Data: 2012-04-24 19:27:09

Dovere di motivazione e sinteticità degli atti

Dovere di motivazione e sinteticità degli atti *
 

I.            Il capo I del codice, dedicato ai Principi Generali, dopo aver disciplinato, nei primi due articoli, i principi dell’effettività della tutela e del giusto processo, affida all'articolo 3 la disciplina di due nuovi istituti: l'obbligo di motivazione del giudice amministrativo e l'obbligo per tutte le parti processuali di rispettare il canone della sinteticità nella redazione dei rispettivi atti.

La disposizione non contiene sanzione per il mancato rispetto dei due obblighi. Tuttavia, mentre per la mancata osservanza dell'obbligo di motivazione esistono i rimedi processuali generali, quale quello di farne oggetto specifico di motivo d'appello, non vi sono rimedi specifici nel caso in cui gli atti del giudice (decreto ordinanza sentenza) e gli scritti difensivi (ricorso controricorso memoria) non si attengano al canone della sinteticità.

La scelta del legislatore di non prevedere un rimedio specifico all'interno del processo, ossia quello di affidare al giudice la possibilità di sindacare la non giustificata prolissità degli atti delle parti e quella di affidare al giudice d'appello la possibilità di sindacare la prolissità della sentenza, rende sicuramente debole la regola della sinteticità di tutti gli atti processuali. Ciò nonostante, siccome essa esiste, bisogna pur trovare altrove, nel sistema, il rimedio per la sua inosservanza. Si può ipotizzare un rimedio presso il Consiglio di presidenza della giustizia amministrativa e presso il Consiglio dell'ordine degli avvocati, i quali, oltre alla possibilità di aprire procedimenti disciplinari per i casi di sistematica stesura di testi debordanti e incomprensibili, debbono sicuramente avviare un'opera di educazione alla sinteticità degli atti, che costituisce uno dei modi - e forse tra i più importanti - per arrivare ad una giustizia rapida ed efficace.

Intanto, già nel processo, il rischio per la difesa che atti difensivi non sintetici possano non essere legittimamente presi in considerazione da parte del giudice, con la conseguente declaratoria d’inammissibilità del ricorso, costituisce un ottimo deterrente a non praticare la pessima usanza di scrivere dei veri e propri trattatelli per fare colpo sul cliente, senza considerare l'effetto negativo che può avere sul giudice, a danno del medesimo cliente[1].

Può essere utile ricordare come il codice stabilisca che, anche nell'udienza pubblica, qualora lo chiedano, << le parti possono discutere sinteticamente>> ( art. 74); così come nel processo cautelare, <<nella camera di consiglio le parti possono costituirsi e i difensori sono sentiti ove ne facciano richiesta. La trattazione si svolge oralmente e in modo sintetico>> (articolo 55, comma 7). Parimenti utile è ricordare l’art. 366, comma 1, n. 3 c.p.c.), laddove stabilisce che il ricorso deve contenere: <<L’esposizione sommaria dei fatti della causa>>. Sulla stessa scia si muovono gli articoli 40 e 101 del codice sul processo amministrativo. 





II.          Ma è bene procedere con ordine, cominciando dall’art. 3, primo comma, laddove stabilisce che: << Ogni provvedimento decisorio del giudice è motivato>>.

In realtà, la vera novità non è costituita dal fatto che la sentenza del giudice amministrativo debba essere motivata  -il rispetto dell'obbligo di motivazione, pur in assenza di una espressa previsione, era esteso anche alla sentenza del giudice amministrativo, per effetto di una ampia interpretazione del disposto di cui all'articolo 111, comma 6, della Costituzione-  bensì dal fatto che tutti i provvedimenti decisori, a prescindere dalla loro forma (decreto ordinanza sentenza) debbano essere motivati [2]. La disposizione stabilisce, una volta per tutte, che le ordinanze decisorie e i decreti cautelari debbano essere seriamente motivati, ponendo fine a quelle motivazioni tautologiche praticate dai giudici amministrativi sino all'emanazione della legge n. 205 del 2000.

Ai più attenti non può sfuggire il fatto che l'uso del sintagma “provvedimento decisorio” da parte del legislatore non è casuale, in quanto si vuole far rientrare tra  essa anche le c.d. decisioni amministrative ( artt. 5, 13, 14  D.P.R. 24 novembre 1971 n.1199), ossia quelle che scaturiscono da procedimenti giustiziali, caratterizzati dalla presenza di una lite e dalle regole del contraddittorio, e che costituiscono istituti classici della giustizia amministrativa (ricorso straordinario al capo dello Stato, ricorsi gerarchici)[3] .

