Data: 2021-01-22 12:15:12

Mancata acquisizione dei pareri di regolarità tecnica e contabile

[size=18pt][b]Mancata acquisizione dei pareri di regolarità tecnica e contabile
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[color=red][b]Consiglio di Stato - sentenza n. 8466 del 29 dicembre 2020[/b][/color]

Pubblicato il 29/12/2020
N. 08466/2020REG.PROV.COLL.

N. 08756/2011 REG.RIC.



REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 8756 del 2011, proposto dalla società Italcementi S.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Franco Zambelli e Mario Ettore Verino, elettivamente domiciliata presso lo studio dell’avvocato Mario Ettore Verino in Roma, via Barnaba Tortolini, n. 13
contro

- il Comune di Vittorio Veneto, in persona del Sindaco in carica pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Luigi Manzi, elettivamente domiciliato presso il suo studio in Roma, via Federico Confalonieri, n. 5
- la Regione Veneto, in persona del Presidente pro tempore, rappresentata e difesa ex lege dall’Avvocatura generale dello Stato, pure per legge domiciliata preso la propria sede in Roma, via dei Portoghesi, n. 12
per la riforma

della sentenza del T.a.r. per il Veneto, Sezione I, n. 693 del 26 aprile 2011


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di Vittorio Veneto e della Regione Veneto;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 10 novembre 2020 (tenuta ai sensi dell’art. 84 del d.l. 17 marzo 2020, n. 18, convertito con l. 24 aprile 2020, n. 27, come modificato dall’art. 4 del d.l. 30 aprile 2020, n. 28, convertito con l. 25 giugno 2020, n. 70) il consigliere Giovanni Sabbato;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. Con i distinti ed autonomi ricorsi n. 2935 del 1995 e n. 3589 del 2000, entrambi proposti innanzi al T.a.r. per il Veneto, la società Italcementi S.p.a. (di seguito la società) aveva chiesto l’annullamento dei seguenti atti:

a) in parte qua, delle deliberazioni consiliari del 1° marzo 1993 del Comune di Vittorio Veneto di adozione della “variante di sintesi al PRG” e, rispettivamente, di “adozione regolamento edilizio”; b) della DGRV del 16 maggio 1995 di approvazione con modifiche d’ufficio della predetta variante (atti impugnati col ricorso n. 2935 del 1995);

c) della deliberazione consiliare del 30 luglio 1998 del Comune di Vittorio Veneto e della DGRV 14 settembre 2000 di adozione e, rispettivamente, di approvazione della “variante al PRG n. 3/97 relativa alle attività produttive” (atti impugnati col ricorso n. 3589 del 2000).

2. A sostegno delle impugnative la società aveva dedotto il mancato ritiro della precedente variante, la mancata acquisizione dei pareri obbligatori e, rispettivamente, la mancata motivazione in ordine alla riadozione della variante, l’insussistenza dei presupposti per i quali la Regione può introdurre modifiche d’ufficio allo strumento urbanistico adottato dal Comune, l’incompetenza della Giunta, il difetto di motivazione e l’erronea procedura adottata in sede di approvazione della variante.

3. Costituitasi l’Amministrazione comunale al fine di resistere, il Tribunale adìto (Sezione I) ha così deciso il gravame al suo esame:

- ha riunito i ricorsi per “connessione soggettiva”;

- li ha quindi complessivamente respinti, reputando infondate tutte le censure sollevate;

- ha compensato le spese di lite.

4. In particolare, il Tribunale ha ritenuto che: la riadozione della variante si giustifica per le modifiche sostanziali introdotte dal Comune; le modifiche apportate dalla Regione sono ragionevoli e ciò con riguardo sia all’impianto estrattivo (la cui riclassificazione si giustifica per esigenze di tutela del paesaggio) sia alla centrale idroelettrica sia, infine, alla cementeria; la non sottoponibilità ai controlli di legittimità previsti per gli atti regolamentari; la non ricaduta patologica della denunciata mancata acquisizione del parere tecnico; l’insussistenza del difetto di motivazione e la correttezza della procedura.

