[size=18pt][b]SOMMINISTRAZIONE NON ASSISTITA - Cons. Stato Sez. V, Sent., sent. 29 dicembre 2020, n. 8476[/b][/size]
[img width=300 height=199]https://www.pu24.it/wp/wp-content/uploads/2017/05/Cna-corso-Sab-foto-tratta-dal-web.jpg[/img]
[color=red][b]Cons. Stato Sez. V, Sent., sent. 29 dicembre 2020, n. 8476[/b][/color]
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 9407 del 2019, proposto da
C. s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Franco Carlini ed Andrea Ippoliti, con domicilio digitale come da PEC Registri di Giustizia;
contro
Roma Capitale, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Michele Memeo, con domicilio digitale come da PEC Registri di Giustizia;
Ministero dello Sviluppo Economico, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;
per la riforma
della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per il Lazio (Sez. II ter) n. 12874/2019, resa tra le parti;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di Roma Capitale e del Ministero dello Sviluppo Economico;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 11 novembre 2020 il Cons. Stefano Fantini; nessuno è comparso per le parti;
Svolgimento del processo
1.- La C. s.r.l.s. ha interposto appello nei confronti della sentenza 8 novembre 2019, n. 12874 del Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, sez. II ter, che ha respinto il suo ricorso avverso la determinazione dirigenziale di Roma Capitale in data 7 giugno 2019, recante l'ordine di cessazione dell'attività di somministrazione di alimenti e bevande abusivamente intrapresa in Roma, al Corso Vittorio Emanuele II, civico 22.
Espone di essere titolare di un esercizio di gastronomia calda e vicinato e di avere subito un accertamento da parte della Polizia locale, all'esito del quale è intervenuto il provvedimento gravato, che ha sanzionato lo svolgimento di un'attività di somministrazione al pubblico di alimenti e bevande (in assenza della prescritta autorizzazione), desumendola dalla presenza, per la quasi totalità della superficie del locale (circa mq. 70 su mq. 98 a piano terra), di tavoli con sedute abbinabili.
Con il ricorso in primo grado la C. s.r.l.s. ha dedotto l'illegittimità del provvedimento impugnato per violazione dell'art. 3, comma 1, lett. f-bis, del D.L. n. 223 del 2006, che non impone agli esercizi di gastronomia divieti di uso di tavoli e sedute abbinabili, dei principi di liberalizzazione, per violazione dell'art. 5 della delibera dell'Assemblea capitolina n. 47 del 2018, nonché per molteplici profili sintomatici dell'eccesso di potere.
2. - La sentenza appellata ha respinto il ricorso nell'assunto che dall'accertamento scaturito dal sopralluogo siano emersi elementi valutativi (non solo l'abbinamento dei tavoli e delle sedie, ma anche la vendita degli alimenti a porzione e non a peso, l'assenza di regolare bilancia) idonei a ritenere praticata una non consentita attività di somministrazione. Ha altresì aggiunto che ai fini della qualificazione dell'arttività come somministrazione o consumo sul posto debba procedersi ad una valutazione caso per caso delle singole fattispecie, non potendosi discriminare solamente con riferimento al servizio non assistito al tavolo.
3.- Con l'appello la società C. ha dedotto l'erroneità della sentenza reiterando, alla stregua di motivi di critica della stessa, le censure di primo grado, incentrate sulla non applicabilità, ratione temporis, dell'art. 5 della delibera capitolina n. 47 del 2018 (limitante la superficie destinabile al consumo al 25 per cento della superficie totale), sulla violazione dell'art. 3, comma 1, lett. f-bis, del D.L. n. 223 del 2006, sull'eccesso di potere sotto plurimi profili sintomatici, nonché sulla violazione del principio dell'affidamento, nell'assunto che sia stato introdotto nell'ordinamento, dalla norma predetta, il principio in base al quale negli esercizi di vicinato, legittimati alla vendita di prodotti appartenenti al settore merceologico alimentare, è ammesso il consumo sul posto di prodotti di gastronomia, utilizzando i locali e gli arredi dell'azienda, con l'esclusione del servizio assistito di somministrazione (cioè il servizio al tavolo da parte del personale dell'azienda). Precisa l'appellante che nel locale interessato dal provvedimento in questa sede gravato non c'è minima traccia di apparecchiatura sui punti di appoggio con stoviglie e sottopiatti né prova che l'avventore usufruisca di un seppur minimo servizio di somministrazione.
4. - Si sono costituiti in resistenza il Ministero dello Sviluppo Economico e Roma Capitale genericamente chiedendo la reiezione del ricorso.
5. - All'udienza pubblica dell'11 novembre 2020 la causa è stata trattenuta in decisione.
