Data: 2012-05-16 04:23:43

Avvio del procedimento anche al vicino che ha fatto esposti

Avvio del procedimento anche al vicino che ha fatto esposti
(TAR Calabria, Catanzaro, Sez. I, sentenza 9.5.2012, n. 433)

N. 00433/2012 REG.PROV.COLL.

N. 01005/2010 REG.RIC.



REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Calabria

(Sezione Prima)

ha pronunciato la presente
SENTENZA

sul ricorso R.G. n. 1005 del 2010, proposto da Maria Gabriella Conocchiella, rappresentata e difesa da sé medesima, con domicilio eletto presso il proprio studio, in Vibo Marina, via Emilia, n. 54;
contro
-Comune di Vibo Valentia, in persona del Sindaco pro-tempore, non costituito in giudizio;
-Azienda Sanitaria Provinciale di Vibo Valentia, in persona del Direttore Generale pro-tempore, rappresentata e difesa dall'avv. Maria Teresa Daffinà, con domicilio eletto lo studio legale dell’ente, in Vibo Valentia, via D. Alighieri;
nei confronti di
Societa' C. & C. Sas; Giovanni Pietro Ceravolo, rappresentato e difeso dall'avv. Antonio Fusca', con domicilio eletto presso Maurizio Arabia in Catanzaro, via Turco, 83;
per l'annullamento
1) del permesso a costruire in “sanatoria” n. 1669, rilasciato dal Comune di Vibo Valentia in data 30 aprile 2010 (progetto n. 3011/V4), a favore di Ceravolo Giovanni Pietro, in qualità di legale rappresentante pro-tempore della C. & C. s.a.s.;
2) della D.I.A. “per cambio destinazione d’uso senza opere” presentata il 3.5.2010, protocollo n. 20429 , progetto n. 3011/4V, insieme alla richiesta di certificato di destinazione d’uso e di agibilità dei suddetti locali – sala ristorante con annesso bar - attestazione di agibilità dei locali in questione rilasciata dal Dirigente dell’Urbanistica del Comune di Vibo Valentia in data 5.5.2010, prot. n. 20429 del 3.5.2010;
3) di ogni atto a questi antecedente, preordinato, annesso, presupposto e consequenziale con particolare riferimento al certificato di destinazione d’uso e di agibilità ed al parere reso dall’Azienda Sanitaria Provinciale di Vibo Valentia in data 18.3.2010.

Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di Azienda Sanitaria Provinciale di Vibo Valentia e di Giovanni Pietro Ceravolo;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore, alla pubblica udienza del giorno 10 febbraio 2012, il cons. Concetta Anastasi e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:

FATTO
Con atto notificato in data 25.8.2010 e depositato in data 14.9.2010, la ricorrente, nelle qualità di proprietaria in comunione pro quota di un immobile, prospiciente la via Emilia di Vibo Marina, impugnava il permesso di costruire “a sanatoria” n. 1669 del 30.4.2010 nonché la DIA prot. n. 20429 del 3.5.2010 (progetto n. 3011/4V), inerente il cambio di destinazione d’uso del medesimo immobile, da adibire a locale ristoro, con somministrazione di alimenti e bevande, ivi compreso il parere sanitario, in relazione al fondo confinante, di proprietà dell’intimata “C. & C. sas” di Giovanni Pietro Ceravolo & C., che lo aveva, a sua volta, acquistato dal sig. Amendola Mario.
Esponeva che, sul fondo interessato dai provvedimenti impugnati, l’allora proprietario, sig. Antonio Romano, aveva realizzato dei manufatti, in relazione ai quali era emessa la sentenza n. 59 del 20-1/6-4-1993 del Tribunale di Vibo Valentia, confermata con sentenza n. 448/95 della Corte d’Appello di Catanzaro, a conclusione di un giudizio instaurato da altri confinanti, per violazione delle distanze tra edifici.
Precisava che, in pendenza del precitato giudizio civile, il signor Romano aveva venduto il suolo e la parte di fabbricato in corso di costruzione al signor Mario Amendola, il quale, a sua volta, aveva completato detta costruzione, con violazione delle distanze, come contestato con un nuovo giudizio civile, concluso con la sentenza n. 34/2001 del Tribunale di Vibo Valentia, poi confermata anche con sentenza dalla Corte d’Appello di Catanzaro n. 188 del 14.3.2009, con cui veniva imposto l’obbligo di arretramento di porzione di fabbricato, secondo le prescrizioni già imposte con sentenza n. 59/93 del Tribunale di Vibo Valentia.
