Il contenuto dell’avviso di avvio del procedimento può discostarsi dal contenuto del provvedimento finale
(Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 17.5.2012, n. 2852)
N. 02852/2012REG.PROV.COLL.
N. 06846/2011 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso in appello n. 6846 del 2011, proposto da Tomaso Sisti, rappresentato e difeso dagli avv.ti Enzo Robaldo, Pietro Ferraris e Maria Stefania Masini, ed elettivamente domiciliato presso quest’ultima in Roma, via della Vite n. 7, come da mandato a margine del ricorso introduttivo;
contro
Comune di Travagliato, in persona del sindaco legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avv.ti Ciso Gitti e Ilaria Romagnoli, ed elettivamente domiciliato presso quest’ultima in Roma, via Livio Andronico n. 24, come da mandato a margine della comparsa di costituzione e risposta;
nei confronti di
Regione Lombardia, in persona del presidente legale rappresentante pro tempore, non costituita in giudizio;
per la riforma
della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia, sezione staccata di Brescia, sezione prima, n. 480 del 29 marzo 2011;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Travagliato;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 28 febbraio 2012 il Cons. Diego Sabatino e uditi per le parti gli avvocati Maria Stefania Masini e Gabriele Pafundi in sostituzione di Ilaria Romagnoli;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Con ricorso iscritto al n. 6846 del 2011, Tomaso Sisti propone appello avverso la sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia, sezione staccata di Brescia, sezione prima, n. 480 del 29 marzo 2011 con la quale sono stati riuniti e decisi tre diversi ricorsi, e rispettivamente:
a) il ricorso numero di registro generale 1028 del 2008, proposto da Tomaso Sisti contro il Comune di Travagliato per l’annullamento del provvedimento 18 agosto 2008 prot. n°13043, con il quale il Dirigente dell’area tecnica responsabile di settore del Comune di Travagliato ha annullato in via di autotutela il permesso di costruire 11 aprile 2007 n°5 rilasciato a Tomaso Sisti, con ogni conseguente effetto in ordine alla convenzione urbanistica del 4 aprile 2007 e di ogni atto presupposto, preordinato, consequenziale ovvero comunque connesso o collegato, e in particolare del provvedimento 4 settembre 2008 prot. n°13715, con il quale il medesimo Dirigente ha confermato e integrato il predetto annullamento in via di autotutela;
b) il ricorso numero di registro generale 1140 del 2008, proposto dal Comune di Travagliato contro la Regione Lombardia e nei confronti di Tomaso Sisti per l’annullamento del decreto 4 agosto 2008 n°8618, con il quale il Dirigente dell’unità organizzativa attività estrattive e bonifica presso la Direzione generale qualità dell’ambiente della Regione Lombardia ha autorizzato Tomaso Sisti alla commercializzazione del materiale inerte consistente in sabbia e ghiaia proveniente dalla realizzazione di due bacini idrici per la pesca sportiva e l’allevamento ittico in località Sabbionera sui mappali n°36, 37, 38, 39, 56, 57, 58, 64 e 65 del foglio 23 del catasto del Comune di Travagliato per un volume complessivo di mc 1.1129.856 e per un periodo di tre anni;
c) il ricorso numero di registro generale 1266 del 2008, proposto da Tomaso Sisti contro il Comune di Travagliato per l’annullamento dell’ordinanza 24 settembre 2008 n°2001, con la quale il Dirigente dell’area tecnica responsabile di settore del Comune di Travagliato ha ingiunto a Tomaso Sisti di provvedere nel termine di novanta giorni dal ricevimento dell’atto alla rimessione in pristino dell’area denominata “Bissa” oggetto di lavori di escavazione ritenuti eseguiti in assenza di permesso di costruire e di ogni altro atto presupposto, preordinato, consequenziale e comunque connesso ovvero collegato, e in particolare dell’ordinanza 9 agosto 2008 n°1993, con la quale il medesimo Dirigente ha ordinato a Tomaso Sisti, quale titolare del permesso di costruire n°5/2007, di sospendere immediatamente i lavori di escavazione in corso nel terreno distinto al locale catasto al foglio 23, mappali 38, 39, 56, 57, 58 (ora 117, 118, 119) e 122, ovvero presso l’area denominata “Bissa”, nonché per la declaratoria dell’illegittimità del silenzio rifiuto e per il conseguente ordine di provvedere sull’istanza protocollata il 7 agosto 2008, avente ad oggetto la richiesta al medesimo Responsabile di sottoscrivere senza ritardo la convenzione di cui alla deliberazione 21 maggio 2007 n°109 della Giunta comunale; nonché, a seguito di motivi aggiunti, depositati il 2 dicembre 2009, per l’annullamento del provvedimento 27 luglio 2009 prot. n°12868, con il quale il Responsabile dell’area tecnica e governo del territorio del Comune di Travagliato ha diffidato Tomaso Sisti a non riprendere i lavori di cui al permesso di costruire n°5/2007; nonché, a seguito dei secondi motivi aggiunti, depositati il 22 settembre 2010, per l’annullamento del provvedimento 1 giugno 2010 prot. n°8878, con il quale il Responsabile dell’area tecnica e governo del territorio del Comune di Travagliato ha respinto l’istanza di proroga del permesso di costruire n°5/2007 presentata da Tomaso Sisti in data 1 aprile 2010 e di ogni atto connesso, presupposto, preordinato ovvero consequenziale, e in particolare, ove necessario, della nota 28 aprile 2010 prot. n°6923, con la quale il medesimo Responsabile ha comunicato i motivi ostativi all’accoglimento dell’istanza.
Il T.A.R., decidendo sulla domanda, con articolato dispositivo, provvedeva nel senso di respingere il ricorso n°1029/2008, dichiarare inammissibile il ricorso n°1140/2008, respingere il ricorso n°1266/08 quanto alle domande di annullamento contenute nel ricorso principale e nei primi motivi aggiunti, dichiarare inammissibile il ricorso n°1266/09 quanto alla domanda di declaratoria di illegittimità di silenzio rifiuto contenuta nel ricorso principale, dichiarare inammissibile il ricorso n°1266/08 quanto alle domande di annullamento contenute nei secondi motivi aggiunti e provvedendo conseguentemente sulle spese di giudizio.
La complessa vicenda in fatto può essere riassunta come di seguito.
Tomaso Sisti, titolare in Lograto (Bs) di un’azienda agricola denominata “Valabbio”, presentava il 10 aprile 2006 al protocollo del confinante Comune di Travagliato una richiesta di permesso di costruire relativa ad un “intervento di recupero ambientale in zona Bissa”, intervento specificato come “parco naturale”, domanda nella quale precisava che il “fabbricato” di interesse era sito in “zona Bissa, foglio 23, mappali 36, 37, 38, 39, 56, 57, 58, 64, 65” del locale catasto, classificata come “zona E1 del PRG denominata agricola produttiva” (doc. 4 Comune in ricorso n°1028/08, prime quattro pagine, copia richiesta).
È da considerare localmente notorio e risultante dagli elaborati del piano paesistico comunale prodotti in copia che il sito Bissa è l’unico fontanile esistente nel Comune di Travagliato e si trova nel lembo meridionale del relativo territorio, a nord di due cascine denominate “Maddalena” e “Sabbionera”; esso è di natura artificiale, fu costruito per iniziativa dell’allora proprietario dei terreni negli anni 20 del secolo scorso, e per la sua particolare posizione, a nord della linea delle risorgive, è sovente in secca; nel corso degli anni, è stato “colonizzato dalle piante pioniere tipiche dell’areale, che nel complesso formano un bosco… di notevole caratura ambientale, il sito è caro a tutti i travagliatesi, che, da sempre, lo frequentano nella stagione estiva alla ricerca di frescura e di svago”, il sito è quindi classificato dal piano paesistico in questione come “sito notevole”, di sensibilità paesistica “molto alta”.
