Data: 2019-08-15 08:38:33

Conflitto di interessi negli APPALTI più ampio di quello del Codice disciplinare

Conflitto di interessi negli APPALTI più ampio di quello del Codice disciplinare

[img width=300 height=182]https://lk.shbcdn.com/blobs/variants/2/9/b/7/29b79ed8-5f85-49a3-a25b-a783475f8add_large.jpg?_636313748177517058[/img]

[color=red][b]TAR PIEMONTE, SEZ. I – sentenza 14 agosto 2019 n. 948[/b][/color]

DIRITTO
.....

Tutto ciò premesso si passa ad analizzare le altre censure dedotte.

3.1. – Con il primo motivo di gravame la ricorrente sostiene che la ragione assunta da ANAS a fondamento del provvedimento di risoluzione sia del tutto illogica ed ingiustificata: non sarebbe dato comprendere in che modo la presentazione di un’offerta da parte di XXXX S.p.A., in risposta ad un invito formulato e trasmesso dalla stessa ANAS, possa interferire con il codice etico aziendale di ANAS.

La ricorrente afferma di voler preliminarmente chiarire i rapporti intercorrenti tra XXXX e ANAS, evidenziando in particolare che: “a. XXXX è una Società di Ingegneria della concessionaria autostradale ZZZZ S.p.A., che detiene il 100% delle azioni; b. ZZZZ S.p.A., a sua volta, è controllata da ANAS, che detiene il 51,0924% delle azioni”.

A parere della ricorrente il codice etico aziendale, inteso come complesso di norme sociali ed etiche ispirate ai principi di legalità, di correttezza, di trasparenza, di riservatezza e di rispetto della dignità della persona, è rivolto alle persone fisiche che operano all’interno della struttura societaria (amministratori, sindaci, dirigenti, quadri, impiegati e operai) e pertanto le conseguenze dell’eventuale inosservanza di una disposizione del codice etico aziendale si riverbererebbero esclusivamente sulla persona fisica responsabile della violazione.

Ad avviso della ricorrente pertanto sarebbe manifestamente illegittimo ed illogico che i potenziali effetti negativi di detta violazione possano influire in quale modo su XXXX S.p.A., addirittura arrivando a inficiare l’offerta dalla medesima presentata e determinando la sua esclusione dalla procedura quando in materia vige il principio di tassatività delle cause di esclusione dalle procedure di gara consacrato nell’art. 83, comma 8, del decreto legislativo n. 50/2016.

Secondo la ricorrente dunque disporre la risoluzione del contratto di appalto per una presunta violazione del codice etico aziendale, ipotesi non contemplata nell’art. 80 del decreto legislativo n. 50/2016, si porrebbe manifestamente in contrasto con il menzionato divieto.

La ricorrente sostiene che nel codice etico aziendale non sia previsto alcun divieto per le Società in cui opera personale ANAS di partecipare a procedure di gara indette dalla stessa, ed evidenzia che, nel caso di specie, era stata la stessa ANAS ad invitare la XXXX S.p.A., dopo averla ammessa nel proprio elenco fornitori e mantenuta in tale elenco allorché era stata aggiornata la posizione di XXXX S.p.A. nel mese di marzo 2018 con l’indicazione del nuovo Amministratore delegato nella persona dell’Ing. YYYY.

Secondo la ricorrente pertanto il motivo della risoluzione/esclusione postuma di XXXX sarebbe dunque incomprensibile ed infondato.

La ricorrente sostiene che non si ravviserebbe alcuna violazione del Codice Etico aziendale neanche laddove si volesse supporre che ANAS intendesse ricondurre il caso di specie ad un’ipotesi di potenziale conflitto di interessi dato che, a parere della XXXX S.p.A., il caso in esame non rientrerebbe né nelle ipotesi contemplate al punto 4 dei “Principi etici generali”, pag. 9, del Codice Etico ANAS, né in quelle contemplate dall’art. 42 del decreto legislativo n. 50 del 2016.

3.2. – Con il secondo motivo di ricorso la ricorrente sostiene che il provvedimento impugnato sarebbe illegittimo anche sotto il profilo della carenza motivazionale.