Infatti, il codice sul processo amministrativo si occupa espressamente del ricorso straordinario, laddove: a) stabilisce che "è ammesso unicamente per le controversie devolute alla giurisdizione amministrativa" (art. 7, comma 8); b) disciplina il giudizio conseguente alla trasposizione del ricorso straordinario (art. 48); c) stabilisce che l'azione di ottemperanza possa essere proposta per conseguire l'attuazione “degli altri provvedimenti esecutivi del giudice amministrativo”, delle sentenze passate in giudicato e “degli altri provvedimenti ad esse equiparati per i quali non sia previsto il rimedio dell'ottemperanza, al fine di ottenere l'adempimento dell'obbligo della pubblica amministrazione di conformarsi alla decisione” (art. 112 lett. b) e d); d) stabilisce l'inammissibilità del ricorso straordinario al presidente della Repubblica nella materia elettorale (art. 128).

La presenza delle indicate disposizioni consente di ritenere che il ricorso straordinario al capo dello Stato sia stato definitivamente attratto nell'ambito del processo amministrativo; il che consente di applicare ad esso talune delle regole proprie del processo anziché quelle del procedimento. E’ ora di prendere atto che, accanto alla fase decisoria procedimentale e alla decisione giurisdizionale, esiste anche la decisione giustiziale.





III.          Non è questa la sede per riferire sulla storia dell'obbligo di motivazione in generale, che si può far risalire alla Rivoluzione francese, anche se non mancavano esempi in epoche precedenti, dove veniva praticato uno dei più importanti istituti della civiltà giuridica moderna, basti pensare alla Rota fiorentina del 1502 e al Dispaccio Tanucci del 1774 sotto il regno di Carlo e Ferdinando IV di Borbone [4].

Va solo ricordato che, mentre nei paesi di common law (Inghilterra, USA) non vi è nessuna norma che stabilisca l'obbligo di motivazione, ma si registra solamente una prassi di motivazione spontanea (negli Stati Uniti d'America manca persino questa); nei paesi di civil law tale obbligo è sancito nelle Costituzioni formali e materiali, anzi nell'ordinamento tedesco la forma della motivazione è disciplinata in maniera molto analitica, mentre in Francia prevale il metodo per “frasi uniche” con una sequenza di “attesi” sintetici logicamente concatenati (stile oracolare)[5].

La disposizione in esame riproduce l'articolo 111 della Costituzione, comma 6.

È significativo ricordare che la norma costituzionale era presente già nell'impianto originario, ossia ancor prima dell'introduzione delle garanzie del giusto processo del 1999. Pertanto l'obbligo di motivazione del giudice amministrativo era già osservato. Anzi la consuetudine di apporre alle proprie decisioni motivazioni molto articolate da parte del Consiglio di Stato risale all'epoca in cui era incerta la natura processuale del giudizio amministrativo, che all'epoca si svolgeva quasi unicamente in un solo grado. La riprova è data dall'articolo 65 n. 3 del Regolamento di procedura del Consiglio di Stato ( R. D. 642 del 1907), laddove già prescriveva che la “decisione” doveva contenere “una succinta esposizione dei motivi di fatto e di diritto”.

Sicché, la norma, inserita ad apertura del codice, finisce con l'avere solamente l'indubbio valore simbolico di attestare il definitivo inserimento della giustizia amministrativa nel quadro generale del sistema processuale italiano, fondato sulla tutela effettiva delle situazioni giuridiche soggettive sostanziali, in cui rientra sicuramente l'interesse legittimo, affidato alla giurisdizione ordinaria di legittimità del giudice amministrativo.





IV.          La motivazione della sentenza da parte del giudice amministrativo contiene delle particolarità, come vedremo da qui a poco. 

Tuttavia, anche per essa vale quanto gli studiosi [6] hanno fatto derivare dal precetto costituzionale di cui all'articolo 111, comma 6, ossia: a) che la motivazione ha un ruolo extra processuale, avendo il cittadino il diritto di conoscere le ragioni delle decisioni dei giudici; b) che la motivazione costituisce l'unico strumento per controllare se il giudice ha deciso imparzialmente e ha osservato le regole del modello costituzionale di giustizia, realizzando il principio di legalità dell'attività giurisdizionale; c) che la motivazione assolve soprattutto una finalità endo processuale, che si sostanzia nel consentire alle parti di individuare i vizi della sentenza in vista dell'eventuale formulazione dei motivi di impugnazione (difendersi nel processo con gli strumenti del processo).