A fronte della richiesta suddetta, Tomaso Sisti otteneva quindi il rilascio del permesso di costruire 11 aprile 2007 n°5/2007, relativo, sempre secondo la lettera del documento, a opere di “recupero ambientale in zona Bissa”, localizzate sui medesimi mappali di cui alla richiesta, peraltro erroneamente indicati come appartenenti al foglio 20; con una “dichiarazione in appendice” al permesso in parola, emanata il 31 gennaio 2008 su sua richiesta, Tomaso Sisti otteneva poi che la descrizione delle opere appena indicata si intendesse specificata come “permesso di costruire convenzionato per la realizzazione di laghetto per itticoltura intensiva e laghetto di pesca sportiva e annessi fabbricati di servizio”. Dalla relazione tecnica formata da un agronomo incaricato dalla proprietà, in data 2 febbraio 2006 e successivamente recepita come allegato tecnico al permesso di costruire n°5/2007, è dato ricavare maggiori dettagli sulla natura delle opere assentite, costituite dalla “realizzazione di due bacini idrici (uno utilizzato per l’attività di itticoltura ed uno realizzato come bacino di accumulo per riserva idrica nell’ambito della ‘riattivazione’ e riqualificazione ambientale del fontanile Biscia [all’evidenza, italiano per il dialettale “Bissa”]), nella realizzazione di aree boscate, aree cespugliate e aree umide e nella realizzazione di strutture rurali”; si ricava ancora che il secondo laghetto è destinato ad una attività di pesca sportiva a pagamento.
Discende poi dalla comune logica che per la realizzazione di laghetti sia necessario scavare e asportare una corrispondente quantità di materiali inerti; il permesso di costruire n°5/2007 sul punto “precisa che prima dell’inizio dei lavori di escavazione e della commercializzazione dell’inerte si dovrà ottemperare all’autorizzazione regionale così come dall’art. 36 comma 3 della l.r. 14/98”.
Poco prima del rilascio del permesso di costruire, Tomaso Sisti stipulava poi con il Comune una “convenzione urbanistica per permesso di costruire convenzionato di iniziativa privata denominato ‘recupero ambientale Bissa’”, atto 4 aprile 2007 rep. n°47995 racc. n°20717 Notaro Garioni di Travagliato, dalla quale, per quanto qui interessa, risulta quanto segue.
Nelle premesse dell’atto, Tomaso Sisti si dichiara anzitutto proprietario dei soli mappali 37, 38 e 39 del foglio 23, per una superficie complessiva di mq 233.590,33; dichiara ancora che gli stessi sarebbero classificati dal piano regolatore vigente come zona E agricola produttiva per mq 179.834,01 e per altra parte come “zona omogenea ‘parco Bissa’”; in proposito, sempre nelle premesse, si afferma che tale zona omogenea sarebbe costituita da 53.756,22 mq di terreno “di cui 35.000 mq circa già di proprietà Sisti Tomaso (fg. 23 mapp. 37, 38 e 39); i restanti 18.000 circa (fg. 23 mapp. 35-36) da reperire a cura del Comune ed a spese della ditta Sisti Tomaso fino alla concorrenza di € 20,00 al mq oltre gli adeguamenti ISTAT di mercato”. Il punto è ribadito anche al successivo articolo 2 della convenzione, ove si dà atto che le aree che fanno parte “del parco e più ampiamente dell’intero complesso… non direttamente disponibili in quanto non di proprietà del lottizzante saranno acquisite dal Comune a spese del lottizzante stesso” allo stesso importo già precisato. La convenzione in prosieguo prevede un termine di trentasei mesi dalla stipula, ovvero al massimo dal “ritiro delle concessioni” per l’ultimazione delle opere; descrive le opere stesse come laghetti, da realizzare in conformità ad un progetto esecutivo da predisporre, bosco di pianura da piantumare, chiosco per bibite, edificio per agriturismo e box per cavalli, con opere di urbanizzazione complementari costituite da strade di accesso e parcheggi; prevede infine un vincolo trentennale ad uso pubblico del parco così realizzato, destinato all’accesso gratuito da parte dei cittadini. Da ultimo, va notato come la convenzione preveda per implicito un utilizzo degli inerti prodotti dallo scavo dei laghetti, in quanto all’art. 8 consente di installare sul posto i macchinari per la prima lavorazione e pesatura degli stessi; agli articoli 6 comma 5 e 9 comma 1 prevede poi un contributo in ragione di un tanto a metro cubo estratto che Sisti si impegna a versare al Comune.
Ciò posto, Tomaso Sisti otteneva dapprima dal Comune, con delibera di Giunta 21 maggio 2007 n°109, l’approvazione della “proposta di convenzione” fra egli stesso e l’ente “per la commercializzazione dell’inerte proveniente dagli scavi autorizzati nell’ambito del progetto di recupero ambientale dell’area Bissa e laghetti per la pesca sportiva”; tale proposta, in altri atti denominata anche “bozza” fa riferimento, nelle premesse della delibera, ad una richiesta “di poter esercitare un’attività di itticoltura con conseguente attività di scavo… sui mappali di proprietà n°37, 38, 39, 40, 41, 42, 56, 57, 58, 59 fg. 23” del catasto di riferimento. Di conseguenza, Sisti presentava, in data 13 febbraio 2008, domanda al competente ufficio regionale al fine di essere autorizzato alla commercializzazione in parola, come previsto dal vigente art. 36 comma 3 della l.r. Lombardia 8 agosto 1998 n°14; a fronte di tale domanda otteneva il decreto 4 agosto 2008 n°8618, di cui pure in epigrafe, della Direzione regionale qualità dell’ambiente, che testualmente lo autorizza “alla commercializzazione del materiale inerte consistente in sabbia e ghiaia proveniente dalla realizzazione di due bacini idrici per la pesca sportiva e l’allevamento ittico in località Sabbionera sui mappali n°36, 37, 38, 39, 56, 57, 58, 64 e 65 del foglio 23 del comune censuario di Travagliato, per un volume complessivo di mc 1.129.856 e per un periodo di anni tre” decorrenti dalla notifica dell’atto. Il decreto in questione subordina l’autorizzazione alla perdurante efficacia del permesso di costruire n°5/2007 più volte citato, e vincola in modo esplicito Tomaso Sisti al rispetto “degli obblighi di cui alla bozza di convenzione approvata con deliberazione della Giunta comunale di Travagliato n°109 del 21 maggio 2008”.
A tale ultimo proposito, va infatti evidenziato che Tomaso Sisti, per quanto avesse, nella domanda 13 febbraio 2008 di cui si è detto, dichiarato di allegare la “convenzione stipulata”, in realtà disponeva soltanto della bozza approvata dalla Giunta; è per tal motivo che, con propria missiva 7 agosto 2008, diffidava il Comune a “rimettere senza ritardo copia della predetta convenzione debitamente sottoscritta” ma, come si vedrà, senza esito. Si nota ancora che la bozza di convenzione, così come allegata alla delibera di Giunta 109/2007 e alla diffida in parola, abilita Sisti ad eseguire l’estrazione di materiali “sulle aree contraddistinte dai mappali n°36, 37, 38, 39, 56, 57, 58, 64, 65 del foglio 20 [in realtà, 23]” del catasto comunale.
