Data: 2019-01-29 07:02:21

LIBERALIZZAZIONE ORARI automatica nei Comuni turistici

LIBERALIZZAZIONE ORARI automatica nei Comuni turistici

[color=red][b]Consiglio di Stato n. 7266/2018[/b][/color]

FATTO e DIRITTO

Risulta dagli atti che, con contratto a rogito notaio Fabbrocini (rep. n. 44068) del 30 dicembre 2003, la società Moda Group s.r.l. rilevava dalla Fiore Group s.r.l. l’esercizio commerciale City Moda sito in Modugno – S.S. 96 Km. 115,356 – ubicato in un’area commerciale integrata, con attività di vendita al dettaglio di articoli e accessori di abbigliamento e di prodotti non alimentari, giusta autorizzazione del Comune di Modugno n. 1747 del 2002.

Con ricorso al Tribunale amministrativo della Puglia la società Moda Group s.r.l. impugnava la disposizione del Sindaco del Comune di Modugno n. 1 del 6 febbraio 2004, unitamente ai processi verbali di accertamento d’illecito amministrativo dell’8 febbraio 2004, 15 febbraio 2004, 22 febbraio 2004 e 29 febbraio 2004, con i quali il Corpo della polizia municipale aveva contestato alla Fiore Group s.r.l. ed alla Moda Group s.r.l. la violazione delle disposizioni di cui all’art. 18, commi 1-4, della l.r. 1° agosto 2003, n. 11.

Successivamente, con ricorso per motivi aggiunti, la società impugnava altresì la disposizione n. 4 del 13 gennaio 2006, con cui il Sindaco del Comune di Modugno aveva stabilito che “gli esercizi commerciali al dettaglio in sede fissa di qualsiasi genere hanno facoltà di non osservare la chiusura domenicale e festiva nei seguenti giorni: 22 e 29 gennaio 2006, 5 febbraio 2006, 3, 10, 17, 24 e 31 dicembre 2006”.

Con ulteriori motivi aggiunti depositati in data 27 febbraio 2007 venivano poi impugnati la disposizione del Sindaco del Comune di Modugno n. 30 del 29 dicembre 2006, limitatamente alla parte relativa all’osservanza dell’obbligo di chiusura domenicale e festiva per gli esercizi commerciali al dettaglio, nonché i verbali di accertamento della polizia municipale di Modugno del 28 gennaio 2007 e 4 febbraio 2007; quindi, con motivi aggiunti depositati il 18 aprile 2007, la disposizione del Sindaco del Comune di Modugno n. 30 del 29 dicembre 2006 ed i verbali di accertamento della polizia municipale di Modugno dell’11, 18 e 25 febbraio 2007, nonché del 4, 11, 18 e 25 marzo 2007.

Infine, con motivi aggiunti depositati in data 29 febbraio 2008, veniva gravata la disposizione del Sindaco del Comune di Modugno n. 35 del 27 dicembre 2007, limitatamente alla parte relativa all’osservanza dell’obbligo di chiusura domenicale e festiva per gli esercizi commerciali al dettaglio.

La ricorrente deduceva, al riguardo, le seguenti ragioni di censura:

1.Violazione dell’art. 21 l. n. 1034 del 1971, con riferimento al principio di esecutività delle ordinanze cautelari dei Tribunali amministrativi regionali; violazione dell’art. 650 Cod. pen.; violazione della l.r. n. 11 del 2003 per contrasto con gli artt. 3 e 41 Cost. e con i generali principi nazionali e di rilevanza comunitaria in materia di libera concorrenza.

2. Illegittimità derivata dall’illegittimità costituzionale dell’art. 18 comma 4 e 6 l.r. n. 11 del 2003 per contrasto con l’art. 117 Cost., nonché con gli artt. 3, 4 e 41 Cost.

3. Violazione dell’art. 2 comma 1 lett. d) l.r. n. 11 del 2003; eccesso di potere per travisamento e erronea presupposizione in fatto e in diritto, carente istruttoria, incongruità della motivazione, ingiustizia manifesta.

4. Illegittimità derivata dall’illegittimità costituzionale dell’art. 2 comma 1 lett. d) e 2, dell’art. 18 commi 4 e 6, e dell’art. 27 commi 1 e 2 della l.r. n. 11 del 2003 per contrasto con gli artt. 121 e 123 Cost.; violazione degli artt. 27, 41 e 53 dello Statuto della Regione Puglia.