Evidenziava che, sebbene con il permesso n. 270 del 13.2.2005 (progetto n. 3011/V2), la controinteressata società sarebbe stata autorizzata ad effettuare il “completamento di un fabbricato ad uso deposito, ad esclusione della rampa di accesso al solaio di copertura e previa demolizione dei pilastri sovrastanti”, sarebbero state realizzate, in realtà, opere strutturalmente e funzionalmente diverse rispetto al progetto assentito, con modifica della sagoma del fabbricato ed incremento della volumetria, con la conseguenza che la rampa di accesso sarebbe rimasta priva di titolo abilitativo edilizio e che il fabbricato sarebbe situato alla distanza di metri lineari 7 dal confine della linea della “Ferrovia dello Stato” nonché di metri lineari 13 dalla più vicina rotaia.
In particolare, rilevava che, nonostante tale fabbricato, secondo il progetto approvato con il permesso n. 270/2005, sarebbe dovuto essere “interrato per tre lati”, sarebbe stato realizzato fuori terra, come risulterebbe confermato, fra l’altro, anche dalle dichiarazioni spontanee rese dal legale rappresentante della controinteressata società, a seguito del sopralluogo del 21 luglio 2006 dei Vigili Urbani del Comune di Vibo Valentia, i quali avrebbero accertato “uno sbancamento non autorizzato… nella parte laterale destra del manufatto”, poiché sarebbe stato eliminato il terreno tra il fabbricato Conocchiella ed il fabbricato Ceravolo”, che, comunque, l’impresa controinteressata si sarebbe impegnata ad eliminare, mediante la realizzazione di uno scannafosso laterale destra (senza poi adempiere).
La ricorrente esponeva che, pertanto, sarebbe stata costretta ad avviare il giudizio R.G. n. 1142/2008 davanti al Tribunale di Vibo Valentia, al fine di ottenere l’ordine di ripristino dello stato dei luoghi, l’arretramento della porzione di fabbricato di sua proprietà alle distanze previste dal vigente strumento urbanistico nonché la demolizione e l’eliminazione delle opere realizzate in violazione della normativa in materia di distanze rispetto all’immobile Conocchiella, tenendo conto sia delle distanze dal confine interno e sia delle distanze previste tra i due fabbricati.
Avverso gli atti epigrafati, svolgeva i seguenti motivi di diritto:
1) violazione degli articoli 7, 8 e 10 della legge 7.8.1990, n. 241 e successive modificazioni ed integrazioni con riferimento anche alla legge 11.2.2005 n. 15, alla legge 14.5.2005, n. 80 nonché a tutti i principi regolatori del procedimento amministrativo. Ulteriore “anomalia e contraddittorietà; violazione del principio della trasparenza dell’azione amministrativa”;
Il Comune di Vibo Valentia, prima di emettere il permesso di costruire in sanatoria, avrebbe dovuto comunicare alla parte ricorrente l’avvio del procedimento ai sensi dell’articolo 7 della legge 7.8.1990 n. 241, con indicazione del nominativo del responsabile del procedimento.
2) prospettazione inappropriata, sostanzialmente lacunosa e fuorviante della situazione. Mancanza assoluta di istruttoria e di motivazione. Violazione di legge. Eccesso di potere . Manifesta ingiustizia. Travisamento dei fatti e degli atti. Contraddittorietà. Sviamento di potere. Violazione delle norme regolamentari del Comune – art. 39 - che prevede che i piani seminterrati – quello di cui si discute era interrato per tre lati – non possono essere destinati per attività commerciali ed abitazioni;
Con il permesso n. 270/2005, la parte controinteressata avrebbe realizzato, anziché il semplice completamento di un fabbricato ad uso deposito, delle “opere strutturalmente e funzionalmente diverse da quelle autorizzate e comunque “non sanabili”, a causa, non solo della violazione delle distanze, ma anche della modifica della sagoma del fabbricato, che, anziché essere interrato per tre lati, sarebbe stato realizzato “fuori terra”, anche al fine di creare l’intercomunicazione e lo sviluppo della parte interna con quella esterna del locale, che si sarebbe estesa fino al fabbricato della ricorrente, creando un vero e proprio “sconvolgimento dell’assetto dell’area”. Sarebbero state violate alcune NTA del piano regolatore generale del Comune di Vibo Valentia, che imporrebbero una distanza minima di m. 5,00 dal confine; di m. 10,00 tra i fabbricati oppure il rapporto 1 a 1 nel caso di fabbricati con altezza superiore a metri 10,00 .L’avvenuto cambio di categoria edilizia non sarebbe stato seguito da un adeguamento dei carichi urbanistici e dalle relative dotazioni di standards –parcheggi, che avrebbe potuto anche comportare l’obbligo di pagamento degli ulteriori oneri di urbanizzazione. Infine, l’illegittimità dell’operato della P.A. emergerebbe anche dal contrasto con la diffida a non continuare i lavori del 13.3.2008 n. 11565, che avrebbe impedito il perfezionamento della DIA presentata il 18.2.2008.
