Architetti - immobili storici ed artistici - normativa comunitaria
Consiglio di Stato, Sez. VI, ordinanza 27.01.2012 n. 386
N. 00386/2012 REG.PROV.COLL.
N. 06736/2008 REG.RIC.
N. 02527/2009 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)
ha pronunciato la presente
ORDINANZA
sul ricorso numero di registro generale 6736 del 2008, proposto dal Ministero per i beni e le attivita' culturali, in persona del Ministro pro-tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici domicilia per legge in Roma, via dei Portoghesi, 12;
contro
L’Ordine degli Ingegneri di Verona e Provincia, in persona del presidente, rappresentato e difeso dagli avv. Luigi Manzi, G. Paolo Sardos Albertini, Paolo Piva, con domicilio eletto presso Luigi Manzi in Roma, via Federico Confalonieri, 5;
il Consiglio Nazionale degli Ingegneri, in persona del legale rappresentante, rappresentato e difeso dagli avvocati Bruno Nascimbene e Augusto Moretti, con domicilio eletto presso quest’ultimo difensore in Roma, corso Vittorio Emanuele II 154;
il Consiglio Nazionale degli Architetti Pianificatori Paesaggisti e Conservatori e l’Ordine degli Architetti, Pianificatori, Paesaggisti e Conservatori della Provincia di Verona, in persona dei rispettivi rappresentanti legali, rappresentati e difesi dall'avvocato Francesco Vanni, con domicilio eletto presso l’avvocato Ugo De Luca in Roma, via Bocca di Leone, 78;
l’ing. Mosconi Alessandro, non costituito in questo grado di appello
il Comune di S. Martino Buon Albergo, non costituito in questo grado di appello;
sul ricorso numero di registro generale 2527 del 2009, proposto dall’Ordine degli Ingegneri della Provincia di Venezia, l’Ordine degli Ingegneri della Provincia di Padova, l’Ordine degli Ingegneri della Provincia di Treviso, l’Ordine degli Ingegneri della Provincia di Vicenza, l’Ordine degli Ingegneri della Provincia di Verona, l’Ordine degli Ingegneri della Provincia di Rovigo, l’Ordine degli Ingegneri della Provincia di Belluno, in persona dei rispettivi legali rappresentanti, rappresentati e difesi dagli avvocati Guido Francesco Romanelli e Francesco M. Curato, con domicilio eletto presso lo studio legale del primo in Roma, via Cosseria n..5;
contro
IRE - Istituzione di Ricovero e di Educazione - di Venezia, in persona del legale rappresentante, rappresentata e difesa dagli avvocati Nicola Marcone, Mario Barioli e Lorenzo Anelli, con domicilio eletto presso lo studio legale di quest’ultimo in Roma, piazza dell'Orologio, 7;
l’Ordine degli Architetti della Provincia di Venezia, non costituito in questo grado di giudizio;
nei confronti di
La società Faccio Engineering s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, in proprio e nella qualità di capogruppo mandataria del costituendo raggruppamento temporaneo di imprese tra Faccio Engineering srl, TIFS Ingegneria srl e Lithos snc, non costituita in questo grado d’appello;
e con l'intervento di
ad adiuvandum:
il Consiglio Nazionale degli Ingegneri, in persona del legale rappresentante, rappresentato e difeso dall’avvocato Augusto Moretti e dall’avvocato Bruno Nascimbene, con domicilio eletto presso lo studio legale del primo in Roma, corso Vittorio Emanuele II 154;
per la riforma
quanto al ricorso n. 6736 del 2008:
della sentenza del T.a.r. Veneto - Venezia: Sezione II n. 3630/2007, resa tra le parti, concernente DINIEGO ASSUNZIONE DELL’UFFICIO DIREZIONE LAVORI DA PARTE DELL’ING: MOSCONI
quanto al ricorso n. 2527 del 2009:
della sentenza del T.a.r. Veneto - Venezia: Sezione I n. 3651/2008, resa tra le parti, concernente AFFIDAMENTO SERVIZIO DIREZIONE LAVORI E COORDINAMENTO DELLA SICUREZZA
Visti i ricorsi in appello e i relativi allegati;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 6 dicembre 2011 il consigliere di Stato Giulio Castriota Scanderbeg e uditi per le parti l’avvocato dello Stato Soldani, l’ avvocato Mazzeo per delega dell’avvocato Manzi, l’avvocato Piva, l’avvocato Vanni, l’avvocato Nascimbene, l’avvocato Curato e l’avvocato Ioannilli per delega dell’avvocato Anelli;
1.Va disposta anzitutto la riunione dei ricorsi in appello di cui in epigrafe atteso che gli stessi, supponendo la soluzione di analoghe questioni giuridiche, meritano di essere trattati congiuntamente per essere definiti con un’unica sentenza.
