Come noto, l'art. 45 del DPCM 2 marzo 2021 prevede che nelle aree in zona rossa siano sospese le attivita' commerciali al dettaglio, fatta eccezione per le attivita' di vendita di generi alimentari e di prima necessita' individuate nell'allegato 23.
Sennonche', l'allegato 23 non indica quali siano questi benedetti generi di prima necessita', ma fornisce invece un elenco di attivita' di commercio al dettaglio consentite; e ciascuna delle voci di questo elenco corrisponde esattamente a un determinato codice ATECO.
Questa circostanza, che non credo possa essere casuale, e' probabilmente sfuggita a diversi operatori del settore e continua a produrre confusione e dubbi interpretativi che le FAQ del Governo (per quello che possono valere ai fini giuridici) non hanno certo contribuito a sciogliere.
Non mi dilungo e vengo al dunque con un paio di esempi, che ovviamente contengono i relativi quesiti.
[u]CASO 1)[/u]
Tra le attivita' di commercio al dettaglio consentite dall'allegato 23 c'e' anche il commercio al dettaglio di confezioni per bambini e neonati (corrispondente al codice ATECO 47.71.2).
Un esercente la cui attivita' prevalente sia il commercio al dettaglio di confezioni per adulti (47.71.10, tipologia commerciale non consentita in zona rossa), ma abbia nei cassetti quattro scatole di abitini per bambini, puo' rimanere comunque aperto per la vendita dei suddetti abitini se organizza gli spazi in modo da precludere ai clienti l'accesso a scaffali o corsie in cui siano riposti beni di cui non e' consentito il commercio?
[u]Risposta A)[/u]: Si', anche se tra le sue attivita' secondarie non e' inserito il codice ATECO 47.71.2, basta che di fatto abbia le quattro scatole di abitini nei cassetti. [[i]ma a questo punto il ragionamento vuole che le quattro scatole di abitini per bambini potrebbero essere vendute da qualsiasi esercente che abbia come attivita' prevalente una di quelle non consentite, anche al di fuori dell'abbigliamento...[/i]]
[u]Risposta B)[/u]: Si', ma solo se tra le sue attivita' secondarie e' inserito il codice ATECO 47.71.2.
[u]CASO 2)[/u]
Al primo posto dell'elenco di cui all'allegato 23, e' indicato il commercio al dettaglio in esercizi non specializzati con prevalenza di prodotti alimentari e bevande (ipermercati, supermercati, discount di alimentari, minimercati ed altri esercizi non specializzati di alimenti vari), che corrisponde esattamente ai codici ATECO della famiglia 47.11.
E allora: in zona rossa, un supermercato con quel codice ATECO puo' continuare a vendere, in via non prevalente, altri prodotti come ad esempio gli utensili per la casa?
[u]Risposta A)[/u]: No, perche' il commercio al dettaglio di utensili per la casa non e' incluso in nessuna delle voci dell'allegato 23 e lo dice anche una delle FAQ del Governo.
[u]Risposta B)[/u]: Si', perche' l'allegato 23 indica come consentito il commercio al dettaglio in esercizi non specializzati con prevalenza di prodotti alimentari e bevande (ipermercati, supermercati, discount di alimentari, minimercati ed altri esercizi non specializzati di alimenti vari) [u]nel suo complesso[/u], senza specificare particolari limitazioni o divieti per determinati prodotti.
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Sarebbe interessante sentire anche le vostre opinioni. Non mi nascondo dal confronto e vi anticipo che la mia interpretazione della norme vedrebbe come corrette, in entrambi i casi, le risposte B).
Pensare per codici ATECO e? un errore. E? vero che l?allegato 23 riporta le definizioni del codici ATECO ma e? solo per comodit? redazionale e al fine di individuare dei termini condivisibili.
La [i]ratio[/i] interpretativa vuole che l?esercente possa porre in vendita solo i prodotti individuati nell?elenco. In via generale, il commercio al dettaglio, da un punto di vista amministrativo abilitativo, e? suddiviso in commercio del settore alimentare e commercio del settore non alimentare. Se, ad esempio, un esercente ha presentato al SUAP una SCIA per commercio al dettaglio del settore non alimentare, questo puo? vedere qualsivoglia prodotto appratente a quel settore. In altre parole, se da un giorno all?altro quell?esercente decidesse di variare assortimento dovrebbe presentare una pratica abilitativa? La risposta e? no. Fino al giorno prima Tizio vendeva bicicletta ma da oggi vende biancheria: lo potrebbe fare senza necessita? abilitative, sempre settore non alimentare sarebbe. A margine della sua (bislacca) variazione dovrebbe comunicare in CCIAA la variazione dei prodotti venduti entro 30 gg dal verificarsi della fattispecie, la CCIAA aggiornerebbe i codici ATECO ai fini statistici. Tuttavia, la comunicazione in CCIAA ? un obbligo a se? stante che non ha valore abilitativo ne', la sula mancanza pregiudicherebbe la validita' della situazione abilitativa. Se Tizio non la fa, al pi? ricever? una sanzione da parte della CCIAA per mancato aggiornamento.
