Data: 2019-04-11 05:39:49

Conferenza di servizi preliminare - Consiglio di Stato 1643/2019

[color=red][b]Cons. Stato Sez. V, Sent., (ud. 31/01/2019) 12-03-2019, n. 1643[/b][/color]

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Motivi della decisione
1. Ragioni di connessione oggettiva, date dall'essere gli appelli rivolti nei confronti di sentenze relative alla medesima vicenda amministrativa, rendono opportuna la riunione ex art. 70 cod. proc. amm. di tali impugnazioni, affinché siano decise con un'unica sentenza.

2. Si ritiene di esaminare con priorità l'appello n. di r.g. 9455/2013, con cui la C.M. impugna la sentenza del Tribunale amministrativo di Napoli che ha respinto la sua impugnazione contro l'esito della conferenza di servizi decisoria per l'approvazione del progetto di delocalizzazione dell'attività estrattiva in località M. M. del Comune di Pontervairano, ai sensi dell'art. 28 delle norme tecniche di attuazione del piano regionale per le attività estrattive della Regione Campania.

3. Con un primo motivo d'appello la C.M. ripropone le censure di ordine procedimentale già respinte dal Tribunale.

L'originaria ricorrente lamenta il fatto che la Regione Campania abbia segmentato il procedimento di delocalizzazione della cava - che a suo dire - ai sensi della speciale disposizione di cui all'art. 28 delle norme tecniche di attuazione del piano di settore, avrebbe carattere unitario, in plurime conferenze di servizi: una per la dismissione della cava in località S. R. del Comune di Caserta; quindi una conferenza preliminare ex art. 14-bis L. n. 241 del 1990 ed un'ulteriore conferenza decisoria per la nuova localizzazione nel Comune di Pontevairano, località M. M.. Secondo la società appellante questa segmentazione avrebbe dilatato i tempi di definizione del procedimento per circa cinque anni, con violazione delle disposizioni di legge relative all'istituto della conferenza di servizi e dei termini perentori per essa previsti e sarebbe fonte dei danni subiti a causa del ritardo temporale così venutosi ad accumulare.

4. Con un'ulteriore ordine di censure la C.M. sostiene che la suddivisione della fase di approvazione della nuova localizzazione della cava, dopo la dismissione di quella precedentemente esercitata, avrebbe fatto sorgere un legittimo affidamento sulla positiva conclusione del procedimento, invece escluso dal giudice di primo grado, una volta accertata nella conferenza preliminare per la nuova localizzazione dell'attività estrattiva l'assenza di ragioni ostative, malgrado il dissenso già in precedenza espresso dal Comune di Pontevairano (verbale conclusivo in data 24 luglio 2007, poi recepito con decreto del settore provinciale del Genio civile di Caserta n. 28 del 28 luglio 2007). Secondo l'appellante, l'operato delle amministrazioni resistenti formalizzato all'esito negativo della conferenza di servizi decisoria sarebbe nel complesso contraddittorio.

Al medesimo riguardo l'appellante sottolinea che l'amministrazione comunale non ha impugnato né la determinazione conclusiva della conferenza di servizi preliminare, né tanto meno la destinazione ad area di riserva estrattiva impressa alla località M. M. dal piano regionale delle attività estrattive.

5. Le censure di ordine procedimentale così sintetizzate possono essere esaminate congiuntamente e sono infondate.

6. Il primo ordine di contestazioni va innanzitutto respinto sulla base del principio di carattere generale per cui i tempi di definizione del procedimenti amministrativi non hanno carattere perentorio, salva espressa qualificazione normativa in questo senso, e il loro superamento non si traduce in alcuna illegittimità del provvedimento finale, ma può rilevare ai fini risarcitori nel rapporto tra amministrazione e privato e, sul piano interno alla prima, ai fini disciplinari (giurisprudenza pacifica di questo Consiglio di Stato, espressa tra le altre nelle sentenze di questa Sezione 14 aprile 2015, n. 1872, 11 ottobre 2013 n. 4980, 15 novembre 2012, n. 5773, oltre che della IV Sezione, 10 giugno 2013, n. 3172, e della VI Sezione, 23 dicembre 2013, n. 6188).

7. Peraltro le contestazioni rispetto alla scelta di suddividere il procedimento in tre distinti segmenti, corrispondenti ad altrettante conferenze di servizi, sono in sé infondate.