Costituitisi in giudizio, sia il Comune di Modugno che la Regione Puglia eccepivano l’infondatezza del gravame, chiedendone il rigetto.

Con i successivi motivi aggiunti la ricorrente lamentava inoltre:

5. Violazione ed erronea nonché mancata applicazione dell’art. 50 comma 7 d.lgs. n. 267 del 2000; violazione dei generali principi in materia di riparto delle competenze ed attribuzioni tra gli organi istituzionali del Comune; violazione del giusto procedimento; incompetenza; eccesso di potere per assoluta carenza dei presupposti di legge, difetto di istruttoria.

6. Violazione di legge con riferimento all’art. 11 commi 1 e 5 del d.lgs. n. 114 del 98, nonché all’art. 18 commi 1 e 5 l.r. n. 11 del 2003; eccesso di potere per erronea presupposizione in fatto ed in diritto, difetto di motivazione, carente istruttoria, manifesta illogicità e contraddittorietà; sviamento.

7. Eccesso di potere per manifesta illogicità; violazione del generale principio di buon andamento dell’azione amministrativa; violazione dell’art. 21 l. n. 1034 del 1971, con riferimento al principio di esecutività delle ordinanze cautelari dei Tribunali amministrativi regionali; eccesso di potere per assoluta carenza istruttoria, manifesta illogicità ed irrazionalità; violazione degli artt. 3 e 41 Cost.;

8. Illegittimità derivata dall’illegittimità costituzionale dell’art. 18 commi 4 e 6 l.r. n. 11 del 2003, per contrasto con gli artt. 3 e 41 Cost. e con i generali principi di rilevanza comunitaria in materia di libera concorrenza.

Profili ulteriori di gravame venivano poi dedotti con i successivi motivi aggiunti.

Con sentenza 5 novembre 2008, n. 2521, il Tribunale adito respingeva il ricorso.

Avverso tale decisione la Moda Group s.r.l. interponeva appello, articolato nei seguenti motivi di impugnazione:

1. Illegittimità per violazione ed erronea nonché mancata applicazione dell'art. 50, comma 7, del D.Lgs. n. 267/2000. Violazione dei generali principi in materia di riparto delle competenze ed attribuzioni tra gli organi istituzionali del Comune. Violazione del giusto procedimento. Incompetenza Assoluta carenza dei presupposti di legge, difetto di istruttoria.

2. Illegittimità per violazione di legge con riferimento all' art. 11, comma 1 e 5, del D.Lgs. 31.3.1998, n. 114 nonché all'art. 18, comma 1 e 5, della L.R. 1.8.2003, n. 11. Erronea presupposizione in fatto ed in diritto, difetto di motivazione, carente istruttoria, manifesta illogicità e contraddittorietà. Sviamento.

3. Illegittimità derivata dall'illegittimità costituzionale dell'art. 18, comma 4, 5 e 6, della L.R. Puglia n. 11 dell'1.8.2003, per contrasto con gli articoli 3 e 41 della Costituzione e con i generali principi di rilevanza comunitaria in materia di “libera concorrenza”.

Costituitosi n giudizi, il Comune di Modugno contestava la fondatezza dell’appello, chiedendone il rigetto.

Anche la Regione Puglia si costituiva in giudizio, deducendone l’infondatezza e, prima ancora, l’inammissibilità per carenza di interesse, atteso che i provvedimenti impugnati avevano già esaurito i loro effetti e he l’appellante neppure aveva proposto istanza di risarcimento del danno asseritamente patito.

Successivamente le parti ulteriormente ribadivano le proprie tesi difensive ed all’udienza del 25 ottobre 2018, dopo la rituale discussione, la causa veniva trattenuta in decisione.

Ad un complessivo esame delle risultanze di causa, ritiene il Collegio di poter soprassedere dall’esame della preliminare eccezione della Regione Puglia circa il presunto sopravvenuto difetto di interesse al gravame, dal momento che quest’ultimo comunque risulta, nel suo complesso, infondato.