Motivi della decisione
1.- I primi due motivi di appello, che possono essere scrutinati congiuntamente in ragione della loro complementarietà, deducono, oltre che la violazione dell'art. 5 della delibera dell'Assemblea capitolina n. 47 del 17 aprile 2018, la violazione dell'art. 3, comma 1, lett. f-bis, del D.L. 4 luglio 2006, n. 223, convertito dalla L. 4 agosto 2006, n. 248, alla cui stregua le attività di somministrazione di alimenti e bevande sono svolte senza "il divieto o l'ottenimento di autorizzazioni preventive per il consumo immediato dei prodotti di gastronomia presso l'esercizio di vicinato, utilizzando i locali e gli arredi dell'azienda con l'esclusione del servizio assistito di somministrazione e con l'osservanza delle prescrizioni igienico-sanitarie"; da tale norma non si desumerebbe alcun divieto ad avere presso il locale tavoli e sedute abbinabili. Ad avviso dell'appellante, dunque, laddove si consumi sul posto senza che il personale serva al tavolo i clienti, si rientra nell'alveo dell'esercizio di vicinato ed, a fronte di una norma di legge chiara, non vi è spazio per difformi o più restrittive interpretazioni ad opera di circolari amministrative (non condivise neppure dall'A.G.C.M.).
I motivi sono fondati nei termini e nei limiti che seguono.
Osserva il Collegio che l'art. 3, comma 1, lett. f-bis, del D.L. n. 223 del 2006, che contiene varie norme intese a liberalizzare diverse attività, pone "limiti e prescrizioni" per le "attività commerciali, come individuate dal D.Lgs. 31 marzo 1998, n. 114 Riforma della disciplina relativa al settore del commercio, e di somministrazione di alimenti e bevande", che muovono dall'intentio legis liberalizzante espressa in esordio al comma stesso : "Ai sensi delle disposizioni dell'ordinamento comunitario in materia di tutela della concorrenza e libera circolazione delle merci e dei servizi ed al fine di garantire la libertà di concorrenza secondo condizioni di pari opportunità ed il corretto ed uniforme funzionamento del mercato, nonché di assicurare ai consumatori finali un livello minimo ed uniforme di condizioni di accessibilità all'acquisto di prodotti e servizi sul territorio nazionale, ai sensi dell'art. 117, comma secondo, lettere e) ed m), della Costituzione".
Questi "limiti e prescrizioni", si ripete, sono appunto, ai sensi dello stesso art. 3, comma 1, lett. f-bis, "il divieto o l'ottenimento di autorizzazioni preventive per il consumo immediato dei prodotti di gastronomia presso l'esercizio di vicinato, utilizzando i locali e gli arredi dell'azienda con l'esclusione del servizio assistito di somministrazione e con l'osservanza delle prescrizioni igienico-sanitarie".
Detto altrimenti, dunque, "il consumo immediato dei prodotti di gastronomia presso l'esercizio di vicinato" può liberamente avvenire "utilizzando i locali e gli arredi dell'azienda", purchè "con l'osservanza delle prescrizioni igienico-sanitarie" e comunque "con l'esclusione del servizio assistito di somministrazione".
[color=red][b]Ai sensi di questa disposizione, dunque, il discrimine tra una tale attività liberalizzata e quella non liberalizzata si incentra testualmente sulla configurabilità del "servizio assistito di somministrazione".
[/b][/color]
Sull'argomento è poi intervenuta la circolare del Mi.S.E. n. 372321 in data 28 novembre 2016, che ha enucleato un criterio di distinzione tra esercizi di somministrazione propriamente detti ed attività di produzione di alimenti con possibilità di consumo immediato con utilizzo dei locali e degli arredi dell'azienda. Le modalità di consumo vi vengono considerate in termini di tipologia di attrezzature : piani di appoggio e panche (e anche tavolini e sedie) sono consentiti anche per gli esercizi di produzione che non sono autorizzati alla somministrazione, se ed in quanto inidonei, quantitativamente e qualitativamente, ad indentificare l'attività come somministrazione; il che è se non è riscontrabile, ad esempio, un servizio di caffetteria o comunque un servizio ai tavoli, od apparecchiature, e se gli ambienti non sono assimilabili ai ristoranti per la presenza di detti arredi, senza carattere preponderante nel complesso dell'esercizio.
In riferimento alla combinazione di questi elementi e sulla base della verifica in concreto dei corrispondenti dati, occorre verificare caso per caso se ricorra un superamento delle attività liberalizzate ai sensi del D.L. n. 223 del 2006.
[b]Osserva il Collegio, pur dando atto di qualche discontinuità di indirizzo giurisprudenziale registratasi nella Sezione nella trattazione di tale contenzioso, che nella fattispecie in esame la questione dirimente consiste nel significato di sistema da riconoscersi all'espressione "servizio assistito di somministrazione", di cui alla detta disposizione.