2.Entrambi i ricorsi, sia pur con distinta graduazione dei motivi di censura, hanno ad oggetto controversie insorte in ordine alla legittimità di determinazioni amministrative consistite essenzialmente nell’escludere professionisti italiani appartenenti alla categoria degli ingegneri dal conferimento in Italia di incarichi afferenti la direzione di lavori da eseguirsi su immobili di interesse storico-artistico.
3.In particolare, nel ricorso n. 6736 del 2008 viene in rilievo il diniego implicito adottato dalla Soprintendenza per i beni ambientali e architettonici di Verona in ordine alla comunicazione di subentro dell’ingegnere Alessandro Mosconi nell’incarico di direttore dei lavori relativi alla concessione edilizia n. 29 del 2001 rilasciata dal Comune di San Martino Buon Albergo ( Verona) per la realizzazione di lavori su un immobile di interesse storico-artistico e in quanto tale sottoposto al vincolo di tutela ai sensi del d.lgs. 490 del 1999. Il provvedimento è stato adottato sull’assunto che l’attività professionale in oggetto debba ritenersi inibita agli ingegneri, essendo riservata agli architetti, ai sensi dell’art. 52, secondo comma, del r.d. n. 2537 del 23 ottobre 1925 (recante il regolamento per le professioni di ingegnere e di architetto).
L’ingegnere Mosconi, unitamente all’Ordine degli ingegneri di Verona, ha impugnato il provvedimento negativo, deducendo in via principale la sua illegittimità per contrasto con la direttiva del Consiglio CE 10 giugno 1985 n. 384 (cui l’Italia ha dato esecuzione con il d.lgs. 27 gennaio 1992 n. 129) nella parte in cui la stessa, con il proposito di uniformare in ambito europeo le condizioni minime di formazione di coloro che operano nel settore dell’architettura, ha sostanzialmente parificato i titoli di laurea in ingegneria ed in architettura, ricorrendo alcune condizioni minime in relazione ai percorsi formativi dei distinti corsi di laurea ovvero- a titolo transitorio- in relazione ad alcuni titoli rilasciati fino ad una certa data da istituzioni europee di formazione tassativamente indicate; da tanto i ricorrenti hanno tratto la conclusione secondo cui ogni discriminazione tra le due categorie professionali sarebbe illegittima alla luce del diritto comunitario e dei principi dallo stesso desumibili.
3.1. Il Tribunale Amministrativo Regionale del Veneto, investito della decisione sul ricorso, ha ritenuto prioritario rimettere alla Corte di Giustizia la questione interpretativa in relazione al contenuto degli articoli 10 e 11 della direttiva n. 85/384/CE, richiedendo in particolare se le predette disposizioni comunitarie imponessero ad uno Stato membro di non escludere dall’accesso alle prestazioni dell’architetto i propri laureati in ingegneria civile che avessero seguito un percorso didattico conforme alle prescrizioni di cui agli articoli 3 e 4 della direttiva stessa o che comunque versassero nelle condizioni per l’automatico riconoscimento del titolo in base al regime transitorio previsto dalla stessa direttiva.