La ricorrente sostiene altresì che quantunque la resistente riconduca detti controlli a quelli disciplinato dall’art. 80 del decreto legislativo n. 50/2016, non sarebbe dato sapere come la disamina della stessa documentazione fornita da XXXX sin dal 13 giugno 2018 abbia potuto condurre ANAS ad un esito discordante e contraddittorio rispetto a quanto precedentemente comunicato con la trasmissione del contratto del 5 settembre 2018 e con la formale consegna del servizio.

3.3. – Con il terzo motivo di gravame la ricorrente sostiene che il comportamento di ANAS sarebbe palesemente viziato da un insanabile contrasto con altri provvedimenti e/o comportamenti dalla stessa emessi e/o tenuti in precedenza poiché sin dal 2017 XXXX è iscritta all’elenco fornitori di ANAS e, dopo la nomina ad Amministratore delegato dell’Ing. YYYY, la stessa, sin dal mese di marzo 2018, aveva provveduto ad aggiornare la sua posizione sul medesimo Elenco Fornitori, comunicando tale nuova nomina.

3.4. – Con il quarto motivo di gravame la ricorrente lamenta la mancata comunicazione di avvio del procedimento che avrebbe condotto all’adozione del provvedimento impugnato.

3.5. – Con il quinto motivo di gravame la ricorrente, partendo dal presupposto che la vera natura dell’atto impugnato sia di annullamento in autotutela, sostiene che non sarebbero state illustrate le ragioni di interesse pubblico sottese all’annullamento e che tantomeno sarebbe dato rinvenire qualsivoglia valutazione degli interessi propri della ricorrente, che avrebbe maturato un legittimo affidamento circa l’aggiudicazione del servizio e l’esecuzione del contratto.

4. – Il Collegio ritiene di poter valutare contestualmente tutti i motivi di ricorso dedotti perché strettamente connessi.

[b]Dalla lettura degli atti di giudizio emerge chiaramente quali siano i fatti a supporto della decisione dell’ANAS di agire in autotutela: dalle verifiche sui requisiti ai sensi dell’art. 80 del decreto legislativo n. 50 del 2016 era emerso che l’Ing. YYYY era Amministratore delegato di XXXX S.p.A., società alla quale è stata affidato il servizio di assistenza alla progettazione esecutiva, e nel contempo, era dipendente della stessa ANAS S.p.A. ricoprendo il ruolo di responsabile del coordinamento nuove opere all’interno della Direzione Progettazione e Realizzazione Lavori.[/b]

Tale circostanza di fatto è ammessa dalla stessa ricorrente.

Ebbene, il fatto che l’Amministratore delegato di una società aggiudicatrice per il servizio di assistenza alla progettazione esecutiva (nulla rileva il fatto che l’impresa sia stata invitata a presentare l’offerta e che l’importo del servizio avrebbe consentito un affidamento diretto) sia anche dipendente della Stazione appaltante, con una posizione di rilievo nel settore della progettazione (responsabile del coordinamento nuove opere all’interno della Direzione Progettazione e Realizzazione Lavori) non può ritenersi circostanza irrilevante.

[color=red][b]L’art. 42 del decreto legislativo n. 50 del 2016[/b][/color] recita: “1. Le stazioni appaltanti prevedono misure adeguate per contrastare le frodi e la corruzione nonché per individuare, prevenire e risolvere in modo efficace ogni ipotesi di conflitto di interesse nello svolgimento delle procedure di aggiudicazione degli appalti e delle concessioni, in modo da evitare qualsiasi distorsione della concorrenza e garantire la parità di trattamento di tutti gli operatori economici. 2. Si ha conflitto d’interesse quando il personale di una stazione appaltante o di un prestatore di servizi che, anche per conto della stazione appaltante, interviene nello svolgimento della procedura di aggiudicazione degli appalti e delle concessioni o può influenzarne, in qualsiasi modo, il risultato, ha, direttamente o indirettamente, un interesse finanziario, economico o altro interesse personale che può essere percepito come una minaccia alla sua imparzialità e indipendenza nel contesto della procedura di appalto o di concessione. In particolare, costituiscono situazione di conflitto di interesse quelle che determinano l’obbligo di astensione previste dall’articolo 7 del decreto del Presidente della Repubblica 16 aprile 2013, n. 62. 3. Il personale che versa nelle ipotesi di cui al comma 2 è tenuto a darne comunicazione alla stazione appaltante, ad astenersi dal partecipare alla procedura di aggiudicazione degli appalti e delle concessioni. Fatte salve le ipotesi di responsabilità amministrativa e penale, la mancata astensione nei casi di cui al primo periodo costituisce comunque fonte di responsabilità disciplinare a carico del dipendente pubblico. 4. Le disposizioni dei commi 1, 2 e 3 valgono anche per la fase di esecuzione dei contratti pubblici. 5. La stazione appaltante vigila affinché gli adempimenti di cui ai commi 3 e 4 siano rispettati.”.