Così come anche per essa vanno richiamate le nozioni elaborate dalla dottrina migliore [7] sulla motivazione delle sentenze in generale. Esse possono così essere riassunte: a) quanto alla nozione e alla natura giuridica, la motivazione costituisce l'esternazione delle ragioni della decisione, che non è però il resoconto del procedimento mentale seguito dal giudice, quanto piuttosto la giustificazione razionale della decisione già assunta, che finisce con l'essere l'inizio e non la fine della motivazione (l’autoapologia del giudice, di cui parlava il Calamandrei); b) quanto ai caratteri, essi si sostanziano nell'esistenza, l’autosufficienza e la coerenza logica. Deve inoltre avere una giustificazione interna, ossia il nesso che fonda la decisione finale sulla base del collegamento tra fatto e  diritto (sillogismo) e una giustificazione esterna, costituita dalla scelta tra le premesse di fatto e di diritto dalla cui connessione è logicamente derivata la decisione finale; c) quanto alla tipologia si pone in rilievo l'ufficialità, l’impersonalità e il tecnicismo giuridico, senza dimenticare le motivazioni per relationem; d) quanto infine alla funzione della motivazione si fa riferimento alla già ricordata funzione endo ed extra processuale.

Va da sé che non è possibile indugiare oltre sulla motivazione in quanto tale,  trattandosi di un istituto generale e trasversale[8].





V.          Vanno invece posti in rilievo i caratteri specifici della motivazione dei provvedimenti decisori del giudice amministrativo, ossia le sentenze e le ordinanze cautelari. Ad avviso di chi scrive quanto ora si dirà vale anche per il ricorso straordinario al capo dello Stato, la cui decisione, pur formandosi non nel processo ma in un procedimento giustiziale, contiene tutti gli intrinseci caratteri della motivazione ed è suscettibile di essere portata ad esecuzione attraverso il giudizio di ottemperanza.

La particolarità della sentenza del giudice amministrativo è stata individuata nella stretta relazione che intercorre tra motivazione e giudicato[9]. In realtà essa si basa sulla natura della situazione giuridica soggettiva su cui incide il giudicato, caratterizzata dall'essere la coppia potestà-interesse legittimo liquida e inestirpabile, nel senso che sopravvive alla dinamica processuale attraverso l'obbligo di conformazione dell'amministrazione alla decisione e attraverso lo speciale rimedio predisposto per l'esecuzione del giudicato amministrativo, ossia il giudizio di ottemperanza, non riducibile ad un giudizio esecutivo in senso stretto.

Il contenuto della decisione non è dato solo dalla pronuncia di annullamento, bensì dalla valutazione che il giudice ha fatto dell'esercizio del potere amministrativo e dall'individuazione delle anomalie, che vanno corrette dalla stessa amministrazione attraverso il riesercizio del potere, indefettibilmente consegnatole dalla Costituzione .

In altri termini, la motivazione costituisce l'oggetto su cui si basa il vincolo conformativo che la sentenza impone all'amministrazione. Pertanto essa non costituisce, come si è visto, solo la giustificazione razionale della decisione, ma qualifica e giudica l'esercizio del potere amministrativo. Il valore della motivazione, laddove determina il concreto contenuto della decisione, finisce con l'avere effetto sul provvedimento di esecuzione del processo amministrativo, ossia quello che si forma nel giudizio di ottemperanza. La motivazione non è solo rilevante nella fase di adempimento del giudicato, ma si collega alla sentenza che conclude il giudizio di ottemperanza [10].





VI.          Veniamo ora all’art. 3, 2 comma, del codice. Esso stabilisce: <<Il giudice e le parti redigono gli atti in maniera chiara e sintetica>>. Non ci sono norme di analogo tenore negli altri codici di rito. Essa, tuttavia, non è un'invenzione di chi ha predisposto la legge processuale amministrativa. Infatti, l'origine della disposizione si trova nell'articolo 44, comma 2, lettera a), della legge 18 giugno 2009, n. 69, che, come già visto, costituisce la legge delega al governo, avente lo scopo di <<assicurare la snellezza, concentrazione ed effettività della tutela, anche al fine di garantire la ragionevole durata del processo, anche mediante il ricorso a procedure informatiche e telematiche, nonché la razionalizzazione dei termini processuali, l'estensione delle funzioni istruttorie esercitate in forma monocratica e l'individuazione di misure, anche transitorie, di eliminazione dell'arretrato>>.

Inoltre, le disposizioni richiamate costituiscono una chiara applicazione dell'articolo 111, comma 2, della Costituzione, laddove stabilisce che la legge deve, tra l'altro, assicurare la ragionevole durata del (giusto) processo. Anzi il processo non può mai essere giusto se non si svolge in tempi ragionevolmente brevi.

In questo quadro, le due disposizioni contenute nell'articolo 3 si inseriscono in un unico disegno volto a garantire il giusto processo, che si può ottenere solamente attraverso la razionalizzazione della tutela giurisdizionale amministrativa.

Il comando contenuto nell'articolo 3 del codice consiste in ciò, che il giudice deve assicurare una motivazione sufficiente e congrua, ma al tempo stesso chiara e sintetica.