Infatti, da un lato, ai sensi dell'art. 28 delle norme tecniche di attuazione del piano regionale per le per le attività di cava ubicate in zone classificate da tale strumento come "altamente critiche" si prevede una prima fase di "dismissione dell'attività estrattiva", divenuta incompatibile,"con la previsione dei contestuali interventi necessari di ricomposizione e/o riqualificazione ambientale e con individuazione delle destinazioni finali del sito" sulla base di un programma dell'esercente, o in luogo di questo ad iniziativa ufficiosa, destinato ad essere approvato "all'esito di conferenza di servizi indetta dal competente dirigente regionale", e con la previsione di un accordo di programma per le varianti urbanistiche eventualmente necessarie (commi 4 - 11).

La norma tecnica di attuazione in esame prevede quindi che nell'ipotesi in cui l'attività estrattiva da dismettere "sia strettamente connessa e funzionale ad altre attività imprenditoriali riconducibili allo stesso ciclo produttivo ed ubicate in prossimità del sito di cava" l'esercente possa domandarne la "delocalizzazione", con procedura avente avvio da una sua "manifestazione di interesse", destinata a svolgersi "in deroga" alle ordinarie procedure di autorizzazione o concessione, e soggetta anch'essa "obbligatoriamente" alle forme previste per l'accordo di programma ai sensi del sopra citato art. 12 della legge regionale urbanistica n. 16 del 2004 (commi 12 - 21).

Dall'altro lato, la suddivisione della procedura di delocalizzazione in una conferenza di servizi preliminare e una decisoria non può ritenersi illegittima, in considerazione dell'ampia discrezionalità dell'amministrazione di ricorrere alla prima in presenza di "progetti di particolare complessità o di insediamenti produttivi di beni e servizi", ai sensi dell'art. 14-bis della L. n. 241 del 1990 (nella versione allora vigente, antecedente alle modifiche introdotte dal D.Lgs. 30 giugno 2016, n. 127 - Norme per il riordino della disciplina in materia di conferenza di servizi, in attuazione dell'articolo 2 della L. 7 agosto 2015, n. 124).

8. Anche con riguardo all'affidamento eventualmente maturato sulla positiva conclusione della conferenza decisoria per effetto degli esiti della conferenza di servizi preliminare deve ritenersi che esso non può tradursi nell'illegittimità della determinazione conclusiva del procedimento. Infatti in base alla sua funzione tipica, ricavabile dalla disposizione di legge ora richiamata, la conferenza preliminare è la sede deputata ad una prima verifica circa l'assentibilità di progetti di particolare complessità o di insediamenti produttivi di beni e servizi, in particolare a definire le condizioni per ottenere i necessari assensi amministrativi da parte delle amministrazioni competenti, al fine di semplificare l'istruttoria e la valutazione da svolgere in via definitiva nella conferenza di servizi decisoria, sulla base di un progetto risultante dalla verifica preliminare, senza tuttavia alcun vincolo rispetto agli esiti della decisione finale.

9. Più in generale va ricordato che l'affidamento maturato dal privato può costituire ragione di invalidità degli atti di annullamento in autotutela, ai sensi dell'art. 21-nonies della L. n. 241 del 1990, in ragione del fatto che tali provvedimenti vanno ad incidere su precedenti atti già definitivi e sul rapporto amministrativo per effetto di essi costituito con il privato, ma non anche di provvedimenti ancora da emanare, e sulla base delle risultanze della prodromica istruttoria.

10. Per le ragioni da ultimo esposte non è inoltre configurabile alcuna contraddittorietà in atti, stante la diversa funzione delle due conferenze di servizi come sopra precisata.

11. Con le restanti censure - riferite invece alla determinazione conclusiva della conferenza di servizi decisoria sul progetto di delocalizzazione - la C.M. critica innanzitutto la sentenza di primo grado nella parte in cui il Tribunale ha negato che il piano regionale per le attività estrattive potesse prevalere sullo strumento urbanistico comunale, in assenza di una delimitazione dei comparti delle aree estrattive di riserva (ai sensi dell'art. 5, comma 3, delle norme tecniche di attuazione del primo). La tesi dell'appellante è che il limite in questione non si applichi allo speciale e derogatorio procedimento di delocalizzazione delle cave previsto dall'art. 28 delle medesime norme tecniche, finalizzato a mantenere attività estrattive già in essere, ma divenute incompatibili nel sito in cui si sono svolte (come nel caso di specie, in seguito alla classificazione dell'area in località S. R. del Comune di Caserta come zona ad alta criticità).

