Pubblicato il 15/01/2021
N. 00616/2021 REG.PROV.COLL.
N. 01918/2016 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Seconda)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1918 del 2016, proposto da Soc La Bonaccia S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Stefano Zunarelli, Vincenzo Cellamare, con domicilio eletto presso lo studio legale Zunarelli e Associati in Roma, piazza SS. Apostoli, 66;
contro
Roma Capitale, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'Guglielmo Frigenti, domiciliata ex lege in Roma, via Tempio di Giove, 21;
Agenzia del Demanio, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;
Regione Lazio non costituito in giudizio;
per l'annullamento
- del provvedimento di rigetto dell'istanza di rideterminazione della durata della concessione demaniale avanzata dal ricorrente adottato dal Comune di Roma Capitale in data 16 novembre 2015, prot. n. 134514, conosciuto in data 19.11.2015;
- di tutti gli atti presupposti consequenziali e connessi a quelli impugnati.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di Roma Capitale e di Agenzia del Demanio;
Visti tutti gli atti della causa;
Visto l’art. 25 del decreto legge 28 ottobre 2020, n. 137, convertito con modificazioni dalla 18 dicembre 2020, n. 176, e successivamente modificato dall’art. 1, comma 17, del decreto legge 31 dicembre 2020, n. 183, disciplinante le udienze da remoto;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 13 gennaio 2021 il dott. Luca Iera e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. La ricorrente è titolare della concessione demaniale marittima con finalità turistiche n. 9 dell’11-3-2004 rilasciata dal Comune di Roma (ora Roma Capitale) per la durata di sei anni, con validità dal 1-1-2002 al 31-12-2007. Con provvedimento n. 7 dell’8-4-2009 ha ottenuto il rinnovo del titolo concessorio dal 1-1-2008 al 31-12-2013. Con un successivo provvedimento n. 846 del 24-3-2014 ha beneficio di una nuova proroga del titolo fino al 31-12-2020 disposta ai sensi dell’art. 34-duodecies del d.l. 18 ottobre 2012, n. 179, conv. dalla legge del 17 dicembre 2012, n. 221.
In concomitanza del rinnovo ottenuto fino al 2020, la ricorrente, con istanza del 27-7-2015, ha tuttavia richiesto, ai sensi del comma 4-bis dell’art. 03, comma 4-bis, d.l. n. 400 del 1993, conv. con modificazioni, dalla l. n. 494 del 1993 (come successivamente modificata), aggiunto dal comma 253 dell'art. 1, legge 27 dicembre 2006, n. 29603, all’amministrazione concedente la rideterminazione della durata della concessione per un periodo di ulteriori venti anni a far data dal rilascio del titolo pluriennale, assumendosi l’impegno di valorizzare il bene in concessione e di realizzare opere di interesse pubblico.
Con provvedimento n. 134514 del 16-11-2015, impugnato con l’odierno ricorso, l’amministrazione ha tuttavia respinto la domanda del 24-7-2015 richiamando in proposito la disciplina europea recata dall’art. 12 della direttiva 123/2006 (c.d. direttiva Servizi), nonché il disposto normativo dell’art. 53-bis, comma 3, della l.r. 6-8-2007, n. 17, introdotto dall’art. 5 della l.r. 26-6-2015, n. 8, ai sensi del quale “i comuni sono tenuti ad attivare procedure di evidenza pubblica ai fini del rilascio di nuove concessioni, nonché nei casi di affidamento ad altri soggetti delle attività oggetto della concessione e di subingresso ai sensi, rispettivamente, degli articoli 45-bis e 46 del codice della navigazione e successive modifiche” e quello dell’art. 47 della predetta l.r. n. 17-2007, modificato sempre dalla l.r. n. 8-2018, ai sensi del quale “la durata delle concessioni demaniali marittime per finalità turistiche e ricreative è stabilita in conformità alla normativa statale vigente in materia”.
