Liberalizzazioni, pianificazione ed attività commerciale - CdS 3419/2019
[color=red][b]Cons. Stato Sez. IV, Sent., (ud. 16/05/2019) 24-05-2019, n. 3419
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14. Nel merito, il primo motivo dell'appello è fondato.
14.1. Il Tribunale territoriale ha fatto una corretta ricostruzione della normativa pro-concorrenziale, di fonte sia Euro-unitaria (la direttiva 12 dicembre 2006 n. 2006/123/CE relativa ai servizi nel mercato interno, c.d. direttiva Bolkestein, attuata nell'ordinamento interno dal D.Lgs. 26 marzo 2010, n. 59) che nazionale (i decreti - legge di liberalizzazione). Da una corretta premessa ha tratto però conclusioni non condivisibili.
14.2. Nel testo vigente ora e all'epoca dei fatti, l'art. 31, comma 2, del D.L. n. 201 del 2011, richiamando la disciplina dell'Unione Europea e nazionale in materia di concorrenza, libertà di stabilimento e libera prestazione di servizi, individua come "principio generale dell'ordinamento nazionale la libertà di apertura di nuovi esercizi commerciali sul territorio senza contingenti, limiti territoriali o altri vincoli di qualsiasi altra natura, esclusi quelli connessi alla tutela della salute, dei lavoratori, dell'ambiente, ivi incluso l'ambiente urbano, e dei beni culturali".
[b]14.3. Come ricorda la società appellante, la Sezione ha avuto modo di distinguere fra gli atti di programmazione economica, in linea di principio assoggettati alla massima espansione della normativa di liberalizzazione, e atti di programmazione non economica, suscettibili di porre limiti all'insediamento di nuove attività in funzione di esigenze riconducibili a motivi imperativi di interesse generale. Tale distinzione vale anche nell'ambito degli atti di programmazione territoriale, rispetto ai quali deve essere valutata in concreto la finalità perseguita (ordine e razionalità dell'assetto territoriale o regolazione autoritativa dell'offerta sul mercato dei servizi attraverso restrizioni territoriali alla libertà di stabilimento delle imprese (sentenza 7 novembre 2014, n. 5494).[/b]
[b]14.4. Inoltre, secondo la giurisprudenza di questo Consiglio di Stato, "la disciplina comunitaria della liberalizzazione non può essere intesa in senso assoluto come primazia del diritto di stabilimento delle imprese ad esercitare sempre e comunque l'attività economica, dovendo, anche tale libertà economica, confrontarsi con il potere, demandato alla pubblica amministrazione, di pianificazione urbanistica degli insediamenti, ivi compresi quelli produttivi e commerciali" (sez. IV, 4 maggio 2017, n. 2026; ma già prima sez. V , 16 aprile 2014, n. 1860; sez. V, 27 maggio 2014, n. 2746; sez. IV, 7 novembre 2014, n. 5494; sez. IV, 6 giugno 2017, n. 2699).[/b]
14.5. D'altronde, la direttiva B. non si applica a requisiti come "la pianificazione urbana e rurale" (considerando n. 9) e la normativa di recepimento esclude dall'ambito dei requisiti per l'accesso e l'esercizio delle attività commerciali "le disposizioni in materia ambientale, edilizia e urbanistica" art. 8, lett. g), del D.Lgs. n. 59 del 2010.
14.6. Dal suo canto, la Corte costituzionale ha ritenuto che l'art. 31, comma 2, del D.L. n. 201 del 2011 non ponga al legislatore regionale divieti assoluti di regolazione delle zone adibite alle attività commerciali attraverso gli strumenti urbanistici, né obblighi assoluti di liberalizzazione, ma, al contrario, consenta alle Regioni e agli enti locali la possibilità di prevedere "anche aree interdette agli esercizi commerciali, ovvero limitazioni ad aree dove possano insediarsi attività produttive e commerciali", purché ciò avvenga senza discriminazioni tra gli operatori e a tutela di specifici interessi di adeguato rilievo costituzionale, quali la tutela della salute, dei lavoratori, dell'ambiente, ivi incluso l'ambiente urbano, e dei beni culturali (sentenza 11 novembre 2016, n. 239).
14.7. Nella presente controversia, viene in questione l'art. 20, comma 3, della L.R. n. 24 del 2015 (secondo il quale, nel testo vigente all'epoca del rilascio dei provvedimenti impugnati, "l'autorizzazione amministrativa per l'apertura, il trasferimento e l'ampliamento delle medie e grandi strutture di vendita può essere rilasciata soltanto in conformità degli strumenti urbanistici di pianificazione territoriale, paesistica e urbanistica e previa verifica delle condizioni di compatibilità e delle dotazioni di standards urbanistici in relazione alla tipologia dell'esercizio insediato o risultante dall'ampliamento"), come pure le correlate previsioni di piano.
14.8. Poiché nessuna delle parti resistenti ha osservato che la disposizione di legge e quelle di piano, implicate nella vicenda, sotto le vesti del governo del territorio abbiano in realtà l'obiettivo di restringere o regolare la concorrenza fra imprese di commercio, né ha richiesto un "giudizio sulla proporzionalità delle limitazioni urbanistiche opposte dall'autorità comunale rispetto alle effettive esigenze di tutela dell'ambiente urbano o afferenti all'ordinato assetto del territorio" (Cons. Stato, sez. IV, n. 2016/2017), non vi è ragione per considerare la disposizione di legge e quelle urbanistiche costituzionalmente illegittime, abrogate, disapplicabili o comunque venute meno.