3.2. Con ordinanza 5 aprile 2004 (resa nel procedimento C-3/02) la Corte di Giustizia si è pronunciata sulla questione statuendo che la direttiva n. 85/384/CE non incide sul regime giuridico di accesso alla professione di architetto vigente in Italia ma ha ad oggetto soltanto il reciproco riconoscimento, da parte degli Stati membri, dei certificati e degli altri titoli rispondenti a determinati requisiti qualitativi e quantitativi in materia di formazione, allo scopo di agevolare l’esercizio effettivo del diritto di stabilimento e di libera prestazione dei servizi per le attività del settore dell’architettura. Ha altresì precisato la Corte che ove, in applicazione della richiamata normativa comunitaria, dovesse porsi all’interno dell’ordinamento giuridico italiano un problema di discriminazione in danno della sola categoria degli ingegneri italiani, esclusi da attività riservate agli architetti, cui invece hanno accesso i professionisti migranti di altri Stati membri in virtù delle disposizioni della ricordata direttiva, si potrebbe porre un problema di discriminazione alla rovescia in danno dei soli cittadini: ma anche tale questione sarebbe da risolvere ad opera del giudice nazionale in quanto giuridicamente non rilevante per il diritto dell’Unione europea.
3.3. A seguito di tale decisione i giudici di primo grado hanno rimesso alla Corte costituzionale la questione della legittimità costituzionale dell’art. 52, secondo comma, del r.d. n.2537 del 23 ottobre 1925, ravvisando nella disposizione che riserva ai soli architetti (e non anche agli ingegneri civili) gli interventi professionali sugli immobili di pregio storico-artistico un possibile contrasto con gli articoli 3 e 41 della Costituzione italiana. La Corte costituzionale, con ordinanza 16-19 aprile 2007, n. 130, ha dichiarato la manifesta inammissibilità, stante la natura regolamentare e non legislativa delle disposizioni censurate, della questione di legittimità costituzionale dell'art. 52, secondo comma, sollevata in riferimento agli artt. 3 e 41 della Costituzione.
3.4. Infine, con sentenza 15 novembre 2007 n. 3630 il Tar del Veneto ha accolto il ricorso di primo grado, previa disapplicazione per quanto di interesse dell’art. 52 del regio decreto n. 2537 del 1925, sull’assunto della impossibilità di configurare, alla stregua dei principi di parità di trattamento e non discriminazione desumibili anche dalla giurisprudenza della Corte costituzionale, effetti discriminatori tra professionisti migranti da Paesi membri diversi dall’Italia e professionisti nazionali. Tale sentenza ha formato oggetto di ricorso in appello dinanzi a questo Consiglio di Stato da parte del Ministero per i beni e le attività culturali.
4. Nel ricorso in appello n. 2527 del 2009 a formare oggetto della impugnazione di primo grado è invece un bando di gara redatto dall’IRE – Istituzioni di Ricovero e di Educazione Venezia - per l’affidamento del servizio di direzione lavori e coordinamento della sicurezza in fase di esecuzione dei lavori di restauro e recupero funzionale di Palazzo Contarini del Bovolo in Venezia, immobile di rilevante interesse culturale e come tale sottoposto a vincolo di tutela.
4.1 Gli ordini provinciali veneti degli ingegneri, in epigrafe meglio indicati, hanno impugnato in primo grado il bando di gara, unitamente agli atti di aggiudicazione della stessa, nelle parti in cui con quell’atto la stazione appaltante riservava le attività professionali oggetto di affidamento ai soli architetti e non anche agli ingegneri; i motivi di ricorso sono stati proposti anzitutto sul rilievo della estraneità delle attività oggetto di affidamento da quelle riservate agli architetti in base all’art. 52, secondo comma, del rd. n. 2537 del 1925 e, in ogni caso, sul carattere ingiustificatamente discriminatorio di tale ultima disposizione, alla luce dei principi desumibili dalla direttiva n. 85/384/CE e dalla legge italiana di trasposizione della stessa ( d.lgs. 27 gennaio 1992 n. 129) .