12. A fondamento di tale ricostruzione vi è l'assunto per cui i tempi di delimitazione dei comparti estrattivi stabiliti dal piano regionale, fissati in 18 mesi dalla relativa pubblicazione per le aree di riserva (art. 21, comma 3, delle norme tecniche di attuazione), sarebbero incompatibili con l'esigenza di rapida dismissione delle aree divenute critiche per l'attività estrattiva ed assicurare la contestuale delocalizzazione di attività estrattive precedentemente svolte. Secondo la C.M., l'unico presupposto della delocalizzazione ai sensi dell'art. 28 da ultimo citato sarebbe quindi dato dall'acquisizione della disponibilità delle aree così classificate, nel caso di specie da essa ottenuta per il sito di P., località M. M., una volta integrato il quale si riespande il carattere sovraordinato del piano regionale di settore rispetto al piano urbanistico comunale.

13. Inoltre, secondo l'appellante non vi sarebbe bisogno di alcuna variante urbanistica nemmeno con riguardo al cementificio, poiché tale impianto è strumentale rispetto all'attività estrattiva rilocalizzata, rientrante pertanto nell'ipotesi prevista dal comma 12 dell'art. 28 più volte citato e ritenuto parte integrante del progetto nella dichiarazione regionale pubblico interesse di cui alla citata delibera di giunta n. 1500 del 18 settembre 2008.

14. La C.M. sottolinea poi che nell'ambito della conferenza di servizi preliminare per la delocalizzazione è stata accertata l'assenza di motivi ad essa ostativi, anche da parte delle amministrazioni preposte alla tutela di interessi sovraordinati rispetto a quelli di carattere urbanistico vantati dal Comune di Pietravairano, e che in particolare gli enti rispettivamente competenti hanno espresso i pareri favorevoli di valutazione ambientale strategica, di impatto ambientale e di compatibilità idrogeologica. Secondo l'appellante sarebbero pertanto errate tutte le considerazioni contrarie svolte sul punto dal Tribunale.

15. Sulla base di ciò - prosegue la C.M. - l'approvazione del progetto di delocalizzazione non era condizionato dal dissenso del Comune di Pietravairano, motivato da ragioni di carattere urbanistico, come peraltro confermato dai pareri acquisiti dalla Regione presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri e la propria avvocatura e pertanto la sottoscrizione dell'accordo di programma costituiva atto vincolato sulla base delle posizioni prevalenti espresse dalle amministrazioni partecipanti alla conferenza di servizi decisoria, recepita con la determinazione del settore provinciale del Genio civile di Caserta n. 68 del 9 settembre 2011. A questo riguardo, l'originaria ricorrente precisa che quest'ultimo provvedimento è stato a sua volta impugnato dall'amministrazione comunale, con ricorso tuttavia dichiarato inammissibile dallo stesso Tribunale amministrativo regionale della Campania - sede di Napoli (sentenza del 5 agosto 2013, n. 4063).

17. In conclusione, la C.M. chiede che in accoglimento del ricorso per l'annullamento degli atti da essa impugnati la Regione Campania, la Provincia di Caserta e, in subordine, anche il Comune di Pietravairano siano condannati ai sensi dell'art. 34, comma 1, lett. c), cod. proc. amm. a rilasciare il provvedimento di approvazione del progetto di delocalizzazione ai sensi dell'art. 28 delle norme tecniche di attuazione del piano regionale delle attività estrattive.

18. L'appellante chiede inoltre il risarcimento dei danni subiti a causa dell'illegittimo diniego, quantificati in Euro 69.647.000, per l'acquisto dei terreni, le spese di progettazione sostenute, e la mancata vendita del cemento ricavato dall'attività estrattiva, per gli anni dal 2010 al 2015.