Il problema, dunque, consiste nel capire come questo precetto possa essere osservato. Sicché diventa centrale l'individuazione di una possibile tecnica di redazione della sentenza, da praticare costantemente e diffusamente nei tribunali.





VII.        In proposito vengono anzitutto in soccorso le scarne norme disseminate nel codice del rito civile e del rito amministrativo.

In primo luogo va osservato che l'obbligo di redigere gli atti in maniera chiara e sintetica riguarda  anche gli scritti difensivi delle parti. Pertanto la osservanza del precetto da parte degli avvocati finisce con l'essere il primo e più diretto strumento per realizzare una motivazione chiara e sintetica, così come voluta dal legislatore, nell'ambito di un processo razionale e ragionevolmente breve. Anche perché così si scongiura il pericolo che il giudice scriva sentenze tese a “convincere”, invano, la parte delle ragioni per cui la tesi difensiva non ha fondamento attraverso la puntigliosa confutazione delle argomentazioni difensive.

Inoltre, esso costituisce un modo concreto per realizzare la cooperazione delle parti, che il legislatore ha posto come una vera e propria regola giuridica, e non come mero auspicio acchè si instauri tale prassi, laddove, all'articolo 2 del codice, stabilisce che: <<Il giudice e le parti cooperano per la realizzazione della ragionevole durata del processo>>.

In realtà, l'avvocato ha due grandi preoccupazioni allorquando redige gli atti difensivi. La prima è quella di far comprendere al giudice le ragioni del proprio cliente; la seconda è quella di prevedere e contrastare gli argomenti della parte avversa.  Il corretto assolvimento della propria missione difensiva deve svolgersi nell’ambito di uno schema che sia la sintesi delle due fondamentali esigenze. Questo può essere realizzato attraverso il metodo della “sottrazione” dal magma dell'elaborazione linguistica del materiale giuridico predisposto per il processo, fornendo al giudice solo ciò che effettivamente serve. Lo scritto difensivo deve essere riguardato anche sotto il canone, logico e stilistico, della sinteticità.

Ma torniamo alla motivazione.

Il codice del rito civile dedica ai caratteri della motivazione alcune norme. Esse sono: l'art. 132, 2 comma, prevede, al n. 4, che la sentenza deve contenere “la concisa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione”; l'articolo 118 delle disposizioni di attuazione stabilisce che ” la motivazione della sentenza di cui all'articolo 132, secondo comma,  n. 4), del codice consiste nella succinta esposizione dei fatti rilevanti della causa e delle ragioni giuridiche della decisione, anche con riferimento a precedenti conformi. Debbono essere esposte concisamente e in ordine le questioni discusse decise dal collegio ed indicati le norme di legge i principi di diritto applicati. Nel caso previsto dall’articolo 114 del codice debbono essere esposte le ragioni di equità sulle quali è fondata la decisione. In ogni caso deve essere omessa ogni citazione di autori giuridici.”; l'articolo 360, primo comma, n. 5 stabilisce che le sentenze possono essere impugnate con ricorso per cassazione “per omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio”.

I primi due articoli indicati sono stati modificati dalla  stessa legge n. 69 del 18 giugno 2009, recante provvedimenti in materia processuale e di ordinamento giudiziario. Il testo precedente dell'articolo 132,  n. 4  c.p.c. era il seguente "4) la concisa esposizione dello svolgimento del processo e dei motivi in fatto e in diritto della decisione>>; mentre il precedente testo dell'articolo 118 nella parte che interessa era il seguente<< La motivazione della sentenza di cui all'articolo 132, n. 4 del codice consiste nell'esposizione dei fatti rilevanti della causa e delle ragioni giuridiche della decisione>>.

La prima notazione da fare riguarda il fatto che le modifiche al codice del rito civile sono state apportate con la stessa legge che ha previsto l'emanazione del codice sul processo amministrativo; e quindi risulta chiaro il disegno unitario del legislatore, che riguarda non solo l'attrazione definitiva della giustizia amministrativa nel sistema generale, ma soprattutto quello di realizzare la celerità e l'efficienza di tutti i processi, anche attraverso l'istituzione di un meccanismo motivazionale chiaro e conciso.

Le modifiche più significative riguardano l'eliminazione della concisa esposizione dello “svolgimento del processo” a vantaggio della esposizione dei “fatti rilevanti della causa” e delle ragioni giuridiche della decisione; il riferimento espresso a “precedenti conformi”, quale modo per realizzare una motivazione sufficiente e congrua; l'ordine delle questioni discusse e decise dal collegio; l'indicazione delle norme di legge e dei principi di diritto applicati.