A seguito degli atti appena descritti, peraltro, il Comune, nel quale nel frattempo era mutata la maggioranza politica (il fatto va ritenuto localmente notorio, salvo quanto si dirà nell’illustrare i motivi di ricorso), manifestava un atteggiamento contrario alla realizzazione del progetto Sisti, atteggiamento tradotto in pratica nei provvedimenti di cui subito si dirà.
In primo luogo, con ordinanza 9 agosto 2008 n°1993, il Comune, per tramite del Dirigente dell’area tecnica, ordinava al medesimo Sisti, appunto quale titolare del permesso di costruire n°5/2007, “di sospendere immediatamente i lavori di escavazione in corso nel terreno” distinto al locale catasto al foglio 23, mappali 38, 39, 56, 57, 58 (ora 117, 118, 119) e 122. In tale provvedimento, il Comune si riferiva anzitutto ad un verbale di sopralluogo della Polizia locale del giorno 8 agosto 2008, nel quale si dava conto di “diversi lavori di escavazione di ingenti dimensioni e profondità” eseguiti sul posto; rilevava come tali lavori fossero subordinati, a termini del permesso di costruire 5/2007, all’autorizzazione regionale a commercializzare gli inerti, e come la stessa non risultasse pervenuta agli atti del Comune; rilevava ancora la mancata stipula della relativa convenzione, l’omissione di tutta una serie di cautele previste dalla convenzione stessa per verificare le quantità di inerti estratti – in sintesi, la posa di punti fissi di misura- e l’avvio di un procedimento, nei termini che si illustreranno, di annullamento in autotutela del medesimo permesso 5/2007.
In via successiva, il Comune di Travagliato, con deliberazione consiliare 10 agosto 2008 n°34, resa in pubblica seduta presso il Teatro Comunale, decideva di adottare una variante allo strumento urbanistico generale, che per l’avvenire andava sostanzialmente a precludere progetti dei tipo di quello assentito a favore di Tomaso Sisti.
Ancora successivamente, sempre il Comune, con la delibera di Giunta 11 agosto 2008 n°43 cui si è accennato, avviava un procedimento di “revoca e/o annullamento, in via di autotutela… della deliberazione della Giunta comunale n°109 del 21 maggio 2007”, ovvero dell’approvazione della bozza della convenzione necessaria a commercializzare gli inerti, e ciò, in sintesi estrema, in base a tre ordini di ragioni: in primo luogo, rilevava come, in base ai descritti contenuti del permesso di costruire 5/2007, della convenzione urbanistica, della delibera 109/2007 e della bozza di convenzione relativa agli inerti, vi fosse incertezza in ordine all’effettiva proprietà in capo a Sisti delle aree interessate; in secondo luogo, affermava che l’intervento in questione, data la descritta qualità del sito interessato, sarebbe stato in contrasto con il piano paesistico comunale; infine, affermava che l’attività di escavo e commercializzazione di inerti ad esso collegate avrebbe integrato un “vero e proprio aggiramento” della legge regionale in materia di cave, aggiramento che avrebbe consentito al beneficiario di “ricavare… guadagni prevedibilmente consistenti” a fronte di un beneficio economico molto modesto per l’ente, sì da poter ingenerare “responsabilità contabile ed erariale… per il grave danno e la lesione arrecati all’interesse e al patrimonio pubblico”. Di conseguenza il Comune, con deliberazione di Giunta 25 agosto 2008 n°45, decideva di impugnare in sede giurisdizionale l’autorizzazione a commercializzare gli inerti, dando luogo, come si vedrà, al ricorso n°1140/2008 R.G..
Parallelamente, sempre il Comune disponeva infine con provvedimenti 18 agosto 2008 prot. n°13043 e 4 settembre 2008 prot. n°13715, ancora del Responsabile di area tecnica, l’annullamento in via di autotutela del permesso di costruire 5/2007; con ordinanza 24 settembre 2008 n°2001 dello stesso Responsabile, la rimessione in pristino del sito.
L’annullamento in autotutela motiva anzitutto, nel provvedimento 18 agosto 2008, con la lesione della competenza del Consiglio comunale, che avrebbe asseritamente dovuto approvare l’intervento in luogo della Giunta; nel provvedimento 4 settembre 2008 aggiunge poi una serie di rilievi ulteriori: la non corrispondenza fra i mappali indicati dal permesso di costruire come sedime del progetto e quelli considerati nei disegni tecnici allegati (“nel permesso non vengono indicati i mappali n°35, 122, 53, 59, 40, 41, 42, 43, 44, 45, 46, 47 del foglio 23”); l’errata classificazione dei terreni interessati nella convenzione urbanistica (“per i mappali ivi indicati (mappali n°35, 36, 37, 38, 39 del foglio 23…) zone omogenee inesistenti nel PRG e nelle NTA (zona omogenea Parco Bissa inesistente) o errate. Così per alcuni mappali, fra i quali il n°40, 41, 42 del fg. 23 viene indicata la zona omogenea E1 agricola produttiva, mentre sono ricompresi in altra zona, parte in zona E2 agricola di salvaguardia, parte in zona E6 rispetto ambientale, parte RCN fasce di rispetto canale navigabile e pertanto sottoposta ad altre limitazioni”); la mancanza in capo a Tomaso Sisti di titoli di proprietà o affini sui mappali 43 e 44, interessati dallo scavo di uno dei laghetti; il carattere di sensibilità paesistica del sito; il divieto ai sensi dell’art. 133 comma 1 lettera a) del RD 8 maggio 1904 n°368 di svolgere lavori di escavo su terreni come il mappale 122 sui quali insiste un canale di bonifica.
L’ordinanza di rimessione in pristino invece richiama la circostanza, già valorizzata nell’ordinanza di sospensione lavori, dell’avvenuta realizzazione di ingenti scavi, e motiva sia con riguardo all’annullamento del permesso di costruire, sia con riguardo alla mancata sottoscrizione della convenzione per commercializzare gli inerti; ordina quindi il ripristino dei mappali 117, 57, 58, 59 e 38 del foglio 23.
La vicenda sin qui descritta in fatto ha altresì un riscontro giurisdizionale, dato dal complesso contenzioso a cui ha dato adito davanti al T.A.R. della Lombardia, sezione staccata di Brescia, di cui occorre dare precisamente conto.
