Sanatoria giurisprudenziale: un istituto oramai superato - Cons. Stato Sez. VI, Sent., (ud. 11 luglio 2019) 9 settembre 2019, n. 6107
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Pubblicato il 09/09/2019
N. 06107/2019REG.PROV.COLL.
N. 01015/2018 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1015 del 2018, proposto da Milito Pietro, rappresentato e difeso dall’avvocato Marcello Fortunato, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Sara Di Cunzolo in Roma, via Aureliana, n. 63;
contro
il Comune di Salerno, in persona del Sindaco in carica, rappresentato e difeso dagli avvocati Luigi Mea e Maria Grazia Graziani, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Antonio Brancaccio in Roma, via Taranto, n. 18;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. CAMPANIA - SEZIONE STACCATA DI SALERNO, SEZIONE I, n. 1696/2017, resa tra le parti e concernente: diniego di condono edilizio e ordinanza di demolizione;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di Salerno;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore, nell’udienza pubblica del giorno 11 luglio 2019, il consigliere Bernhard Lageder e uditi, per le parti, gli avvocati Stefano Isidori, per delega di Marcello Fortunato, e Maria Grazia Graziani;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. Con la sentenza in epigrafe, il TAR per la Campania - Sezione staccata di Salerno respingeva il ricorso n. 1476 del 2017, proposto da Milito Pietro avverso il provvedimento n. 91681 del 30 maggio 2016 del Comune di Salerno – con il quale era stata respinta l’istanza di condono edilizio presentata il 16 novembre 2004 in relazione alla realizzazione abusiva di un manufatto in cemento armato a due piani ubicato in Salerno, Via Cupa San Martino, di cui il piano interrato delle dimensioni di m 7,80 x m 8,00 x m 2,60 a destinazione non residenziale e il piano rialzato delle dimensioni di m 7,80 x m 8,00 x m 2,80 a destinazione residenziale –, motivato dalla mancata ultimazione dei lavoro entro la data del 31 marzo 2003, nonché avverso il successivo provvedimento di demolizione n. 4/2016 del 16 giugno 2016.
Il TAR respingeva sia le censure di natura procedimentale sia quelle di merito dedotte avverso il provvedimento di diniego, escludendo in particolare la configurabilità della formazione del silenzio-assenso sull’istanza di condono (ostandovi la previsione di cui all’art. 7 l. reg. Campania 18 novembre 2004, n. 10) e ritenendo, alla luce delle risultanze della documentazione acquisita al giudizio, segnatamente del verbale delle Polizia Municipale del 2 agosto 2004, che l’opera non potesse considerarsi ultimata entro la data del 31 marzo 2003, rilevante ai fini dell’applicabilità del c.d. terzo condono edilizio di cui al d.-l. n. 269/2003 convertito nella legge n. 326/2003, affermando di conseguenza la legittimità del gravato atto di diniego. Il TAR respingeva altresì i motivi dedotti avverso l’ordinanza di demolizione sub specie di violazione dell’art. 7 l. n. 241/1990 e di eccesso di potere per difetto di motivazione, rimarcandone la natura vincolata e richiamando l’insegnamento di cui alla sentenza n. 9/2017 dell’Adunanza Plenaria.
2. Avverso tale sentenza interponeva appello l’originario ricorrente, sostanzialmente riproponendo le censure di primo grado, seppur adattate all’impianto motivazionale dell’impugnata sentenza, e chiedendo, previa sospensione della sua provvisoria esecutorietà e in sua riforma, l’accoglimento del ricorso di primo grado.
3. Si costituiva in giudizio il Comune appellato, contestando la fondatezza dell’appello e chiedendone la reiezione.
4. Accolta con ordinanza cautelare n. 1254/2018 l’istanza di sospensiva sotto l’esclusivo profilo del periculum in mora, la causa all’udienza pubblica dell’11 luglio 2019 è stata trattenuta in decisione.
