Data: 2012-05-16 04:31:21

La sanatoria giurisprudenziale non esiste - TAR Puglia-Lecce, Sez. III, sentenza

La sanatoria giurisprudenziale non esiste - TAR Puglia-Lecce, Sez. III, sentenza 18.04.2012 n. 699

N. 00699/2012 REG.PROV.COLL.

N. 00294/2011 REG.RIC.



REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia

Lecce - Sezione Terza

ha pronunciato la presente
SENTENZA

Sul ricorso n. 294 del 2011, proposto da:
- Onofrio Roberto Taveri, rappresentato e difeso dall’Avv. Lorenzo Durano, con domicilio eletto presso lo studio dell’Avv. Giovanni Pellegrino, in Lecce alla via Augusto Imperatore 16;
contro
- il Comune di Mesagne, rappresentato e difeso dall’Avv. Anna Luisa Valente, con domicilio eletto presso lo studio dell’Avv. Giovanni Palma, in Lecce al viale Leopardi 15;
per l’annullamento
- della nota in data 22 novembre 2010, prot. n. 27886, del Responsabile del Servizio Urbanistica del Comune di Mesagne;
- di qualsiasi altro atto presupposto, connesso e/o consequenziale, e, in specie, della nota prot. n. 20337/06 dell’11 settembre 2007 e del verbale di sopralluogo in data 26 ottobre 2006.

Visto il ricorso.
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di Mesagne.
Visti gli atti della causa.
Relatore all’udienza pubblica del 12 gennaio 2012 il Cons. Ettore Manca e uditi gli Avv.ti Durano e Valente.
Osservato quanto segue.

FATTO e DIRITTO
1.- Nel ricorso si espone che:
- il sig. Taveri è proprietario, in Mesagne, al numero 19 di via Di Vittorio, di un immobile destinato a propria abitazione familiare;
- nei locali confinanti si trova un locale in passato destinato a garage e attualmente, sin dal mese di settembre del 2000, adibito al commercio di prodotti ortofrutticoli e olive;
- in data 16 aprile 2007 e in data 2 ottobre 2009 il Taveri presentava, dapprima, un esposto con il quale contestava la legittimità dell’autorizzazione al cambio di destinazione d’uso del predetto locale (n. 39 del 4 settembre 2000) e, poi, un’istanza di suo ritiro in autotutela, in specie deducendo la violazione della normativa edilizia comunale.
- il Comune ‘rispondeva’ -successivamente a un giudizio per silenzio rifiuto e alla relativa sentenza n. 2078/2010 di questo T.a.r.- con la nota prot. n. 27886 del 22 novembre 2010, nella quale, anche a seguito di apposita istruttoria, si confermava la validità della citata autorizzazione.
2.- Veniva dunque proposto il ricorso in esame, per i motivi che seguono:
A) Violazione dell’art. 10 bis l. n. 241 del 1990 ss.mm.ii.. Violazione del giusto procedimento.
B) Violazione dell’art. 35 del. r.e.c.. Violazione e falsa applicazione dell’art. 60 del p.r.g.. Eccesso di potere per difetto dei presupposti. Difetto d’istruttoria.
C) Violazione dell’art. 36 d.p.r. n. 380 del 2001. Eccesso di potere per difetto dei presupposti sotto ulteriore profilo.
3.- Tanto premesso in fatto, rileva il Collegio che il ricorso è fondato e va accolto per i motivi che di seguito si esporranno.
4.- Deve osservarsi, anzitutto, come la questione posta all’esame del T.a.r. concerna il tema dell’altezza minima richiesta dalla normativa edilizia comunale per la destinazione degli immobili a uso commerciale e, in particolare, porsi in rilievo che:
- il locale oggetto dell’autorizzazione al cambio di destinazione d’uso risulta avere un’altezza di m. 3,20;
- l’art. 35, comma 2, del r.e.c. vigente all’epoca dell’autorizzazione prevedeva che: <<i piani terra adibiti a […] negozi devono avere altezza utile netta non inferiore a m. 3,50, salvo diverse prescrizioni di norme specifiche>>;
- l’art. 60 dell’attuale regolamento edilizio, a sua volta, conferma al comma 2 che: << i piani terra adibiti a […] negozi devono avere altezza utile netta non inferiore a m. 3,50, salvo diverse prescrizioni di norme specifiche>>, ma poi aggiunge, al comma 4, che <<per gli interventi di recupero del patrimonio edilizio esistente è consentito: destinare i piani terreni aventi altezza utile netta di almeno m. 2,70 anche ad attività artigianali e/o commerciali, purchè la superficie delle finestre non sia inferiore ad 1/25 della superficie del pavimento>>.
4.1 Nel provvedimento impugnato, appunto, a tale ultima previsione di deroga faceva riferimento la p.a. nel confermare la piena legittimità del titolo edilizio oggetto di contestazione (restando invece estranei alla motivazione profili, quali quello del tempo trascorso e dell’affidamento del titolare, posti per la prima volta in sede di giudizio).
5.- Ciò esposto, deve in primo luogo evidenziarsi come il Comune trascurasse di considerare che la modifica alla normativa edilizia richiamata nel provvedimento impugnato interveniva diversi anni dopo l’emissione del titolo edilizio ‘base’ (l’autorizzazione al cambio di destinazione d’uso), e che, secondo il costante orientamento interpretativo, la sanatoria giurisprudenziale (alla quale, in definitiva, dovrebbe assimilarsi l’ipotesi di cui si controverte, con un titolo edilizio rilasciato illegittimamente ma conforme, secondo la prospettazione della p.a., alla normativa vigente al momento dell’esame successivo) non trova ormai alcuno spazio, trattandosi di istituto elaborato dalla giurisprudenza nel vigore della l. n. 10 del 1977 e in mancanza di una specifica regolamentazione legislativa ma che non ha più ragione di esistere nel vigente ordinamento, caratterizzato da una disciplina puntuale ed esaustiva delle ipotesi di condono e sanatoria edilizia (fra le ultime, T.a.r. Toscana, III, 11 febbraio 2011, n. 263).
5.1 In ogni caso, soprattutto, sul piano sostanziale, non può non evidenziarsi che la richiamata previsione derogatoria dell’art. 60, comma 4, del r.e.c. vigente (altezza minima: m. 2,70) è puntualmente circoscritta agli “interventi di recupero del patrimonio edilizio esistente” nei quali “la superficie delle finestre non sia inferiore ad 1/25 della superficie del pavimento”: nel caso de quo, invece, a fronte di siffatti, specifici e concreti presupposti, in nessun modo l’amministrazione, anche nel corso del giudizio, ne dimostrava l’effettiva sussistenza con riguardo all’immobile in parola (sussistenza, anzi, contestata dal ricorrente).
5.2 Sulla base di tutto quanto fin qui esposto l’impugnato diniego risulta in definitiva illegittimamente motivato e va, per conseguenza, annullato.
5.3 Le spese seguono la soccombenza e vengono liquidate nella somma complessiva di euro 3.000, oltre agli accessori di legge.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia, Sezione Terza di Lecce, definitivamente pronunciando sul ricorso n. 294 del 2011 indicato in epigrafe, lo accoglie.
Condanna il Comune di Mesagne al pagamento delle spese processuali, liquidate nella somma complessiva di euro 3.000, oltre agli accessori di legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Lecce, nella camera di consiglio del 12 gennaio 2012, con l’intervento dei magistrati:
Rosaria Trizzino, Presidente
Ettore Manca, Consigliere, Estensore
Gabriella Caprini, Referendario


L'ESTENSORE IL PRESIDENTE





DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 18/04/2012
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)

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