5. Avverso tale pronuncia la società ha interposto appello, notificato il 20 ottobre 2011 e depositato l’8 novembre 2011, lamentando, attraverso otto motivi di gravame (pagine 18-51), quanto di seguito sintetizzato:

A) Con riferimento al ricorso n. 2935 del 1995:

I) il T.a.r., nel respingere la relativa censura, non avrebbe tenuto conto della necessità di esercitare il potere di autotutela mediante la revoca della precedente variante, con apposita motivazione, prima di riadottare la nuova variante;

II) l’Amministrazione non avrebbe, quindi, dovuto limitarsi alla ripubblicazione della variante bensì attivare il procedimento per la riadozione della stessa, acquisendo i relativi pareri, tanto più in considerazione del rilevante numero di osservazioni (ben 276) presentate;

III) il T.a.r. non avrebbe poi considerato che le modifiche d’ufficio apportate dalla Regione, per la loro rilevanza, avrebbero imposto una nuova ripubblicazione e comunque non sarebbero giustificate da esigenze di tutela del paesaggio e sarebbero incuranti dell’esigenza di recupero del delocalizzando impianto di rilevanti dimensioni costituito dal cementificio;

B) con riferimento al ricorso n. 2935/2000:

IV) il T.a.r. avrebbe erroneamente escluso la necessità di sottoposizione della (nuova) variante al controllo preventivo di legittimità, pur avendo natura prettamente regolamentare sia sul piano sistematico che sostanziale, stante la natura normativo-programmatica delle norme di attuazione del PRG sulle quali sono intervenute le modifiche apportate dalla variante stessa; illogica sarebbe la statuizione reiettiva della censura d’incompetenza così come il T.a.r. non avrebbe considerato la ricaduta invalidante della mancata acquisizione dei pareri del servizio tecnico e di quello contabile;

V) erronea sarebbe la statuizione reiettiva della censura di difetto motivazionale, non avendo il T.a.r. considerato la forte incidenza della variante sulla pregressa disciplina urbanistica e la mancata previsione di forme di compensazione a fronte della disposta dismissione del cementificio;

VI) il T.a.r. sarebbe incorso in errore nel respingere le censure relative alla violazione delle norme di pubblicazione fissate dagli artt. 6 e 7 della l.n. 167/1962 e della mancata acquisizione del parere del Comitato Tecnico regionale avendo individuato una disciplina di riferimento (art. 50 della l.r. 61/1985) diversa da quella effettiva (art. 126 della medesima legge regionale), così come richiamata in seno alla stessa delibera impugnata;

VII) contrariamente a quanto opinato dal T.a.r., la società aveva interesse a contestare le modifiche d’ufficio apportate dalla Regione, atteso il vincolo di dismissione imposto dalla nuova disciplina e pertanto si ripropongono le non esaminate censure con le quali si è lamentato la diversità delle modifiche rispetto a quelle tassativamente consentite dalla legge e della mancata ripubblicazione della variante;

VIII) si ripropone, altresì, la domanda risarcitoria sulla quale il T.a.r. non si sarebbe espresso, in considerazione della preclusa possibilità di pianificare la futura attività produttiva mediante riconversione industriale, danno da quantificare equitativamente o a mezzo CTU.

6. L’appellante ha concluso chiedendo la riforma della sentenza impugnata con la conseguente condanna del Comune di Vittorio Veneto e della Regione Campania al risarcimento dei danni.

7. In data 31 gennaio 2012, il Comune di Vittorio Veneto si è costituito in giudizio chiedendo il rigetto dell’appello di controparte.

8. In data 16 gennaio 2012 si è costituita anche la Regione Veneto con memoria di controdeduzioni, concludendo per la reiezione del gravame.

9. In data 30 settembre 2020, parte appellante ha depositato relazione tecnica al fine di fornire esatta dimostrazione del danno lamentato.

10. In vista della trattazione nel merito del ricorso le parti hanno svolto difese scritte, anche in replica, insistendo per le rispettive conclusioni ed hanno tutte, con apposite note ai sensi del d.l. n.137/2020, chiesto il passaggio in decisione della causa.

