediscono, anzi promuovono, quell’effetto di intercettazione reciproca dei flussi di utenza che è determinato dalla prossimità delle diverse strutture e quindi operano un effetto di “cerniera”, quindi di congiunzione delle due aree, piuttosto che di separazione (TAR Lazio, II quater, n. 3545 del 24.4.08).
Ne consegue che il provvedimento impugnato s’appalesa immune dalle censure dedotte con il primo ed il secondo mezzo di gravame.
Con l’ultima doglianza la ricorrente denuncia che l’apertura della multisala della ricorrente è stata assentita senza la previa acquisizione del parere della Commissione Provinciale di Vigilanza sui Pubblici Spettacoli di cui all’art. 1 del DPCM 391/98, in quanto quella precedentemente rilasciata relativa all’autorizzazione alla costruzione sia di una multisala a 9 schermi per 2.494 posti relativa alla concessione edilizia n. 795/99 non poteva ritenersi valida anche per le successive modificazioni del progetto – approvate con concessione in variante n. 882/01 - con cui veniva trasformata in multisala a 10 schermi con capienza ridotta a 2.052 posti, su cui la CPVPS avrebbe dovuto ripronunciarsi.
La censura va disattesa.
L’art. 5 del regolamento approvato con il DM 381/98 in esame disciplina il procedimento di autorizzazione all’apertura delle strutture in contestazione secondo criteri di semplificazione amministrativa, anziché prevedere il deposito, da parte dell’istante delle certificazioni attestanti il possesso dei requisiti prescritti, si limita a richiedere la mera dichiarazione dell’interessato, resa ai sensi dell'articolo 3 della legge 4 gennaio 1968, n. 15 , della sussistenza di tutti i provvedimenti autorizzativi richiesti dalla legge per l'apertura della sala cinematografica, ivi compreso il parere favorevole emesso dalla commissione provinciale di vigilanza.
Al riguardo va rilevato che, non essendo stata inficiata nelle opportune modalità e sedi giudiziarie la veridicità di quanto autocertificato, sotto la propria responsabilità penale, dalla contro interessata, in presenza della dichiarazione come sopra resa in senso positivo dall’interessato ai sensi della legge n. 15/1968 – che appunto tiene luogo del provvedimento della Commissione di Vigilanza in parola (fatto salvo ovviamente il potere di sospendere l'autorizzazione, ove venga rappresentata la mancanza di alcuno dei presupposti, al fine di svolgere i relativi accertamenti) - il rilascio del provvedimento autorizzatorio costituiva per l’Amministrazione resistente un atto dovuto. Tanto più che il successivo progetto su cui si fonda l’autorizzazione impugnata costituiva una mera variante del primo su cui la ripetuta Commissione di Vigilanza s’era già pronunciata in senso favorevole. E comunque la mancanza denunciata risulta superata dall’intervenuto parere favorevole della Commissione di Vigilanza espresso in data 6.12.2002.
Il ricorso va pertanto conclusivamente respinto.
Sussistono giusti motivi, attesa la natura interpretativa della controversia, per compensare tra le parti le spese di giudizio.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Seconda Quater) respinge il ricorso in epigrafe.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 16 febbraio 2012 con l'intervento dei magistrati:
Angelo Scafuri, Presidente
Stefania Santoleri, Consigliere
Floriana Rizzetto, Consigliere, Estensore