[color=red][b]Nel rigettare l’istanza di proroga, l’amministrazione procedente ha precisato che la domanda del concessionario imponeva di “operare scelte di carattere significativo in ordine alla concreta valorizzazione” del bene demaniale che dovevano passare in ogni caso “per il tramite di procedure ad evidenza pubblica”. Quindi ha prospettato due strade attraverso cui si sarebbe potuto pervenire al successivo affidamento del titolo concessorio: a) tramite un avviso di evidenza pubblica sulla base della proposta dell’attuale concessionario seguendo una procedura assimilabile alla finanza di progetto in cui sarebbe stata valorizzata la finalità turistica-ricreativa dell’uso dell’area (art. 278 del d.p.r. n. 207-2010 e art. 30 del d.lgs. n. 163-2006); b) tramite una procedura di evidenza pubblica attraverso cui affidare uno o più titoli relativi al litorale, anche in favore di un unico operatore, prevedendo la possibilità di un partenariato per realizzare lavori pubblici di rilevante complessità (ad esempio quelle relative al ripascimento del litorale), in cui sarebbe stato privilegiato l’interesse pubblico al reperimento di capitali privati.
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2. La ricorrente ha affidato il ricorso ha quatto motivi.
Con la prima censura si evidenzia la violazione del principio di specificità e soggettività del provvedimento che sarebbe stato adottato indistintamente verso ventinove concessionari.
Con la seconda censura si afferma che la disciplina della rideterminazione della durata delle concessioni troverebbe fondamento unicamente nell’art. 03, comma 4-bis, del d.l. n. 400 del 1993, come peraltro sarebbe evidente alla luce dell’art. 47, comma 3, della l.r. n. 13-2007, modificato dall’art. 2, comma 3, della l.r. n. 8-2015, e non già nell’art. 12 della direttiva 123/2006 o nella direttiva 2014/23/UE sulle concessioni o nella disciplina recata dalla l.r. n. 13-2007 come modificata dalla l.r. n. 8-2015.
Con la terza censura si lamenta l’eccesso di potere sotto il profilo del difetto di motivazione e dello sviamento.
Con la quarta censura si deduce la violazione dell’art. 10-bis della legge 7 agosto 1990, n. 241, non avendo l’amministrazione posto la ricorrente “in condizioni di poter interloquire”.
Nel costituirsi in giudizio, l’amministrazione comunale ha replicato alle censure sollevate chiedendo il rigetto del ricorso.
3. All’udienza del 13 gennaio 2021, la causa è stata trattenuta in decisione.
Prima di esaminare i motivi di ricorso è necessario premettere una breve ricostruzione del quadro normativo che riguarda la disciplina del rilascio delle concessioni demaniali marittime per finalità turistico-ricreative.
Con la della direttiva 123/2006, l’Unione Europa ha dettato le “disposizioni generali che permettono di agevolare l’esercizio della libertà di stabilimento dei prestatori nonché la libera circolazione dei servizi, assicurando nel contempo un elevato livello di qualità dei servizi stessi” (art. 1, paragrafo 1). La direttiva si applica ai “servizi” forniti da qualsiasi persona fisica o giuridica stabilita in uno Stato membro, laddove per “servizi” si intende “qualsiasi attività economica non salariata di cui all’articolo 50 del trattato fornita normalmente dietro retribuzione” (art. 4, n. 1).
L’art. 12 della direttiva sancisce che “1. Qualora il numero di autorizzazioni disponibili per una determinata attività sia limitato per via della scarsità delle risorse naturali o delle capacità tecniche utilizzabili, gli Stati membri applicano una procedura di selezione tra i candidati potenziali, che presenti garanzie di imparzialità e di trasparenza e preveda, in particolare, un’adeguata pubblicità dell’avvio della procedura e del suo svolgimento e completamento.
2. Nei casi di cui al paragrafo 1 l’autorizzazione è rilasciata per una durata limitata adeguata e non può prevedere la procedura di rinnovo automatico né accordare altri vantaggi al prestatore uscente o a persone che con tale prestatore abbiano particolari legami.