11. La causa, chiamata per la discussione alla pubblica udienza telematica del 10 novembre 2020, è stata ivi trattenuta in decisione.

12. L’appello è infondato.

12.1 Come esposto in narrativa, l’appellante contesta la legittimità, sotto distinti e concorrenti profili, delle due varianti urbanistiche adottate dal Comune di Vittorio Veneto ed approvate dalla Regione Veneto, assumendone la sfavorevole incidenza sui tre compendi della società: sito estrattivo denominato “Cave Nuove”, impianto idroelettrico di Serravalle e cementeria.

12.2 Col primo mezzo, parte appellante - nel riproporre le censure articolate con il ricorso n. 2935/95, proposto avverso la variante adottata con la D.C.C. n. 3/93 - si duole del mancato esercizio del potere di revoca della precedente delibera di adozione prima della (nuova) variante urbanistica (rimarcando che quest’ultima veniva adottata nel mentre era in corso l’iter procedimentale della precedente variante del 1992); potere che, a parere dell’appellante, andava esercitato sia per esigenze motivazionali sia per evitare eccessivi sbilanciamenti in danno dell’ente sovraordinato.

E’ sufficiente osservare, per apprezzare l’infondatezza del rilievo, che le nuove previsioni urbanistiche, all’esito del percorso procedimentale tracciato dalla relativa disciplina, sostituiscono in via automatica quelle precedenti senza la necessità di provvedere alla loro rimozione attraverso un intervento in autotutela. La disciplina urbanistica, infatti, è naturalmente mutevole e cangiante, ponendosi un’obiettiva esigenza di costante adeguamento, per la sua natura generale, all’assetto morfologico ed alla piattaforma di interessi del territorio, di guisa che è da reputarsi estranea all’ambito applicativo delle norme in tema di autotutela provvedimentale, come statuito dall’art. 13 della legge n. 241/90. Del resto, la pretermissione della disciplina in tema di autotutela avrebbe l’effetto pregiudizievole per la società costituito dalla obliterazione del diaframma dialogico innescato dalla comunicazione dell’avviso di avvio del procedimento, ma, come osserva il Comune appellato, tale modulo partecipativo ad personam in tanto avrebbe un senso in quanto l’atto revocato fosse produttivo di effetti favorevoli nella sfera del destinatario; di ciò però non vi è riscontro negli atti di causa.

Se è vero, inoltre, che la censura in esame può essere riguardata nell’ottica della pretesa applicazione del principio del contraddittorio, questa esigenza è stata salvaguardata attraverso l’attivazione del procedimento di cui all’art. 50, comma 3, l.r. Veneto n. 61/1985, con la pubblicazione di 30 giorni più ulteriori 30 giorni presso l’albo pretorio e l’albo provinciale. La presentazione di un numero elevato di osservazioni da parte della cittadinanza è la implicita conferma della piena instaurazione del contraddittorio che si assume obliterato.

Per quanto attiene al preteso conseguente deficit motivazionale, gli atti relativi all’adozione della variante, come per qualsiasi strumentato pianificatorio, hanno quella capacità ostensiva delle ragioni a sostegno dell’introduzione della nuova disciplina che consente di scongiurare tale denunciata deviazione dai principi di trasparenza e del clare loqui.

12.3 Col secondo motivo, l’appellante, nel riproporre le censure asseritamente non esaminate dal Tribunale, assume che l’Amministrazione, stanti le rilevanti novità apportate alla precedente variante del 1992, avrebbe dovuto, secondo il principio del contrarius actus, ripercorrere il medesimo iter procedimentale e pertanto acquisire nuovamente i pareri sia del Genio Civile sia dei Consigli di quartiere invece che limitarsi alla ripubblicazione della nuova variante; si contesta poi il capo della sentenza impugnata, secondo il quale il “ripensamento” dell’Amministrazione sottenderebbe l’intento di rendere lo strumento urbanistico “più confacente agli interessi della cittadinanza” essendo tale affermazione contraddetta dalla circostanza che, avverso la delibera consiliare impugnata, sono state formulate ben 276 osservazioni.