Con il primo motivo di appello viene dedotta l’illegittimità degli atti di regolazione del Sindaco di Modugno, in quanto quest’ultimo sarebbe stato sprovvisto del potere di adottarli: quest’ultimo, infatti, ai sensi dell’art. 50, comma 7, d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267 (Testo unico sull'ordinamento degli enti locali) che, nel definire le competenze del Sindaco, in materia così dispone: “Il Sindaco, altresì, coordina e riorganizza, sulla base degli indirizzi espressi dal consiglio comunale e nell'ambito dei criteri eventualmente indicati dalla regione, gli orari degli esercizi commerciali, dei pubblici esercizi […]”.

Invero, se il Sindaco ha competenza a “coordinare e riorganizzare” gli orari degli esercizi commerciali, dovrebbe concludersi che, nel caso di specie, tale competenza sia stata esercitata al di fuori delle condizioni e delle modalità previste dalla legge, essendo mancata la preventiva fissazione degli indirizzi da parte dell’organo consiliare.

Da parte sua, l’art. 18 della l.r. n. 11 del 2003 (“Orari di apertura e chiusura”) si limitava a prevedere, genericamente, che “Gli orari di apertura e di chiusura al pubblico degli esercizi di vendita al dettaglio sono rimessi alla libera determinazione degli esercenti nel rispetto delle disposizioni del presente articolo e dei criteri emanati dai Comuni”, laddove il successivo comma quinto precisava che “Il Comune, sentite le organizzazioni di categoria maggiormente rappresentative, individua i giorni e le zone del territorio nei quali gli esercenti possono derogare all'obbligo di chiusura domenicale e festiva”, in entrambi i casi senza chiarire quale specifico organo comunale fosse in pratica competente a provvedere.

Il motivo non è fondato. Parte appellante non fornisce infatti – al di là di mere considerazioni formalistiche – elementi obiettivi dai quali dedurre, senza ombra di dubbio, che nell’ambito delle funzioni di coordinamento e riorganizzazione degli orari degli esercizi commerciali non possa ricadere anche l’adozione delle ordinanze di cui trattasi, in ragione del loro palese contenuto organizzativo.

D’altro canto, essendo il Sindaco un organo del Comune, lo stesso necessariamente partecipa, in ragione delle sue attribuzioni, all’esercizio delle funzioni demandate a quest’ultimo dalle fonti regionali e nazionali.

Con il secondo motivo di appello viene invece dedotto che l’amministrazione comunale non avrebbe mai operato una specifica ricognizione dell’effettiva rappresentatività delle organizzazioni da invitare agli incontri nei quali definire gli orari e le modalità di apertura al pubblico degli esercizi commerciali, in violazione di quanto disposto dagli artt. 11 comma primo e 18, comma 5, della l.r. n. 11 del 2003 (che fanno invece espresso riferimento alle “organizzazioni di categoria maggiormente rappresentative”).

Neppure questo motivo è fondato.

Alla luce degli atti di causa, emerge infatti che l’appellante non contesta – in realtà – che le ordinanze sindacali fatte oggetto di impugnazione nel precedente grado di giudizio siano state adottate nel contraddittorio con le associazioni di categoria, né che queste ultime potessero considerarsi, in concreto, effettivamente rappresentative delle categorie sociali e produttive di riferimento, bensì – sul presupposto che non emergerebbero dagli atti dei criteri predeterminati e precisi di selezione delle diverse sigle sotto il profilo della rappresentatività – che non vi sarebbe prova dell’effettivo livello di quest’ultima, dal che dovrebbe dedursi l’illegittimità dei provvedimenti adottati, per violazione della predetta regola procedurale.

L’argomento non è persuasivo, in quanto fondato, a rigore, su un’impropria inversione dell’onere della prova: sarebbe stata infatti la società ricorrente (odierna appellante) a dover dimostrare il fondamento giuridico e fattuale di quanto da essa dedotto – ossia la mancata rappresentatività delle organizzazioni coinvolte – tanto più ove si consideri che l’amministrazione resistente già nel precedente grado di giudizio (in particolare nella memoria difensiva 13 febbraio 2006, relativa al procedimento r.g.n. 1541 del 2003 promosso dalla Fiore Group) aveva chiarito e documentato che le ordinanze impugnate erano state adottate, in virtù di quanto disposto dall’art. 18 della l.r. n. 11 del 2003, “previo accordo con le associazioni e le organizzazioni di categoria, così come era avvenuto per le precedenti annualità”.