4.2 Con sentenza n.3651 del 25 novembre 2008 il Tribunale Amministrativo Regionale del Veneto ha respinto il ricorso, pervenendo a conclusioni diametralmente opposte a quelle rassegnate nella dianzi richiamata sentenza n. 3630 del 15 novembre 2007, anch’essa qui oggetto di impugnazione. Aderendo alla impostazione contenuta nella decisione di questo Consiglio di Stato n. 5239 del 2006 e richiamando il contenuto della ordinanza della Corte di Giustizia del 5 aprile 2004 (resa nell’ambito del ricorso di primo grado RG n. 1994/01), il TAR del Veneto ha evidenziato che la lettura interpretativa del giudice comunitario muove dal presupposto che la direttiva n. 384/85/CE si riferisce al mutuo riconoscimento dei corsi di formazione e non riguarda le condizioni d’accesso alle distinte professioni; di guisa che non implica la piena equiordinazione del titolo di laurea in ingegneria a quello di architettura ai fini dell’accesso alle attività riservate agli architetti dal regio decreto n. 2537 del 1925 ( art. 52); a parere del giudici di primo grado, dunque tale ultima disposizione normativa nazionale deve ritenersi senz’altro legittima, unitamente agli atti amministrativi adottati in conformità alle sue previsioni. Anche tale sentenza ha formato oggetto di ricorso in appello dinanzi a questo Consiglio di Stato da parte degli ordini provinciali degli ingegneri, già ricorrenti in primo grado.
5. Come in premessa già precisato, in entrambi i ricorsi in appello che vengono all’esame di questo Consiglio di Stato viene riproposta, sia pure con prospettazione asimmetrica nelle distinte controversie, in ragione delle antitetiche posizioni processuali delle parti, la questione della compatibilità comunitaria della disciplina normativa italiana che riserva ai soli architetti le prestazioni principali sugli immobili di interesse culturale (art. 52 r.d. del 22 ottobre 1925 n. 2537).
5.1. Nel ricorso in appello RG n.6736/08, in particolare, è il Ministero dei beni e le attività culturali a censurare la sentenza di accoglimento del Tar del Veneto rilevando che dalla stessa ordinanza della Corte di Giustizia 5 aprile 2004 si ricaverebbe il principio secondo cui la diversificazione normativa nell’accesso ad alcune prestazioni particolari dell’architettura, oltre che essere una esclusiva prerogativa statuale, come tale estranea alla sfera di intervento del diritto comunitario, rappresenta anche una soluzione coerente con la diversità dei percorsi formativi degli ingegneri e degli architetti.
In ogni caso, poiché anche agli ingegneri italiani non sarebbe inibito l’accesso all’esame di abilitazione per il conseguimento del titolo professionale di architetto, e considerato che la normativa comunitaria si occupa del mutuo riconoscimento dei titoli di studio ma non delle condizioni di accesso alla professione, a parere del Ministero appellante la normativa italiana oggetto di causa ( art. 52 cit.) non arrecherebbe alcun vulnus al principio della parità di trattamento, essendo giustificata la distinzione tra le due categorie di professionisti ai fini dell’accesso a talune prestazioni sugli immobili di interesse culturale ed essendo in ogni caso tale normativa indistintamente applicabile ai cittadini italiani ed ai professionisti migranti di altri Paesi membri.
5.2. Nel ricorso in appello RG n. 2527/09 sono gli ordini provinciali degli ingegneri del Veneto a censurare la sentenza di rigetto di primo grado ed a riproporre, sia pure in via subordinata, la stessa questione afferente la illegittimità “comunitaria” dell’art. 52 del r.d. 22 ottobre 1925 n. 2537 , sostenendosi in via principale l’affidabilità (anche) agli ingegneri dell’incarico oggetto d’appalto, in ragione della natura delle attività oggetto di gara, in tesi estranee al campo applicativo delle prestazioni riservate agli architetti secondo la richiamata disposizione di diritto interno.
6.Tuttavia, poiché a parer del Collegio anche nell’ambito di tale ricorso in appello ( RG n. 2527/09) è la questione della legittimità “comunitaria” della disposizione suddetta a rivestire carattere dirimente, si ritiene utile al fine di ottenere un definitivo chiarimento su tale questione che in Italia continua a generare un diffuso contenzioso tra le contrapposte categorie professionali investire ancora una volta (ma su differenti profili) la Corte di giustizia su questioni interpretative che investono in primo luogo il diritto dell’Unione europea e soltanto in via mediata gli effetti che tale diritto produce nell’ordinamento italiano.