19. Le censure così sintetizzate sono fondate nei termini che seguono.

20. Occorre premettere che l'area sita in località M. M. del Comune di Pietravairano, nella quale la C.M. intende rilocalizzare la propria attività estrattiva, cui afferisce anche un impianto di produzione di cemento dal materiale di cava, è classificata dal piano regionale per le attività estrattive come area estrattiva "di riserva", nella quale, ai sensi dell'art. 26 delle norme tecniche di attuazione l'attività di sfruttamento della cava è subordinato alla "previa valutazione della sostenibilità ambientale e territoriale" dell'iniziativa.

In base al piano di settore per questo tipo di area lo sfruttamento a fini estrattivi è dunque consentito in astratto, ma richiede una valutazione in concreto, ed inoltre, secondo quanto dispone l'art. 5 delle medesime norme tecniche di attuazione, la destinazione a scopi produttivi impressa dallo strumento regionale non prevale "sugli altri strumenti di pianificazione sottordinata, compresi quelli urbanistici, se non dal momento della approvazione della delimitazione dei comparti nelle singole aree di riserva" (comma 3), sulla base di apposito "studio e/o ricerca estrattiva" presentata dall'operatore interessato (comma 4).

21. L'art. 7 delle norme in esame precisa poi che in zone destinate ad attività estrattiva in base al piano di settore, ma sottoposte a vincoli di carattere paesaggistico, ambientale e idrogeologico l'attività estrattiva "nelle aree perimetrate" è subordinata al parere favorevole delle autorità preposte ai vincoli (comma 2).

22. Secondo quanto prevede invece l'art. 21 il comparto estrattivo "è un'area di estensione massima di 35 Ha, delimitata (...) nelle aree di riserva ove l'attività estrattiva è subordinata alla preventiva approvazione del progetto unitario di gestione produttiva del comparto medesimo" (comma 1); ed è "funzionale alla salvaguardia dei valori ambientali, alla ricomposizione ambientale e riqualificazione territoriale dell'intera area interessata e ad uno sviluppo programmato degli interventi estrattivi" (comma 2).

Per la delimitazione dei comparti il piano assegna alla giunta regionale della Campania un termine di 18 mesi dalla sua approvazione (risalente al 2006) per le aree di riserva, contro i 6 mesi previsti per le aree suscettibili di nuove estrazioni (art. 21, comma 3, delle norme tecniche di attuazione).

23. Il già richiamato art. 26 disciplina poi in modo analitico i casi e le modalità con cui l'attività estrattiva è assentita in aree di riserva "delimitate in comparti" (comma 2):

- in aree "esenti da vincoli" di cui all'art. 7 sopra richiamato;

- "relativamente a superfici aventi un'estensione prima dell'approvazione del progetto unitario di gestione produttiva del comparto non inferiore a 5 Ha costituenti un unico lotto, nell'ambito di comparti delimitati della superficie complessiva non inferiore a 35 Ha" (comma 3);

- i quali comparti sono a loro volta delimitati"tenendo conto della morfologia dei luoghi in modo tale da assicurare, per quanto possibile, una coltivazione che consente la sistemazione definitiva dei luoghi e la delimitazione di ulteriori comparti aventi la medesima estensione, evitando la formazione di superfici estrattive non sfruttabili e, per quanto possibile, all'interno di un unico territorio comunale" (comma 8).

Il comma 12 del medesimo art. 26 ribadisce infine che nelle more della delimitazione dei comparti nelle aree di riserva non si determinano "sugli strumenti urbanistici comunali" gli "effetti" previsti dall'art. 2, commi 8 e 9, della L.R. 13 dicembre 1985, n. 54 (Coltivazione di cave e torbiere), ovvero la "deroga" rispetto "ad altre diverse destinazioni" conseguente all'approvazione dello strumento regionale di pianificazione del settore.

24. Infine, l'art. 28 delle norme tecniche di attuazione disciplina il procedimento di "delocalizzazione" delle attività estrattive preesistenti da aree classificate in base al piano regionale come "altamente critiche", per le quali è prevista "la dismissione controllata dell'attività estrattiva" (comma 1), laddove tale attività sia "strettamente connessa e funzionale ad altre attività imprenditoriali riconducibili allo stesso ciclo produttivo ed ubicate in prossimità del sito di cava" (comma 12): in via principale "in aree suscettibili di nuova estrazione" (comma 12); o, per venire al caso oggetto del presente giudizio, "in alternativa" in aree di riserva "su superfici in disponibilità", in deroga alle ordinarie procedure di autorizzazione (comma 15).