3. Fatti salvi il paragrafo 1 e gli articoli 9 e 10, gli Stati membri possono tener conto, nello stabilire le regole della procedura di selezione, di considerazioni di salute pubblica, di obiettivi di politica sociale, della salute e della sicurezza dei lavoratori dipendenti ed autonomi, della protezione dell’ambiente, della salvaguardia del patrimonio culturale e di altri motivi imperativi d’interesse generale conformi al diritto comunitario”.
Come ha espressamente ribadito la Corte di giustizia la disciplina recata negli articoli da 9 a 14 della direttiva 123/2006 costituisce oggetto di “armonizzazione esaustiva” a livello dell’Unione, sicchè le disposizioni nazionali introdotte in tale settore devono essere direttamente valutate in rapporto alle disposizioni della disciplina di armonizzazione. Ne deriva che gli articoli da 9 a 13 della direttiva 2006/123, laddove prevedono una serie di disposizioni che devono essere rispettate dallo Stato membro qualora l’attività sia subordinata al rilascio di un’autorizzazione, assumono prevalenza rispetto alle stesse disposizioni europee del diritto primario (cfr., Corte di giustizia, 14 luglio 2016, causa C-458/14 e C-67/15).
In ambito nazionale, l’art. 03, comma 4-bis, del d.l. n. 400 del 1993, stabilisce che le concessioni “rilasciate o rinnovate con finalità turistico-ricreative” di aree, pertinenze demaniali marittime e specchi acquei “possono avere durata superiore a sei anni e comunque non superiore a venti anni in ragione dell'entità e della rilevanza economica delle opere da realizzare e sulla base dei piani di utilizzazione delle aree del demanio marittimo predisposti dalle regioni”.
L’art. 1, comma 18, del d.l. 30-12-2009, n. 194, conv. in legge 26-12-2010, n. 25, prevede che “ferma restando la disciplina relativa all'attribuzione di beni a regioni ed enti locali in base alla legge 5 maggio 2009, n. 42, nonché alle rispettive norme di attuazione, nelle more del procedimento di revisione del quadro normativo in materia di rilascio delle concessioni di beni demaniali marittimi con finalità turistico-ricreative, da realizzarsi, quanto ai criteri e alle modalità di affidamento di tali concessioni, sulla base di intesa in sede di Conferenza Stato-regioni ai sensi dell'articolo 8, comma 6, della legge 5 giugno 2003, n. 131, che è conclusa nel rispetto dei principi di concorrenza, di libertà di stabilimento, di garanzia dell'esercizio, dello sviluppo, della valorizzazione delle attività imprenditoriali e di tutela degli investimenti, nonché in funzione del superamento del diritto di insistenza di cui all'articolo 37, secondo comma, secondo periodo, del codice della navigazione, il termine di durata delle concessioni in essere alla data di entrata in vigore del presente decreto e in scadenza entro il 31 dicembre 2015 è prorogato fino a tale data, fatte salve le disposizioni di cui all'articolo 03, comma 4-bis, del decreto-legge 5 ottobre 1993, n. 400, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 dicembre 1993, n. 494. All'articolo 37, secondo comma, del codice della navigazione, il secondo periodo è soppresso”.
In seguito l’art. 34-duodecies del d.l. 18 ottobre 2012, n. 179, conv. dalla legge del 17 dicembre 2012, n. 221, ha modifico l’art. 1, comma 18, del d.l. n. 194-2009, che nel nuovo testo emendato ora prevede, per quanto qui interessa, che “il termine di durata delle concessioni in essere alla data di entrata in vigore del presente decreto e in scadenza entro il 31 dicembre 2015 è prorogato fino al 31 dicembre 2020, fatte salve le disposizioni di cui all' articolo 03, comma 4-bis, del decreto-legge 5 ottobre 1993, n. 400, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 dicembre 1993, n. 494”.
In ambito regionale, il legislatore della Regione Lazio, nel recepire le disposizioni su richiamate, ha stabilito con la l.r. n. 8-2015 di modifica della l.r. n. 13-2007 che “i comuni sono tenuti ad attivare procedure di evidenza pubblica ai fini del rilascio di nuove concessioni, nonché nei casi di affidamento ad altri soggetti delle attività oggetto della concessione e di subingresso ai sensi, rispettivamente, degli articoli 45-bis e 46 del codice della navigazione e successive modifiche” (art. 53-bis, l.r. n. 13-2007) ed ha quindi previsto che “la durata delle concessioni demaniali marittime per finalità turistiche e ricreative è stabilita in conformità alla normativa statale vigente in materia” (art. 47, comma 3, l.r. n. 13-2007).