7. E’ da premettere che gli atti amministrativi oggetto dei distinti giudizi sono conformi ad una prassi nazionale assai risalente che riserva agli architetti (con esclusione delle altre categorie professionali della medesima area tecnica, ed in particolare degli ingegneri civili) gli interventi più significativi sugli immobili di interesse culturale. Nell’ordinamento italiano tale prassi ha una base giuridica antica ma a tutt’oggi vigente rappresentata dal già richiamato regio decreto n. 2537 del 22 ottobre 1925, il cui art.52 così testualmente recita: “Formano oggetto tanto della professione di ingegnere quanto di quella di architetto le opere di edilizia civile, nonché i rilievi geometrici e le operazioni di estimo ad esse relative. Tuttavia le opere di edilizia civile che presentano rilevante carattere artistico ed il restauro e il ripristino degli edifici contemplati dalla L. 20 giugno 1909, n. 364, per l'antichità e le belle arti, sono di spettanza della professione di architetto; ma la parte tecnica ne può essere compiuta tanto dall'architetto quanto dall'ingegnere”.
Alla stregua della anzidetta disposizione, quindi, non la totalità degli interventi concernenti gli immobili di interesse storico e artistico deve essere affidata alla specifica professionalità dell’architetto, ma solo le parti di intervento di edilizia civile che riguardino scelte culturali connesse alla maggiore preparazione accademica conseguita dagli architetti nell’ambito del restauro e risanamento degli immobili di interesse storico e artistico, restando invece nella competenza (anche) dell’ingegnere civile la cd. parte tecnica, cioè le attività progettuali e di direzione dei lavori che riguardano l’edilizia civile vera e propria .
Nell’ordinamento italiano, vuoi in ragione della scelta noramtiva appena richiamata - mai superata da disposizioni di diverso orientamento legislativo - vuoi in ragione della interpretazione giurisprudenziale che ha condiviso la ragionevolezza di tale opzione normativa (per tutte, Consiglio di Stato, sez. II, parere n. 2038 del 24 novembre 2004), può ritenersi radicato il principio per cui la differenziazione delle distinte professionalità dell’architetto e dell’ingegnere, pur nell’ambito di un nucleo comune di conoscenze, non sia tuttavia priva di ragione giustificatrice.
Per quel che qui interessa, è da ritenere una acquisizione di comune dominio quella per cui, per quanto nel corso di studi degli ingegneri civili non manchino approfondimenti significativi nel settore dell’architettura, al professionista architetto si riconosce generalmente una maggiore capacità, frutto di maggiori studi e approfondimenti della evoluzione dell’architettura sul piano storico e di un più marcato approccio umanistico alla professione, di penetrare le problematiche e le sottese valutazioni tecniche afferenti gli immobili o le opere di rilevanza artistica.
I dubbi sulla corretta interpretazione e applicazione del richiamato art. 52 r.d. n. 2537 del 1925, nella parte in cui riserva ai soli architetti le prestazioni ( ad eccezione della “parte tecnica”) sugli immobili o le opere di interesse culturale, hanno iniziato a profilarsi – come subito si dirà - con l’attuazione nel nostro ordinamento della direttiva del Consiglio CE 10 giugno 1985 n. 384 ( cui l’Italia ha dato attuazione con il d.lgs. 27 gennaio 1992 n. 129, modificato dall’art. 16 della legge 3 febbraio 2003 n.14).
Al riguardo, giova premettere che mentre nella prima parte della direttiva vengono indicati i requisiti minimi dei corsi di studio per il conseguimento di diplomi, certificati ed altri titoli legittimanti l’esercizio dell’attività professionale nel settore dell’architettura suscettibili di singoli provvedimenti di riconoscimento da parte di ciascun Stato membro, nella parte finale (artt. 10 e 11) viene introdotto un regime transitorio di reciproco riconoscimento, in via automatica, di taluni titoli tassativamente indicati.