25. Tuttavia, come rilevato dal giudice di primo grado, il comma 15 da ultimo richiamato è stato abrogato con legge regionale dall'art. 79, comma 1, lett. e), della L. 30 gennaio 2008, n. 1 - Disposizioni per formazione del bilancio annuale e pluriennale della regione Campania - legge finanziaria 2008.

Il comma 20 del medesimo art. 28 delle norme tecniche di attuazione, invece tuttora vigente, statuisce (come accennato in precedenza) che la procedura di delocalizzazione "in ragione degli effetti che produce, è regolamentata obbligatoriamente con l'accordo di programma ex art. 12 della L.R. n. 16 del 2004, anche al fine di prevedere, se del caso, l'occupazione e/o l'espropriazione delle nuove superfici estrattive interessate dalla delocalizzazione". La legge regionale richiamata è quella urbanistica (L. 22 dicembre 2004, n. 16 - Norme sul governo del territorio), il cui art. 12 concerne gli accordi di programma aventi tra l'altro ad oggetto "la definizione e l'esecuzione di opere pubbliche o di interesse pubblico, anche di iniziativa privata", per le quali "è necessaria un'azione integrata" di più amministrazioni, statali e locali (comma 1), e la cui approvazione "equivale a dichiarazione di pubblica utilità, indifferibilità ed urgenza delle opere in esso previste (...) e determina le conseguenti variazioni degli strumenti di pianificazione urbanistica e territoriale, anche settoriali, comunali e sovracomunali" (comma 13).

26. Così ricostruito il quadro normativo e di pianificazione settoriale applicabile alla presente controversa, i fatti principali di essa, peraltro incontestati dalle parti, possono sintetizzarsi come segue:

- con delibera di giunta regionale del 18 settembre 2008, n. 1500, dato tra l'altro atto dell'assenza di motivi ostativi emersi in conferenza di servizi preliminare, salve le opposizioni del Comune di Pontevairano e di alcune associazioni ambientaliste, è stata confermata la "dichiarazione di interesse pubblico" ai sensi dell'art. 5 della poc'anzi citata legge mineraria regionale n. 54 del 1985 per la delocalizzazione dell'attività estrattiva ed industriale ad essa correlata della C.M. dalla località S. R. del Comune di Caserta al medesimo Comune di Pontevairano, sulla base del progetto definitivo trasmesso dalla società richiedente il 15 gennaio 2008;

- con la medesima delibera si è inoltre confermata la necessità di approvare il progetto mediante l'accordo di programma ex art. 12 della legge regionale urbanistica n. 16 del 2004 e si è delegato il Genio provinciale di Caserta per il relativo coordinamento procedimentale;

- con Det. n. 49 del 29 giugno 2010 il progetto è stato inizialmente respinto, a causa del dissenso espresso dal Comune di Pontevairano;

- riavviato il procedimento in esecuzione della citata ordinanza cautelare del Tribunale amministrativo di Napoli n. 2062 del 13 ottobre 2010, in cui il giudice di primo grado aveva rilevato che tale dissenso per ragioni di carattere urbanistico non impedisse la conclusione dell'accordo di programma sulla base delle posizioni prevalenti espresse in sede di conferenza di servizi, con Det. n. 68 del 9 settembre 2011 la Regione:

a) ha preso atto che tutte le autorità preposte ai vincoli esistenti sull'area interessata dalla delocalizzazione avevano espresso parere favorevole, in alcuni casi con prescrizioni, al progetto;

b) ha del pari preso atto degli ulteriori apporti favorevoli, con riguardo ai profili di conformità urbanistica, al piano regionale per le attività estrattive e agli aspetti di carattere ambientale (v.a.s., v.i.a., a.i.a. et similia);

c) ha inoltre rilevato che non esistevano profili di incompatibilità legati alla presenza di parchi intercomunali o aree protette in base alla legislazione regionale di settore, pur addotti in conferenza di servizi dal Comune di Pontevairano e dalle associazioni ambientaliste intervenute nel procedimento;

d) ha quindi constatato che sull'area di riserva interessata dalla delocalizzazione la prevalenza di tale destinazione ai sensi del piano regionale per le attività estrattive sugli strumenti urbanistici comunali era subordinata, in base all'art. 5, comma 3, delle norme tecniche di attuazione alla previa delimitazione del comparto estrattivo ai sensi dell'art. 21 delle medesime norme tecniche, nel caso di specie non intervenuta;