A fronte di un’allegazione formalmente riferita alla totalità delle associazioni di settore (ossia le organizzazioni locali dei consumatori, delle imprese del commercio e dei lavoratori dipendenti), sarebbe stato pertanto preciso onere della ricorrente eccepire in primo luogo che la convocazione si riferiva ad una parte soltanto delle associazioni di categoria (atteso che non potrebbe logicamente parlarsi di rappresentatività minoritaria, a fronte di una partecipazione totalitaria) e, quindi, individuare perlomeno degli oggettivi elementi sintomatici in base ai quali si potesse escludere in capo a queste ultime il requisito della maggiore rappresentatività.

Con il terzo motivo di appello viene infine dedotto che i provvedimenti impugnati in primo grado sarebbero stati comunque affetti da illegittimità derivata, in quanto attuativi di una normativa regionale indiziata di incostituzionalità.

L’art. 18, comma 6 della legge regionale n. 11 del 2003 avrebbe infatti scorrettamente individuato il “livello” di operatività della deroga al principio generale della chiusura domenicale e festiva, prevedendo che “Nei comuni ad economia prevalentemente turistica e nelle città d'arte, gli esercenti determinano liberamente gli orari di apertura e di chiusura e possono derogare dall'obbligo della chiusura festiva e domenicale nelle domeniche e festività comprese nel periodo maggio - settembre, oltre che nei giorni disposti ai sensi del C0111ma S, fermo restando quanto previsto al comma 8 quater”.

Ad avviso dell’appellante, quello descritto nella normativa regionale – l’ubicazione o meno dell’esercizio commerciale in una dimensione comunale caratterizzata da una prevalenza dell’economia turistica o dall’essere qualificata come città d'arte – sarebbe stato un discrimen puramente formale, in quanto tale “non idoneo a determinare una deroga tanto evidente al fondamentale principio di eguaglianza, costituzionalmente garantito”: la scelta del legislatore regionale sarebbe infatti risultata del tutto incongrua per i soggetti economici (tra cui l’appellante) che, pur insediati in “bacini di utenza” floridi, non si fossero trovati a risiedere in una delle aree contemplate dall'art. 18, comma 6 cit.

Il motivo non è condivisibile.

Va in primo luogo ricordato, come già in premessa, che la norma della legge regionale contestata è stata abrogata, nelle more del giudizio di appello, dall’art. 63 della l.r. 16 aprile 2015, n. 24.

Ciò premesso, le considerazioni esposte dall’appellante sembrano dimenticare che – dopo aver previsto, al comma quarto, che gli esercizi di vendita al dettaglio osservano la chiusura domenicale e festiva, il comma quinto dell’art. 18 dispone che “il Comune sentite le organizzazioni di categoria maggiormente rappresentative, individua i giorni e le zone di territorio nei quali gli esercenti possono derogare all’obbligo di chiusura domenicale e festiva. Detti giorni comprendono quelli del mese di dicembre, nonché ulteriori quattro domeniche o festività nel corso degli altri mesi dell’anno. Ulteriori aperture possono essere definite in accordo con le associazioni di cui al comma 1”.

Non si è quindi in presenza di una disciplina recante un’incongrua discriminazione tra strutture di per sé analoghe solo perché ubicate in zone diverse, quanto piuttosto della precisazione – operata per via legislativa – che la tutela degli interessi – talvolta contrapposti – di lavoratori e consumatori non andrebbe definita una volta per tutte a priori, bensì concordata caso per caso con le associazioni dei consumatori e dei lavoratori medesimi.

Sulla base di tale premessa, in un’ottica di sussidiarietà “verticale” il legislatore regionale aveva inteso attribuire la funzione di valutare le esigenze derogatorie direttamente ai Sindaci, sul presupposto – non palesemente illogico, né abnorme – che anche in ragione del preventivo concerto con le associazioni di categoria, questi ultimi potessero più adeguatamente valutare le concrete esigenze delle singole realtà territoriali.

