Data: 2019-01-18 07:36:31

Scaffalature esterne non necessitano di pratica edilizia

Scaffalature esterne non necessitano di pratica edilizia

[color=red][b]Consiglio di Stato sent. 3347/2019[/b][/color]

FATTO e DIRITTO

1. Col ricorso in epigrafe la Bricoman Italia s.r.l. (di seguito “BI”) ha impugnato la sentenza del Tar per la Lombardia, Milano, n. 2395/2017, pubblicata il 15.12.2017, che – a spese compensate – le ha dichiarato improcedibili, in parte, ed infondate, nel resto, le sue originarie domande volte all’annullamento:

- in via principale:

-- dell’ordinanza del Responsabile del settore urbanistica ed edilizia privata del Comune di Caronno Pertusella (di seguito “Comune”) n. 86 del 16.6.2016 avente ad oggetto la demolizione di manufatti e il rispristino dello stato dei luoghi;

-- di ogni altro atto presupposto e connesso, inclusa, per quanto occorra, la comunicazione n. 23899/2015 del 4.11.2015 di avvio del procedimento di emanazione della predetta ordinanza;

- con motivi aggiunti:

-- dell’ordinanza del Responsabile del settore urbanistica ed edilizia privata del Comune n. 115 del 26.7.2016 avente ad oggetto la demolizione di manufatti e il rispristino dello stato dei luoghi;

-- di ogni altro atto presupposto e connesso.

1.1. A riepilogo dei basilari fatti di causa la sentenza ha ricordato che:

- BI opera nel settore del commercio ed è locataria di un complesso commerciale denominato ‘Bricoman’ nel territorio del Comune;

- la struttura commerciale si compone di due edifici e di aree pertinenziali destinate a parcheggio, alla vendita all’ingrosso e al dettaglio di prodotti per l’edilizia (c.d. drive), nonché al ricevimento e stoccaggio delle merci;

- con p.d.c. del 17.6.2015 (n. 2015-PER/0006) s’è provveduto a riqualificare l’area convertendo all’uso commerciale anche uno dei due edifici in precedenza destinato ad altra funzione e sono state riorganizzate le aree pertinenziali, ampliando quella di vendita (drive) e sistemandola in maniera più razionale e sicura;

- sia nell’area drive sia in quelle di stoccaggio sono installate scaffalature metalliche destinate all’esposizione e al deposito della merce in vendita;

- le scaffalature sono strutture metalliche di altezze e dimensioni variabili, aperte su quattro lati, in taluni casi sormontate da lastre in plexiglas a protezione delle merci collocate nella parte superiore, fissate alla pavimentazione esterna, per ragioni di sicurezza, mediante semplici tasselli, facilmente smontabili e agevolmente amovibili;

- il Comune aveva accertato che l’installazione di tali scaffalature non era stata dichiarata in alcuna pratica edilizia né risultava prevista dal piano attuativo, pur trattandosi di manufatti idonei a produrre nuova superficie coperta e incidenti anche sulla sicurezza antincendio, in quanto collocati altresì in corrispondenza delle aree previste per i parcheggi pertinenziali.

1.2. La sentenza ha quindi motivato la decisione dicendo che:

- era improcedibile il ricorso principale per sopravvenuta carenza di interesse, dato che con ordinanza n. 114/2016 il Comune aveva revocato l’ordinanza n. 86/2016. Sull’ordinanza n. 115/2016 si concentrava perciò l’interesse concreto e attuale ad una decisione di merito da parte della BI;

- era infondata una prima censura (tesa a contestare il fatto che il Comune avesse qualificato meri ‘terreni’ le aree che ospitavano le scaffalature, quando invece esse erano state pavimentate in virtù di titolo edilizio e, dunque, da considerare già edificate) giacchè “in presenza di una pavimentazione debitamente autorizzata, non è possibile ritenere che possa poi liberamente procedersi alla realizzazione sulla stessa di ulteriori manufatti, che magari creano anche nuova volumetria, senza ottenere, volta per volta, il necessario e pertinente titolo edilizio”;

- erano infondate tre ulteriori censure, da scrutinare congiuntamente, volte a sostenere che l’installazione delle strutture metalliche (peraltro facilmente rimuovibili) era intrinsecamente collegata all’attività commerciale autorizzata della BI (trattandosi di attrezzature strumentali alle attività di stoccaggio e vendita delle merci, quindi ricomprese nel progetto approvato dal Comune col quale state realizzate le aree in questione), poteva al più qualificarsi – col pertinente regime sanzionatorio – come intervento sottoposto a SCIA (non come nuove costruzioni), concerneva manufatti di natura pertinenziale che, non creando volume superiore al 20% di quello degli edifici principali, poteva essere soggetti a SCIA, con al più l’applicabilità di una sanzione pecuniaria. Ciò perché, in sintesi, detta installazione aveva dato vita ad una ‘nuova edificazione’.