Va premesso che la censura, che secondo parte appellante non sarebbe stata esaminata dal Tribunale, deve essere scrutinata in questa sede non potendosi ravvisare, sulla base di tale pretesa mancanza, la fattispecie della rimessione della causa al giudice di prime cure ai sensi dell’art. 105 c.p.a., non assurgendo al rango di difetto assoluto di motivazione. Infatti il carattere devolutivo dell’appello giustifica il rinvio, a norma dell’art. 105 c.p.a., della causa al Tribunale solo ove sia raggiunta la soglia del difetto assoluto di motivazione (come rammentato dalla Sezione con la sentenza 12 agosto 2019, n. 5657 alla luce delle pronunce dell’Adunanza plenaria ivi richiamate).

L’infondatezza del primo versante della deduzione postula ancora una volta la configurazione della nuova variante del 1993 quale atto repressivo-sostitutivo della precedente variante del 1992 quando invece con essa ci si limitava ad apportare talune correzioni rese necessarie dalla necessità di inserire in un quadro armonico le numerose osservazioni proposte e ritenute almeno in parte meritevoli di accoglimento. La necessità di tornare ad acquisire i pareri intervenuti nel corso del precedente iter procedimentale deve quindi essere ravvisata non in astratto, come opina l’appellante, bensì in considerazione dell’esatto tenore delle modifiche volta per volta apportate e pertanto su un piano di concretezza: ebbene, sotto tal profilo, non si registrano specifiche deduzioni di parte.

Nemmeno è dato ravvisare un conseguente deficit motivazionale, ancora una volta muovendosi la deduzione su un piano di astrattezza concettuale, fermo restando che il piano urbanistico di livello generale risponde pur sempre all’esigenza di motivazione, ma in termini più generali in modo dar conto delle complessive scelte effettuate dall’Amministrazione territoriale versate nello strumento pianificatorio. Se è vero che dall’introduzione di modifiche rilevanti ad un piano in itinere discende l’obbligo di ripubblicazione, con la conseguente riattivazione del contraddittorio, così come accaduto nel caso di specie, è vero anche che non si configura alcuna necessità di disporre la (previa) rimozione del piano urbanistico per tal via modificato.

12.4 Col terzo mezzo, parte appellante si duole della mancata effettuazione delle operazioni di ripubblicazione della variante dopo le modifiche d’ufficio apportate dalla Regione, per giunta, contrariamente a quanto ritenuto dal Tribunale, diverse da quelle tassativamente contemplate dall’art. 45 della l.r. n.61/1985 e non suffragate da adeguata istruttoria. In particolare, osserva l’appellante, non sarebbe chiaro per quale ragione la zona ove insiste il bacino denominato “Cava Nove” sia stato riclassificato come “zona boscata” (a fronte della precedente classificazione ad area con elementi paesaggistici “particolarmente degradati”) risultando così in contrasto con il quasi coevo Piano territoriale regionale di coordinamento del 13 dicembre 1992 che, avverte l’appellante, esclude buona parte dell’ambito di cava dalla destinazione boscata. Soggiunge l’appellante che: la modifica apportata all’ambito su cui insiste la centrale idroelettrica (peraltro non prevista nelle tavole grafiche), contrariamente a quanto opinato dal Tribunale, non sarebbe riconducibile all’art. 45, n. 2, della l.r. n. 1985/61, in quanto disancorata dall’osservazione presentata dalla società ed in contrasto con la volontà comunale; l’inserimento del cementificio nelle zone produttive D1.2 da dismettere, contrariamente a quanto opinato dal Tribunale, non potrebbe trovare giustificazione nel dettato dell’art. 45, comma 1, n. 5 della l.r. 61/1985 e comunque la Regione non avrebbe previsto alcuna possibilità di recupero ad altri fini del volume esistente in ossequio ad una scelta urbanistica immotivata, incidente sulle attività imprenditoriali e non accompagnata da una disciplina di trasformazione.