e) ha quindi rilevato l'incompatibilità della destinazione a scopi estrattivi dell'area oggetto di delocalizzazione, perché rientrante in zona agricola in base allo strumento urbanistico del Comune di Pontevairano;

f) ha sul punto dato atto del dissenso alla variante urbanistica espresso da quest'ultima amministrazione;

g) ha poi ripercorso l'approfondimento istruttorio svolto presso gli uffici della Regione in ordine alla possibilità di superare il principio del consenso unanime previsto per l'accordo di programma ex art. 12 L.R. n. 16 del 2004, in sede di "determinazione motivata di conclusione del procedimento", tenuto conto delle "posizioni prevalenti"espresse nella conferenza di servizi, ai sensi dell'art. 14-ter, comma 6-bis, L. n. 241 del 1990;

h) ha concluso nel senso che a fronte del "parere tecnico favorevole sul progetto definitivo" espresso da "tutte le Amministrazioni competenti", con la sola eccezione del Comune di Pontevairano, il progetto era approvato sul piano tecnico;

i) ha quindi preso atto del rifiuto di quest'ultima amministrazione di "variare l'attuale previsione urbanistica" e che la procedura di delocalizzazione ex art. 28 delle norme tecniche di attuazione del piano regionale per le attività estratte è sottoposto ad accordo di programma ai sensi dell'art. 12 della legge urbanistica regionale.

27. A tale atto sono seguiti quelli relativi alla stipula dell'accordo di programma, mai perfezionatasi a causa del permanere del dissenso del Comune, impugnati dalla C.M. con il quinto atto di motivi aggiunti nel giudizio n. di r.g. 4976/2010 presso il Tribunale amministrativo di Napoli, espressamente riproposti nell'appello in esame. In questo contesto si è poi inserita la diffida alla giunta regionale per la Campania per la delimitazione del comparto estrattivo ai sensi dell'art. 21 delle norme tecniche di attuazione del piano regionale per le attività estrattive, sulla cui conseguente inerzia la medesima società ha promosso il giudizio contro il silenzio-inadempimento ex art. 117 cod. proc. amm. (iscritto al n. di r.g. del medesimo Tribunale 913/2012).

28. Tutto ciò premesso, le censure della C.M. sono fondate nella parte in cui contestano che in sede di determinazione motivata di conclusione del procedimento di approvazione del progetto di delocalizzazione la Regione Campania, e quindi per la successiva stipula dell'accordo di programma, l'effetto di variante urbanistica ad esso conseguente, necessario rispetto alla destinazione agricola dell'area interessata, fosse subordinato ad una manifestazione di consenso del Comune di Pontevairano.

Come invece già rilevato dal Tribunale amministrativo in sede cautelare (con la più volte citata ordinanza n. 2062 del 13 ottobre 2010), l'approvazione dell'accordo di programma non è condizionata dal consenso unanime delle amministrazioni pubbliche interessate. Infatti, l'art. 12 della legge urbanistica regionale campana, nella versione vigente all'epoca dei fatti, enuncia(va) il principio maggioritario, per cui le determinazioni in sede di conferenza di servizi sono assunte "con il voto favorevole della maggioranza dei presenti", oltre che il tipico meccanismo di superamento previsto dalla legge generale sul procedimento amministrativo (art. 14-quater L. n. 241 del 1990) in caso di dissenso della Regione (commi 8 e 9). Ciò in conformità al modello adottato dal legislatore nazionale, in cui la conferenza di servizi è destinata ad essere definita sulla base della sopra citata "determinazione motivata di conclusione del procedimento" ex dell'art. 14-ter, comma 6-bis, L. n. 241 del 1990, costituente la sintesi delle "posizioni prevalenti" espresse nella conferenza di servizi (comma introdotto dalla L. 11 febbraio 2005, n. 15 - Modifiche ed integrazioni alla L. 7 agosto 1990, n. 241, concernenti norme generali sull'azione amministrativa, con l'espresso fine di rendere efficiente l'istituto).