[color=red][b]L’art. 7 del decreto del Presidente della Repubblica 16 aprile 2013, n. 62[/b][/color] recita “1. Il dipendente si astiene dal partecipare all’adozione di decisioni o ad attività che possano coinvolgere interessi propri, ovvero di suoi parenti, affini entro il secondo grado, del coniuge o di conviventi, oppure di persone con le quali abbia rapporti di frequentazione abituale, ovvero, di soggetti od organizzazioni con cui egli o il coniuge abbia causa pendente o grave inimicizia o rapporti di credito o debito significativi, ovvero di soggetti od organizzazioni di cui sia tutore, curatore, procuratore o agente, ovvero di enti, associazioni anche non riconosciute, comitati, società o stabilimenti di cui sia amministratore o gerente o dirigente. Il dipendente si astiene in ogni altro caso in cui esistano gravi ragioni di convenienza. Sull’astensione decide il responsabile dell’ufficio di appartenenza”.

[color=red][b]Si evidenzia che il riferimento alle ipotesi previste dall’articolo 7 del decreto del Presidente della Repubblica 16 aprile 2013, n. 62, contenuto nell’art. 42 citato, costituisce un rinvio ampliativo ed esemplificativo e non limitativo, come si evince dall’uso della locuzione “in particolare” (sul punto T.A.R. Abruzzo – Pescara, Sez. I, 9 gennaio 2017, n. 21).[/b][/color]

Sul punto il Consiglio di Stato ha evidenziato che “La fattispecie descritta dall’art. 42, comma 2 del d.lgs. 50 del 2016 ha portata generale, come emerge dall’uso della locuzione “in particolare”, riferita alla casistica di cui al richiamato art. 7 d.P.R. n. 62 del 2013, avente dunque mero carattere esemplificativo” (Cons. Stato, sez. V, 11 luglio 2017, n. 3415).

Il Collegio rileva che le richiamate disposizioni del codice attuano l’art. 24 della direttiva 2014/24/UE, secondo cui: “Gli Stati membri provvedono affinché le amministrazioni aggiudicatrici adottino misure adeguate per prevenire, individuare e porre rimedio in modo efficace a conflitti di interesse nello svolgimento delle procedure di aggiudicazione degli appalti in modo da evitare qualsiasi distorsione della concorrenza e garantire la parità di trattamento di tutti gli operatori economici. Il concetto di conflitti di interesse copre almeno i casi in cui il personale di un’amministrazione aggiudicatrice o di un prestatore di servizi che per conto dell’amministrazione aggiudicatrice interviene nello svolgimento della procedura di aggiudicazione degli appalti o può influenzare il risultato di tale procedura ha, direttamente o indirettamente, un interesse finanziario, economico o altro interesse personale che può essere percepito come una minaccia alla sua imparzialità e indipendenza nel contesto della procedura di appalto”.

[b]Ciò premesso, l’art. 80, comma 5, lett. d) prevede l’esclusione dalla gara nel caso in cui la partecipazione dell’operatore economico determini una situazione di conflitto di interesse ai sensi dell’art. 42, comma 2 del Codice degli appalti non diversamente risolvibile[/b]