12.4.1 I rilievi dell’appellante sono infondati, per le seguenti ragioni:

- la riclassificazione dell’area ove insiste l’impianto estrattivo risponde all’esigenza di tutelare il paesaggio ai sensi della l. n. 431/85 così come consentito dall’art. 45, comma 1, n. 4 della l.r. n. 61/1985 (“la tutela del paesaggio e dei complessi storici, monumentali, ambientali e architettonici”);

- la riclassificazione a zona boscata “E1 BC0” investe un’area, ovverosia l’intero versante della montagna, ben più ampia rispetto a quella occupata dall’impianto (cfr. la planimetria in atti);

- l’introduzione di una precisa regolamentazione in ordine agli interventi di ampliamento e potenziamento della centrale idroelettrica risulta, in sostanza, accoglitiva della corrispondente osservazione presentata dalla società senza che quindi si ponesse la necessità di una previa instaurazione del contraddittorio;

- la richiesta, parimenti contenuta nell’osservazione, di prendere atto della “pubblica utilità” (cfr. pagina 31 dell’appello) dell’impianto allude ad un possibile esercizio del potere espropriativo verso il quale la parte privata, stante la ricaduta pregiudizievole del suo esercizio, non può nutrire alcun interesse; fermo restando che, come evidenziato dallo stesso Comune nelle sue controdeduzioni, è insista nella pubblica utilità degli impianti la possibilità di derogare alle norme di piano;

- la mancata previsione dell’impianto nelle tavole grafiche, a norma dell’art. 10 della l.r. n. 61/1985 (rubricato “Elaborati del Piano regolatore generale”) non ha autonoma ricaduta patologica sulla legittimità del piano;

- la cementeria, come rimarcato dal Comune appellato, ha perso da tempo la sua funzione produttiva, tanto da essere utilizzato solo per il confezionamento del materiale, e la scelta dell’Amministrazione di subordinare il suo eventuale e diverso utilizzo alla previa approvazione di una variante urbanistica non appare affetta da patente illogicità o travisamento, secondo i limiti entro i quali può esprimersi il sindacato giurisdizionale in ambito di scelte urbanistiche;

- l’introduzione delle citate modifiche d’ufficio al piano non imponeva la sua ripubblicazione siccome non prevista dall’art. 45 della l.r. n. 6171985;

- peraltro le ragioni che hanno giustificato l’introduzione di tali modifiche, precipuamente ricollegate alle esigenze di salvaguardia ambientale e comunque al novero di quelle contemplate dal citato art. 45, fanno sì che la vicenda di causa sia riconducibile al consolidato orientamento della Sezione, secondo cui “non sussiste, in capo all’Amministrazione comunale, l’obbligo di procedere alla ripubblicazione del piano regolatore generale (p.r.g.) allorquando le modifiche introdotte d'ufficio dall'Amministrazione regionale in sede di approvazione del medesimo rivestano carattere obbligatorio, atteso che, in tal caso, il carattere dovuto dell’intervento regionale rende superfluo l'apporto collaborativo del privato, che deve ritenersi superato dalle scelte pianificatorie compiute in sede regionale e comunale” (cfr. Cons. Stato sez. II, 14 novembre 2019, n.7839).

12.5 Infondati sono anche i rilievi coi quali si ripropongono le censure di cui al ricorso n. 3589/2000 (sub IV –VII) avverso la successiva variante del 1998, per le seguenti ragioni:

- non ricorre la necessità, prospettata dall’appellante con il quarto motivo, del controllo preventivo di legittimità di cui all’art. 17, comma 33, della legge n. 127/1997 in quanto, come correttamente ritenuto dal Tribunale amministrativo regionale, dalla distinzione operata dal legislatore, all’art. 13 comma 1 della legge n. 241/90, tra atti di programmazione e atti normativi discende la sottoposizione a distinte discipline e l’art. 32 della legge n. 142/1990 (ora art. 42 del d.lgs. n. 267/2000) distingue tra regolamenti (lett. a) e piani urbanistici (lett. b) nell’elencare le attribuzioni del Consiglio comunale;

- premesso che l’eventuale illogicità del capo della sentenza relativo al dedotto vizio di incompetenza dell’organo consiliare, in danno di quello giuntale, nel rispondere alle osservazioni dei privati al piano adottato, non assume rilievo ex se patologico in grado di inficiare l’impugnata sentenza, si rileva l’infondatezza della censura non configurandosi, in mancanza di un’espressa previsione normativa, una riserva di competenza in favore della Giunta comunale;