Occorre peraltro evidenziare che successivamente all’adozione del provvedimento impugnato con la ricordata sentenza 14 luglio 2016, causa C-458/14 e C-67/15, la Corte di giustizia, chiamata a pronunciarsi sulla compatibilità della disciplina nazionale che prevede la proroga automatica delle autorizzazioni demaniali marittime e lacuali per attività turistico-ricreative rispetto alla disciplina europea (art. 1, comma 18, del d.l. n. 194-2009, come modificato dall’art. 34-duodecies del d.l. 18 ottobre 2012, n. 179, conv. dalla legge del 17 dicembre 2012, n. 221), ha dichiarato, in particolare, che “l’articolo 12, paragrafi 1 e 2, della direttiva 2006/123/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12 dicembre 2006, relativa ai servizi nel mercato interno, deve essere interpretato nel senso che osta a una misura nazionale, come quella di cui ai procedimenti principali, che prevede la proroga automatica delle autorizzazioni demaniali marittime e lacuali in essere per attività turistico-ricreative, in assenza di qualsiasi procedura di selezione tra i potenziali candidati”.
4. Così ricostruito il quadro normativo che interessa ai fini della presente decisione, si possono esaminare le censure sollevate dalla ricorrente, propiziando dal secondo e dal terzo motivo di ricorso che, introducendo vizi di carattere radicale, possono essere tratti congiuntamente.
Entrambe le censure sono infondate.
Il titolo concessorio che fa capo alla ricorrente è, non solo nominativamente, ma anche sostanzialmente una concessione demaniale marittima rilasciata per finalità turistica-ricreative. La concessione rilasciata è infatti volta a riservare l’uso di un bene pubblico (demanio marittimo) in favore del concessionario dietro corresponsione di un canone - precludendo così il libero uso del bene da parte della collettività - al fine di consentire al concessionario di sfruttare l’area demaniale per realizzare una determinata attività di rilevanza economica.
Sotto il profilo dell’inquadramento giuridico, la concessione de qua rientra a pieno titolo nella categoria giuridica dell’”autorizzazione” disciplinata dall’art. 12 della direttiva 123/2006 che ricomprende tutte le “autorizzazioni … per svolgere una determinata attività” il cui rilascio risulta essere “limito in virtù della scarsità delle risorse naturali o delle capacità tecniche utilizzabili”.
L’”autorizzazione” prevista dall’art. 12 della direttiva 123/2006 si contraddistingue perché riguarda l’atto di assenso, comunque denominato, volto a consentire l’esercizio di una qualsiasi attività economica che richiede necessariamente per il proprio svolgimento l’utilizzo di limitate risorse naturali o capacità tecniche. Poiché l’autorizzazione non riguarda una prestazione di servizi determinata dall’ente aggiudicatore, essa non rientra nella categoria delle concessioni di servizi disciplinata dal codice degli appalti pubblici (d.lgs. n. 163-2006). Peraltro, lo stesso considerando 57 della direttiva 2006/123 precisa che le “disposizioni della presente direttiva relative ai regimi di autorizzazione dovrebbero riguardare i casi in cui l’accesso ad un’attività di servizio o il suo esercizio da parte di operatori richieda la decisione di un’autorità competente. Ciò non riguarda … la conclusione di contratti da parte delle autorità competenti per la prestazione di un servizio particolare, che è disciplinata dalle norme sugli appalti pubblici, poiché la presente direttiva non si occupa di tali norme”.
[b]Ne deriva che all’autorizzazione prevista dalla direttiva 2006/123 non sono applicabili né la disciplina delle concessioni di servizi pubblici né quella degli appalti pubblici di servizi stabilite dalla disciplina europea.