[/b]
Questo significato, ad un maggiore approfondimento della materia, non può verosimilmente essere circoscritto alla presenza del c.d. servizio da sala, vale a dire alla presenza fisica di camerieri che ricevano le ordinazioni o prestino comunque il servizio al tavolo degli avventori. L'opposto tipo di servizio è, a bene considerare, in progressiva diffusione anche in alcuni ristoranti, dove, per ragioni di contenimento dei costi o di rapidità del servizio, è in uso la pratica del buffet e del self-service, in piedi o con tavoli, senza con ciò dubitarsi che si tratti di attività di ristorazione.
Il "servizio assistito di somministrazione" di cui in questa sede si controverte può dunque includere anche pratiche senza camerieri.
Il discrimine effettivo consiste dunque nella predisposizione di risorse, non solo umane ma anche materiali, che siano di servizio al cliente assistendolo per consumare confortevolmente sul posto (id est, non in piedi) quanto acquistato in loco. Il che può dunque avvenire anche mediante tavolini e attrezzature di particolare evidenza.
[color=red][b]Appare dunque coerente con la ratio legis fare riferimento al criterio funzionale cui guarda l'amministrazione e che è proprio di queste attrezzature materiali (tavolini, banche, panche, etc.), la cui presenza è di servizio all'avventore che intenda sùbito consumare sul luogo quanto ha acquistato. Naturalmente, secondo un ulteriore criterio di ragionevolezza, perché questa funzionalità alla somministrazione (anziché al mero consumo sul posto) vi sia, occorre che le attrezzature predisposte dall'esercente, pur senza un servizio al tavolo, siano di caratteri, dimensioni, quantità ed arredi tali da indurre indistintamente gli avventori al consumo sul posto dei prodotti appena acquistati; il che, incidendo sulle caratteristiche commerciali effettive dell'intero esercizio, visto dalla potenziale clientela non più come un luogo di mero approvvigionamento, ma anche come un possibile ed ordinario luogo di ristoro, viene a rilevare sul piano urbanistico della regolamentazione generale del commercio dell'area e sul discrimine reale tra attività liberalizzate e attività non liberalizzate.
[/b][/color]
[color=red][b]Ciò posto, e considerato che evidentemente si tratta di una valutazione da effettuare di volta in volta, nel caso di specie va rilevato che le attrezzature predisposte a latere dell'attività di vendita hanno caratteristiche tali che non raggiungono un livello da connotare il locale come (anche) da somministrazione, ma si contengono in una dimensione accessoria, eventuale e secondaria rispetto alla vendita da asporto, la quale deve comunque mantenere il carattere prevalente e funzionale (cfr. Cons. Stato, V, 31 dicembre 2019, n. 8923).
[/b][/color]
Nel caso di specie, come dedotto dall'appellante, anche alla stregua delle risultanze della perizia giurata versata agli atti del primo grado di giudizio, e non contestate ex adverso, la superficie totale dell'esercizio è pari a mq. 109,34, di cui mq. 27,20 destinati all'attività di vendita, inferiore dunque al 25 per cento della superficie totale del locale, presa a parametro dall'art. 5 del sopravvenuto regolamento di Roma Capitale n. 47 del 2018 (disposizione peraltro già annullata con le sentenze della Sezione 8 gennaio 2020, nn. 139 e 141, con conseguente improcedibilità per sopravvenuto difetto di interesse del ricorso nella parte in cui ne propone l'impugnativa). Emerge inoltre la presenza in tale area della bilancia per la vendita a peso dei prodotti e, correlativamente, l'indicazione del prezzo al kg, e non a porzione; complessivamente si ravvisano elementi che inducono il Collegio ad escludere in concreto l'attività di somministrazione che si assumeva abusivamente intrapresa.
2. - La portata assorbente dell'accoglimento dei motivi scrutinati esime, sul piano logico e giuridico, dalla disamina degli ulteriori motivi.
3. - Alla stregua di quanto esposto, l'appello va accolto, e, per l'effetto, in riforma della sentenza appellata, va accolto il ricorso di primo grado, con conseguente annullamento del provvedimento impugnato.
La complessità ermeneutica della questione giuridica trattata integra le ragioni che per legge consentono la compensazione tra le parti delle spese del doppio grado di giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie, e, per l'effetto, in riforma della sentenza appellata, accoglie il ricorso di primo grado, con conseguente annullamento del provvedimento impugnato.
Compensa tra le parti le spese del doppio grado di giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso nella camera di consiglio del giorno 11 novembre 2020, tenuta con le modalità di cui al combinato disposto dell'art. 25 del D.L. 28 ottobre 2020, n. 137 e dell'art. 4 del D.L. 30 aprile 2020, n. 28, con l'intervento dei magistrati:
Giuseppe Severini, Presidente
Fabio Franconiero, Consigliere
Federico Di Matteo, Consigliere
Angela Rotondano, Consigliere
Stefano Fantini, Consigliere, Estensore