Dapprima, con ricorso rubricato al n°1028 R.G., Tomaso Sisti ha impugnato l’annullamento in autotutela del permesso di costruire 5/2007, ovvero i provvedimenti 18 agosto 2008 prot. n°13043 e 4 settembre 2008 prot. n°13715 già citati e meglio indicati in epigrafe, dai quali esso consta, con ricorso articolato in cinque censure, riconducibili in ordine logico ai seguenti sei motivi:
- con il primo di essi, deduce violazione dell’art. 7 della l. 7 agosto 1990 n°241, nel senso che il solo provvedimento 4 settembre 2008 prot. n°13715, integrativo del precedente, sarebbe stato emanato in difetto dell’avviso di inizio del procedimento, asseritamente inviato solo quanto al provvedimento 18 agosto;
- con il secondo motivo, deduce eccesso di potere per sviamento dalla causa tipica dell’atto. Afferma infatti che l’annullamento di che trattasi costituirebbe una “ritorsione politica” della nuova maggioranza politica nei confronti della maggioranza uscente, e che ciò sarebbe comprovato da varie circostanze sintomatiche. Ricorda infatti il ricorrente che l’attuale Sindaco, l’avv. Dante Daniele Buizza, allora consigliere comunale di minoranza, unitamente ad altri suoi colleghi, ora facenti parte della maggioranza, aveva promosso un ricorso giurisdizionale a questo TAR contro il rilascio del permesso di costruire in parola, ricorso che faceva centro proprio sull’asserita lesione delle competenze consiliari, e che era stato respinto in sede cautelare di appello. Ricorda ancora il ricorrente che lo stesso avv. Buizza, non ancora divenuto Sindaco, aveva patrocinato altro ricorso contro il progetto di che trattasi, promosso da un vicinante e poi rinunziato. Da tali circostanze e dall’immediato attivarsi nel senso descritto della nuova amministrazione, guidata appunto dall’avv. Buizza, deduce l’intento ritorsivo di cui si è detto;
- con il terzo motivo, deduce violazione dell’art. 21 novies [lezione corretta per il “nonies” del testo legislativo] della l. 241/1990, in quanto l’annullamento di ufficio del permesso di costruire sarebbe avvenuto senza allegare un interesse pubblico concreto ed attuale a procedervi, tale non potendo essere, ad avviso del ricorrente la semplice violazione delle competenze del Consiglio comunale, specie se parametrata al sacrificio imposto al privato;
- con il quarto motivo, corrispondente alla residua parte della quinta censura, deduce ancora violazione dell’art. 21 novies, nel senso che a suo dire nessuno dei profili di illegittimità posti dall’amministrazione a fondamento dell’autotutela in realtà sussisterebbe. Non sussisterebbe in primo luogo violazione delle competenze consiliari, in quanto l’intervento di che trattasi si sarebbe potuto realizzare, come nella specie avvenuto, in base a semplice permesso di costruire convenzionato; ciò sarebbe dimostrato anche dall’esito del ricorso al TAR di cui si è detto, promosso a suo tempo dai consiglieri di minoranza. Non rileverebbe sotto alcun profilo il mancato ottenimento dell’autorizzazione a commercializzare gli inerti, dato che quest’ultima era prevista come solo eventuale. Non sussisterebbe poi alcuna incertezza sui mappali oggetto dell’intervento, che nel testo del permesso di costruire sarebbero indicati in modo inesatto, ma risulterebbero in modo chiaro dagli elaborati grafici. Non sussisterebbe ancora alcun errore rilevante in ordine alla classificazione urbanistica dei terreni interessati, nel senso che per “zona omogenea parco Bissa” si sarebbe dovuta intendere all’evidenza la zona F1 per servizi pubblici, che nessuna differenza comporterebbe avere indicato il resto del terreno come semplice zona agricola, che l’azzonamento come E6 del sito del fontanile non comporta illegittimità dell’intervento in esame, che l’azzonamento come RCN- rispetto canale navigabile sarebbe non corrispondente ai fatti. Ancora, il riferimento ai mappali 43 e 44 sarebbe poi errato, perché gli stessi sarebbero estranei al progetto, il progetto stesso rientrerebbe fra quelli ammessi dallo strumento urbanistico per l’area in questione e il mappale 122, lungi dall’essere occupato da un’opera pubblica, sarebbe di proprietà del ricorrente stesso;
- con il quinto motivo, deduce ulteriore violazione dell’art. 21 novies, nel senso che l’esercizio dell’autotutela sarebbe nella specie avvenuto al di là del ragionevole termine previsto a tal fine, anche alla luce dello stato dei lavori, asseritamente avanzato;
- con il sesto motivo, deduce ancora violazione dell’art. 21 novies, sotto il profilo della mancata considerazione degli interessi del privato. In proposito evidenzia, come già accennato, che i lavori sarebbero giunti ad uno stato avanzato, che ciò avrebbe comportato anche notevoli esborsi da parte sua, e che il Comune avrebbe pretestuosamente negato tale dato di fatto, salvo poi contraddirsi nella citata ordinanza di sospensione lavori, ove si parla di “diversi lavori di escavazione di ingenti dimensioni e profondità”.
Nel ricorso 1028/08 in esame, il Comune di Travagliato resiste con memorie 10 novembre 2008 e 5 gennaio 2011, domandando che lo stesso sia respinto. In proposito, deduce in particolare che l’autorizzazione regionale a commercializzare gli inerti doveva intendersi come condizione di efficacia del permesso di costruire 5/2007, che la consistenza delle opere realizzate non è rilevante, che nessuna strumentalizzazione politica nei confronti di Sisti era avvenuta; difende poi in sintesi la legittimità dell’annullamento.
Con ordinanza 13 novembre 2008 n°789, il T.A.R. accoglieva in parte la domanda cautelare, evidenziando comunque la necessità di verificare “la possibilità di realizzare il programma descritto nel progetto anche con riguardo alle aree attualmente di proprietà di terzi” e di eseguire da parte dell’amministrazione approfondimenti in ordine al rispetto dei valori ambientali.
Parallelamente, il Comune di Travagliato, in esecuzione della citata delibera di Giunta 45/2008, ha impugnato il provvedimento regionale di autorizzazione a commercializzare gli inerti, decreto regionale 4 agosto 2008 n°8618 pure già citato e meglio indicato in epigrafe, con ricorso rubricato al n°1140/2008 di R.G. e articolato in due motivi:
- con il primo di essi, deduce eccesso di potere per difetto di istruttoria, non avendo la Regione tenuto conto dell’avvio del procedimento di annullamento in autotutela del permesso di costruire 5/2007, avvio che pure le era stato reso noto;
- con il secondo di essi, deduce ulteriore eccesso di potere, per non avere il decreto impugnato, oltretutto emesso dopo un precedente diniego, né tenuto conto del parere negativo della Provincia, né correttamente verificato quali fossero i mappali oggetto di escavazione, né tenuto conto della mancata stipula della convenzione con il Comune.
In tale ricorso 1140/08, hanno resistito la Regione, con atto 11 febbraio 2009 e memoria 7 gennaio 2010, e Tomaso Sisti, qui controinteressato, con atto 6 ottobre 2009 e memoria 4 gennaio 2011, i quali ne hanno chiesto la reiezione. La Regione ha comunque puntualizzato che il proprio provvedimento deve intendersi come relativo al mero aspetto della commercializzazione, e pertanto che la sua efficacia sta e cade con quella del permesso di costruire 5/2007; ha quindi evidenziato come ogni diverso aspetto, di compatibilità paesistica e urbanistica, del progetto sia di competenza comunale. In base a ciò, la difesa Sisti ha sostenuto l’inammissibilità del ricorso per difetto di interesse, in quanto rivolto avverso un provvedimento privo di efficacia, in ragione del disposto annullamento in autotutela.