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5. Sotto il profilo della disciplina giuridica applicabile all’autorizzazione, l’art. 12 della direttiva 123/2006 prevede: a) al paragrafo 1, che “gli Stati membri applicano una procedura di selezione tra i candidati potenziali, che presenti garanzie di imparzialità e di trasparenza e preveda, in particolare, un’adeguata pubblicità dell’avvio della procedura e del suo svolgimento e completamento”; b) al paragrafo 2, che “nei casi di cui al paragrafo 1 l’autorizzazione è rilasciata per una durata limitata adeguata e non può prevedere la procedura di rinnovo automatico né accordare altri vantaggi al prestatore uscente o a persone che con tale prestatore abbiano particolari legami”; c) al paragrafo 3, che “gli Stati membri possono tener conto, nello stabilire le regole della procedura di selezione, di considerazioni di salute pubblica, di obiettivi di politica sociale, della salute e della sicurezza dei lavoratori dipendenti ed autonomi, della protezione dell’ambiente, della salvaguardia del patrimonio culturale e di altri motivi imperativi d’interesse generale conformi al diritto comunitario”.
6. Il provvedimento richiesto dalla ricorrente all’amministrazione ha tutte le caratteristiche per essere considerata un’”autorizzazione” ai sensi dell’art. 12 della direttiva 123/2006: a) è finalizzato a svolgere un’attività economica rappresentata dalla gestione di uno stabilimento balneare; b) riguarda una risorsa naturale in quanto l’area demaniale che l’istante necessita di avere in concessione per esplicare l’attività è situata sulla costa marittima; c) la risorsa naturale si caratterizzata sotto il profilo della scarsità poiché le aree che possono essere oggetto di tale sfruttamento economico sono in numero limitato e ha carattere escludente in quanto preclude, una volta concesso l’uso, la possibilità che lo stesso bene possa essere sfruttato economicamente da altri operatori.
La concessione demaniale marittima della ricorrente può quindi essere qualificata come “autorizzazione” ai sensi delle disposizioni della direttiva 2006/123 in quanto costituisce un “atto formale”, nei termini precisati dal diritto europeo, che il prestatore deve ottenere dall’autorità concedente per poter esercitare l’attività economica.
7. Occorra ora verificare se la disciplina recata dall’art. 03, comma 4-bis, del d.l. n. 400 del 1993, nella parte in cui prevede una proroga ex lege della data di scadenza delle autorizzazioni, sia conforme, o meno, alla disciplina europea sopra richiamata.
L’art. 03, comma 4-bis, in parola, nella parte in cui prevede una proroga ex lege della data di scadenza delle autorizzazioni equivale a un loro rinnovo automatico, rinnovo automatico che si pone frontalmente in contrasto con la disciplina che l’articolo 12, paragrafo 2, della direttiva 2006/123, stabilisce per le “autorizzazioni … per svolgere una determinata attività” che si caratterizzano per la circostanza per cui il loro rilascio risulta essere “limito in virtù della scarsità delle risorse naturali o delle capacità tecniche utilizzabili” (come nel caso di specie).
Al fine di assicurare l’effetto utile del diritto europeo e quindi applicare una procedura di selezione tra i candidati potenziali che deve presentare tutte le garanzie di imparzialità, di trasparenza e in particolare di un’adeguata pubblicità, la disciplina recata dall’art. 03, comma 4-bis, del d.l. n. 400 del 1993, va disapplicata in quanto si pone in evidente contrasto con l’art. 12 della direttiva 123/2006, come interpretato dalla Corte di giustizia nella sentenza 14 luglio 2016, causa C-458/14 e C-67/15.
8. Ne consegue che l’amministrazione concedente, nel respingere la domanda di rideterminazione della concessione della ricorrente, ha correttamente operato poiché ha fondato la propria decisione sulla corretta interpretazione delle fonti europee e nazionali. Il provvedimento di rigetto è dunque logicamente e adeguatamente motivato.
Né invero assume rilievo la “tutela del legittimo affidamento” dedotta dalla ricorrente secondo cui la proroga ventennale avrebbe la sua ratio nella “garanzia del rientro degli investimenti inteso anche come remunerazione del capitale”.