29. Non può dunque essere condivisa la tesi del medesimo Tribunale invece espressa in sede di definizione del giudizio nel merito, laddove ha affermato che il consenso del Comune era necessario, perché la conferenza di servizi costituisce modello di semplificazione procedimentale, attraverso l'esame unificato dei diversi interessi pubblici coinvolti dall'approvazione di progetti, che tuttavia non deroga all'ordine delle competenze stabilite dalla legge. Il principio ora richiamato, esatto in sé, va tuttavia inteso nel senso che alla conferenza di servizi (decisoria) devono essere invitate tutte le amministrazioni competenti sull'affare, ma la determinazione finale è la sintesi delle posizioni espresse in seno al modulo procedimentale unificato, in cui l'amministrazione titolare della competenza principale adotta la decisione conclusiva in base alle "posizioni prevalenti". Diversamente opinando si attribuirebbe alla singola amministrazione un potere di veto paralizzante rispetto ad ogni iniziativa imprenditoriale privata.

Per le ragioni ora espresse, il principio dell'unanimità, in origine sancito con riguardo all'accordo di programma (art. 34 del testo unico sull'ordinamento degli enti locali di cui al D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 267, e prima ancora dall'art. 27 della L. 8 giugno 1990, n. 142) è stato superato dal principio delle posizioni prevalenti espresse in sede di conferenza di servizi.

30. Va poi precisato che in ragione del rango dell'interesse pubblico coinvolto il principio maggioritario recede per fare luogo all'adozione di strumenti di composizione del dissenso, attraverso la devoluzione dell'affare ad istanze superiori, come nel caso del sopra citato art. 14-quater L. n. 241 del 1990. Non è tuttavia pacificamente questo il caso di interessi di carattere urbanistico, quale quello addotto in funzione oppositiva del progetto di delocalizzazione della cava nel presente giudizio.

31. Nondimeno, affinché nel caso di specie possa ritenersi prodotto l'effetto di variante allo strumento urbanistico generale vigente nel Comune di Pontevairano nell'area interessata dalla delocalizzazione dell'attività estrattiva della C.M. occorre che sia delimitato il comparto estrattivo, in relazione al quale quest'ultima ha sollecitato la competente giunta regionale, finora senza esito, malgrado la sentenza di accoglimento del relativo ricorso contro il silenzio-inadempimento (sentenza n. 4064 del 5 agosto 2013). Ciò in ragione del fatto che l'area in questione è classificata dal piano regionale per le attività estrattive come area di riserva, in conseguenza del quale la prevalenza della destinazione a scopi di coltivazione di cava impressa dallo strumento di settore è subordinata ai sensi dell'art. 5, comma 3, delle relative norme tecniche di attuazione alla "delimitazione dei comparti nelle singole aree".

32. Deve ancora precisarsi, rispetto alle difese delle amministrazioni appellate, che l'abrogazione ad opera della L.R. n. 1 del 2008 (art. 79) della possibilità di delocalizzazione di attività estrattive in aree di riserva in base al nuovo piano regionale, non impedisce che il presente procedimento possa essere ricondotto all'ipotesi di autorizzazione estrattiva ordinaria, ai sensi degli artt. 10 e 26 delle norme tecniche di attuazione. Per tale ipotesi è comunque prevista la conclusione di un accordo di programma ai sensi dell'art. 12 della legge urbanistica regionale per le "opere necessarie per la coltivazione delle cave" (art. 18 delle norme tecniche di attuazione del piano regionale per le attività estrattive).

33. Resta ferma in questa ipotesi la necessità che la giunta regionale proceda a delimitare il comparto estrattivo, per le esigenze di "salvaguardia dei valori ambientali, (...) ricomposizione ambientale e riqualificazione territoriale dell'intera area interessata e ad uno sviluppo programmato degli interventi estrattivi" cui tale attività è strumentale (art. 21, comma 2, delle norme tecniche di attuazione), secondo i criteri previsti dall'art. 26, comma 8 (secondo cui la delimitazione del singolo comparto deve avvenire "tenendo conto della morfologia dei luoghi in modo tale da assicurare, per quanto possibile, una coltivazione che consente la sistemazione definitiva dei luoghi, e la delimitazione di ulteriori comparti aventi la medesima estensione, evitando la formazione di superfici estrattive non sfruttabili e, per quanto possibile, all'interno di un unico territorio comunale". Va infatti ribadito che mancanza di tale prodromica attività nelle aree estrattive di riserva le destinazioni eventualmente incompatibili degli strumenti urbanistici comunali conservano validità ed efficacia.