Nel caso in esame, inoltre, il Codice etico aziendale, all’art. 4, rubricato “Conflitto d’interesse” prevedeva espressamente che “…Si intende sussistente una situazione di conflitto d’interesse sia nel caso in cui un collaboratore (o persona ad esso comunque collegata), con il proprio comportamento, persegua interessi diversi da quello della missione aziendale o si avvantaggi personalmente di opportunità d’affari dell’impresa, sia nel caso in cui i rappresentanti degli stakeholder (riuniti in gruppi, associazioni, istituzioni pubbliche o private), agiscano in contrasto con i doveri fiduciari legati alla loro posizione. Coloro che sono tenuti all’osservanza del Codice Etico non devono esercitare alcuna attività che contrasti con il corretto adempimento dei compiti d’ufficio e devono astenersi dal partecipare a qualsiasi attività che possa generare o far apparire un conflitto d’interesse, in osservanza ai principi di legalità, lealtà, correttezza e trasparenza. In tutti i casi in cui debba essere assunta una decisione relativamente ad interessi del coniuge o di parenti ed affini entro il secondo grado, il dipendente deve darne immediata segnalazione al responsabile della struttura aziendale e deve astenersi dal partecipare a tutte le attività connesse alla decisione. L’astensione, quindi, comprende non soltanto la decisione, ma anche lo svolgimento di attività inerenti alle mansioni del dipendente, cioè una totale astensione da qualsiasi interferenza con il procedimento in corso. In particolare sussiste un dovere di astensione dall’intrattenere rapporti professionali esterni con soggetti nei cui confronti è vigente un obbligo di neutralità ed imparzialità. Il mancato rispetto da parte del dipendente delle disposizioni relative al conflitto d’interesse costituisce una grave violazione che dà luogo a responsabilità disciplinare. Il dipendente, fermo restando quanto dettato dalle norme contrattuali, non può assumere incarichi esterni in società o imprese commerciali i cui interessi siano direttamente o anche solo potenzialmente contrastanti o interferenti con quelli di Anas e, comunque, non può accettare incarichi di collaborazione con soggetti che abbiano, o abbiano avuto nel biennio precedente, un interesse economico in decisioni o attività inerenti l’ufficio. In base al comma 16 ter dell’art. 53 del D.lgs. 165/2001, introdotto dalla legge n.190/2012, “I dipendenti che negli ultimi tre anni di servizio, hanno esercitato poteri autoritativi e negoziali per conto delle pubbliche amministrazioni di cui all’art. 1, comma 2, non possono svolgere, nei tre anni successivi alla cessazione del rapporto di pubblico impiego, attività lavorativa o professionale presso i soggetti privati destinatari dell’attività della Pubblica Amministrazione svolta attraverso i medesimi poteri. I contratti conclusi e gli incarichi conferiti in violazione di quanto previsto dal precedente comma sono nulli ed è fatto divieto ai soggetti privati che li hanno conclusi o conferiti di contrattare con le pubbliche amministrazioni per i successivi tre anni con obbligo di restituzione dei compensi eventualmente percepiti e accertati ad essi riferiti”. Anas, al fine di garantire l’osservanza della norma, ha richiamato esplicitamente nei propri atti di gara tale disposizione. Nel caso in cui il dipendente o collaboratore rilevi, anche in via dubitativa, la sussistenza di un conflitto di interessi che lo vede coinvolto, è tenuto a darne comunicazione al proprio diretto superiore/dirigente, il quale esamina la comunicazione per le conseguenti valutazioni”.