Basti osservare al riguardo nel momento in cui la ricorrente ha chiesto ed ottenuto il rinnovo del titolo concessorio dal 1-1-2008 al 31-12-2013 con il provvedimento n. 7 dell’8-4-2009 non era (neppure) entrata in vigore la disciplina dall’art. 03, comma 4-bis, del d.l. n. 400 del 1993, che consentiva in ipotesi di beneficiare di un ulteriore periodo di rinnovo (poi giunto fino al 2020). Ne consegue che alla data (2015) in cui è stata presentata la nuova domanda di (ulteriore) proroga ventennale la ricorrente non aveva di certo realizzato investimenti tali da dover essere tutelati o contemperati in occasione della valutazione della proroga.
Peraltro, lo stesso rinnovo della concessione del 2009 è avvenuto quando già in ambito europeo era chiaro che i titoli concessori come quello di causa dovevano essere obbligatoriamente assegnati nel rispetto di procedure ad evidenza pubblica, salvo le eccezioni previste dallo stesso art. 12 della direttiva 123/2006.
Dalla ricostruzione dei fatti di causa si deduce che la ricorrente non solo al momento della presentazione della domanda di proroga non ha effettuato investimenti tali da potersi legittimamente aspettarsi il rinnovo del proprio titolo, ma l’eventuale affidamento non poteva neppure ritenersi legittimo.
9. Il primo ed il quarto motivo di ricorso possono essere esaminati contestualmente.
Entrambe le censure, al di là della loro genericità, sono infondate.
Il provvedimento impugnato ha natura di provvedimento plurimo ad effetti scindibili in quanto ha come destinatari una pluralità di soggetti che sono incisi dagli effetti dell’atto ognuno in via autonoma in quanto ogni soggetto è titolare di una propria posizione giuridica che, sebbene identica sotto il profilo sostanziale a quella degli altri soggetti interessati, ne rimane distinta sotto il profilo soggettivo.
Attesa l’identità sostanziale delle posizioni giuridiche dei destinatari, l’amministrazione ha redatto la motivazione del provvedimento in modo simile per tutti i soggetti interessati. In tale operato non vi è alcuna illegittimità.
Né del resto la ricorrente ha specificato in che modo l’amministrazione non avrebbe, erroneamente, proceduto al “confronto con la motivata differenziazione contenuta nelle differenti istanze di rideterminazione della durata delle concessioni”, né ha evidenziato la peculiarità della propria posizione che avrebbe per ciò solo richiesto la dedotta differenziata motivazione del provvedimento.
Non ricorre neppure la violazione dell’art. 10-bis della legge n. 241 del 1990 dal momento che il provvedimento impugnato ha natura vincolata in quanto il rilascio di concessioni demaniali marittime rientranti nel campo di applicazione dell’art. 12 della direttiva 123/2006, oltre che nell’art. 53-bis, comma 3, della l.r. 6-8-2007, n. 17, non poteva che avvenire mediante procedure ad evidenza pubblica. Trova dunque applicazione la previsione dell’art. 21-octies, comma 2, della legge n. 241-1990, secondo cui “non è annullabile il provvedimento adottato in violazione di norme sul procedimento o sulla forma degli atti qualora, per la natura vincolata del provvedimento, sia palese che il suo contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato”.
10. In conclusione, il ricorso non è fondato e va, pertanto, respinto.
La condanna alle spese di giudizio segue la soccombenza e vengono liquidate in dispositivo.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, sede di Roma, Sezione Seconda, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Condanna la ricorrente al pagamento delle spese di giudizio in favore del Comune di Roma Capitale che liquida complessivamente in Euro 1.500,00, oltre Iva, Cap, ed accessori di legge; compensa integralmente le spese tra le altre parti del giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 13 gennaio 2021 con l'intervento dei magistrati:
Francesco Riccio, Presidente
Eleonora Monica, Primo Referendario
Luca Iera, Referendario, Estensore
L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
Luca Iera Francesco Riccio
IL SEGRETARIO