Il legislatore ha optato per una motivazione, sobria ed essenziale, della sentenza. Essa non è la sede per uno studio dottrinale o il mezzo per manifestare la sterminata cultura giuridica di chi la scrive. Tuttavia essa deve essere esauriente, nel senso che la concisione non deve risolversi in una motivazione incompleta, dovendo comunque il giudice esporre tutti gli argomenti a giustificazione della sua decisione.

Alle norme indicate si sovrappongono, e in parte si intrecciano, quelle del  processo amministrativo, che non poteva non contenere norme di analogo tenore. Esse sono: l'art. 88, comma 2, lettera d) stabilisce che la sentenza deve contenere <<la concisa esposizione dei motivi in fatto e in diritto della decisione, anche con rinvio a precedenti cui intende conformarsi.>>; il comma 3 del medesimo articolo rinvia espressamente all'articolo 118, comma 3, delle disposizioni per l'attuazione del codice di procedura civile; l'articolo 74, disciplinante le sentenze in forma si semplificata, stabilisce appunto che<<Nel caso in cui ravvisi la manifesta fondatezza ovvero la manifesta irricevibilità, inammissibilità, improcedibilità o infondatezza del ricorso, il giudice decide con sentenza in forma semplificata. La motivazione della sentenza consiste in un sintetico riferimento al punto di fatto o di diritto ritenuto risolutivo ovvero, se del caso, ad un precedente conforme>>; accanto alla previsione in via generale della possibilità di definire giudizio con sentenza resa in forma semplificata, ossia a seguito della trattazione della causa con il rito dell'udienza pubblica, va ricordato che essa è obbligatoria per quanto riguarda l'ottemperanza e gli altri riti speciali ( silenzio, accesso, elettorale), disciplinati negli articoli 112 e seguenti; infine l'articolo 245 del codice dei contratti pubblici, così come modificato dal decreto legislativo 20 marzo 2010, n. 53, dispone che <<tutti gli atti di parte devono essere sintetici e la sentenza che decide il ricorso è redatta, ordinariamente, in forma semplificata>>(comma 2-undecies).

La previsione della sentenza in forma semplificata[11] costituisce la più importante novità, non solo perché consente di chiudere il giudizio rapidamente, ma anche perché permette di utilizzare un meccanismo motivazionale ancora più rapido, laddove il riferimento al “fatto della causa” può essere ridotto o addirittura omesso e la motivazione può essere concentrata in poche proposizioni riguardanti la questione risolutiva, inserendo così nel nostro sistema lo stile oracolare in uso presso il Consiglio di Stato francese.

Anche il riferimento al precedente conforme è un modo ancora più rapido di risolvere la causa. In proposito, è bene ricordare che la citazione (senza mai eccedere) dei precedenti, anche quando non consentono la risoluzione della causa, va fatta con riferimento al caso e non alla massima, spesso fuorviante.





VII.1      Ma torniamo al punto che più interessa, ossia come realizzare in concreto il disegno del legislatore, che, come si è visto, impone una motivazione sufficiente e logica, ma, al tempo stesso, chiara e sintetica[12] .

La chiarezza si riferisce all'ordine dell’esposizione delle questioni e al linguaggio da usare. La sintesi invece si riferisce al processo logico o , se si vuole, alla forma conoscitiva contrapposta all'analisi, che, partendo dal semplice e arrivando al complesso,  riduce l’insieme di nozioni e concetti diversi ad un'unità essenziale, portando ad una conclusione unitaria. Essa postula sul piano linguistico un’esposizione breve e, appunto, essenziale.

Realizzare una motivazione chiara e sintetica presuppone alcune precondizioni: la conoscenza approfondita degli atti di causa e delle questioni da decidere; la comprensione di ciò che il ricorrente in realtà vuole dall'amministrazione ( il c.d. bene della vita); sapere per chi si scrive (per gli stessi giudici, per la collettività, per le parti in causa).

Il linguaggio da usare, nella consapevolezza che chi amministra giustizia svolge attività preziosa che non tollera dispersione inutile di attività e di parole, è quello in uso presso le scienze esatte, ossia il linguaggio “necessario e sufficiente”. Inoltre, deve essere il più vicino al linguaggio comune riducendo l’uso del linguaggio tecnico ai soli casi in cui non se ne può fare a meno; e non il contrario. Per contro non bisogna avere timore di ripetere più volte il termine tecnico da usare, cercando fuorvianti sinonimi, in quanto esso nel corso del tempo ha assunto un significato inequivocabile presso il ceto dei giuristi. Più esattamente, la motivazione non è solamente collegata al modo come il giudice interpreta l'ordinamento nel caso di specie, ma anche al modo come in concreto viene redatta. In proposito è stato notato come lo “stile logico” prevale di gran lunga sullo “stile valutativo”, con la conseguenza che il giudice accentua gli elementi concettualisti e tecnico- giuridici e riduce al minimo gli elementi attinenti all'espressione e alla giustificazione dei giudizi di valore. In altri termini il modello prevalente tende a far apparire la decisione come una conseguenza univoca e necessitata in base alle premesse da cui si è partiti, e non come il risultato di scelte ideologiche; e ciò anche quando ad esempio in materia di interpretazione di clausole generali tale scelta è inevitabile[13].