[color=red][b]- in ordine alla mancanza dei pareri del servizio tecnico e di quello contabile, parte appellante insiste nel sostenere che ciò andrebbe a rifluire sulla legittimità della variante evidenziando che il consolidato orientamento giurisprudenziale richiamato dall’impugnata sentenza non si attaglia al caso di specie in cui si contesta non il loro mancato inserimento nella deliberazione impugnata quanto la loro stessa inesistenza;

- l’appellante evoca quindi la formulazione dell’art. 53 della legge n. 142 del 1990 (in seguito: art. 49 del T.U.E.L.), laddove prevede che “Su ogni proposta di deliberazione sottoposta alla giunta ed al consiglio deve essere richiesto il parere, in ordine alla sola regolarità tecnica e contabile, rispettivamente del responsabile del servizio interessato e del responsabile di ragioneria, nonché del segretario comunale o provinciale sotto il profilo di legittimità. I pareri sono inseriti nella deliberazione”;

- orbene, non ignora il Collegio l’orientamento di questo Consiglio secondo cui la mera irregolarità derivante dal mancato inserimento dei pareri di regolarità tecnica e contabile nella deliberazione approvativa di una variante si traduce in vera e propria illegittimità allorché si contesti l’inesistenza di detti pareri (Cons. Stato, sez. IV, 15 novembre 2004, n.7452), ma tale orientamento non si attaglia al tenore della deduzioni sollevate in primo grado con le quali si è lamentata la mancata acquisizione del parere di regolarità contabile nonché il mancato inserimento del parere tecnico nel corpo della delibera;

- ne consegue che ben si attaglia al caso di specie l’orientamento pretorio richiamato dal T.a.r. secondo cui la mancata acquisizione dei pareri di regolarità tecnica e contabile non comporta l’invalidità delle deliberazione della Giunta o del Consiglio, ma la loro mera irregolarità (Cons. Stato Sez. V, 21 agosto 2009, n. 5012) atteso che la disposizione posta dall’art. 53 della legge n. 142/90 (ora art. 49 del T.U.E.L.) ha l’unico scopo di individuare i responsabili in via amministrativa e contabile delle deliberazioni;[/b][/color]

- non ricorre il lamentato difetto motivazionale, anche per la mancata previsione di una possibile riconversione dell’area ovvero di forme di compensazione della capacità edificatoria sottratta alla società per effetto della dismissione dell’attività cementiera, dovendosi rilevare, anche in relazione a tale nuova variante, che le esigenze prospettate dalla società sono suscettibili di ricevere, in prospettiva futura, piena soddisfazione attraverso la previsione – per le attività produttive da dismettere in zona D2 – che demanda “ad un P.A., nell’ipotesi di cessazione dell’attività, la definizione di destinazioni d’uso e indici di sfruttamento dell’area”;

- ad ogni modo, secondo consolidato orientamento di questo Consiglio (Cons. Stato, sez. I, 28 novembre 2016, n. 2425; id., sez. IV, 16 aprile 2015, n. 1949; id., sez. V, 5 novembre 2012, n. 5589), la potestà urbanistica è sondabile nei limiti di un sindacato estrinseco essendo frutto di scelte ampiamente discrezionali, con la conseguenza che, ferma l’inammissibilità di ogni indagine di merito, il sindacato esperibile dal giudice amministrativo può cogliere nelle lacune o irragionevolezze del procedimento, in errori o travisamenti di fatto, nel contrasto con le scelte di pianificazione antecedenti, nell’illogicità della motivazione, i segni di un cattivo uso del potere;

- orbene, ciò che emerge dagli atti di causa è l’obiettiva esigenza di armonizzare un manufatto industriale di rilevanti dimensioni, ormai sottoutilizzato, con le aree urbanizzate circostanti, peraltro in alcuni casi interessate da vincoli ambientali o monumentali, e comunque va rimarcato che non possono derivare risvolti patologici dalla semplice circostanza del ridotto lasso temporale (circa tre anni) intercorso a far data dall’approvazione della variante di sintesi;