2. L’appello è affidato ai seguenti motivi:

a) erroneità della sentenza quanto al rigetto del primo motivo di ricorso per motivi aggiunti (recante violazione dell’art. 3 della l.n. 241/1990 - eccesso di potere per carenza istruttoria, travisamento dei fatti e difetto dei presupposti);

b) erroneità della sentenza quanto al rigetto del secondo motivo di ricorso per motivi aggiunti (recante violazione degli artt. 1, 3 e 31 del d.P.R. n. 380/2001 e dell’art. 27 della l.r. n. 12/2005);

c) erroneità della sentenza quanto al rigetto del terzo motivo del ricorso per motivi aggiunti (recante violazione degli arti. 3, 10, 22, 31 e 37 del d.P.R. n. 380/2001 e dell’art. 27 della l.r. n. 12:2005 - violazione dell’art. 3 della l.n. 241/90 e/o eccesso di potere per difetto di motivazione);

d) erroneità della sentenza quanto al rigetto del quarto motivo del ricorso per motivi aggiunti (recante violazione degli arti. 3, 10, 22, 31 e 37 del d.P.R. n. 380/2001 e dell’art. 27 della l.r. n. 12:2005 - violazione dell’art. 3 della l.n. 241/1990 e/o eccesso di potere per difetto di motivazione).

2.1. Ad avviso di parte la sentenza di primo grado è erronea e da riformare perchè, in sostanza, non è stato dato adeguato risalto:

a.1) al fatto (dedotto) che i ‘terreni’ sui quali erano posate le scaffalature in verità non erano più tali “trattandosi invece di aree esterne appositamente destinate e realizzate per la vendita, il ricevimento e lo stoccaggio delle merci, dotate di pavimentazione di tipo industriale, in corrispondenza delle quali tali scaffalature sono state installate, rispettivamente, ai fini dell’esposizione e apprensione delle merci in vendita nel centro edile (drive) e per il deposito di quelle in arrivo e in vendita nell’intero complesso commerciale (ossia anche e soprattutto all’interno degli edifici esistenti)”;

b.1) al fatto (dedotto) che “l’installazione delle sanzionate scaffalature non integrava neppure un’attività di natura edilizia, trattandosi di mere attrezzature di lavoro soggette al solo rispetto della relativa normativa di sicurezza (D.Lgs. 81/2008), in quanto funzionali all’attività da svolgere negli spazi pertinenziali esterni del complesso commerciale”;

c.1) al fatto (anch’esso dedotto) che, ove pure l’installazione delle scaffalature fosse stata ritenuta attività edilizia, la stessa non era avvenuta su terreno ‘vergine’ ma su area già pavimentata, onde allora sarebbe potuta rientrare fra quelle realizzabili mediante SCIA ai sensi dell’art. 22 del TU edilizia. Non v’era stata dunque trasformazione del suolo, che pur sempre costituisce requisito identificativo della ‘nuova costruzione’;

d.1) al fatto (pur esso dedotto) che le scaffalature potevano anche essere qualificate come mera ‘pertinenza’ allo stabilimento della BI e alle attività commerciali in esso esplicate.

3. Costituitosi, il Comune ha replicato partitamente alle tesi avversarie.

4. Con ordinanza cautelare della Sezione n. 885/2018, pubblicata il 23.2.2018, è stata sospesa l’esecutività della sentenza impugnata “Ritenuto (…) sufficientemente comprovato allo stato il requisito del fumus boni iuris, avuto riguardo alla natura e all’entità delle opere oggetto dei provvedimenti originariamente impugnati, anche in considerazione dell’adeguatezza del titolo della SCIA formatosi nel caso di specie, e pertanto prevedibile al momento un esito favorevole del giudizio relativamente alla parte reiettiva della sentenza di primo grado; Ritenuto altresì sussistente anche il requisito del periculum, nelle more della definizione nel merito del giudizio d’appello, tenuto conto della funzione servente delle contestate scaffalature rispetto all’attività principale svolta nell’adiacente esercizio commerciale”.