3) mancanza assoluta di attività istruttoria. Mancanza assoluta di motivazione. Illogicità manifesta;
La P.A., prima di emanare il permesso di costruire in sanatoria, avrebbe dovuto espletare adeguata istruttoria al fine di valutare l’effettivo stato dei luoghi, considerando le difformità rispetto alla rappresentazione planimetrica del progetto del fabbricato preesistente, l’effettiva situazione dei luoghi (descritta nell’atto di diffida del Comune di Vibo Valentia prot. n. 11565 del 13.3.2008, secondo cui “sussiste contrasto tra area occupata e la planimetria catastale”), ed anche tenendo conto dei vari giudizi intrapresi davanti al G.O. dai vari confinanti, etc..
4) mancanza di idoneo parere sanitario da parte dell’Azienda Sanitaria Provinciale di Vibo Valentia. Incompetenza del parere reso in data 18.3.2010 dal responsabile del procedimento: manca la firma del “Direttore” e quindi la doppia firma. Violazione del comma 7 dell’articolo 3, della legge n. 287/91 in quanto le attività di somministrazione di alimenti e bevande vanno esercitate nel rispetto delle vigenti norme , prescrizioni ed autorizzazioni in materia edilizia , urbanistica, di igiene, nonché di destinazione d’uso dei locali ed edifici, oltre che i requisiti di professionalità dell’esercente. Contraddittorietà di pareri. Diniego decretato dal Comune di Vibo Valentia in data 18.11.2009. Violazione delle norme regolamentari del Comune – art. 39 - che prevede che i piani seminterrati – quello di cui si discute era interrato per tre lati – non possono essere destinati per attività commerciale ed abitazioni.
Vi sarebbe contrasto con il parere negativo reso con nota prot. n. 2665/Spisal del 12.12.2008 dell’A.S.P. di Vibo Valentia, in ordine al cambio di destinazione d’uso del fabbricato in questione da magazzino a locale ristoro e somministrazione di bevande, trattandosi di destinazione diversa rispetto a quella per la quale era stata chiesta la “sanatoria”.
5) con riferimento alla DIA, presentata al fine di ottenere “il cambio di destinazione d’uso senza opere” del locale adibito a magazzino in “ristorante”, locale ristoro con somministrazione di alimenti e bevande” : violazione T.U. n. 380/2001; violazione art. 5, D.M. n. 1444/1968; necessità della concessione edilizia o permesso di costruire in luogo della DIA in presenza di diversa categoria edilizia, di modifiche che comportano interventi di trasformazione dell’aspetto esteriore, dei volumi, delle superfici, modifiche delle opere interne ed esterne al fabbricato che hanno determinato ulteriori trasformazioni essenziali dell’immobile incidenti sulla sagoma, sui volumi, sulle superficie, distanze, struttura del locale e sul cambio di uso da magazzino a ristorante.violazione T.U. n. 380/2001; violazione art. 5, D.M. n. 1444/1968; necessità della concessione edilizia o permesso di costruire in luogo della DIA in presenza di diversa categoria edilizia, di modifiche che comportano interventi di trasformazione dell’aspetto esteriore, dei volumi, delle superfici, modifiche delle opere interne ed esterne al fabbricato che hanno determinato ulteriori trasformazioni essenziali dell’immobile incidenti sulla sagoma, sui volumi, sulle superficie, distanze, struttura del locale e sul cambio di uso da magazzino a ristorante;
Dalla stessa relazione tecnica asseverata per cambio di destinazione d’uso senza opere, presentata il 3.5.2010, si evincerebbe che tutti i lavori edilizi sarebbero stati eseguiti in totale difformità rispetto ai precedenti permessi autorizzativi .
6) mancanza di idoneo parere sanitario da parte dell’Azienda sanitaria provinciale di Vibo Valentia. Incompetenza del parere reso in data 18.3.2010 dal responsabile del procedimento: manca la firma del “Direttore” e quindi la doppia firma. Violazione del comma 7 dell’articolo 3, della legge n. 287/91 in quanto le attività di somministrazione di alimenti e bevande vanno esercitate nel rispetto delle vigenti norme, prescrizioni ed autorizzazioni in materia edilizia , urbanistica, di igiene, nonché di destinazione d’uso dei locali ed edifici, oltre che i requisiti di professionalità dell’esercente. Contraddittorietà di pareri. Diniego decretato dal Comune di Vibo Valentia in data 18.11.2009. Violazione articolo 39 delle norme regolamentari del Comune che vietano di utilizzare i locali seminterrati per destinazioni abitative e per attività commerciali;
I locali seminterrati non potrebbero essere destinati a funzioni abitative e per attività commerciali .