In proposito, è esemplare l'esperienza dei nostri padri costituenti, che sentirono l'esigenza di sottoporre la nostra Costituzione ad una revisione linguistica, al fine di allargarne della popolazione, allora semianalfabeta [14].

Coniugando sintesi e chiarezza, si realizza istantaneamente il precetto costituzionale in base al quale la motivazione è lo strumento attraverso cui il giudice assolve il suo dovere professionale di dare conto, alle parti e alla collettività, delle ragioni su cui si fonda la propria decisione.

E’ il caso di segnalare come lo stile discorsivo, ma normalmente chiaro, usato da certi organi giurisdizionali (quali la Corte costituzionale, la Corte di giustizia europea e così via) si giustifica per il fatto che essi debbono assolvere, più degli altri giudici, al compito di indicare alla collettività come l'ordinamento giuridico disciplini una questione, che normalmente tocca un numero grande di cittadini.



VII.2      Nel tentativo di applicare l'endiadi “chiara e sintetica” per un tipo di sentenza ideale, vengono in rilievo alcune considerazioni.

In primo luogo, nell'intestazione della sentenza,  l'individuazione delle parti in causa deve essere  precisa. Nell'attuale sistema informatico questa parte della sentenza viene predisposta dalle segreterie, ma questo non esime il giudice da un controllo approfondito della regolarità della procura, dell’elezione del domicilio e così via .



VII.3      In secondo luogo,  per la parte in fatto, il nuovo sistema legislativo sembra favorire, laddove non si fa più riferimento allo “svolgimento del processo” ma alle “ragioni di fatto”, la non separazione del fatto dalla parte in diritto, magari attraverso la scomposizione in paragrafi e sottoparagrafi, numerati, dell'intera parte che precede il dispositivo. Tanto più che la vicenda amministrativa dedotta in giudizio è già attività giuridica, e non un fatto di vita comune, che poi diventa rilevante per il diritto, così come, ad esempio, avviene nel diritto penale dove il processo sillogistico della sussunzione del fatto di reato nella fattispecie criminosa risulta più plasticamente evidente . In ogni caso vi sono opinioni autorevoli contrarie, nel senso  di ritenere preferibile mantenere distinto “fatto” dal “diritto”. In realtà non c’è una regola fissa: tutto è affidato all’impostazione che il giudice intende dare alla sentenza da scrivere; l’importante è evitare ripetizioni e sovrapposizioni:

Inoltre, lo schema che normalmente si ripropone è assai semplice: il privato chiede di ottenere dall'amministrazione un bene della vita oppure chiede di conservarlo; viene impugnato il provvedimento che lo nega o che lo sacrifica; il giudice annulla o indirettamente conferma il provvedimento; viene o non viene proposto appello; vi è la necessità o meno di eseguire la sentenza.

A questo punto sorge il problema di comprendere quanto fatto (e quali fatti) va inserito nella sentenza.

In generale, la risposta al problema è che in sentenza vanno inseriti solamente i fatti rilevanti ai fini della decisione e non tanto della motivazione in diritto, che si pone sullo stesso piano del primo e insieme determinano il contenuto del dispositivo. Tant’è che nella motivazione in fatto la decisione si fonda validamente sulle sole ragioni di fatto.

Ma quali sono i fatti rilevanti?

Non c'è un risposta valevole sempre e comunque, essendo legati alla fattispecie concreta, per definizione mutevole.

Non è questa la sede per esaminare l'ambito dell'accertamento dei fatti e della motivazione in fatto nel giudizio amministrativo. Ma non si può non ricordare che la natura documentale dell'istruzione e la circostanza che i fatti spesso sono solamente affermati, non esclude la necessità dell'accertamento della loro esistenza, qualora vengano assunti a presupposto dell'azione amministrativa e della norma di diritto applicata. Anzi, come è stato notato, essendo il giudizio amministrativo meno legato al principio dispositivo, “induce  un onere particolarmente rigoroso di motivazione in fatto del giudizio espresso e delle ragioni per cui taluni elementi (di fatto) si sono ritenuti insussistenti o sussistenti, così come affermato dal ricorrente o dall'amministrazione resistente”. Parimenti “l'introduzione generalizzata del doppio grado di giudizio determina un progressivo allargamento della motivazione destinata alla precisazione dei fatti, che diventano oggetto di valutazione diretta da parte del giudice, allo scopo di fornire un più adeguato supporto ad una revisione in secondo grado del giudizio medesimo”. Certamente le sentenze del Tar debbono mostrare attenzione maggiore alla determinazione e all'accertamento dei fatti, anche in relazione alla necessità di giustificare le proprie scelte dinanzi ad un controllo giurisdizionale di secondo grado[15].

