Danno da aggiudicazione: non serve prova di colpa ma serve del danno
[img width=236 height=300]https://www.studiocataldi.it/images/imgnews/giudice-plastilina-id16271.jpg[/img]
[color=red][b]CONSIGLIO DI STATO, SEZ. III – sentenza 26 luglio 2019 n. 5296[/b][/color]
DIRITTO
1. Oggetto dell’appello è la sentenza del Tar Veneto, sez. I, 31 gennaio 2013, n. 112, che ha respinto il ricorso per l’accertamento del diritto della Società appellante al risarcimento del danno – quantificato in € 477.024,13 oltre a relativi interessi e rivalutazione monetaria – subito per intervenuta lesione dei propri diritti ed interessi nell’ambito della procedura di gara oggetto di giudicato formatosi sulla sentenza del Consiglio di Stato, sez. V, n. 6290 del 2002.
L’appello è infondato, e ciò consente al Collegio, per ragioni di economia processuale, di prescindere dall’esame dell’eccezione in rito sollevate dall’Amministrazione resistente.
Si prescinde anche dall’eccezione, sollevata dalla società XXXX, di tardività delle difese anche documentali prodotte dalla Azienda sanitaria, non essendo stata dal Collegio utilizzata al fine del decidere.
Ciò chiarito, va rilevato, in punto di fatto, che la sentenza n. 6290 del 2002 della sez. V del Consiglio di Stato aveva accolto l’appello proposto avverso la sentenza del Tar Veneto n. 2174 del 2001, che aveva respinto il ricorso proposto dalla XXXX sul rilievo che Commissione aggiudicatrice aveva enucleato, nell’ambito dei criteri fissati dal bando e dal capitolato speciale, due parametri oggettivi di valutazione delle offerte senza, a giudizio del Tribunale Amministrativo Regionale, introdurre nuovi elementi di valutazione non previsti negli atti organizzativi della gara.
Il giudice di appello, nel riformare la sentenza del Tar, ha affermato che i vizi riscontrati nell’attività della Commissione tecnica sono così radicali che implicano la necessità di una piena rivalutazione delle offerte secondo le regole indicate nel bando di gara e nel capitolato speciale. Ha aggiunto che la circostanza che il contratto sia stato stipulato non toglie interesse all’appellante, che da una definizione positiva del giudizio potrebbe ottenere un valido presupposto per un adeguato risarcimento del danno evidentemente sussistendo i presupposti per la configurabilità di una responsabilità civile dell’Amministrazione intimata.
[color=red][b]In altri termini, la sentenza n. 6290 del 2002 ha si riconosciuto la colpa della stazione appaltante ma non ha dato alcuna certezza in ordine all’an e al quantum del danno.[/b][/color]
Corollario obbligato di tale premessa è, da un lato l’inconferenza del richiamo alla decisione della Corte di giustizia 30 settembre 2010, in C-314/09. Secondo la giurisprudenza comunitaria, in materia di risarcimento da (mancato) affidamento di gare pubbliche di appalto e concessioni, [color=red][b]non è necessario provare la colpa dell’amministrazione aggiudicatrice, poiché il rimedio risarcitorio risponde al principio di effettività della tutela previsto dalla normativa comunitaria; le garanzie di trasparenza e di non discriminazione operanti in materia di aggiudicazione dei pubblici appalti fanno sì che una qualsiasi violazione degli obblighi di matrice sovranazionale consente all’impresa pregiudicata di ottenere un risarcimento dei danni, a prescindere da un accertamento in ordine alla colpevolezza dell’ente aggiudicatore e dunque della imputabilità soggettiva della lamentata violazione[/b][/color] (sul punto si v. anche Cons. St., A.P., 12 maggio 2017, n. 2).
[color=red][b]Dall’altro lato, vi è, invece, la necessità, rilevata dal Tar Veneto nell’impugnata sentenza, di provare il danno subito[/b][/color], prova che nella specie l’appellante ha reso ancora più difficile rilevare anche in fase procedimentale non acconsentendo – dopo che la Commissione, in sede di rivalutazione aveva ritenuto ammissibili le offerte per i lotti 1 e 2 – l’apertura della busta contenente la propria offerta economica. La prova che avrebbe dovuto dare era che, concludendosi la rinnovata procedura di gara si sarebbe potuta aggiudicare la gara (anche a livello di possibilità) e non che l’aggiudicazione era stata fatta a favore di altre tre concorrenti, con la conseguenza che, così posta la questione, il danno sarebbe stato in re ipsa.
Né è assecondabile la tesi secondo cui la prova non poteva essere data considerato il vizio di fondo di non aver rinnovato per intero la procedura per i tre lotti, considerato che era anche possibile che si sarebbe aggiudicata la gara all’esito della procedura rinnovata; ed in ogni caso non ha fornito la prova che si sarebbe potuta aggiudicare la gara iniziando dall’origine la procedura, come riteneva si dovesse fare.
2. Quanto alla richiesta di risarcimento per danno precontrattuale, la stessa va respinta, dovendosi anche in tale ipotesi supportare l’istanza con elementi probatori (sui quali v. Cons. St., sez. III, 2 aprile 2019, n. 2181) alle cui argomentazioni il Collegio si richiama, condividendole). E’ ciò a prescindere dalle argomentazioni, forti, dell’Amministrazione resistente, in ordine all’introduzione di tali prospettazioni difensive solo con memoria non notificata.
3. Le questioni vagliate esauriscono la vicenda sottoposta alla Sezione, essendo stati toccati tutti gli aspetti rilevanti a norma dell’art. 112 c.p.c.. Gli argomenti di doglianza non espressamente esaminati sono stati, infatti, dal Collegio ritenuti non rilevanti ai fini della decisione e, comunque, inidonei a supportare una conclusione di segno diverso.
L’appello, scremato dei cenni nuovi introdotti inammissibilmente in memoria, non è dunque suscettibile di positiva valutazione e deve quindi essere respinto.
Sussistono giusti motivi per disporre la compensazione delle spese e degli onorari del giudizio
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza),
definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.