15. Accolto il primo motivo dell'appello, occorre passare all'esame dei motivi successivi, che riproducono in sintesi i motivi dell'impugnazione di primo grado.
16. Con il secondo motivo, la società appellante censura i titoli edilizi rilasciati alla controparte per violazione delle norme di PRG e per meglio dire:
- violazione delle destinazioni d'uso in zona F12 ex artt. 88 ("attrezzature e servizi di quartiere") e 90 ("attrezzature civili di interesse comune") delle NTA al PRG;
- violazione delle destinazione d'uso in zona F14 ex art. 92 delle NTA ("verde attrezzato");
- ancora in zona F12, mancata riserva di aree a verde nella misura del 30% (art. 32, comma 4, delle NTA).
16.1. Con un ragionamento che il Collegio ha ritenuto fallace (supra 14 ss.), il TAR ha respinto le censure relative sul rilievo che erroneamente D. avrebbe posto a fondamento della dedotta illegittimità previsioni normative o tecniche risalenti agli anni '80-'90, non adeguate al nuovo statuto di liberalizzazione e perciò inidonee a fungere da parametro di legittimità dei titoli impugnati.
16.2. Nella prima memoria di replica, la società resistente ventila l'inammissibilità del motivo per novità rispetto al ricorso di primo grado. L'eccezione non è fondata, perché - anche in disparte il modo in cui allora, con il I e il II motivo, è stata costruita la censura di violazione dell'art. 88 NTA, letta da L. in termini che il Collegio non condivide - il IV e il V motivo, contenuti nel contestuale primo atto di motivi aggiunti, deducono appunto la violazione degli artt. 32 e 92 delle NTA, il che è sufficiente a dare ingresso all'esame della censura nel suo complesso, vale a dire nell'affermato contrasto dell'intervento assentito con una o più norme di piano.
16.3. Nel merito, L. obietta che l'area, prima di essere aggiudicata a seguito di asta pubblica, sarebbe stata inserita dal Comune nel piano delle alienazioni e valorizzazioni immobiliari (ai sensi dell'art. 58 del D.L. 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, in L. 6 agosto 2008, n. 133) e di conseguenza inserita nel patrimonio disponibile dell'ente; ne sarebbe con ciò venuta meno la funzionalizzazione pubblicistica e, come effetto, si sarebbe verificata una variante implicita o automatica del PRG.
16.4. Tale tesi avrebbe potuto essere sostenuta nella vigenza del testo originario dell'art. 58, il cui comma 2 stabiliva che "la deliberazione del consiglio comunale di approvazione del piano delle alienazioni costituisce variante allo strumento urbanistico generale".
16.5. Senonché la disposizione è stata dichiarata illegittima dalla Corte costituzionale con la sentenza 30 dicembre 2009, n. 340. Pertanto, deve dirsi che la variante al PRG non può che seguire le procedure sue proprie, se del caso anche semplificate, ma non discende di diritto dall'approvazione del piano in questione.
16.6. Il testo da prendere in considerazione è quello ora vigente, introdotto da ultimo nel 2011 ("la deliberazione del consiglio comunale di approvazione, ovvero di ratifica dell'atto di deliberazione se trattasi di società o Ente a totale partecipazione pubblica, del piano delle alienazioni e valorizzazioni determina le destinazioni d'uso urbanistiche degli immobili").
16.7. A questo riguardo, la difesa di L. è infondata, perché si scontra con la circostanza - allegata dall'appellante e che, non contestata, trova conferma negli atti - che l'area è stata inserita nel piano dalle deliberazioni consiliari n. 76/2014 e n. 97/2014, quindi posta in vendita e alienata, con l'espresso richiamo confermativo dell'originaria destinazione, che deve pertanto considerarsi immutata.
16.8. Nelle proprie memorie L., muovendosi sul piano delle prospettazioni della parte appellante, sostiene che il PRG, consentendo nell'area l'installazione di attrezzature di interesse comune o generale, includerebbe gli esercizi commerciali come i supermercati.
16.9. La difesa è infondata. Le norme di piano richiamate consentono nella zona destinazioni funzionali al quartiere e fra queste ricomprendono anche le destinazioni commerciali pubbliche, quali appunto i mercati di quartiere. Ma - come ha rilevato in un'altra occasione questo Consiglio di Stato (sez. IV, 4 maggio 2012, n. 2578) - i mercati di quartiere costituiscono una "forma distributiva storicamente presente ed importante nel contesto commerciale italiano" e possono considerarsi di interesse pubblico, ma costituiscono una categoria a sé stante nella quale non rientrano le medie o grandi strutture commerciali private.
16.10. Questa conclusione non muta per effetto dell'approvazione del piano delle alienazioni e valorizzazioni immobiliari, il cui contenuto non può refluire sull'interpretazione delle NTA al PRG se non al prezzo di una non condivisibile adesione alla tesi della variante implicita.
16.11. In conclusione, il secondo motivo dell'appello è fondato e va accolto.
17. Da tale accoglimento discende l'accoglimento dell'appello in toto, con assorbimento dei motivi non esaminati, in quanto l'annullamento dei titoli edilizi - come detto - comporta il venir meno degli atti giuridicamente presupposti dal rilascio delle autorizzazioni commerciali e ne provoca la caducazione.
18. La sentenza di primo grado va dunque riformata, con accoglimento del ricorso introduttivo del giudizio di primo grado.
19. Considerata la complessità e la novità, almeno parziale, della controversia, le spese del doppio grado di giudizio possono essere compensate fra le parti.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e per l'effetto, in riforma della sentenza impugnata, accoglie il ricorso introduttivo del giudizio di primo grado.