Tuttavia, vanno esclusi dalla motivazione tutti quegli elementi che rilevanti non sono, quali ad esempio gli antefatti esposti nel ricorso per far comprendere meglio al giudice la vicenda controversa, le circostanze secondarie che hanno accompagnato la scansione del procedimento e così via. Parimenti non vanno riportati nella parte in fatto della sentenza: gli atti endoprocedimentali; la motivazione per esteso del provvedimento impugnato; l’espunzione dai documenti di circostanze che si vogliono presentare come di fatto, mentre esse pertengono alla valutazione delle prove (operazione invece da fare nella parte successiva); l'analitica esposizione dei motivi, altrimenti si corre il rischio di doverla ripetere quando poi si passa alla motivazione in diritto; nel caso di appello la ripetizione delle argomentazioni del primo giudice, essendo sufficiente riportare la sostanza della conclusione cui è pervenuto.

Infine, nel caso di totale condivisione delle argomentazione del primo giudice è inutile ripeterle con parole diverse. Così come, nel caso di adeguamento ad un precedente conforme, è sufficiente fare riferimento preciso alla sentenza, ponendo fine alla pessima abitudine di copiare la sentenza.



VII. 4      Venendo ai motivi di diritto, oltre a quanto già detto, va aggiunto che il punto più delicato è costituito proprio dal modo come i motivi debbono essere esposti nella motivazione.

Sul piano formale: è preferibile non inserirli nella prima parte, ma direttamente quando vengono esaminati;  non riprodurli fedelmente dal ricorso, ma  riassumerli, omettendo le rubriche che qualificano il vizio dedotto nel ricorso (incompetenza, eccesso di potere per insufficienza istruttoria e così via).

Sotto il profilo sostanziale, viene in rilievo il tema dell'ordine di esame dei motivi e la tecnica del loro assorbimento.

Diventa essenziale richiamare quando dicemmo in generale sul processo logico di quella forma di conoscenza c.d. sintetica, che abbiamo visto essere il principio ispiratore dell'intero processo amministrativo.

Non è questa la sede per discettare, in via teorica, sulle questioni indicate, dove si registrano orientamenti autorevoli diversi [16]. Tuttavia, è stata già ricordata la norma, peraltro solo tendenzialmente vincolante, in base alla quale il giudice decide gradatamente le questioni pregiudiziali o rilevabili d'ufficio e quindi il merito della causa ( articolo 72, 76, comma 4). Inoltre, non si può non ricordare che, ancorché si discuta ancora presso gli studiosi, anche nel processo amministrativo l'esame delle questioni pregiudiziali di ordine processuale debba precedere quelle pregiudiziali di merito e nell'esame di queste si debba dare prevalenza a quello delle questioni di merito relative alla fondatezza della pretesa. Questo vale a maggior ragione ora che l'interesse al risarcimento trova tutela a prescindere da quello all'annullamento dell’ atto ( art, 34, comma 3). In questo quadro va guardata con favore la prassi giurisprudenziale, che, anziché attardarsi su questioni pregiudiziali miranti ad escludere ogni altro giudizio del giudice adito, preferisce dare la precedenza alle questioni di più rapida soluzione, quando il ricorso è infondato nel merito.

E’ noto come la giurisprudenza [17] abbia individuato i criteri circa l'ordine della decisione, laddove, in base al principio dell'economia dei giudizi, nell'esame delle questioni pregiudiziali debba essere data la prevalenza alla regolare costituzione del rapporto processuale rispetto a quelli attinenti alla giurisdizione; stabilendo che le questioni relative alla tempestività del ricorso precedono quelle relative alla sua ammissibilità, e nell'ambito di queste va esaminata con priorità quella relativa al difetto di rappresentanza.

Per quanto concerne l'assorbimento dei motivi di ricorso, va ricordato che esso è un elemento della decisione: “anzi è un elemento di congiunzione tra sostanza e manifestazione esterna della decisione, potendo apparire come omessa motivazione in ordine ad un punto essenziale di cognizione”. Anche in proposito si registrano diversi orientamenti [18] : il primo, che ritiene l'assorbimento compatibile con il giudizio amministrativo inteso come il giudizio sul rapporto, atteso che la decisione sul rapporto sostanziale esaurisce l'oggetto del giudizio e i singoli motivi di ricorso diventano motivi di diritto per fondare la decisione; il secondo, che lo ritiene invece  incompatibile se si immagina il giudizio amministrativo come giudizio su singoli capi d’impugnazione, dove l’assorbimento diventa una vera e propria omissione di pronuncia.