7)eccesso di potere sotto ogni profilo delle varie figure sintomatiche ed in particolare travisamento dei fatti presupposti. Violazione e falsa applicazione della legge n. 287/91; n. 241/90; D.M. 17.12.1992 n. 564; legge n. 447/1995; DPCM 1.3.1991; DPCPM 14.11.1997; DM 16.3.1998; art.5 D.M. 1444/1968. Inquinamento acustico: attività musicale effettuata sul terrazzo del fabbricato con valori di inquinamento sempre sopra i limiti di legge . Mancanza di rimedi fonoassorbenti. Mancanza di autorizzazione per le attività collaterali e musicali. Violazione delle disposizioni riguardanti l’attività di intrattenimento musicale e svago : infatti sussiste un uso difforme della D.I.A. Mancanza della canna fumaria ed utilizzo di una inidonea cappa aspirante con tutte le conseguenze come cattivi odori e fumo ;
Sussisterebbe un uso difforme della DIA anche in relazione alla mancanza della canna fumaria ed utilizzo di una inidonea cappa aspirante con tutte le conseguenze come cattivi odori e fumo.
7) violazione dell’articolo 32 della Costituzione, in quanto è dovere della pubblica amministrazione tutelare la salute pubblica e dei singoli che nella zona di Via Emilia di Vibo Marina rappresenta l’interesse prevalente rispetto a quello economico con esso non compatibile.
11.- Violazione di legge. Rilascio degli atti impugnati in presenza di abusi edilizi e comunque di difformità totale della struttura già esistente; violazione di legge, carenza di istruttoria, di documentazione e certificazioni inidonee al rilascio e, comunque, uso difforme delle autorizzazioni rilasciate all’esercente.
Sarebbe stato disatteso il diritto di tutela della salute della parte ricorrente, ampiamente leso da un’attività edilizia e commerciale asseritamente abusiva.
Dopo aver formulato domanda di risarcimento danni, concludeva per l’accoglimento del ricorso, con vittoria di spese.
Con memoria depositata in data 13.10.2010, si costituiva l’intimata società controinteressata e, in via preliminare, eccepiva l’irricevibilità, poiché la ricorrente sarebbe stata a conoscenza dell’attività edilizia contestata sin dal maggio 2010, allorchè l’esercizio commerciale sarebbe stato aperto al pubblico, nonché difetto di legittimazione attiva e carenza di interesse ad agire, poiché il ricorso sarebbe basato sul mero rapporti di vicinitas, senzaindicare la lesione specifica che l’esercizio commerciale avrebbe determinato nella sfera giuridica di parte ricorrente.
Nel merito, concludeva per il rigetto del ricorso, con ogni consequenziale statuizione anche in ordine alle spese.
Con memoria depositata in data 21.10.2010, si costituiva I'Azienda Sanitaria Provinciale di Vibo Valentia e chiedeva, in via preliminare, la propria estromissione dal giudizio, in quanto autorità che aveva emanato il parere igienico-sanitario del 18.3.2009, quale atto avente evidente natura endoprocedimentale.
Nel merito, ribadiva che il Comune, con Determina n. l9 del marzo 2010 del Settore 8 Pianificazione Territoriale Urbanistica, a seguito di opportune valutazioni, avrebbe inserito, per analogia, all'interno della classificazione dell’art. 34 del Regolamento Edilizio Comunale, alla Lettera A, “Bar, ristoranti, sale ritrovo e laboratori artigianali”, prescrivendo, tra l'altro, un'altezza non inferiore a m.2,70, ai sensi dell’art. 39 del Regolamento Comunale.
Con memoria depositata in data 20/01/12, parte ricorrente insisteva per il rigetto della domanda di estromissione dal giudizio, formulata dall’Azienda Sanitaria Provinciale di Vibo Valentia e delle eccezioni preliminari sollevate dalla controinteressata società.
Alla pubblica udienza del 10 febbraio 2012, il ricorso passava in decisione.
DIRITTO
1.1. La ricorrente impugna il permesso di costruire in “sanatoria” n. 1669 del 30.4.2010 (progetto n. 3011/V4), rilasciato dal Comune di Vibo Valentia alla “C. & C. s.a.s.”, la D.I.A. prot. n. 20429 del 3.5.2010, progetto n. 3011/4V) “per cambio destinazione d’uso senza opere” da deposito a ristorazione e relativo parere sanitario prot. n. 352/IP del 18.3.2010, reso dall’Azienda Sanitaria Provinciale di Vibo Valentia .
1.2. Va rigettata l’eccezione preliminare, sollevata dalla resistente società, per difetto di legittimazione attiva e carenza di interesse ad agire.
Invero, il criterio della vicinitas ed il danno risentito per la realizzazione dell'opera in (ritenuta) violazione delle distanze e del carico urbanistico della zona, integrano, rispettivamente, la legittimazione al ricorso e l'interesse concreto ed attuale, ai sensi dell’art. 100 cpc, all'impugnativa, da parte della ricorrente, proprietaria di un fondo confinante, configurando ex se una posizione qualificata e differenziata al corretto assetto del territorio, a prescindere da qualsiasi esame sul tipo di lesione che, in concreto, possa essere riconducibile alle opere compiute (ex plurimis: Cons. Stato, Sez. VI, 20 ottobre 2010, n. 7591).