5. L’appello è infondato.
5.1. In primo luogo, il TAR correttamente ha respinto la censura, con la quale l’originario ricorrente aveva dedotto l’illegittimità del diniego di condono per l’asserita intervenuta formazione del silenzio-assenso, in quanto:
- nella Regione Campania, in materia di condono edilizio ai sensi del legge n. 326/2003, l’istituto del silenzio-assenso previsto dalla legislazione nazionale non può trovare applicazione, ostandovi le contrarie previsioni contenute nell’art. 7 l. reg. n. 10/2004, che testualmente recita «1. Le domande di sanatoria sono definite dai comuni competenti con provvedimento esplicito da adottarsi entro ventiquattro mesi dalla presentazione delle stesse […]. 2. Decorso il termine di cui al comma 1, si applicano le disposizioni di cui alla legge regionale 28 novembre 2001 n. 19, art. 4, che disciplinano l’intervento sostitutivo da parte dell’amministrazione provinciale competente»;
- infatti, il chiaro tenore letterale della norma regionale non lascia adito a dubbi sulla qualificazione del comportamento inerte del Comune come mero silenzio-inadempimento, e non già quale silenzio-assenso (v. in tal senso, oltre a numerosi precedenti del TAR per la Campania – ex plurimis, TAR per la Campania, Sede di Napoli, 8 ottobre 2018, n. 5822, con ulteriori richiami –, anche la giurisprudenza di questo Consiglio di Stato: ex plurimis, Cons. Stato, Sez. IV, 18 settembre 2012, n. 4953);
- peraltro, la Corte costituzionale, con la sentenza 28 giugno 2004, n. 196, ha dichiarato l’incostituzionalità dell’art. 37, comma 32, d.-l. n. 269/2003 convertito nella legge n. 326/2003, per contrasto con gli artt. 117 e 118 Cost., nella parte in cui non prevede che la legislazione regionale possa disciplinare diversamente gli effetti del prolungato silenzio del Comune, protratto oltre il termine ivi previsto, con la conseguente infondatezza del profilo di censura dedotto dall’odierno appellante in ordine alla necessità di una lettura costituzionalmente orientata della citata disposizione regionale con riferimento alle modifiche normative intervenute nell’ordinamento statale in materia di procedimento di rilascio del permesso di costruire di cui all’art. 20 d.P.R. n. 380/2001, versandosi, invero, in materia di condono edilizio assoggettato a una disciplina speciale di natura eccezionale che, entro i limiti delineati dalla Corte costituzionale, è riservata alla concorrente potestà legislativa regionale.
5.2. Destituito di fondamento è anche il secondo motivo d’appello, con cui si censura la statuizione di conferma della legittimità della motivazione del diniego di condono incentrata sulla mancata ultimazione dell’opera entro il 31 marzo 2003.
Premesso, in linea di diritto, che la prova dell’integrazione del requisito dell’anteriorità dell’ultimazione dell’opera rispetto al termine di legge del 31 marzo 2003 (sia in sede procedimentale, sia in sede giudiziale) fa carico al soggetto privato che abbia presentato la domanda di condono ex l. n. 326/2003, atteso il carattere eccezionale di tale istituto e stante l’operatività del principio della ‘vicinanza alla prova’ (v. sul punto, ex plurimis, Cons. Stato, Sez. VI, 9 luglio 2018, n. 4168, con ulteriori richiami), talché anche la semplice carenza di prova deve ritenersi sufficiente per respingere l’istanza (e il ricorso giudiziale), si osserva che nel caso di specie, all’esito di una valutazione approfondita e unitaria dell’acquisito materiale istruttorio, deve escludersi che sia stata raggiunta la prova che l’opera in questione fosse stata realizzata entro la data del 31 marzo 2003, in quanto:
- dal verbale della Polizia Municipale del 2 agosto 2004 e dal rapporto n. 28890/04 del 3 agosto 2004 emerge che, a quella data, non risultavano completate né le tamponature del fabbricato (ossia, tutte le pareti-portata di chiusura perimetrale) né il solaio di copertura del piano rialzato (in particolare, l’incompiutezza dell’opera è evincibile ictu oculi dall’ivi allegata documentazione fotografica);
- tali risultanze istruttorie risultano ulteriormente rafforzate dagli elementi oggetto degli accertamenti di fatto contenuti nella sentenza della Corte di Appello di Salerno n. 451/2009 (dichiarativa di non doversi procedere per estinzione delle contravvenzioni edilizie in seguito ad intervenuta prescrizione), secondo cui il fabbricato, ancora alla data del 2 agosto 2004, era parzialmente privo della tamponatura laterale e della copertura, onde escludere che la stessa potesse usufruire del condono ex l. n. 326/2003 e che sussistessero i presupposti per la pronuncia di una sentenza assolutoria ex art. 129, comma 2, Cod. proc. pen. (si precisa, al riguardo, che secondo la consolidata giurisprudenza amministrativa e civile gli atti di un processo penale definito con una sentenza penale, la quale non esplichi efficacia di giudicato nel giudizio civile o amministrativo, quale quella di non doversi procedere per intervenuta prescrizione del reato, possono tuttavia essere valorizzati come fonte documentale di elementi di prova di natura indiziaria, liberamente valutabili dal giudice investito del giudizio civile o amministrativo: v., ex plurimis, Cass. Civ., 29 ottobre 2010, n. 22200; id., 16 maggio 2000, n. 6347);
- le evidenziate risultanze istruttorie non risultano infirmate in modo decisivo dagli elementi di prova addotti a propria difesa dall’odierno appellante, risolventesi piuttosto in una diversa lettura degli elementi acquisiti al giudizio che, per quanto innanzi esposto, sono invece stati correttamente valutati nella sentenza di primo grado;
- il mancato completamento delle strutture essenziali del fabbricato – nelle quali rientrano indubbiamente le tamponature perimetrali e il solaio di copertura –, ancora alla data del 2 agosto 2004, esclude che l’opera potesse ritenersi ultimata alla data del 31 marzo 2003 (e, comunque, non è stata fornita la relativa prova piena e rigorosa, il cui onere incombe al privato), con la conseguente mancata integrazione di tale presupposto di applicabilità del condono, legittimamente rilevata nel gravato provvedimento di diniego.