In termini più ampi, le stesse disposizioni sulla disciplina del commercio succedutesi nel tempo hanno dettato regole in materia di orari dei negozi, prevedendo una serie di deroghe per alcune zone particolari: ciò è valso, in particolare, per la l. 28 luglio 1971, n. 558 (Disciplina dell'orario dei negozi e degli esercizi di vendita al dettaglio), per il d.p.c.m. 30 aprile 1983 (Direttive alle regioni a statuto ordinario in materia di orari di vendita nel settore del commercio al dettaglio) e per il d.lgs. 31 marzo 1998, n. 114 (Riforma della disciplina relativa al settore del commercio, a norma dell'articolo 4, comma 4, della legge 15 marzo 1997, n. 59).

L’art. 18 della l.r. n. 11 del 2003, in pratica, altro non fa che ribadire le disposizioni già previste dal richiamato d.lgs. n. 114 del 1998 (in particolare, agli artt. 11 e 12), riducendo a quattro, oltre a quelle del mese di dicembre, le domeniche o le festività di apertura degli esercizi commerciali.

La norma non si pone pertanto in evidente contrasto con le disposizioni nazionali e comunitarie, laddove assegna ai Comuni determinate facoltà di deroga, prevedendo peraltro che quest’ultima non sia necessaria per le località a vocazione turistica, attese le ragioni di pubblico interesse (in ciò confermando il principio già espresso dall’art. 12 del richiamato d.lgs. n. 114).

Quest’ultima precisazione – ossia che in tali Comuni, abitualmente meta di turisti, non sia previsto, ai fini della deroga, alcun provvedimento dell’amministrazione comunale – integra una forma di semplificazione amministrativa conforme alle regole della normativa statuale ed appare coerente con le particolarità socio-economiche di tali realtà, caratterizzate da un’economia prevalentemente turistica non assimilabile con l’ordinario svolgimento delle attività economiche proprie degli ordinari centri urbani. Trova pertanto conferma quanto già rilevato dal primo giudice, secondo cui la vocazione turistica dello specifico territorio costituisce circostanza idonea a giustificare la deroga ed una diversa e peculiare disciplina, finalizzata appunto a garantire l’uguaglianza sostanziale e non meramente formale.

Al riguardo, la stessa Corte Costituzionale, con sentenza 24 giugno 2005, n. 243, ha chiarito – relativamente a sostanzialmente analoga questione – che rientra nella discrezionalità del legislatore la valutazione finalizzata a differenziare, sulla base di criteri generali, la composita realtà territoriale, ai fini dell'attribuzione di specifiche qualificazioni della stessa, sia pure con il consueto, generale limite della non palese arbitrarietà ed irragionevolezza. Limite che nel caso di specie non risulta essere stato superato, non evidenziandosi profili discriminatori o arbitrari, né caratterizzati da intrinseca e palese irragionevolezza.

Ciò rilevato in termini generali, va altresì evidenziato come neppure certa risulti la riconduzione dell’appellante al novero delle grandi strutture di vendita alla pari delle più note catene di ipermercati, alla luce dell’eccezione formulata dalla Regione Puglia nel precedente grado di giudizio, con memoria difensiva del 10 luglio 2006 (eccezione non documentalmente confutata dall’appellante), secondo cui “dagli atti in essere presso l’Ufficio Commercio del Comune di Modugno, la Ditta Moda Group s.r.l., così come subentrata alla Fiore Group con contratto d’affitto d’azienda del 30/12/2003, è titolare di licenza commerciale per una superficie di vendita di mq. 2490. Cioè pari ad una media struttura di vendita. Né, d’altro canto, potrebbe essere diversamente, atteso che, nel caso di una superficie di vendita di 5000 mq., così come dichiarata dalla ricorrente, dovrebbe sussistere un’autorizzazione regionale rilasciata a seguito di procedimento diverso”.

Alla luce dei rilievi che precedono, l’appello va dunque respinto.

Ritiene peraltro il Collegio che la particolarità delle questioni sottoposte al suo esame giustifichi l’integrale compensazione, tra le parti, delle spese di lite del grado di giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Compensa tra le parti le spese di lite del grado di giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 25 ottobre 2018 con l'intervento dei magistrati:

Francesco Caringella, Presidente

Alessandro Maggio, Consigliere

Valerio Perotti, Consigliere, Estensore

Federico Di Matteo, Consigliere

Giuseppina Luciana Barreca, Consigliere



L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
Valerio Perotti Francesco Caringella





IL SEGRETARIO

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