Ciò premesso sotto il profilo normativo, sul conflitto di interessi nelle gare pubbliche si richiama quanto condivisibilmente affermato dal Consiglio di Stato “Seppur sia riferito al previgente sistema normativo in materia di contratti pubblici, costituito dal d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163 e dal d.P.R. 10 dicembre 2010, n. 207, dove non vi era una specifica disciplina del conflitto di interessi, il Collegio ritiene di poter fare applicazione, in quanto non contraddetto dalla disciplina attualmente vigente, del costante orientamento giurisprudenziale (ex multis, Cons. Stato, V, 19 settembre 2006, n. 5444) per cui “le situazioni di conflitto di interessi, nell’ambito dell’ordinamento pubblicistico non sono tassative, ma possono essere rinvenute volta per volta, in relazione alla violazione dei principi di imparzialità e buon andamento sanciti dall’art. 97 Cost., quando esistano contrasto ed incompatibilità, anche solo potenziali, fra il soggetto e le funzioni che gli vengono attribuite”. Per l’effetto, al di là delle singole disposizioni normative, ogni situazione che determini un contrasto, anche solo potenziale, tra il soggetto e le funzioni attribuitegli, deve comunque ritenersi rilevante a tal fine: invero, secondo consolidata giurisprudenza, “ogni Pubblica Amministrazione deve conformare la propria immagine, prima ancora che la propria azione, al principio generale di imparzialità e di trasparenza ex art. 97 Cost. (Cons. Stato, sez. IV, 7 ottobre 1998, n. 1291; Cons. Giust. Amm. Sic., sez. giur., 26 aprile 1996, n. 83; Cons. Stato, sez. IV, 25 settembre 1995, n. 775), tanto che le regole sull’incompatibilità, oltre ad assicurare l’imparzialità dell’azione amministrativa, sono rivolte ad assicurare il prestigio della Pubblica Amministrazione ponendola al di sopra di ogni sospetto, indipendentemente dal fatto che la situazione incompatibile abbia in concreto creato o non un risultato illegittimo (Cons. Stato, sez. VI, 13 febbraio 2004, n. 563)”. Ritiene il Collegio che in quest’ottica si collochi, senza soluzione di continuità, il principio adesso normativamente espresso dall’art. 42, comma 2 del d.lgs. n. 50 del 2016. In effetti, le ipotesi ivi previste (in termini generali ed astratti) si riferiscono a situazioni in grado di compromettere, anche solo potenzialmente, l’imparzialità richiesta nell’esercizio del potere decisionale. Si verificano quando il “dipendente” pubblico (ad esempio, il Rup ed i titolari degli uffici competenti ad adottare i pareri, le valutazioni tecniche, gli atti endoprocedimentali ed il provvedimento finale, esecuzione contratto e collaudi) ovvero colui (anche un soggetto privato) che sia chiamato a svolgere una funzione strumentale alla conduzione della gara d’appalto, è portatore di interessi della propria o dell’altrui sfera privata, che potrebbero influenzare negativamente l’esercizio imparziale ed obiettivo delle sue funzioni. La definizione normativa, del resto, appare coerente con lo ius receptum per cui le regole sull’incompatibilità, oltre ad assicurare l’imparzialità dell’azione amministrativa, sono rivolte ad assicurare il prestigio della pubblica amministrazione, ponendola al di sopra di ogni sospetto, indipendentemente dal fatto che la situazione incompatibile abbia in concreto creato o meno un risultato illegittimo (Cons. Stato, VI, 13 febbraio 2004, n. 563)” (Cons. Stato, sez. V, 11 luglio 2017, n. 3415).

[b]Nel caso di specie, come già evidenziato, l’Amministratore delegato della XXXX S.p.A., società aggiudicatrice dell’appalto per il servizio di assistenza alla progettazione esecutiva, era dipendente della Stazione appaltante, con una posizione di rilievo nel settore della progettazione (responsabile del coordinamento nuove opere all’interno della Direzione Progettazione e Realizzazione Lavori).[/b]

[color=red][b]Ebbene, la norma sul conflitto di interesse è posta a tutela di un pericolo astratto e presunto che non richiede la dimostrazione, volta per volta, del vantaggio conseguito.[/b][/color]

[color=red][b]Alla luce di tutto quanto sopra esposto, ne deriva che la situazione sopra descritta, contrariamente a quanto sostenuto dalla ricorrente, integra gli estremi di un conflitto di interessi ai sensi dell’art. 4 del Codice etico aziendale e dell’art. 42 del decreto legislativo n. 50 del 2016.[/b][/color]

Tale conflitto d’interessi ha pertanto reso illegittima la partecipazione della ricorrente alla gara, integrando, contrariamente a quanto sostenuto nel gravame, la causa di esclusione di cui all’articolo 80, comma 5, lett. d) del codice dei contratti pubblici, a nulla rilevando il dedotto contrasto con atti precedentemente posti in essere dall’ANAS (contrasto sollevato con il terzo motivo di ricorso).