Tra i titoli che beneficiano di tale riconoscimento automatico l’art. 11 della direttiva menziona alcuni diplomi rilasciati da particolari istituti di formazione nei distinti Paesi europei e, per l’Italia: < i diplomi di “laurea in architettura” rilasciati dalle università, dagli istituti politecnici e dagli istituti superiori di architettura di Venezia e di Reggio Calabria, accompagnati dal diploma di abilitazione all’esercizio indipendente della professione di architetto, rilasciato dal ministro della Pubblica Istruzione una volta che il candidato abbia sostenuto con successo, davanti ad un’apposita Commissione, l’esame di Stato che abilita all’esercizio indipendente della professione di architetto (dott. architetto); i diplomi di “laurea in ingegneria” nel settore della costruzione civile rilasciati dalle università e dagli istituti politecnici, accompagnati dal diploma di abilitazione all’esercizio indipendente di una professione nel settore dell’architettura, rilasciato dal ministro della Pubblica Istruzione una volta che il candidato abbia sostenuto con successo, davanti ad un’apposita Commissione, l’esame di Stato che lo abilita all’esercizio indipendente della professione (dott. ing. architetto o dott. ing. in ingegneria civile)>.
8.Anticipando quanto sarà detto oltre, la perimetrazione di un’area professionale riservata agli architetti può risultare giustificata, limitatamente agli interventi che riguardano gli immobili culturali, solo ove risulti indistintamente applicabile, in conformità al diritto europeo, anche in confronto dei professionisti provenienti da altri Paesi membri, benchè titolari di titoli che danno genericamente accesso alla professione di architetto secondo le disposizioni transitorie della richiamata direttiva.
Se così non fosse la direttiva comunitaria sembrerebbe effettivamente porre, all’interno dell’ordinamento italiano, un problema di cosiddetta discriminazione alla rovescia, come d’altra parte sembra prospettare la Corte di Giustizia nella richiamata ordinanza, sia pur in termini dubitativi trattandosi di questione esorbitante dal proprio ambito cognitorio e correttamente riservata al giudice nazionale. Ammettere gli ingegneri migranti provenienti da Paesi membri diversi dall’Italia a prestare la loro opera professionale in relazione agli interventi sugli immobili culturali senza ammettere allo stesso modo gli ingegneri italiani sarebbe contrario ai principi di diritto interno più volte ribaditi anche nella giurisprudenza costituzionale (per tutte, Corte Costituzionale 30 dicembre 1997 n. 443).
8.1. Si deve tuttavia osservare, al riguardo, che l’ammissione degli ingegneri all’esercizio delle attività riservate agli architetti, potrebbe risultare soluzione giuridica inappagante, suggellando l’incapacità di un sistema normativo complessivo di regolare adeguatamente, in base ad una disciplina appropriata, fattispecie connotate da significativa specificità. L’accesso indiscriminato di tutti i professionisti europei, sol che risultino titolari dei diplomi di studio e dei titoli di cui alla ridetta direttiva, alle prestazioni professionali -caratterizzate da elevato tecnicismo- sugli immobili di interesse culturale non appare scelta corrispondente all’interesse pubblico di affidare tali interventi soltanto a specifiche professionalità, particolarmente qualificate nel fornire prestazioni su immobili che spesso racchiudono una parte significativa del patrimonio storico e artistico della Nazione ( oggetto di specifica tutela nell’art. 9 della Costituzione italiana).
9. Sul piano giuridico si deve peraltro osservare che il diritto dell’Unione europea è fondato, tra l’altro, sui principi di proporzionalità ed adeguatezza, oltre che sul principio di sussidiarietà nella allocazione delle competenze nell’ambito dei rapporti tra Stati membri ed Unione europea. In base a quest’ultimo principio, un’azione della Unione europea non può eccedere gli scopi prefissati quando gli stessi potrebbero essere perseguiti più proficuamente a livello di regolazione nazionale. Se la finalità della direttiva n.85/384/CE sul mutuo riconoscimento dei diplomi dei certificati e degli altri titoli che danno accesso all’attività nel settore dell’architettura è quella di rendere effettivo il diritto di stabilimento e di libera prestazione dei servizi professionali in tale settore, dovrebbe essere estraneo al suo ambito regolatorio stabilire le condizioni di accesso, in ciascuno Stato membro, ad alcune specifiche prestazioni professionali, ove sia indiscussa l’applicazione indistinta della normativa nazionale ai residenti e agli stranieri ed ove siano ragionevoli e condivisibili (come appunto nella specie) le ragioni poste alla base della differenziazione degli apporti professionali delle distinte categorie di professionisti.