Con il ricorso principale nel procedimento 1266/08, Tomaso Sisti ha poi impugnato i residui provvedimenti lesivi di cui si è detto, ovvero le ordinanze di sospensione lavori 9 agosto 2008 n°1993 e di rimessione in pristino 24 settembre 2008 n°2001; si duole poi, con il medesimo ricorso, del silenzio sulla sua istanza 7 agosto 2008, volta ad ottenere la stipula della convenzione necessaria a commercializzare gli inerti, silenzio che a suo dire integrerebbe un silenzio inadempimento. A parte ciò a sostegno della domanda di annullamento proposta con il ricorso principale, deduce sei complesse censure, riconducibili secondo logica ai seguenti nove motivi:
- con i primi sei motivi, deduce motivi identici a quelli proposti nel ricorso 1028/08, prospettandoli come denuncia di vizi di illegittimità delle ordinanze in parola derivati dall’asseritamente illegittimo annullamento del permesso di costruire 5/2007;
- con il settimo motivo, deduce violazione dell’art. 3 della l. 241/1990, in quanto le ordinanze in parola non motiverebbero circa l’interesse pubblico che sosterrebbe provvedimenti repressivi di opere abusive realizzate nel 2007, ovvero in epoca a suo dire risalente;
- con l’ottavo motivo, deduce violazione degli artt. 27 e 31 del T.U. 6 giugno 2001 n°380 nonché dell’art. 36 comma 3 della l. r. Lombardia 14 marzo 2008 n°4, applicabile all’epoca dei fatti. In proposito, premette che a sostegno delle ordinanze di sospensione e di demolizione il Comune ha posto non solo l’annullamento in via di autotutela del permesso di costruire 5/2007, ma anche l’asserita illegittimità di ogni scavo nell’area in parola, ove come nella specie effettuato prima di avere ottenuto l’autorizzazione regionale a commercializzare gli inerti. In proposito, afferma allora come l’autorizzazione in parola, peraltro da lui ottenuta con il citato decreto regionale 4 agosto 2008 n°8618, dovesse intendersi non come condizione di legittimità dei lavori, ma come solo eventuale, dovuta qualora si fosse inteso commercializzare gli inerti in parola, anziché utilizzarli in altro modo. In tal senso, afferma quindi che la mancata stipula della convenzione relativa doveva considerarsi irrilevante ai fini dell’esecuzione dei lavori; in ordine alla stessa, come si è detto, ha peraltro fatto valere il silenzio inadempimento;
- con il nono motivo, deduce infine ulteriore violazione dell’art. 31 del T.U. 380/2001, nel senso che il Comune, nel sanzionare il mancato rispetto dell’ordinanza di rimessione in pristino con l’acquisizione gratuita al patrimonio comunale anche di un’area “necessaria per analoghi interventi”, avrebbe colpito anche aree non interessate dai presunti abusi.
Con separata istanza 12 dicembre 2008, il ricorrente ha poi chiesto la sospensione delle ordinanze impugnate.
Nel ricorso principale del procedimento 1266/08 in parola, il Comune di Travagliato ha resistito con memoria 5 gennaio 2009, nella quale ha eccepito in via preliminare l’irricevibilità del ricorso per tardività in ordine all’ordinanza di sospensione lavori e nel merito ha chiesto che il ricorso stesso sia respinto, deducendo anzitutto considerazioni analoghe a quelle fatte valere nel ricorso 1028/08; allegando poi l’esito di successivi accertamenti, eseguiti a sua cura da un geologo, certa dott. Ziliani, dai quali emergerebbe la “fragilità ambientale” dell’area interessata (memoria Comune cit. p. 9 e doc. 14 bis dello stesso nel ricorso 1266/08, copia relazione tecnica dott. Ziliani), nonché una nota del Consorzio bonifica Sinistra Oglio, dalla quale (doc. 23 Comune in ricorso 1266/08, copia di essa) risulta che il Consorzio non avrebbe mai alienato il canale sito sul mappale 122.
Con memoria 8 gennaio 2009, Tomaso Sisti replicava, sostenendo l’irrilevanza dei suddetti accertamenti, in quanto non tradotti in provvedimenti formali.
Con ordinanza 9 gennaio 2009 n°47, il T.A.R. accoglieva l’istanza cautelare, in termini e con motivazioni analoghi a quelli di cui all’ordinanza 13 novembre 2008 n°789.
Sulla scorta delle descritte ordinanze cautelari, Tomaso Sisti decideva quindi di proseguire la realizzazione del suo progetto, e in data 19 febbraio 2009 indirizzava al Comune una diffida “ad attivarsi entro e non oltre 15 giorni… per l’acquisizione delle aree” di cui alla convenzione urbanistica 4 aprile 2007, offrendo di versare in via contestuale il contributo da essa previsto. A fronte del silenzio del Comune, Sisti si attivava dapprima per acquistare talune delle aree a suo avviso interessate dal progetto; poi, ritenendo eccessivo il prezzo richiestogli per altre aree, con successivo atto 23 luglio 2009, rendeva noto al Comune che avrebbe provveduto “a riprendere i lavori a suo tempo avviati” e a “successivamente presentare una variante progettuale tale da escludere le aree di proprietà di terzi che risultassero eventualmente ricomprese, restando comunque disponibile a realizzare l’area a parco non appena il Comune acquisirà le aree necessarie”.
A fronte di ciò, lo stesso Sisti riceveva, con l’atto meglio indicato in epigrafe, diffida a non riprendere i lavori, motivata con la mancanza delle condizioni per realizzare l’intervento, così come precisate dalle ordinanze cautelari; in proposito, il Comune chiariva la propria volontà di evitare i rischi ambientali insiti nel progetto, così come delineati nella relazione Ziliani, precisava che non sarebbe stato né nelle clausole della convenzione urbanistica 4 aprile 2007 né comunque nelle proprie intenzioni concorrere all’onere di acquisto delle aree non di proprietà e riteneva non praticabile una variante al progetto.
A fronte di tale diffida, ritenuta atto di natura provvedimentale, Tomaso Sisti proponeva il primo ricorso per motivi aggiunti, depositato il 2 dicembre 2009 e articolato in un unico complesso motivo di eccesso di potere, nel senso di ritenere, in sintesi estrema, l’operato del Comune mosso da un aprioristico intento di fermare il progetto.
Resisteva il Comune, con memoria 15 dicembre 2009; nella stessa, eccepiva in via preliminare l’inammissibilità dell’impugnazione per il carattere non provvedimentale della diffida; nel merito, ribadiva la correttezza del proprio operato
Con ordinanza 18 dicembre 2009 n°790, il T.A.R. respingeva l’istanza cautelare, e ribadiva come nelle more dovesse “rimanere efficace l’ordine di non proseguire i lavori, in modo che non sia alterato irreversibilmente lo stato dei luoghi”.
Con successiva istanza depositata il 21 maggio 2010, e con memoria 22 giugno 2010 Tomaso Sisti chiedeva allora al T.A.R. la revoca ovvero modifica di tale pronuncia cautelare, allegando di avere nelle more acquisito la proprietà di tutte le aree destinate a realizzare il progetto
Si opponeva il Comune, con memoria 22 giugno 2010, nella quale osservava come l’avvenuta acquisizione della proprietà delle aree, quand’anche avvenuta, fosse da ritenere ormai tardiva, dato che il permesso di costruire era comunque scaduto il 13 aprile 2010, e che il Comune stesso ne aveva denegato la proroga.
