Il pagamento dell'oblazione implica riconoscimento dell'illecito con conseguente rinuncia alla garanzia giurisdizionale
Nel caso di specie il ricorrente chiedeva l’annullamento della concessione edilizia rilasciata dal Comune nella parte in cui quantifica il contributo di concessione e non prevede la restituzione della somma già corrisposta dai ricorrenti a titolo di sanzione amministrativa. La parte privata sostiene in particolare che la misura dell’oblazione, dovuta con riguardo alle opere realizzate in parziale difformità dall’originaria concessione edilizia, sarebbe stata erroneamente determinata dal Comune in applicazione delle aliquote relative al contributo corrispondente all’intero fabbricato, anziché sulla sola parte del fabbricato medesimo ritenuta difforme. Il Consiglio di Stato ha rigettato detto motivo di impugnazione in quanto ha aderito all’orientamento della Corte di Cassazione, secondo cui l’oblazione non è un semplice adempimento pecuniario, ma consiste in un negozio giuridico unilaterale, processuale o extraprocessuale, produttivo di effetti di diritto pubblico, nel senso che il relativo pagamento implica riconoscimento dell’illecito con conseguente rinuncia irretrattabile alla garanzia giurisdizionale (cfr. Cass. civ., Sez. I, 24 aprile 1979, n. 2319). Consegue da ciò che la somma pagata non è ripetibile ed è irrilevante qualunque riserva fatta a tal fine, essendo semmai onere dell’interessato quello di far valere le proprie ragioni di fronte al giudice amministrativo prima di corrispondere la somma richiesta (cfr. Cons. Stato, Sez. V, 5 luglio 2007, n. 3821). In altri termini, la riserva di ripetizione, sebbene contestuale, è una protestatio che non vale contro il fatto obiettivo del pagamento della somma richiesta a titolo di oblazione, con il quale l’interessato si appropria definitivamente di tutti gli effetti che a quel fatto l’ordinamento collega.
(Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 7.6.2012, n. 3371)
http://www.gazzettaamministrativa.it/opencms/opencms/index.html
N. 03371/2012REG.PROV.COLL.
N. 02221/2005 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 2221 del 2005, proposto da:
Mauro Orso e Marina Giovanna Peradotto, rappresentati e difesi dagli avv. Guido Francesco Romanelli, Riccardo Montanaro, con domicilio eletto presso Studio legale Romanelli in Roma, via Cosseria, 5;
contro
Comune di Cuorgne', rappresentato e difeso dall'avv. Mario Contaldi, con domicilio eletto presso Mario Contaldi in Roma, via Pierluigi da Palestrina, 63;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. PIEMONTE - TORINO: SEZIONE I n. 00044/2004, resa tra le parti, concernente ANNULLAMENTO.CONCESSIONE EDILIZIA IN SANATORIA NELLA PARTE DEL CONTRIBUTO DI CONCESSIONE.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 22 maggio 2012 il Cons. Giuseppe Castiglia e uditi per le parti gli avvocati Gabriele Pafundi su delega di Guido Francesco Romanelli e Gianluca Contaldi su delega di Mario Contaldi;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Con sentenza in forma semplificata 21 gennaio 2004, n. 44, il Tribunale amministrativo regionale per il Piemonte, Sezione I, respingeva il ricorso proposto dai signori Mauro Orso e Marina Giovanna Peradotto per l’annullamento della concessione edilizia rilasciata dal Comune di Cuorgnè in data 18 ottobre 2001, nella parte in cui quantifica il contributo di concessione e non prevede la restituzione della somma già corrisposta dai ricorrenti a titolo di sanzione amministrativa, nonché di tutti gli atti connessi.
I signori Orso e Peradotto interponevano appello contro la sentenza, considerandola viziata perché non avrebbe spiegato le ragioni della ritenuta correttezza del calcolo dell’importo richiesto dal Comune e da essi corrisposto con riserva di ripetizione.
1. Il Comune avrebbe compiuto il calcolo per la determinazione della somma richiesta a titolo di oblazione in misura pari al contributo di concessione dovuto per l’intero fabbricato, mentre, trattandosi di parziale difformità, l’oblazione - ai sensi dell’art. 13, quarto comma, della legge 28 febbraio 1985, n. 47 - avrebbe dovuto essere calcolata con riferimento alla parte di opera difforme dalla concessione.
2. Pagata l’oblazione, la concessione in sanatoria avrebbe dovuto prevedere al contempo la revoca della sanzione pecuniaria in precedenza applicata - ai sensi dell’art. 12 della citata legge n. 47 del 1985 - per le parti eseguite in parziale difformità, poiché il rilascio della concessione in sanatoria, per effetto del pagamento dell’oblazione, avrebbe determinato il venir meno dell’antigiuridicità del fatto con conseguente estinzione delle procedure sanzionatorie. Diversamente da quanto assume la sentenza impugnata, infatti, le somme dovute ex artt. 12 e 13 della legge n. 47 del 1985 avrebbero entrambe funzione sanzionatoria con riguardo alla realizzazione di un manufatto abusivo. Ne sarebbe derivato, in definitiva, un indebito arricchimento a favore del Comune.
Il Comune si costituiva in giudizio per resistere all’appello.
1. Quanto al primo motivo, riproponeva la tesi (condivisa dalla sentenza di primo grado) secondo cui i conteggi per il calcolo dell’oblazione sarebbero stati compiuti sulla scorta dei dati forniti dagli stessi ricorrenti originari, tenendo comunque conto della volumetria e dell’estensione originariamente accordate.
2. Circa il secondo, osservava che la sanzione pecuniaria era alternativa a quella demolitoria e che il relativo provvedimento non era stato mai impugnato. Nessuna norma di legge, peraltro, prevedrebbe la rimozione della sanzione, una volta applicata.