Quanto sopra evidenziato consente di superare anche la censura contenuta a pagina 13 del ricorso, laddove la ricorrente sostiene che l’ANAS avrebbe disposto l’escussione della garanzia definitiva in assenza dei presupposti di legge, posto che, nel caso in esame, non potrebbe essere ascritta alcuna responsabilità in capo alla XXXX S.p.A. in quanto era stata ANAS ad invitare la ricorrente a presentare una propria offerta per l’appalto di che trattasi e quest’ultima non si sarebbe trovata in una delle ipotesi di esclusione di cui all’art. 80 del decreto legislativo n. 50 del 2016 e non potrebbe dirsi responsabile di qualche presunta violazione del codice etico ANAS che, comunque, non determinerebbe l’esclusione e tantomeno potrebbe essere ritenuta inadempiente rispetto alle prestazioni contrattuali assunte; la ricorrente sostiene altresì che nessuna responsabilità potrebbe essere attribuita a XXXX per l’ulteriore danno cui genericamente si riferirebbe ANAS nel provvedimento impugnato.

Ebbene, alla luce di quanto sopra esposto si deve ritenere che, nel caso di specie, sussista un’ipotesi di cui all’art. 80 del decreto legislativo n. 50 del 2016 (quella di cui al comma 5, lettera d) e che vi sia stata una violazione del codice etico ANAS che peraltro, secondo recente giurisprudenza, costituisce una vera e propria ipotesi di inadempimento contrattuale (T.A.R. Lazio, Roma, Sez. II, 25 marzo 2019, n. 3910).

Il primo ed il terzo motivo di ricorso pertanto non colgono nel segno.

Quanto al difetto di motivazione del provvedimento impugnato sollevato con il secondo motivo di ricorso, il Collegio ritiene che dalla lettura complessiva dello stesso, emergono le ragioni che supportano l’esercizio del potere di autotutela.

Invero, il provvedimento in primis evidenzia che era stato richiesto al legale rappresentante della XXXX S.p.A. di rendere le dichiarazioni sul possesso dei requisiti di ordine generale di cui al decreto legislativo n. 50 del 2016 (quindi era chiaro che il problema era relativo alla figura del legale rappresentante), fa riferimento a controlli eseguiti ai sensi dell’art. 80 del decreto legislativo n. 50 del 2016 (quindi era chiaro che la questione era la mancanza di un requisito di partecipazione) e, infine, fa riferimento alla violazione del Codice etico aziendale (quindi era chiaro che la mancanza del requisito di partecipazione integrava contestualmente anche la violazione del codice etico aziendale).

Inoltre, nel provvedimento si dispone la segnalazione all’ANAC e, nella segnalazione (anch’essa oggetto di impugnazione) si legge “In merito agli affidamenti in oggetto si comunica alla ricevente Autorità che questa Stazione Appaltante, nelle more dei controlli di rito come disciplinati dal D.Lgs. n. 50/2016, riscontrava che l’Amministratore Delegato della società affidataria dei servizi in oggetto, Ing. YYYY, è anche dipendente di questa stazione appaltante con posizione apicale all’interno della Direzione Generale. Tale riscontrata situazione configura una violazione del Codice Etico Aziendale, al cui rispetto sono tenuti i soggetti che, per qualunque ragione, entrano in contatto con Anas SpA, in primis i dipendenti, e pertanto questo Ente appaltatore si vedeva costretto, in autotutela, alla risoluzione del contratto Rep. 3469 del 05/09/2018 stipulato per l’esecuzione del servizio relativo all’Affidamento TO 26/18 (si allega dispositivo di risoluzione), nonché alla revoca dell’aggiudicazione Prot. CDG-0414728-P del 01/08/2018 relativa all’Affidamento TO 41/18 (si allega dispositivo di revoca)”.

Alla luce di quanto sopra esposto si ritiene che la motivazione del provvedimento di autotutela era sufficientemente comprensibile.

In ogni caso, data la situazione di conflitto di interesse, il contenuto del provvedimento non avrebbe potuto essere diverso ai sensi dell’art. 21 octies della legge n. 241 del 1990.

Alla luce di quanto sopra evidenziato si ritiene che anche il quarto e il quinto motivo di ricorso, con i quali rispettivamente la ricorrente lamenta la mancata comunicazione di avvio del procedimento e il difetto di motivazione sotto altro punto di vista (mancata indicazione delle ragioni di interesse pubblico, mancata valutazione degli interessi propri della ricorrente che avrebbe maturato un legittimo affidamento circa l’aggiudicazione del servizio) non colgano nel segno.