Tale diniego, in particolare, motiva con riguardo ad una serie articolata di ragioni. In primo luogo, l’amministrazione solleva dubbi con riferimento all’effettiva acquisizione delle aree di cui ai mappali 43, 44, 35 e 36, nonché di quelli necessari ad eseguire le opere di urbanizzazione; evidenzia poi come, a tutto concedere, l’acquisizione di tali aree sia comunque avvenuta in prossimità della scadenza del permesso di costruire, sì che la mancata ultimazione delle opere non si potrebbe ricollegare a causa non imputabile al titolare. In secondo luogo, l’amministrazione evidenzia come la proroga richiesta non sia assistita da alcuna delle ragioni che la giustificano ai sensi dell’art. 15 del T.U. 380/2001, essendo generico il riferimento alla mole dell’opera da parte di Sisti, e potendosi dubitare che la stessa fosse di per sé realizzabile nei termini in origine previsti. In terzo luogo, l’amministrazione fa presente che a suo avviso si applicherebbe all’intervento in corso una disciplina regionale sopravvenuta, quella di cui alla D.G.R. 30 dicembre 2008 n°VIII/8830, la quale fa divieto di realizzare bacini per piscicoltura e pesca sportiva la cui profondità, come nella specie, superi i cinque metri. In quarto luogo, l’amministrazione richiama il rischio ambientale, connesso alla particolare sensibilità del sito, sul quale tutte le ordinanze cautelari facevano salvi i poteri di approfondimento dell’indagine. In quinto luogo, l’amministrazione fa presente che, a suo avviso, in forza di una norma antecedente al permesso di costruire, ovvero la D.G.R. 28 novembre 2006 n°VIII/3367, l’intervento in esame si sarebbe dovuto comunque sottoporre a procedura di VIA, in quanto esteso ad una superficie di escavo maggiore di 20 ettari. Negli ultimi due paragrafi dell’atto, l’amministrazione richiama infine la mancanza della concessione provinciale per l’utilizzo delle acque e le note questioni in ordine alla commercializzazione degli inerti.
Con ordinanza 24 giugno 2010 n°126, il T.A.R. riuniva i ricorsi, fissava l’udienza pubblica per la trattazione del merito e disponeva istruttoria sugli aspetti ambientali del progetto, ordinando alla Provincia di Brescia, alla locale ARPAV e al Consorzio Sinistra Oglio di produrre relazioni, pervenute rispettivamente il 25 ottobre, 14 ottobre 2010 e 26 gennaio 2011.
Nelle more -con il secondo ricorso per motivi aggiunti, depositato il 22 settembre 2010- Tomaso Sisti impugnava anche il citato diniego di proroga del permesso di costruire di cui si è detto, articolando a sostegno sette censure, corrispondenti in ordine logico ai seguenti otto motivi:
- con il primo di essi, premesso che a suo dire il provvedimento in esame rivestirebbe duplice natura, di declaratoria della decadenza del permesso di costruire 5/2007 e di diniego di proroga dello stesso, deduce violazione dell’art. 7 della l. 241/1990, nel senso che l’avviso di inizio del procedimento sarebbe stato necessario per disporre la decadenza;
- con il secondo motivo, deduce violazione dell’art. 15 del T.U. 380/2001, in quanto nel dichiarare la suddetta decadenza, il Comune non avrebbe potuto riesaminare la legittimità dell’originario permesso;
- con il terzo motivo, deduce ulteriore violazione del citato art. 15, nel senso che il ricorrente si sarebbe effettivamente procurato la disponibilità delle aree oggetto dell’intervento, e che comunque ciò sarebbe stato ininfluente per la validità del permesso;
- con il quarto motivo, deduce violazione del DPR 12 aprile 1996, nel senso che l’opera non sarebbe comunque soggetta a VIA;
- con il quinto motivo, deduce eccesso di potere per travisamento del fatto, nel senso che la concessione provinciale per l’uso delle acque si renderà, se mai, necessaria all’avvio dell’attività di piscicoltura;
- con il sesto motivo, deduce ancora violazione degli artt. 15 del T.U. 380/2001 e dell’art. 36 comma 3 della l. r. Lombardia 4/ 2008, nel senso che l’autorizzazione a commercializzare gli inerti riguarderebbe una semplice eventualità, e non sarebbe presupposto di legittimità o di efficacia del permesso di costruire;
- con il settimo motivo, deduce eccesso di potere per essere non applicabile alla fattispecie, ma solo ai nuovi interventi, la disciplina restrittiva regionale concernente i bacini per piscicoltura;
- con l’ottavo motivo, deduce infine ulteriore violazione dell’art. 15 del T.U. 380/2001, nel senso che la mancata ultimazione delle opere nel termine sarebbe dipesa da fatto del Comune.
Riuniti i tre diversi ricorsi, il T.A.R. si pronunciava con la sentenza oggi appellata. In essa, il giudice di prime cure, dichiarato inammissibile il ricorso proposto dal Comune, in parte respingeva ed in parte dichiarava inammissibili i ricorsi proposti dalla parte privata, sottolineando la fondamentale correttezza dell’operato della pubblica amministrazione, in relazione all’esistenza dei presupposti per l’autoannullamento del permesso di costruire originariamente rilasciato.
Contestando le statuizioni del primo giudice, la parte appellante evidenzia l’errata ricostruzione in fatto ed in diritto operata dal giudice di prime cure, riproponendo le censure già avanzate in primo grado.
Nel giudizio di appello, si è costituito il Comune di Travagliato Regione Lombardia, chiedendo di dichiarare inammissibile o, in via gradata, rigettare il ricorso.
All’udienza del 27 settembre 2011, l’esame dell’istanza cautelare veniva rinviato al merito.
Alla pubblica udienza del 28 febbraio 2012, il ricorso è stato discusso ed assunto in decisione.
DIRITTO
1. - L’appello non è fondato e va respinto per i motivi di seguito precisati, ripercorrendo le ragioni dedotte in appello che, a loro volta, seguono l’esposizione seguita dal giudice di prime cure.
2. - Con il primo motivo di diritto, vengono censurate le considerazioni contenute nei capi sub 2 – 7 della sentenza impugnata, lamentando l’erroneità nella sentenza nella parte in cui ha ritenuto sufficiente la comunicazione dell’avvio del procedimento di annullamento del permesso di costruire, dato con nota del 18 agosto 2008, anche con riferimento al successivo provvedimento del 4 settembre 2008, senza tener conto della circostanza che il secondo provvedimento era motivato in maniera diversa e più articolata ed esaustiva.
Il Comune di Travagliato risulta, infatti, aver inviato a Tomaso Sisti una comunicazione, datata 21 luglio 2008, inerente all’avvio del procedimento per l’annullamento in via di autotutela del permesso di costruire n°5/2007 prot. n°6122 del giorno 11 aprile 2007, fondata sulla lesione delle competenze del Consiglio comunale in merito al rilascio del permesso in parola. Avverso tale avviso, l’attuale appellante presentava osservazioni, in data 8 agosto 2008, al protocollo comunale, evidenziando la mancanza dei presupposti per l’adozione di tale provvedimento.
Tale presupposto documentale, a parere dell’appellante, legittimerebbe quindi il Comune unicamente nell’emanazione dell’atto 18 agosto 2008 prot. n°13043, che concerne il profilo della lesione della competenza consiliare, mentre non sarebbe idoneo a legittimare il successivo atto 4 settembre 2008 prot. n°13715, attinente ad altri profili di illegittimità del permesso di costruire in scrutinio.
2.1. - La doglianza non può essere condivisa.
Come evidenziato dal giudice di prime cure, i due diversi atti emanati dal Comune non appartengono a sequenze procedimentali distinte, ma sono componenti dell’unica fase di emanazione del provvedimento di autotutela principalmente gravato, in cui il profilo motivazionale diverso è conseguenza della più accurata ponderazione dell’amministrazione, susseguente anche all’esame delle osservazioni proposte dalla parte oggi appellante.
Il possibile scostamento tra i contenuti dell’avviso di avvio del procedimento e quelli del provvedimento finale non rappresenta un elemento patologico del sistema, ma dimostra al contrario come l’amministrazione, lungi dal porre in essere una condotta solo formalmente osservante della posizione del privato, abbia agito alla ricerca degli elementi istruttori, acquisiti anche in via collaborativa o oppositiva dalla controparte, ai fini dell’individuazione del miglior assetto degli interessi.