Appare opportuno soggiungere – sebbene non sussista, al riguardo, specifica contestazione fra le parti- che il presente ricorso è ammissibile, pur in pendenza del giudizio R.G. n. 1142/2008 davanti al Tribunale di Vibo Valentia, proposto dall’odierna ricorrente con atto di citazione notificato alla società odierna controinteressata il 21.4.2008, al fine di ottenere l’ordine di ripristino dello stato dei luoghi, l’arretramento di porzione del manufatto alle distanze previste dal vigente strumento urbanistico nonché la demolizione e l’eliminazione delle opere realizzate in violazione della normativa in materia di distanze, in base al principio della cosiddetta “doppia tutela”, secondo cui il soggetto che assume di essere stato danneggiato dalla violazione delle norme in materia è titolare, nel contempo, sia del diritto soggettivo al risarcimento del danno od alla riduzione in pristino nei confronti dell'autore dell'attività edilizia illecita (tutelabile davanti al G.O), sia dell'interesse legittimo alla rimozione del provvedimento invalido dell'amministrazione, quando tale attività sia stata autorizzata, consentita o permessa (tutelabile davanti al G.A.) .
1.3. Va rigettata l’eccezione di irricevibilità, sollevata con memoria depositata in data 13.10.2010 dalla controinteressata società, che sostiene che la ricorrente avrebbe potuto avere piena conoscenza dei provvedimenti impugnati sin dal maggio 2010, allorchè l’esercizio commerciale sarebbe stato aperto al pubblico.
Nella specie, in cui peraltro l’eccezione di irricevibilità non viene supportata dall’indicazione della data di pubblicazione, presso l’Albo Pretorio del Comune ai sensi dell’art. 20 c.7 T.U. 380/2001, né del permesso di costruire in sanatoria e né dell’altro titolo edilizio gravato, non risulta comprovato che la ricorrente (che aveva già contestato l’attività edilizia de qua davanti al giudice civile) non si sia tempestivamente attivata per ottenere l’accesso ai documenti nel maggio del 2010, al momento dell’apertura del bar, per cui devesi ritenere che il dies a quo per la proposizione dell’odierna impugnativa debba essere ancorato alla data di ostensione dei provvedimenti impugnati, che, per alcuni, coincide con il 18.6.2010 e, per altri, con il 22.7.2010: ne consegue che la notifica del presente ricorso, avvenuta in data 25.8.2010, va ritenuta tempestiva, tenendo altresì conto della sospensione dei termini nel periodo feriale, dal 1° agosto al 15 settembre, ai sensi dell’art. 1 della legge 7.10.1969, n. 742.
1.4. Va, infine, rigettata la domanda di estromissione dal presente giudizio, formulata dalla costituita Azienda Sanitaria Regionale Provinciale di Vibo Valentia, sul presupposto dell'inammissibilità dell'autonoma impugnativa proposta avverso l’epigrafato parere igienico-sanitario.
Il Collegio non intende affatto disconoscere la natura di atto endoprocedimentale del suddetto parere igienico-sanitario, il quale, tuttavia, si qualifica come atto di giudizio presupposto, obbligatorio e vincolante per il successivo rilascio, da parte dell'Autorità Comunale, del cambio di destinazione d’uso dei locali in questione da deposito in locali destinati a sala ristorante, con annesso bar (id est: somministrazione di alimenti e bevande).
Inoltre, in mancanza di un parere positivo al riguardo, all'Autorità comunale non è dato assentire l'avvio dell’esercizio dell’attività commerciale, attesi gli effetti preclusivi e vincolanti, derivanti dal presupposto atto di riscontro tecnico dell'Autorità Sanitaria.
Invero, per gli effetti vincolanti che derivano dagli accertamenti demandati agli organismi tecnici dell'Azienda Sanitaria, l'atto con cui viene formalizzato il relativo parere si caratterizza per la sua autonoma portata lesiva e, come tale, può essere fatto oggetto di specifico sindacato di legittimità, unitamente al provvedimento finale del procedimento, poiché i suoi eventuali vizi ridondano in vizi del provvedimento terminale.
Ne consegue la piena legittimazione passiva dell'Autorità Sanitaria che ha emanato il parere, essendo, oltretutto, doverosa la relativa vocatio in ius, al fine di consentire la difesa dell’operato dei propri organi tecnici, peraltro oggetto di specifiche ed autonome censure di illegittimità, con il quinto profilo di gravame (conf. ex plurimis: Cons.Stato.: Sez.V, 6 dicembre 1999, n.2064; 31 luglio 2002, n.4088; TAR Calabria Catanzaro, 5 giugno 2001, n.905; TAR Sicilia, Palermo 27 marzo 2002, n. 842).
2.1. Con il primo mezzo, la ricorrente deduce che il Comune di Vibo Valentia, prima di emettere il permesso di costruire in sanatoria, avrebbe dovuto renderle la comunicazione di avvio del procedimento, con indicazione del nominativo del responsabile del procedimento, ai sensi dell’articolo 7 della legge n. 241/1990.