Gli appellanti depositavano in seguito memoria, nella quale ribadivano le tesi già esposte e denunciavano la illegittimità costituzionale del combinato disposto degli artt. 12 e 13 della legge n. 47 del 1985 per contrasto con l’art. 3 Cost. nella parte in cui – secondo l’interpretazione giurisprudenziale – l’abusività delle opere cesserebbe per sopravvenienza della concessione in sanatoria solo quando la sanzione pecuniaria non risulti integralmente pagata.
All’udienza pubblica del 22 maggio 2012 l’appello è stato chiamato e trattenuto in decisione.
DIRITTO
1. Con il primo motivo dell’appello, la parte privata sostiene che la misura dell’oblazione, dovuta con riguardo alle opere realizzate in parziale difformità dall’originaria concessione edilizia, sarebbe stata erroneamente determinata dal Comune in applicazione delle aliquote relative al contributo corrispondente all’intero fabbricato, anziché sulla sola parte del fabbricato medesimo ritenuta difforme.
In disparte la questione di fatto se il calcolo sia stato sviluppato sulla scorta dei dati forniti dagli appellanti medesimi (come sostiene l’Amministrazione e come ritiene provato la sentenza impugnata), il Collegio è dell’avviso di aderire all’orientamento della Corte di Cassazione, secondo cui l’oblazione non è un semplice adempimento pecuniario, ma consiste in un negozio giuridico unilaterale, processuale o extraprocessuale, produttivo di effetti di diritto pubblico, nel senso che il relativo pagamento implica riconoscimento dell’illecito con conseguente rinuncia irretrattabile alla garanzia giurisdizionale (cfr. Cass. civ., Sez. I, 24 aprile 1979, n. 2319).
Consegue da ciò che la somma pagata non è ripetibile ed è irrilevante qualunque riserva fatta a tal fine, essendo semmai onere dell’interessato quello di far valere le proprie ragioni di fronte al giudice amministrativo prima di corrispondere la somma richiesta (cfr. Cons. Stato, Sez. V, 5 luglio 2007, n. 3821).
In altri termini, la riserva di ripetizione, sebbene contestuale, è una protestatio che non vale contro il fatto obiettivo del pagamento della somma richiesta a titolo di oblazione, con il quale l’interessato si appropria definitivamente di tutti gli effetti che a quel fatto l’ordinamento collega.
Nel caso di specie, non è contestato che gli appellanti abbiano pagato la somma richiesta pur facendo richiesta di ripetizione. Poiché questa, per quanto appena detto, è inefficace, il motivo in questione deve giudicarsi infondato.
2. Il secondo motivo dell’appello lamenta, in sostanza, una duplicazione di procedure sanzionatorie: il vizio del provvedimento di concessione in sanatoria, non rilevato dalla sentenza, consisterebbe nella mancata previsione della restituzione di quanto già versato a titolo di sanzione amministrativa.
Neppure questo motivo ha pregio.
A questo proposito, va tenuta ferma la distinzione – ripetutamente delineata dalla giurisprudenza – tra la fattispecie dell’art. 12 della legge n. 47 del 1985 e quella del successivo art. 13 (cfr. Cons. Stato, Sez. II, 6 maggio 1992, n. 390; Id., Sez. IV, 12 marzo 2009, n. 1474). Non è rilevante la circostanza che, in un caso come nell’altro, vengano in questione sanzioni: ciò che conta sono i diversi piani di finalità e di effetti su cui le disposizioni in discorso si collocano.
Nel caso dell’art. 12, viene in gioco una conseguenza puramente afflittiva dell’illecito commesso (che peraltro giova anche al privato, nella misura in cui gli consente di evitare la radicale demolizione dell’opera): la sanzione dunque non ha valenza ripristinatoria dell’assetto edilizio violato (cfr. Cons. Stato, Sez. V, 5 settembre 2011, n. 4982), non integra una regolarizzazione dell’illecito e, in particolare, non autorizza il completamento delle opere (cfr. Cass. pen., Sez. III, 25 febbraio 2004, n. 13978).
Invece, il procedimento di sanatoria delle opere realizzate – in tutto o in parte – in difetto di preventivo titolo idoneo ha l’obiettivo di recuperare in pieno ex post l’intervento edilizio eseguito illegittimamente, tanto è vero che (diversamente da quanto è previsto per la sanzione “pura” ex art. 12) implica la preventiva valutazione di conformità alla disciplina urbanistica in atto e a ogni altra forma di tutela del territorio (cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 19 marzo 2008, n. 1184).
Le procedure che vengono in gioco, in esecuzione dell’art.12 e dell’art. 13 della legge più volte citata, sono perciò del tutto separate e distinte. Non vi è dunque alcuna ragione perché l’esito di una di esse, cronologicamente successiva, possa in qualche modo ridondare su quello di un diverso procedimento, ormai definitivamente conclusosi.
3. L’eccezione di legittimità costituzionale avanzata nella memoria degli appellanti, infine, è all’evidenza generica e, apparendo manifestamente infondata, non può essere presa in considerazione, non sussistendo alcuna irragionevolezza nella soluzione dettata dal legislatore.
4. Dalle considerazioni che precedono discende che l’appello è infondato e va perciò respinto.
Conformemente alla legge, le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge e, per l'effetto, conferma la sentenza impugnata.
Condanna gli appellanti alle spese del grado, che liquida nell’importo di euro 3.000,00 (tremila/00) oltre agli accessori dovuti per legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 22 maggio 2012 con l'intervento dei magistrati:
Paolo Numerico, Presidente
Raffaele Greco, Consigliere
Fabio Taormina, Consigliere
Raffaele Potenza, Consigliere
Giuseppe Castiglia, Consigliere, Estensore
L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 07/06/2012
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)