La vicenda in esame, illuminata dai due precedenti di questo Consiglio, evocati dal T.A.R. e, contrariamente a quanto si afferma in ricorso, ampiamente applicabili alla questione (Consiglio di Stato, sez. V, 1 ottobre 2010 n. 7267; id., sez. VI, 6 maggio 2008 n. 2009), sottolinea come l'amministrazione stessa possa ben emettere un provvedimento finale anche diverso da quello preannunziato. Il limite dell’azione amministrativa è quindi quello dell’aderenza tra atto di avviso e atto finale, ma con un’aderenza non riferita all’integrità dei rispettivi contenuti (perché così si renderebbe inutile l’intera fase partecipativa ed istruttoria, trasformando l’atto di avvio in un mero adempimento formale), ma solo in rapporto agli elementi caratterizzanti la fase procedimentale, con particolare riferimento all’identità tra effetti preannunciati e poi effettivamente realizzatisi, secondo il canone aggiornato della tipicità del provvedimento.
In sintesi, tra atto preannunciato con l’avviso di avvio del procedimento ed atto effettivamente emesso deve sussistere un rapporto di congruità, non di identità, tra gli elementi essenziali, in modo che, da un lato, il provvedimento finale non rappresenti un esito imprevedibile del procedimento correttamente comunicato e, dall’altro, sussistano spazi per l’accoglimento delle risultanze istruttorie emerse. Il che implica, in merito alla motivazione in quanto componente del più generale requisito della forma dell’atto, che questa debba esistere e dare ragione dell’iter giuridico fattuale posto alla base del provvedimento, senza che debba fondarsi sugli stessi elementi addotti in sede di comunicazione iniziale di avvio.
3. - Con il secondo motivo di diritto, si censura la mancata considerazione delle doglianze in merito al presunto sviamento di potere, in considerazione della chiara natura politica degli atti adottati.
3.1. - L’assunto non ha pregio.
Occorre evidenziare come l’eventuale ritorsione politica, accampata come ragione di illegittimità da parte dell’appellante, in tanto giustifica una sua valenza processuale in quanto si fondi su ragioni oggettivamente emergenti dalla fattispecie in giudizio. Essa postula quindi il previo riconoscimento dell’illegittimità degli atti gravati, atteso che, se un atto fosse stato correttamente emesso, ancorché avente un contenuto lesivo, non potrebbe certamente essere espunto dall’ordinamento.
Quindi, la prospettazione dell’appellante, come disancorata dalla previa dimostrazione della non conformità al diritto degli atti impugnati, configura un vizio argomentativo, noto agli studi di retorica come petitio principi, che implica il dare per dimostrato quello che invece è ancora oggetto di prova.
Per tali ragioni, le censure dedotte sono state correttamente respinte dal giudice di prime cure, con argomentazione del tutto condivisa dalla Sezione.
4. - Con il terzo motivo di diritto viene dedotta l’erroneità della sentenza per mancata considerazione dell’insussistenza delle condizioni legittimanti il potere di annullamento di ufficio. Nel dettaglio, l’appellante si sofferma sulle singole ragioni ricordate in sentenza, sostenendone l’infondatezza.
4.1. - Le doglianze non hanno pregio.
Occorre sinteticamente ricordare che il T.A.R. della Lombardia, premesso un condivisibile rinvio alle ragioni che fondano, sulla base dell’art. 21 novies comma 1 della legge sul procedimento, la possibilità di annullamento d'ufficio, ha sottolineato come, nel campo dei titoli abilitativi edilizi, queste vadano a comprendere essenzialmente l’allegazione del vizio inficiante il titolo edilizio, ponendo in ombra il profilo dell’attualità dell’interesse alla rimozione, atteso che, in materia di tutela del territorio e dei valori correlati come l’ambiente e il paesaggio, questo sia in linea astratta prevalente rispetto all’aspirazione edificatoria del privato.
Su questa base, il T.A.R. ha annullato il permesso di costruire evidenziando come lo stesso non fosse stato emesso in relazione ad un intervento edilizio sul territorio, attesa anche l’impossibilità di identificare gli elementi fattuali del progetto almeno in ragione della sua dislocazione confusa, ma avesse un contenuto accessorio e dipendente all’attività di commercializzazione di inerti che, anziché assumere una valenza eventuale e secondaria, era di fatto la ragione intrinseca del titolo abilitativo rilasciato.
Le due ragioni fondanti della considerazione del giudice di prime cure vanno integralmente confermate anche in grado di appello.
In primo luogo, ed in merito al rapporto tra i due diversi titoli, l’appellante evidenzia l’inconferenza dell’autorizzazione regionale alla commercializzazione degli inerti, attenendo al mero riutilizzo dei prodotti di scavo e quindi susseguente al rilascio dell’attività di escavazione secondo gli strumenti ordinari. In tal modo, l’autorizzazione regionale non influiva sul permesso di costruire.
Occorre tuttavia evidenziare come, nel concreto assetto degli interessi, la commercializzazione del materiale estratto dai relativi scavi fosse stata pienamente considerata nell’ambito del rilascio del permesso di costruire 5/2007, come ben ha evidenziato il primo giudice, indicato gli elementi testuali di raffronto contenuti nella seconda pagina del permesso in questione. Pertanto, quand’anche fosse accoglibile la ricostruzione della vicenda nei termini indicati in appello, dove si evidenzia l’applicabilità della disciplina del testo unico ambientale, questo inciderebbe sulle altre ragioni dedotte dal giudice di prime cure, che sono di carattere induttivo (sebbene l’ultima, di carattere economico e basata sul diverso valore delle attività, abbia un contenuto molto penetrante), ma non inficerebbe la ragione testuale esaminata e non contestata.
Il rapporto funzionale tra i due diversi provvedimenti deve quindi ritenersi esistente.
In merito invece all’inesatta e confusa delimitazione dell’area di intervento, fatto che appare del tutto palese dalla documentazione (afferma correttamente il giudice di prime cure: “Il progetto per cui è causa è localizzato su mappali sempre diversi, che mutano a seconda che si considerino il permesso di costruire, i disegni ad esso allegati, e gli atti successivi”) e non smentito in grado di appello, afferma la parte appellante che una tale oggettiva discordanza avrebbe potuto condurre al massimo l’amministrazione ad un approfondimento istruttorio.
L’asserzione è esatta in astratto, ma inconferente in relazione alla fase procedimentale in esame.
Infatti, l’approfondimento istruttorio ha senso nella fase costitutiva del titolo abilitativo. In quel momento, è onere dell’amministrazione riscontrare l’esistenza delle ragioni poste a fondamento dell’istanza del privato, quali elementi che legittimano il rilascio del titolo stesso.
Nella vicenda in esame, invece, si assiste ad un procedimento di secondo grado che esamina la legittimità dell’originario permesso di costruire, permesso che è stato rilasciato proprio in assenza di quell’approfondimento istruttorio di cui si lagna la parte appellante.
L’amministrazione si è quindi trovata di fronte ad un provvedimento carente, oggettivamente mancante dei dati necessari al suo rilascio, e quindi palesemente illegittimo. L’annullamento era quindi del tutto necessario, anche al fine di permettere, come richiesto dall’atto di appello, l’attivazione dei poteri istruttori connaturati, si ripete, alla sola fase di rilascio del titolo e quindi in sede di un’eventuale riproposizione dell’istanza.