Secondo un principio generale in materia di rilascio di titoli edilizi, non sussiste identità tra le posizioni di coloro che sono legittimati ad impugnare il provvedimento finale e di coloro che hanno titolo a ricevere l'avviso del procedimento e/o che possono intervenirvi (ex plurimis: Cons. Stato Sez. VI: 12.4.2000 n. 2185 e 15.9.1999 n. 1197).
Invero, quando è proposta una domanda di concessione edilizia, il vicino del richiedente può intervenire nel corso del relativo procedimento e può impugnare il provvedimento che accolga l'istanza, ma non ha titolo per ricevere l'avviso dell'avvio del procedimento, in quanto ciò comporterebbe un inutile aggravio per la P.A., in contrasto con i principi di economicità e di efficienza dell'attività amministrativa (conf.: Cons. Stato, Sez. VI, 18.4.2005 n. 1773).
Né, nel caso di specie, risulta comprovata una posizione differenziata, che abilitava la ricorrente a ricevere detta comunicazione (per effetto della presentazione di diffide, esposti, istanze di accesso etc., intese ad evidenziare alla P.A. la supposta illegittimità dell’opera), qualificandola alla stregua di controinteressata in sede procedimentale: infatti, nella nota del Comune prot. 16362 del 15.4.2008, si indicano genericamente soltanto “ripetute denunce circa la conformità dei lavori di completamento”, senza alcun riferimento a dati ed elementi certi.
Inoltre, non vi è prova in atti che il Comune sia stato reso edotto del contenzioso civile pendente fra la ricorrente e la controinteressata società, in ordine all’attività edilizia per cui è causa.
Pertanto, la censura va rigettata.
2.2. Vanno esaminati congiuntamente il secondo ed il terzo profilo di gravame, con cui la ricorrente deduce che, rispetto al permesso n. 270 del 13.2.2005 (progetto n. 3011/V2),la controinteressata società avrebbe realizzato alcune difformità, quali la modifica della sagoma del fabbricato, che, anziché essere interrato per tre lati, sarebbe stato realizzato “fuori terra”, la creazione di un’intercomunicazione e dello sviluppo della parte interna e di quella esterna del locale, che si sarebbe esteso fino al fabbricato della ricorrente, con evidente “sconvolgimento dell’assetto dell’area”, in violazione delle distanze dai confini. Secondo l’esponente, l’avvenuto cambio di categoria edilizia non sarebbe stato accompagnato da un adeguamento dei carichi urbanistici e delle relative dotazioni di standards e parcheggi (che avrebbero potuto altresì determinare l’obbligo del pagamento degli ulteriori oneri di urbanizzazione). Inoltre, il costruendo fabbricato non rispetterebbe le distanze contemplate dalle Norme Tecniche di Attuazione del Piano Regolatore Generale del Comune di Vibo Valentia, che imporrebbero una distanza minima di m. 5,00 dal confine, di m. 10,00 tra i fabbricati, oppure il rapporto 1 a 1 nel caso di fabbricati con altezza superiore a metri 10,00 . Il carattere di antigiuridicità dell’attività edilizia contestata emergerebbe sia dalla contraddittorietà del comportamento della P.A., che, in assenza di adeguata istruttoria sullo stato dei luoghi, si sarebbe determinata diversamente rispetto a precedenti decisioni amministrative sulla medesima fattispecie, quali, fra l’altro, la diffida a continuare i lavori prot. n. 11565 del 13.3.2008, che avrebbe impedito il perfezionamento della DIA richiesta il 18.2.2008, diffida a continuare i lavori del 13.3.2008 prot. n. 11565, sia dalla mancata considerazione del contenzioso già intercorso fra la ditta Ceravolo ed i confinanti ( 3° motivo).
Va premesso che l’impugnato permesso a costruire in “sanatoria” n. 1669, rilasciato dal Comune di Vibo Valentia in data 30 aprile 2010 (progetto n. 3011/V4), in coerenza con la natura che gli è propria, regola i rapporti fra costruttore e P.A., facendo “salvi i diritti dei terzi”, con la conseguenza che i provvedimenti di concessione in sanatoria non privano i proprietari di fondi contigui del potere di fare valere la violazione delle norme sulle distanze nonché la demolizione delle opere abusive o il risarcimento del danno.
La controinteressata società ha evidenziato che le decisioni passate in giudicato, richiamate dalla ricorrente (sentenza n. 59 del 20-1/6-4-1993 del Tribunale di Vibo Valentia, confermata con sentenza n. 448/95 della Corte d’Appello di Catanzaro e sentenza n. 34/2001 del Tribunale di Vibo Valentia, confermata anche con sentenza dalla Corte d’Appello di Catanzaro n. 188 del 14.3.2009, con cui è stato imposto l’obbligo di arretramento di porzione di fabbricato secondo le prescrizioni già contenute nella sentenza n. 59/93 del Tribunale di Vibo Valentia), afferiscono a controversie instaurate da terzi confinanti e non dall’odierna ricorrente, conclundo, sostanzialmente, per la loro estraneità rispetto al’odierno thema decidendum.
