[size=18pt][b]Su SUOLO PUBBLICO non si applica la SCIA (valgono limiti della concessione) e niente conformazione[/b][/size]
[b]SINTESI[/b]
[i]Il comune di Lecce concede a Tizio l'occupazione di suolo pubblico con concessione finalizzata alla vendita di giornali e riviste tramite la realizzazione di un chiosco. Il comune, quindi, lega la concessione di suolo pubblico all’esercizio di una precisa attività commerciale, ossia la vendita di giornali e riviste.
Tizio vende l'azienda a Caio. Il subentrante presenta una SCIA al comune di Lecce al fine di comunicare, per il chiosco di cui trattasi, la nuova apertura esercizio vendita / somministrazione per mezzo di apparecchi automatici per somministrazione di alimenti e bevande, ossia, in pratica, il cambio di tipologia di prodotto che sarebbe stato venduto nel predetto chiosco.
Il comune adotta, ai sensi dell'art. 19, comma 3 della legge 241/90, il provvedimento di divieto di prosecuzione dell'attività e di rimozione degli eventuali effetti dannosi di essa. L'esercente ricorre impugnando il provvedimento.
Il TAR Lecce rigetta le censure del ricorrente affermando:
- l'Amministrazione può scegliere la destinazione del bene demaniale valutando l'interesse pubblico prevalente. In questo caso, la porzione di suolo è concessa solo ed esclusivamente per esercitare un’attività commerciale di vendita di riviste e giornali e quindi è legittimo l'obbligo, in capo all'esercente, di mantenere, come prevalente, l'esercizio di quell'attività.
- la normativa in materia di commercio su aree pubbliche subordina l'esercizio dell'attività non solo al rilascio di un'autorizzazione ma anche alla concessione d'uso del bene. L'autorizzazione può, infatti, essere rilasciata solo se sia disponibile un’area pubblica destinata all'esercizio del commercio (salva l'ipotesi che questo sia esercitato in forma itinerante).
- risulta del tutto inconferente, nel presente caso, il richiamo alla normativa edilizia sulla destinazione d'uso commerciale dell'area e al fatto che eventuali mutamenti d’uso all’interno della stessa categoria funzionale sono sempre consentiti. Il punto dirimente della questione è la circostanza che i titoli abilitativi emessi dal Comune legano indissolubilmente l’utilizzo del chiosco ubicato sull’area pubblica alla sola attività di rivendita di giornali e riviste e, dunque, non era possibile variare unilateralmente il predetto utilizzo da parte della parte ricorrente.
- relativamente all'applicazione del dell'art. 19, comma 3 della legge 241/90, bene ha fatto l'Amministrazione comunale a ordinare il divieto di esercizio senza concedere al privato la possibilità di conformare l'attività entro un termine (rimanendo in esercizio). Infatti, è evidente come non sarebbe stata possibile alcuna conformazione dell’attività di vendita/somministrazione (per cui era stata presentata la SCIA), atteso che la stessa avrebbe necessitato, come ben chiarito dal Comune di Lecce, del rilascio una nuova concessione dell’area pubblica, essendo attività difforme da quella autorizzata originariamente, ossia la vendita di giornali e riviste.[/i]
[color=red][b]TAR PUGLIA – LECCE, SEZ. III – sentenza 23 maggio 2019 n. 852[/b][/color]
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Orbene, con riferimento all’occupazione di un’area pubblica, il Tribunale concorda con quanto sostenuto, in linea generale e con rifermento al caso de quo, dal Comune di Lecce nel proprio atto di costituzione circa il fatto che “la concessione di una porzione di suolo pubblico al fine di esercitare un’attività commerciale ne comporta la sottrazione all’uso generale e diretto da parte della collettività. Si configura, in tal caso, un uso particolare ad opera del concessionario. Proprio per tale ragione la normativa in materia di commercio su aree pubbliche subordina l’esercizio del commercio (ovvero la vendita di merci al dettaglio e/o la somministrazione al pubblico di alimenti e bevande) su aree pubbliche non solo al rilascio di un’autorizzazione ma anche alla concessione d’uso del bene. L’autorizzazione può, infatti, essere rilasciata solo se sia disponibile un’area pubblica destinata all’esercizio del commercio (salva l’ipotesi che questo sia esercitato in forma itinerante). Nello specifico con la concessione di suolo pubblico si attua anche una