- l’appellante, altresì, contesta il capo della sentenza col quale il T.a.r. ha respinto la censura relativa alla dedotta violazione dell’art. 126, 4° comma, della l.r. n. 61/85, evidenziando che l’art. 50 del medesimo compendio normativo, ritenuto a fondamento della variante, non è mai stato richiamato nel corpo di questa, ma anzi menziona la l.r. n. 11/1987 che ha ritrascritto il testo dell’art. 126 citato;

- anche tale rilievo è infondato, dacché la variante impugnata agevolmente si inquadra nell’alveo dell’art. 50 appunto rubricato “Varianti parziali” quando invece l’art. 126, evocato dall’appellante, si riferisce ad una diversa fattispecie, consistente nella variante “per disciplinare gli interventi edilizi sugli insediamenti produttivi, commerciali e alberghieri, localizzati in difformità dalle destinazioni di piano o che abbiano raggiunto i limiti massimi degli indici di edificabilità della zona”;

- contesta poi l’appellante il capo della sentenza impugnata (§ 13) col quale si è dichiarata inammissibile la censura relativa alla violazione del principio di tassatività delle modifiche d’ufficio consentite dall’art. 45 della l.r. n. 61/85 per genericità o comunque per insussistenza del profilo d’interesse, ritenendo che non sia necessario un interesse “ulteriore e/o distinto rispetto a quello correlato all’attivazione del giudizio” (cfr. pagina 47 dell’appello);

- va invece condivisa (e quindi confermata) la statuizione in rito del Tribunale dovendosi dare rilievo alla circostanza, non contestata da parte appellante, che le modifiche d’ufficio non riguardano le aree oggetto di contenzioso; invero, stante la natura generale dello strumento urbanistico, l’annullamento giurisdizionale in accoglimento delle censure di parte non può che riguardare le previsioni potenzialmente lesive e non l’atto nella sua interezza;

- contesta, infine, l’appellante l’ulteriore statuizione recata dalla sentenza impugnata (§ 15), con la quale il Tribunale ha respinto la censura che attiene al denunciato acritico recepimento da parte della Regione delle indicazioni del CTR, ma, come correttamente osservato dal Tribunale, l’onere motivazionale si pone soltanto quando l’ente regionale abbia inteso discostarsene.

12.6 Va, di conserva, respinta la domanda risarcitoria disvelandosi infondate le censure d’illegittimità sulle quali essa si fonda.

13. In conclusione, l’appello è infondato e deve essere respinto.

14. Sussistono nondimeno giusti motivi, in considerazione dell’assoluta peculiarità della vicenda, per compensare le spese del presente grado di giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Seconda), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto (n.r.g. 8756/2011), respinge l’appello.

Spese del presente grado di giudizio compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso dalla Seconda Sezione del Consiglio di Stato, con Sede in Roma, nella Camera di Consiglio del giorno 10 novembre 2020, convocata con modalità da remoto e con la contemporanea e continuativa presenza dei magistrati:

Claudio Contessa, Presidente

Giovanni Sabbato, Consigliere, Estensore

Francesco Frigida, Consigliere

Cecilia Altavista, Consigliere

Francesco Guarracino, Consigliere



L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
Giovanni Sabbato Claudio Contessa





IL SEGRETARIO



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Data: 2021-01-22 14:16:47

Re:Mancata acquisizione dei pareri di regolarità tecnica e contabile

Grazie dott. Chiarelli. Approfitto per chiederle, data l' attinenza, una sua valutazione in merito ad una risposta che ho provato a redigere sul punto. La ringrazio anticipatamente. Cecilia

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Data: 2021-01-28 11:55:38

Re:Mancata acquisizione dei pareri di regolarità tecnica e contabile


Grazie dott. Chiarelli. Approfitto per chiederle, data l' attinenza, una sua valutazione in merito ad una risposta che ho provato a redigere sul punto. La ringrazio anticipatamente. Cecilia
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BUONO, quasi ottimo.
Manca il 17 vis ... e manca qualche riferimento giurisprudenziale.

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