[b]Invero, considerata la sussistenza della specifica situazione di conflitto di interessi che interessava lo stesso amministratore delegato dell’aggiudicataria, il provvedimento di annullamento non necessitava di particolare motivazione e non richiedeva la previa comunicazione di avvio del procedimento.[/b]

Più nello specifico, il Collegio rileva che l’onere motivazionale introdotto con la norma richiamata trova la propria origine nella necessità che l’Amministrazione valuti la concreta possibilità che il (mantenimento del) provvedimento adottato, ancorché viziato, sia comunque conforme all’interesse pubblico (sul punto T.A.R. Campania, Salerno, sez. I, 28 marzo 2018, n. 462).

[b]Tuttavia, nel caso in esame, la situazione di conflitto di interessi esistente al momento dello svolgimento della gara e persistente nella fase successiva, deve ritenersi sufficiente a giustificare l’adozione del provvedimento impugnato, anche tenuto conto del breve lasso di tempo intercorso tra l’affidamento del servizio e la stipulazione del contratto e l’adozione del provvedimento impugnato.[/b]

È chiaro, infatti, che la mancata risoluzione della situazione di conflitto di interessi – che, si rammenta, obbliga l’Amministrazione a escludere la concorrente – rende di per sé ancora attuale il vulnus ai principi di trasparenza e imparzialità dell’azione amministrativa.

Infine, alla luce di quanto sopra esposto, deve ritenersi che il contraddittorio procedimentale, ove pure correttamente instaurato attraverso la comunicazione di avvio del procedimento, non avrebbe comunque potuto portare ad un risultato diverso da quello disposto per il tramite dei provvedimenti impugnati.

5. – Sul provvedimento di segnalazione all’ANAC la ricorrente si limita ad affermare che l’illegittimità dedotta del provvedimento di risoluzione non può che determinare l’annullamento anche degli atti ad esso conseguenti, quali appunto la segnalazione all’ANAC, evidenziando che non sarebbe ravvisabile alcuna delle ipotesi per le quali la Stazione appaltante deve procedere in tale direzione.

Sul punto, il Collegio si limita ad osservare che, come condivisibilmente affermato da consolidata giurisprudenza (cfr., ex plurimis, Cons. Stato, Sez. VI, 20 novembre 2017, n. 5331; T.A.R. Lombardia, Milano, Sez. IV, 20 febbraio 2018, n. 488; T.A.R. Toscana, Firenze, Sez. I, 26 febbraio 2018, n. 302) non può ritenersi sussistente un interesse specifico, concreto ed attuale a contestare solo l’automatismo della segnalazione all’ANAC la quale, per sua natura, non presenta una immediata e autonoma lesività: trattasi invero di atto prodromico ed endoprocedimentale, i cui eventuali vizi possono essere fatti valere solo in via derivata, tramite l’impugnazione del provvedimento finale dell’ANAC di iscrizione nel casellario. Solo tale ultimo provvedimento preclude all’operatore economico di aggiudicarsi le gare e di ottenere l’affidamento di subappalti per un determinato periodo di tempo; nessun effetto lesivo, invece, deriva all’operatore dalla mera segnalazione all’ANAC e dalla pendenza del relativo procedimento (in termini, di recente, T.A.R. Torino, sez. I, 18 aprile 2019, n. 452).

In ogni caso, l’impugnazione della segnalazione all’ANAC non sarebbe fondata per le stesse ragioni evidenziate ai punti precedenti di questa sentenza.

In conclusione il ricorso è infondato e va respinto.

6. – L’esito del giudizio determina l’infondatezza anche della domanda risarcitoria per mancanza dell’illegittimità del provvedimento impugnato.

7. – Tenuto conto dell’infondatezza del ricorso si ritiene di non accogliere l’istanza istruttoria formulata da parte ricorrente.

8. – Non essendosi costituite in giudizio né l’Amministrazione, né le controinteressate nulla per le spese.

P.Q.M.

il Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte, Sezione Prima, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.

riferimento id:50809
vuoi interagire con la community? vai al NUOVO FORUM - community.omniavis.it