Invero, argomentando a contrario dal principio stabilito dall'art. 2909 cc, si evince che l'accertamento contenuto nella sentenza non estende i suoi effetti e non è vincolante per i terzi, rispetto ai quali il giudicato può costituire un semplice indizio probatorio, sottoposto, ovviamente, al libero apprezzamento del giudice.
Tuttavia, il principio dei limiti soggettivi del giudicato non significa che i terzi non siano obbligati a riconoscere la res giudicata, stabilita tra le parti.
Infatti, il giudicato, oltre ad avere una sua efficacia diretta nei confronti delle parti, degli eredi e degli aventi causa, è dotato anche di efficacia riflessa, nel senso che la sentenza, come affermazione oggettiva di verità, produce conseguenze giuridiche nei confronti di soggetti rimasti estranei al processo in cui è stata emessa, allorquando questi siano titolari di una posizione correlata con quella definita nel processo o, comunque, di un diritto ad essa subordinato.
Ma la sentenza civile, oltre a produrre gli effetti propri del giudicato, può avere, anche rispetto ai terzi che non furono parti del giudizio, la diversa efficacia di prova documentale in ordine alla situazione giuridica che abbia formato oggetto dell'accertamento giudiziale, allorquando contenga fatti materiali incontrovertibilmente accertati .
Conseguentemente, il contenuto delle precitate sentenze del giudice civile, intervenute fra la controinteressata società ed i soggetti terzi confinanti, non può essere considerato dalla P.A. tamquam non esset, argomentando dal principio dei limiti soggettivi del giudicato, ma, al contrario, rileva quanto ai fatti oggettivi ed allo stato dei luoghi incontrovertibilmente accertati, ed a tale stregua andava valutato nel procedimento di rilascio del titolo abilitativo in sanatoria.
Nè risulta in contestazione l’assunto di parte ricorrente secondo cui la costruzione in questione si porrebbe in violazione delle Norme di Attuazione del Piano Regolatore del Comune di Vibo Valentia, che impongono una distanza minima di m. 5,00 dal confine; di m. 10,00 tra i fabbricati oppure il rapporto 1 a 1 nel caso di fabbricati con altezza superiore a metri 10,00 , in relazione ai quali nessuna spiegazione viene resa.
Inoltre, non va sottaciuto che il principio di prevenzione, di cui agli artt. 873 e segg. c.c., riguardante la disciplina privatistica dei rapporti di vicinato, non può essere invocato allorché oggetto dell'impugnazione è un provvedimento amministrativo che abbia assentito la realizzazione di una costruzione in contrasto con le disposizioni regolamentari edilizie del Comune, che, in tema di distanze fra gli edifici, prescrivono norme a tutela dell'estetica, dell'igiene e di altri interessi collettivi urbanistici affidati al Comune: di conseguenza, l'Amministrazione Comunale, che con esse abbia autolimitato il proprio potere discrezionale, non può assolutamente derogarvi in sede di rilascio di concessioni edilizie, quali che siano stati gli accordi intervenuti fra i proprietari confinanti.
Conseguentemente, sotto l’evidenziato profilo, nella specie, non possono essere ammesse violazioni delle distanze prescritte dalla normativa regolamentare comunale, riconducibili all’attività edilizia assentita con l’impugnato permesso di costruire in sanatoria n. 1669 del 30 aprile 2010 (progetto n. 3011/V4), in difformità rispetto a quanto prescritto dal precedente permesso di costruire n. 270 del 13.2.2005 (progetto n. 3011/V2), fermo restando che i suddetti titoli abilitativi edilizi sono stati rilasciati, “fatti salvi i diritti dei terzi”, che possono essere tutelati in sede civile.
Pertanto, le censure si appalesano meritevoli di positiva considerazione, particolarmente sotto il profilo del difetto di istruttoria.
2.3. Con il quarto ed il sesto motivo, la ricorrente deduce violazione del comma 7 dell’articolo 3, della legge n. 287/91, assumendo che le attività di somministrazione di alimenti e bevande non sarebbero state esercitate nel rispetto delle vigenti norme in materia edilizia, urbanistica, di igiene, nonché di destinazione d’uso dei locali ed edifici. Inoltre, nella specie, sussisterebbe contraddittorietà fra pareri resi dalla stessa Azienda Sanitaria Provinciale di Vibo Valentia .