5. Con memoria del 26.10.2018 la BI ha riepilogato i propri argomenti.

Altrettanto ha fatto il Comune con la sua memoria del 31.10.2018.

5.1. Le parti hanno quindi reciprocamente replicato con note del 14.11.2018.

6. La causa quindi, chiamata alla pubblica udienza di discussione del 6.12.2018, è stata ivi trattenuta in decisione.

7. L’appello è fondato, nei termini di seguiti indicati, e pertanto va accolto.

7.1. Questo il punto centrale della controversia: se – come ritenuto dal Comune, in occasione dell’adozione dei provvedimenti in contestazione – alcune scaffalature, parzialmente sormontate da lastre in plexiglas ma non dotate di pareti o ‘tamponature’ laterali, installate su sedimi già pavimentati, rientranti nel perimetro del complesso commerciale della BI e comunque posti all’esterno dell’edificio che ospita l’esercizio commerciale, destinate a proteggere prodotti e materiali in vendita presso il predetto esercizio, abbiano dato vita a una ‘nuova costruzione’ realizzata dall’appellante e se, come tale, essa abbisognasse di un previo e coerente titolo edilizio.

7.2. Il Collegio è dell’avviso che al quesito debba essere data risposta negativa, per le seguenti ragioni:

- le scaffalature non hanno tecnicamente dato vita ad una nuova volumetria, soprattutto perché – in quanto prive di chiusure laterali e coperte, talora, soltanto da lastre di materiale sostanzialmente plastico – esse non risultano idonee a perimetrare, appunto, un ‘volume’ rilevante a fini edilizi;

- le scaffalature sono rimuovibili e, intuibilmente, anche destinate a poter avere morfologie diverse in funzione della qualità e, soprattutto, della quantità dei materiali e dei prodotti via via destinati ad essere da loro protetti;

- le scaffalature insistono su un’area esterna (all’edificio che ospita il centro commerciale) già pavimentata e già destinata, fin dai tempi del p.d.c. del 17.6.2015, alla vendita all’ingrosso e al dettaglio di prodotti per l’edilizia (c.d. drive), nonché al ricevimento e stoccaggio di merci;

- in un precedente sostanzialmente analogo il Consiglio di Stato ha già avuto modo di osservare che “la realizzazione del deposito merci era già stata autorizzata, ed è ragionevole dedurre che un deposito debba vedere funzionalmente sistemate le citate scaffalature, ancorandole al suolo per ragioni di sicurezza nel rispetto della vigente normativa concernente l'uso delle attrezzature di lavoro di cui al decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81” (sentenza di questa Sezione n. 702/2015, pubblicata il 10.2.2015).

7.3. Se, dunque, quanto realizzato dalla BI non è stata, tecnicamente, ‘nuova costruzione’, il Comune non poteva pretendere da essa, nella specie, il previo conseguimento di un p.d.c..

Si è trattato perciò di una installazione di strutture funzionali al commercio di materiali e prodotti che, come tale, avrebbe potuto essere preceduta da una SCIA, in rapporto alla quale (ed in conseguenza della cui assenza, nel caso di specie) le conseguenze sanzionatorie sono ben diverse da quelle che il Comune ha ritenuto verificabili nella vicenda in discorso.

8. Pertanto la sentenza impugnata deve essere parzialmente riformata e, di conseguenza, devono essere annullati i provvedimenti originariamente impugnati.

9. Diverso aspetto della questione – di cui è qui opportuna una menzione, per quanto non rientrante strettamente nel perimetro dell’oggetto del presente giudizio – è quello costituito dal fatto che le scaffalature in argomento (ed i materiali ed i prodotti da esse protetti) ragionevolmente possono avere de facto ‘ampliato’ le dimensioni delle capacità di vendita dell’esercizio commerciale della BI (implementandone i volumi di traffico di clientela) e semmai simmetricamente ridotto gli spazi destinati a parcheggio. Il tutto con un diverso ‘impatto’ del complesso commerciale nello spazio di territorio comunale che ospita detto complesso.

Ma questo tratto della vicenda – ben diverso da quello di cui si è trattato nel presente giudizio – costituisce eventualmente un profilo che il Comune può autonomamente investigare, in un’ottica peraltro diversa da quella di un presunto abuso edilizio.

10. Le spese del giudizio seguono la soccombenza e si liquidano, in favore della BI e con onere di pagamento a carico del Comune, in complessivi euro 6.000,00 per il doppio grado.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie in parte nei termini di cui in motivazione e, per l’effetto, annulla i provvedimenti originariamente impugnati.

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