In conclusione, ai fini abilitativi e ai fini del DPCM, se Tizio abbia o meno aggiornato i codici ATECO in CCIAA non e? rilevante. I controlli vertono su cosa effettivamente pone in vendita.
Tornando ad esempi piu? reali, un esercente che vende abiti per adulti puo? adattarsi, in questo periodo, a vendere confezioni per bambini togliendo dagli scaffali quelle per adulti. Se poi aggiorna o meno i codici ateco in CCIIA non cambia la situazione di legittimit? sostanziale. Il supermercato far? la stessa cosa togliendo dagli scaffali cio? che non puo? vendere a e aggiungendo quello che puo? vendere. Se la variazione dura meno di 30 gg nemmeno dovr? essere comunicata in CCIAA.
Innanzitutto la ringrazio per la sua cortese risposta.
Dopo le feste, con piu' di calma, provero' ad abbozzare una replica piu' articolata.
Per il momento, auguro una buona Pasqua a tutto voi del portale.
Il fatto di escludere il ragionamento per codici ATECO per quanto riguarda le eccezioni previste dall'allegato 23 e' sicuramente l'interpretazione meno dolorosa per i commercianti; e, tenuto conto dell'estrema approssimazione della norma, la scelta dell'interpretazione comunque piu' favorevole ai soggetti interessati potrebbe anche avere le sue ragioni...
Il rovescio della medaglia e' che in questo modo, a parte rari esempi, le attivita' commerciali sono praticamente tutte aperte anche in zona rossa e quello che dovrebbe essere un semplice controllo amministrativo (consentito SI' / consentito NO) diventa di fatto impossibile o comunque bisognoso di un'attivita' d'indagine eccessivamente onerosa per gli organi di controllo (non dimentichiamoci che tutte le varie prescrizioni sono contenute nelle FAQ o nelle circolari e quindi non hanno alcun valore di legge...).
Tra l'altro, mi pare che invece Unioncamere (che, ricordiamolo, e' l'ente pubblico che unisce e rappresenta istituzionalmente il sistema camerale italiano), nell'elencazione [i]in negativo[/i] delle attivita' commerciali vietate abbia pienamente recepito il ragionamento per codici ATECO.
L'allegato 23 riporta le definizioni letterali dei codici ATECO, ma e' solo per comodita' redazionale e al fine di individuare dei termini condivisibili? Puo' essere, certo.
Ma allora, tanto per fare un esempio, pare legittimo chiedersi: i libri sono un bene di prima necessita' (e quindi consentito) solo se vengono venduti in esercizi specializzati, mentre non lo sono piu' se vengono venduti in un supermercato o in cartoleria? Era questa la precisa volonta' del legislatore, oppure e' solo il frutto di un copia-incolla che si e' portato dietro l'intera descrizione del codice ATECO 47.61?
Idem per i giocattoli.
Potrei continuare con una miriade di altre osservazioni, ma alla fine mi rendo conto che sarebbe uno sforzo sostanzialmente inutile: infatti, parafrasando Vasco Rossi, l'impressione e' che tutti noi che ne ragioniamo non stiamo facendo altro che cercare di dare un senso a un qualcosa che invece un senso non ce l'ha... :-[
Un'ultima cosa, pero', mi sento di aggiungerla: visto che ipermercati, supermercati e minimercati sono inseriti al primo posto tra le [u]attivita' del commercio al dettaglio consentite[/u], senza specificare particolari limitazioni o divieti (e quindi [u]consentite nel loro complesso[/u]), da dove deriverebbe il loro presunto obbligo giuridico di rimuovere o di non procedere alla vendita dei beni non inclusi nelle voci successive dell'allegato 23?
il mio parere e' una sintesi di ragionamenti che si sono susseguiti dal primo DPCM del 2020 in poi avallato dalle prime FAQ dove si affermava che gli esercizi commerciali ad ampio assortimento potevano restare in esercizio limitatamente ai beni individuati (all'epoca) tramite i codici ateco.
Aggiungo che pi? esercizi commerciali vendono beni riputati di prima necessita' e piu' l' utenza sara' rarefatta contribuendoa dimunuire le file ai supermercati.
Da altro punto di vista sarebbe impossibile il controllo se andassimo a sindacere sulla prevalenza o sul tipo di esercizio che era prima del lockdown. L'unico criterio oggettivo e' verificare quali prodotti sono posti in vendita da un esercente il commercio in sede fissa.