L’annullamento del titolo aveva quindi una duplice ragione: da un lato, il sostanziale sviamento di potere che ne aveva determinato il rilascio; dall’altro, l’inesatta indicazione dell’oggetto dell’intervento, ai sensi degli artt. 10 e 11 comma 1 del T.U. 6 giugno 2001 n. 380.
Tali elementi rendono superflua la valutazione degli altri profili illustrati in appello che, quand’anche fondati, non escluderebbero l’illegittimità del permesso di costruire rilasciato.
In merito invece all’esistenza dell’interesse pubblico all’eliminazione dell’atto illegittimo dal mondo giuridico, ferme restando le considerazioni sulla generale recessività dell’interesse privato, va sottolineato come è l’indeterminatezza stessa del progetto a rendere del tutto irrilevanti le osservazioni fatte sulla sua compatibilità ambientale, atteso che non è dato sapere quale delle ubicazioni adottate sarà poi effettivamente realizzate.
Ed infine, in merito all’esistenza di un affidamento tutelabile, anche in relazione al tempo trascorso, la Sezione non può che ricordare come la protezione della detta situazione soggettiva passi attraverso l’accertamento di un comportamento, improntato ai canoni della lealtà e della salvaguardia tipici della buona fede, in capo al privato. Nel caso in specie, la stessa confusione nell’indicazione della localizzazione del progetto rende ardua l’identificazione di un comportamento caratterizzato da tali presupposti, rendendo impossibile la valutazione dell’affidamento del privato, sia in senso assoluto, sia in relazione al decorso del tempo (che peraltro, come analiticamente evidenziato dal giudice di prime cure, non era tale da condurre al consolidamento di alcuna posizione).
Conclusivamente, appare del tutto condivisibile la sentenza in parte qua e, conseguentemente, del tutto legittimo l’autoannullamento operato dall’amministrazione.
5. - Con il quarto motivo di diritto, rivolto contro i capi 29 – 35 della sentenza, si lamenta il mancato accoglimento della domanda di annullamento dell’ordine di sospensione dei lavori e dell’ordinanza di ripristino dello stato dei luoghi. Secondo l’appellante, il giudice avrebbe mancato di considerare come la demolizione costituisca solo l’extrema ratio, dovendosi privilegiare la possibile riedizione dell’azione amministrativa (la seconda ragione, ossia la relazione del permesso di costruire con l’autorizzazione alla commercializzazione di inerti, è stata già esaminata in precedenza).
5.1. - La doglianza non può essere condivisa.
Non vi è certamente dubbio che, sulla base del disposto dell'art. 38, d.P.R. 6 giugno 2001 n. 380 ed in relazione alla giurisprudenza dominante (da ultimo, Consiglio di Stato, sez. IV, 16 marzo 2010, n. 1535), nel caso di opere realizzate sulla base di titolo annullato, la loro demolizione deve essere considerata quale extrema ratio, privilegiando, ogni volta che ciò sia possibile, la riedizione del permesso di costruire emendato dai vizi riscontrati.
Tuttavia, nel caso in specie, ciò che appare assente è l’oggetto stesso del titolo abilitativo, come ben evidenziato dal primo giudice in relazione all’impossibilità di identificare un elemento progettuale conforme nelle diverse rappresentazioni. Appare quindi inapplicabile l’ipotesi di una rimozione dei vizi procedimentali, atteso che il profilo di illegittimità attiene all’essenza stessa del manufatto in relazione alla sua concreta dislocazione.
Deve quindi condividersi l’impostazione assunta dal T.A.R. che, nella fattispecie de qua, ha fatto riferimento al valore preminente dell’art. 31 comma 3 prima parte del T.U. 380/2001, secondo il quale “Se il responsabile dell'abuso non provvede alla demolizione e al ripristino dello stato dei luoghi nel termine di novanta giorni dall'ingiunzione, il bene e l'area di sedime, nonché quella necessaria, secondo le vigenti prescrizioni urbanistiche, alla realizzazione di opere analoghe a quelle abusive sono acquisiti di diritto gratuitamente al patrimonio del comune”.
Da questo punto di vista, l’attività del Comune appare come conseguenza direttamente derivante dalla legge.
6. - Con il quinto motivo di doglianza, relativo ai capi 36 – 38 della sentenza, si lamenta il rigetto della domanda di accertamento dell’obbligo dell’amministrazione di stipulare la convenzione accessiva all’autorizzazione regionale alla commercializzazione. La tesi viene esplicata in relazione all’irrilevanza della situazione giuridica della parte privata e dell’impossibilità per il giudice di procedere ad una riqualificazione della domanda proposta dal privato.
6.1. - La doglianza non è conferente.
Contrariamente a quanto assunto dall’appellante, la circostanza che si verta in una posizione di diritto soggettivo non è inconferente, atteso che l'impugnazione del silenzio rifiuto è inammissibile, qualora la controversia attenga a posizioni di diritto soggettivo (Consiglio di Stato, sez. V, 17 gennaio 2011, n. 210; id., 17 settembre 2010 n°6947). Tuttavia, la tutela dell'interessato deve essere fatta valere mediante l'apposita azione di accertamento, nei casi in cui, come quello in scrutinio, si verta di ambiti di giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo (Consiglio di Stato, sez. V, 6 luglio 2010, n. 4320).
Pertanto, nel caso in specie, ha effettivamente ragione l’appellante a sostenere che il giudice di prime cure, previa riqualificazione della domanda a norma dell’art. 32 comma 2 del codice del processo amministrativo, avrebbe dovuto disporre la conversione della domanda, ritenendola ammissibile.
Tuttavia, tale errore processuale non ha alcuna influenza sulla posizione sostanziale della parte, atteso che, come ben precisato dal T.A.R. lombardo, “le conseguenze ultime non muterebbero: a fronte dell’annullamento, legittimamente operato, del permesso di costruire 5/2007 e della conseguente inefficacia del decreto regionale 4 agosto 2008, Tomaso Sisti non aveva infatti titolo alcuno per pretendere la stipula della convenzione di che trattasi”.
La doglianza è quindi inconferente, atteso che non porta ad alcun risultato apprezzabile per l’appellante.
7. - Con il sesto motivo di doglianza, l’appellante ripropone i motivi, dichiarati assorbiti dal T.A.R., in merito alla mancata proroga del permesso di costruire. Trattandosi di doglianze giuridicamente conseguenti all’illegittimità dell’autoannullamento del permesso di costruire, questo non devono essere esaminate, attesa la ritenuta legittimità del provvedimento di secondo grado emesso dal Comune di Travagliato.
8. - L’appello va quindi respinto. Le spese processuali seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunziando in merito al ricorso in epigrafe, così provvede:
1. Respinge l’appello n. 6846 del 2011;
2. Condanna Tomaso Sisti a rifondere al Comune di Travagliato le spese del presente grado di giudizio, che liquida in €. 3.000,00 (euro tremila, comprensivi di spese, diritti di procuratore e onorari di avvocato) oltre I.V.A., C.N.A.P. e rimborso spese generali, come per legge.
Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del giorno 28 febbraio 2012, dal Consiglio di Stato in sede giurisdizionale – Sezione Quarta - con la partecipazione dei signori:
Giorgio Giaccardi, Presidente
Sergio De Felice, Consigliere
Diego Sabatino, Consigliere, Estensore
Guido Romano, Consigliere
Andrea Migliozzi, Consigliere
L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 17/05/2012
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)