Ed invero, in alternativa alla ammissione indiscriminata di tutti i professionisti (nazionali e stranieri), titolari di diplomi e degli altri titoli espressamente contemplati o riconosciuti ai sensi della direttiva a tutti gli interventi da eseguirsi sugli immobili culturali, potrebbe ammettersi una prassi amministrativa che consenta un accesso selettivo a tali specifiche prestazioni professionali. Ora, mentre all’interno dell’ordinamento italiano tale verifica di capacità professionale è effettuata in relazione al possesso di un particolare titolo professionale conseguito in esito all’esame di abilitazione professionale ( e cioè al titolo di architetto), dimostrativo ex se delle capacità tecnico-professionali utili ad eseguire ogni genere di intervento su immobili di interesse culturale, in confronto dei professionisti stranieri non muniti del corrispondente titolo (ma di titolo assimilato a quello di architetto) tale verifica dovrebbe eseguirsi caso per caso, con specifica motivazione a corredo della scelta di ammissibilità o di non ammissibilità del titolo professionale in possesso del candidato che intenda prestare la sua opera professionale su beni culturali nel settore dell’architettura.
10. Ora, proprio in relazione alla legittimità comunitaria di una tale possibile prassi amministrativa, la cui validazione porterebbe ad elidere anche il profilo della disparità di trattamento sul versante interno dell’ordinamento italiano, il Collegio ritiene indispensabile investire in via interpretativa, ai sensi dell’art. 267 del TFUE, la Corte di giustizia dell’Unione europea.
11. Pertanto il Collegio ritiene conclusivamente di dover sottoporre alla Corte di giustizia dell’Unione europea i seguenti quesiti : a) se la direttiva comunitaria n. 85/384/CE, nella parte in cui ammette ( artt. 10 e 11), in via transitoria, all’esercizio delle attività nel settore dell’architettura i soggetti migranti muniti dei titoli specificamente indicati, non osta a che in Italia sia ritenuta legittima una prassi amministrativa, avente come base giuridica l’art.52, comma secondo, parte prima del r.d. n. 2537 del 1925, che riservi specificamente taluni interventi sugli immobili di interesse artistico soltanto ai candidati muniti del titolo di “architetto” ovvero ai candidati che dimostrino di possedere particolari requisiti curriculari, specifici nel settore dei beni culturali e aggiuntivi rispetto a quelli genericamente abilitanti l’accesso alle attività rientranti nell’architettura ai sensi della citata direttiva; b) se in particolare tale prassi può consistere nel sottoporre anche i professionisti provenienti da Paesi membri diversi dall’Italia, ancorchè muniti di titolo astrattamente idoneo all’esercizio delle attività rientranti nel settore dell’architettura, alla specifica verifica di idoneità professionale (ciò che avviene anche per i professionisti italiani in sede di esame di abilitazione alla professione di architetto) ai limitati fini dell’accesso alle attività professionali contemplate nell’art. 52, comma secondo, prima parte del Regio decreto n 2357 del 1925;
12. In attesa della decisione della Corte di Giustizia sulle questioni interpretative sollevate, il giudizio resta sospeso, con riserva all’esito di ogni ulteriore decisione sul merito e sulle spese.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), non definitivamente pronunciando sui ricorsi in appello in epigrafe, dispone la riunione dei ricorsi in epigrafe e rimette alla Corte di giustizia dell’Unione europea, ai sensi dell’art. 267 del TFUE, le questioni interpretative pregiudiziali indicate alle lettere a) e b) del paragrafo 11 della parte motiva.
Manda alla Segreteria della Sezione di trasmettere alla stessa Corte di Giustizia la presente ordinanza unitamente a tutti gli atti di causa e di eseguire le comunicazioni di rito.
Sospende il giudizio in corso fino alla definizione delle prospettate questioni pregiudiziali, riservando all’esito ogni ulteriore decisione sul merito e sulle spese.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 6 dicembre 2011 con l'intervento dei magistrati:
Giancarlo Coraggio, Presidente
Rosanna De Nictolis, Consigliere
Maurizio Meschino, Consigliere
Bruno Rosario Polito, Consigliere
Giulio Castriota Scanderbeg, Consigliere, Estensore
L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 27/01/2012
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)