34. Le considerazioni ora svolte impediscono inoltre di accogliere la tesi della C.M. secondo cui il comparto estrattivo deve intendersi corrispondente alle aree della località M. M. di Pontevairano di cui la stessa appellante si è procurata la disponibilità ai fini della delocalizzazione della propria attività estrattiva.

35. Pertanto, in ragione di tutto quanto finora rilevato, va accolto l'appello di quest'ultima iscritto al n. di r.g. 9455 del 2013, e per l'effetto, in riforma della sentenza del Tribunale amministrativo di Napoli n. 4065 del 5 agosto 2013, vanno accolti il ricorso ed i motivi aggiunti contro gli atti con essi impugnati. Di tali atti va disposto l'annullamento nella parte in cui non si è addivenuti alla stipula dell'accordo di programma necessario per la definitiva approvazione del progetto della C.M. a causa del dissenso di carattere urbanistico del Comune di Pontevairano.

36. L'appello contro la sentenza del medesimo Tribunale amministrativo di Napoli n. 4064 del 5 agosto 2013, relativa al silenzio-inadempimento della giunta regionale della Campania sulla diffida della società per la delimitazione del comparto estrattivo è infondato. Con tale pronuncia l'azione contro il silenzio è stata correttamente accolta ed ordinato all'organo esecutivo regionale di provvedere.

Per quanto esposto in precedenza circa la natura della valutazione demandata a quest'ultimo dalle pertinenti norme tecniche di attuazione del piano regionale per le attività estrattive non possono invece essere ritenute fondate le censure con cui la C.M. sostiene che il comparto estrattivo sarebbe comunque delimitato sulla base delle aree di cui essa appellante si è procurata la disponibilità; del pari non è fondata nel suo complesso la domanda ai sensi dell'art. 31, comma 4, cod. proc. amm. di accertamento della fondatezza della pretesa sottostante alla diffida in allora indirizzata alla giunta regionale.

37. L'accoglimento dell'appello n. di r.g. 9455 del 2013 rende superfluo l'esame dell'appello n. 9453 del 2013, con cui la C.M. formula censure analoghe a quelle del primo, e che in ogni caso è in radice inammissibile per carenza di interesse, poiché rivolto contro una sentenza favorevole alla società: la n. 4063 del 5 agosto 2013 del Tribunale amministrativo di Napoli, con cui è stato dichiarato improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse l'impugnazione del Comune di Pontevairano contro i provvedimenti regionali, successivi a quelli impugnati dalla società, di valutazione ambientale strategica e valutazione di impatto ambientale sul progetto di delocalizzazione dell'attività estrattiva.

38. Le domande risarcitorie riproposte in appello dalla C.M. vanno respinte, poiché dall'accoglimento parziale dell'azione di annullamento, e dalla conferma dell'accoglimento di quella contro il silenzio-rifiuto, consegue il dovere per la Regione Campania di rideterminarsi sul progetto dell'appellante, ed in particolare sulla delimitazione del comparto estrattivo, in difetto della quale non può ritenersi accertato alcun diritto di quest'ultima di avviare la coltivazione della cava nell'area di riserva sita in località M. M. del Comune di Pontevairano.

39. La complessità delle questioni controverse giustifica la compensazione delle spese di tutti i giudizi, di primo e secondo grado.

P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), definitivamente pronunciando sugli appelli, come in epigrafe proposti, previa loro riunione così provvede:

- dichiara inammissibile l'appello n. 9453/2013 di r.g.;

- respinge l'appello n. 9454/2013 di r.g.;

- accoglie nei sensi di cui in motivazione l'appello n. 9455/2013 di r.g. e per l'effetto, in riforma della sentenza con esso impugnata, accoglie il ricorso ed i motivi aggiunti della C.M. s.p.a. ed annulla gli atti con esso impugnati;

- compensa le spese di tutti i gradi dei giudizi riuniti.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 31 gennaio 2019 con l'intervento dei magistrati:

Carlo Saltelli, Presidente

Claudio Contessa, Consigliere

Fabio Franconiero, Consigliere, Estensore

Valerio Perotti, Consigliere

Angela Rotondano, Consigliere

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