La ricorrente evidenzia, in particolare, la contraddittorietà del parere impugnato con altro, espresso dalla medesima A.S.P., con nota prot. n. 2665/Spisal del 12.12.2008, di contenuto negativo, con riferimento all’istanza di cambio di destinazione d’uso del medesimo fabbricato da magazzino a locale ristoro e somministrazione di bevande, trattandosi di destinazione diversa rispetto a quella assentita con il titolo abilitativo edilizio. In particolare, evidenzia che:
a) con atto prot.n. 1769/Spisal del 4.11.2004, risulta essere stato reso un parere favorevole per il “completamento di un fabbricato ad uso deposito”, per contenitori e cassette nuove di polistirolo per prodotti ittici;
b) con atto prot. 914/Spisal del 20.4.2007, risulta essere stato rilasciato un successivo parere favorevole per “variante in corso d’opera per il completamento di una struttura adibita a deposito senza permanenza di personale”;
c) con atto prot. 1859/Spisal del 1.9.2008, risulta essere stato reso un “parere negativo” per il cambio di destinazione d’uso del fabbricato da magazzino a locale ristoro con somministrazione di alimenti e bevande, poiché il predetto locale non ha l’altezza prevista di metri 3,50; non vi è attinenza fra la realizzazione di spogliatoio, servizi per dipendenti ( anche servizi distinti per uomini, donne e portatori di handicap) e la destinazione d’uso a deposito prevista, non è stato specificato il tipo di utilizzo richiesto; il R.E.C. per i depositi con presenza di personale prescrive un’altezza minima di metri 3,50 (metri tre e cinquanta centimetri); i locali in oggetto hanno un’altezza interna di metri 2,94, che, all’attuale controsoffitto si riduce a metri 2,77, per cui concludeva che il suddetto fabbricato potrebbe essere utilizzato soltanto come deposito, senza permanenza di personale.
Invero, gli elementi indicati nei precedenti pareri prodotti in atti, sono sintomatici di una non conformità urbanistica e sanitaria dei nuovi locali destinati allo svolgimento dell'attività di ristorante-pizzeria, siti, rispettivamente, al piano terra ed al piano sottostrada del fabbricato, già destinati a deposito.
Orbene, ritiene il Collegio che, in sede di (ulteriore) verifica dell’idoneità igienico-sanitaria dei medesimi locali, si imponesse alla ASP di procedere anche ad un riesame di tutti gli elementi di criticità già esaminati rilevati e di dare contezza, mediante congrua esternazione motivazionale, dell’iter logico seguito per pervenire ad una nuova e difforme valutazione della fattispecie.
Inoltre, sarebbe stato opportuno valutare anche i possibili inconvenienti che lo svolgimento dell'attività di ristorazione avrebbe potuto determinare nel contesto di ubicazione dei locali adibiti all'attività di ristorazione, il cui espletamento è certamente suscettibile di determinare negativa incidenza sulle condizioni di vita e della salute degli abitanti degli edifici limitrofi, per rumori ed immissioni varie, etc...
Invece, nella specie, la carenza di motivazione dell’impugnato parere sanitario, seguito ad altro precedente negativo, che ne acclarato gravi elementi di criticità, costituisce, ad avviso del Collegio, anche un evidente sintomo di carenza istruttoria, non dandosi neanche atto delle eventuali modifiche intervenute, che possano aver indotto l’organo procedente ad una diversa valutazione delle condizioni dei luoghi.
Pertanto, le censure meritano adesione.
3.1. La riconosciuta fondatezza della dedotta censura, quantomeno sotto il profilo della carenza di motivazione e di istruttoria, comporta ex se l’annullamento dell’impugnato parere sanitario e del perfezionamento dell’epigrafata D.I.A. “per cambio destinazione d’uso senza opere”, presentata il 3.5.2010, protocollo n. 20429 ( progetto n. 3011/4V).
3.2. Considerato che l’accoglimento delle superiori censure comporta la rimozione ab origine degli impugnati provvedimenti, possono essere dichiarati assorbiti gli ulteriori profili di gravame svolti.
4. Va, infine, rigettata la domanda risarcitoria, poiché il risarcimento del danno non è una conseguenza automatica e costante dell'annullamento giurisdizionale, ma richiede la positiva verifica, oltre che della lesione della situazione soggettiva di interesse tutelata dall'ordinamento, anche della sussistenza della colpa o del dolo dell' Amministrazione e del nesso causale tra l'illecito e il danno subito, non potendosi peraltro ricondurre soltanto all’agire dell’Amministrazione i danni per le immissioni lamentate dalla ricorrente, che potranno essere fatte valere in altra sede.
In definitiva, il ricorso si appalesa fondato e va accolto e, per l’effetto, vanno annullati in parte qua, per quanto di interesse, gli impugnati provvedimenti.
La complessità della fattispecie consiglia di disporre l’integrale compensazione delle spese e degli onorari del presente giudizio.
P.Q.M.
il Tribunale Amministrativo Regionale per la Calabria (Sezione Prima), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l’effetto, annulla gli impugnati provvedimenti nei sensi e nei limiti di cui in motivazione.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Catanzaro nella camera di consiglio del giorno 10 febbraio 2012 con l'intervento dei magistrati:
Giuseppe Romeo, Presidente
Concetta Anastasi, Consigliere, Estensore
Anna Corrado, Referendario


L'ESTENSORE IL PRESIDENTE





DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 09/05/2012
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)

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