valutazione di compatibilità tra l’esercizio del commercio e la destinazione del bene pubblico che consiste nell’accertare la conformità dell’uso particolare concesso al privato commerciante rispetto all’uso collettivo: in tanto si giustifica la concessione dell’uso particolare in quanto consente una migliore fruizione collettiva dell’area pubblica da parte degli utenti. Nel caso che ci occupa la valutazione dell’interesse pubblico veniva fatta quando l’Amministrazione comunale concedeva al sig. Campilongo (e prima ancora al sig. Tardio) una porzione di suolo in via XXV Luglio – angolo via Trinchese (zona A1 – centro storico) al fine di esercitare in via esclusiva l’attività di rivendita di giornali e riviste. Tale porzione di suolo veniva, quindi, concessa solo ed esclusivamente per esercitare un’attività commerciale di vendita di riviste e giornali, in coerenza con il quieto orientamento giurisprudenziale secondo cui [b]l’Amministrazione può scegliere la destinazione del bene demaniale valutando l’interesse pubblico prevalente.[/b] Alla concessione di suolo pubblico faceva seguito il rilascio di autorizzazione amministrativa. Seguiva, poi, il Piano comunale di localizzazione dei punti ottimali ed esclusivi di vendita dei quotidiani e periodici, approvato con delibera di C. C. 9 del 6.2.2003 che confermava il chiosco di via XXV Luglio quale punto ottimale tenuto alla vendita esclusiva di riviste e giornali. Di conseguenza l’attività prevalente deve rimanere quella della vendita di quotidiani e periodici salva al più la possibilità di destinare solo una parte della superficie di vendita alla erogazione di servizi di interesse pubblico (es. informazione e accoglienza turistica, commercializzazione di prodotti diversi da quelli editoriali).”.
Sulla base di quanto sopra riportato, dunque, risulta chiaro che il legittimo divieto di prosecuzione delle attività, previste nella S.C.I.A. presentata dall’odierna ricorrente, è avvenuto, da parte del Comune di Lecce, in base alla circostanza che la società Lapi S.r.l. intendeva mutare l’oggetto specifico della vendita, nonostante la medesima società avesse la disponibilità del chiosco di cui trattasi in base a precedenti concessioni della P.A. (poi cedute) che espressamente prevedevano, quale attività commerciale da svolgere nel predetto chiosco, unicamente quella di vendita di giornali e riviste; del resto a tale conclusione la Sezione era già pervenuta all’esito del giudizio cautelare, in cui ha precisato che “la concessione di occupazione di suolo pubblico originariamente assentita dall’Amministrazione resistente riguardava la rivendita di riviste e giornali, sicchè per variare l’attività da svolgere occorre una nuova concessione di occupazione dell’area pubblica in discorso anche in relazione alla res venduta”, conclusione da cui, stante anche le considerazioni del Comune resistente sopra ricordate, non vi è motivo di discostarsi nella presente sede di merito.
Infine, con riferimento alla censura formulata da parte ricorrente, il Collegio rileva come i provvedimenti impugnati risultano legittimi anche alla luce del dettato dell’articolo 2, comma 8, del R.R. 4/2017, attuativo della Legge Regione Puglia n. 24/2015, che consente la cessione della concessione in parola solo contestualmente alla cessione del ramo d’azienda commerciale, così sancendo, una volta ancora, il legame indissolubile tra titoli abilitativi e specifica attività svolta.
2.2 Con la seconda censura del primo motivo di gravame, parte ricorrente deduce l’illegittimità dei provvedimenti impugnati in quanto non sarebbe mutata la destinazione d’uso del bene, contrariamente a quanto sostenuto dal Comune di Lecce, che rimarrebbe sempre commerciale, mutando solo il settore merceologico dei prodotti da vendere, e ciò si ricaverebbe dall’esame dell’articolo 23-ter del D.P.R. n. 380/2001, secondo cui esiste un’unica generale destinazione d’uso commerciale e, dunque, “eventuali mutamenti d’uso all’interno della stessa categoria funzionale non solo sono sempre consentiti, ma non necessitano del rilascio di apposita autorizzazione (salva diversa e specifica previsione da parte delle leggi regionali e degli strumenti urbanistici comunali), atteso che sono ritenuti urbanisticamente omogenei, determinando carichi urbanistici sostanzialmente equivalenti”.