5.3. Premesso che da quanto sopra discende, altresì, l’infondatezza dei vizi di illegittimità derivata dedotti avverso l’ordinanza di demolizione, in reiezione dell’appello proposto avverso la statuizione reiettiva dei motivi per vizi propri proposti avverso tale atto occorre rilevare che:
- correttamente è stata disattesa la censura di violazione della garanzia partecipativa ex art. 7 l. n. 241/1990, trattandosi di atto di natura vincolata ed essendo palese che il relativo contenuto non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato, con la conseguente operatività della sanatoria ex art. 21-octies l. n. 241/1990 ed esclusione dell’annullabilità dell’atto;
- altrettanto correttamente, nell’impugnata sentenza, è stato richiamato l’arresto n. 9/2017 dell’Adunanza Plenaria, per cui il provvedimento con cui viene ingiunta, sia pure tardivamente, la demolizione di un immobile abusivo e giammai assistito da alcun titolo, per la sua natura vincolata e rigidamente ancorata al ricorrere dei relativi presupposti in fatto e in diritto, non richiede motivazione in ordine alle ragioni di pubblico interesse (diverse da quelle inerenti al ripristino della legittimità violata) che impongono la rimozione dell’abuso, con la conseguente manifesta infondatezza della censura di carenza di motivazione;
- destituita di fondamento è, infine, la riproposta censura con cui sostanzialmente si invoca l’applicazione dell’istituto della c.d. ‘sanatoria giurisprudenziale’, in quanto, secondo l’ormai consolidato orientamento del Consiglio Stato (cfr., ex multis, Cons. Stato, Sez. VI, 24 aprile 2018, n. 2496, e 20 febbraio 2018, n. 1087, con ulteriori richiami, comprensivi di arresti della Corte costituzionale), pienamente condiviso da questo Collegio, tale istituto deve considerarsi normativamente superato, nonché recessivo rispetto al chiaro disposto normativo vigente e ai principi connessi al perseguimento dell’abusiva trasformazione del territorio, essendo il permesso in sanatoria ottenibile soltanto in presenza dei presupposti espressamente delineati dall’art. 36 d.P.R. n. 380/2001, ossia a condizione che l’intervento risulti conforme alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente al momento sia della realizzazione del manufatto sia della presentazione della domanda, mentre con la invocata ‘sanatoria giurisprudenziale’ verrebbe in rilievo un atto atipico con effetti provvedimentali praeter legem, i quali si collocherebbero al di fuori d’ogni previsione normativa, e non trovando pertanto l’istituto all’esame fondamento alcuno nell’ordinamento positivo, contrassegnato invece dai principi di legalità dell’azione amministrativa, tipicità e nominatività dei poteri esercitati dalla pubblica amministrazione, con la conseguenza che detti poteri, in assenza di espressa previsione legislativa, non possono essere creati in via giurisprudenziale, pena la violazione del principio di separazione dei poteri e l’invasione di sfere proprie di attribuzioni riservate alla pubblica amministrazione.
5.4. Per tutte le considerazioni sopra esposte, in reiezione dell’appello s’impone la conferma dell’impugnata sentenza, con assorbimento di ogni altra questione, ormai irrilevante ai fini decisori.
6. In applicazione del criterio della soccombenza, le spese del presente grado di giudizio, come liquidate nella parte dispositiva, devono essere poste a carico dell’appellante.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sull’appello come in epigrafe proposto (ricorso n. 1015 del 2018), lo respinge e, per l’effetto, conferma l’impugnata sentenza; condanna l’appellante a rifondere al Comune appellato le spese del presente grado di giudizio, che si liquidano nell’importo complessivo di euro 3.000,00 (tremila/00), oltre agli accessori di legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del giorno 11 luglio 2019, con l’intervento dei magistrati:
Sergio De Felice, Presidente
Bernhard Lageder, Consigliere, Estensore
Alessandro Maggio, Consigliere
Oreste Mario Caputo, Consigliere
Stefano Toschei, Consigliere
L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
Bernhard Lageder Sergio De Felice
IL SEGRETARIO