2.2.1 La censura è palesemente infondata.
Al riguardo, il Collegio rileva come risulti del tutto inconferente, nel presente caso, il richiamo alla normativa edilizia in quanto del tutto non pertinente, atteso che, come già detto con riferimento alla precedente censura, il punto dirimente della questione è la circostanza che i titoli abilitativi emessi dal Comune di Lecce ai signori Tardio e Campilongo legavano indissolubilmente l’utilizzo del chiosco ubicato sull’area pubblica di via XXV Luglio alla sola attività di rivendita di giornali e riviste e, dunque, non era possibile variare unilateralmente il predetto utilizzo da parte dell’odierna ricorrente, utilizzo che è stato fissato da precisi atti amministrativi, fra cui, da ultimo, la concessione n. 5536 del 21 febbraio 2005 sottoscritta dal signor Campilongo ed espressamente richiamata nell’atto di cessione d’azienda n. 15866 del 23 novembre 2016 nella parte in cui l’odierna ricorrente dichiarava che avrebbe continuato ad esercitare l’attività nel chiosco munita, proprio, di tale assenso della P.A..
2.3 Con la terza censura del primo motivo di ricorso, l’odierna ricorrente deduce l’illegittimità del provvedimento comunale impugnato in quanto “assolutamente carente sotto il profilo motivazionale, non recando né i presupposti di fatto né le ragioni giuridiche che ne hanno determinato l’adozione in relazione alle risultanze dell’istruttoria, limitandosi soltanto ad indicare l’asserita mancanza di apposito titolo autorizzativo sulla nuova destinazione d’uso dell’immobile nonché della relativa agibilità.”.
2.3.1 La censura è infondata.
In disparte la circostanza che parte ricorrente non specifica, con riguardo alla presente censura, a quale dei due provvedimenti comunali impugnati si riferisca, il Collegio rileva come nel provvedimento n. 55603/2017 dell’11 aprile 2017 il Comune di Lecce ha compiutamente motivato il provvedimento di diniego di autotutela rispetto al proprio precedente divieto di S.C.I.A., dando atto di tutti gli elementi, in fatto e in diritto, rilevanti nel presente caso che hanno comportato il divieto di S.C.I.A. presentata dall’odierna ricorrente.
3. Col secondo motivo di ricorso, la società xxx S.r.l. deduce l’illegittimità del provvedimento impugnato in quanto “l’eventuale presenza di difformità o di irregolarità, come sembra desumersi dal provvedimento dell’AC impugnato, avrebbe pertanto potuto e dovuto essere rilevata sin dal momento della presentazione della SCIA con contestuale obbligo per l’Amministrazione di invitare formalmente la ricorrente a provvedere a conformare l’attività dichiarata (e già avviata) alla normativa vigente. Ciò posto, il provvedimento dell’AC prot. n. 48350 del 28.03.2017 risulta essere illegittimo oltre che manifestamente sproporzionato rispetto al pregiudizio arrecato all’esercente l’attività commerciale[color=red][b], essendo state macroscopicamente disattese le prescrizioni dell’art. 19 L. n. 241/90 che impongono all’Amministrazione di richiedere formalmente al privato di conformare l’attività intrapresa alla normativa vigente.”.
3.1 Il motivo è palesemente infondato.[/b][/color]
Premesso che non è chiaro a quale dei due provvedimenti impugnati l’odierna ricorrente si riferisca, il Collegio rileva come l’articolo 19 della Legge n. 241/1990 e ss.mm., invocato da parte ricorrente, testualmente prevede, fra l’altro, che “Qualora sia possibile conformare l’attività intrapresa e i suoi effetti alla normativa vigente, l’amministrazione competente, con atto motivato, invita il privato a provvedere prescrivendo le misure necessarie con la fissazione di un termine non inferiore a trenta giorni per l’adozione di queste ultime. In difetto di adozione delle misure da parte del privato, decorso il suddetto termine, l’attività si intende vietata.”.
[color=red][b]Orbene, stante quanto detto sopra, risulta chiaro che, nel presente caso, non era possibile alcuna conformazione dell’attività per cui era stata presentata la S.C.I.A., atteso che la stessa non poteva essere svolta in quanto relativa alla vendita di prodotti commerciali differenti da quelli previsti dalla concessione di uso pubblico rilasciata e, pertanto, l’attività di somministrazione di bevande ed alimenti tramite apparecchi automatici era possibile solo, come ben chiarito dal Comune di Lecce nella nota n. 55603/2017 dell’11 aprile 2017, mediante la richiesta di una nuova concessione dell’area pubblica, essendo attività difforme da quella autorizzata originariamente, ossia la vendita di giornali e riviste.[/b][/color]
4. Per tutto quanto innanzi esposto, il ricorso deve essere respinto.