La giurisprudenza[19] , condivisibilmente ammette l'assorbimento dei motivi in caso di sentenza di accoglimento, ritenendo che il metodo sia legittimo sulla base della considerazione che la sua applicazione non lede gli interessi delle parti.

In base a quanto dicevamo, bisogna evitare pronunce non necessarie ai fini della logica soluzione dei problemi, tenuto conto dell'interesse sostanziale della parte. In altri termini diventa centrale l'individuazione della <<questione>> di fondo e non i singoli motivi.

Va infine ricordato che l'assorbimento sembra essere inammissibile nei ricorsi nei quali l'amministrazione, pur soccombendo, può riadottare l'atto annullato, atteso che sui motivi assorbiti non si forma il giudicato e quindi l'amministrazione potrebbe nuovamente adottare l'atto, costringendo il privato a nuova impugnazione.

Nel caso invece di sentenza di rigetto, i motivi di ricorso vanno esaminati uno per uno. Tuttavia l'ordine di esame può essere diverso da quello seguito nel ricorso, potendo ( e dovendo) il giudice esaminare i motivi capaci di assorbire tutti gli altri nell'unicità della <<questione>> da decidere, secondo il cosiddetto metodo sintetico.



VII.5      Tornando alle tecniche redazionali, delle due principali logiche dell’argomentazione, sembra prevalere quella sillogistica rispetto a quella retorica.

Sicuramente lo schema è più semplice e meglio rispondente al principio della sinteticità, laddove si individua la norma di legge o il principio di diritto, che vanno applicati direttamente, omettendo la ricostruzione del sistema giuridico che viene in rilievo, pur lasciando intendere che lo si conosce. Il peso delle regole e dei principi nella motivazione in diritto deve essere forte, senza che questo comporti la riproduzione delle argomentazioni su cui si fondano. Soprattutto quando essi hanno avuto costante applicazione in giurisprudenza. È opportuno ricordare la nuova regola di cui all'art. 99 del codice sulle decisioni dell'Adunanza plenaria del Consiglio di Stato, cui bisogna uniformarsi a meno che non si ritenga di dover sottoporre di nuovo la questione all’esame di detto organo.

In sintesi, l’ordine logico è il seguente: l’individuazione della questione; l’individuazione (precisa e senza le sciatte abbreviazioni cui ci capita di assistere) delle norme applicabili; la loro interpretazione; la soluzione derivante dal raffronto con la fattispecie concreta.

Il giudice ha il dovere di essere comprensibile anche quando fonda la sua decisione su regole tecniche o su massime di esperienza.

Infine, non bisogna nascondersi che la logica della motivazione sta subendo un cambiamento, nella direzione della chiarezza e della sinteticità, anche a seguito dell'introduzione delle tecnologie informatiche, predisposti su standard linguistici internazionali, che non conoscono i bizantinismi della tradizione europea continentale.



VII. 6      Infine, per quanto riguarda l'ultimo elemento sostanziale della sentenza, ma non ultimo per importanza pratica, il dispositivo [20], che nell'attuale codice può essere pronunciato in udienza separatamente dalla motivazione, bisogna segnalare l'insufficienza del suo risolversi in una pronuncia decisoria pura: ossia “rigetta o accoglie” il ricorso o l'appello. Infatti l'obbligo della chiarezza impone al giudice di indicare, soprattutto in caso di accoglimento, le conseguenze della sua pronuncia sull’atto impugnato; e, nel caso di accoglimento dell’appello, sulla sentenza appellata e sul ricorso che ha introdotto il giudizio di primo grado.

Il dispositivo deve essere maggiormente articolato laddove esso contiene anche la pronuncia sul risarcimento del danno, per equivalente o in forma specifica, e in tutti gli altri casi in cui il giudice condanni l'amministrazione <<all'adozione delle misure idonee a tutelare la situazione giuridica soggettiva dedotta in giudizio>> ( art. 34 , comma 1, lett. c). In proposito si usa l’inelegante, ma significativa, espressione di “dispositivo vestito”.





VIII.      L'indagine appena compiuta  dimostra come l'osservanza dell’obbligo di predisporre atti processuali chiari e sintetici non è solo l’imposizione capricciosa di uno stile da parte del legislatore, ma un modo sottile ed efficace per realizzare un processo snello, com'è nella tradizione del  giudizio amministrativo, una tutela effettiva ed anche un modo per smaltire il carico degli affari pendenti.

I litiganti e la collettività reclamano provvedimenti tempestivi e comprensibili. Se poi la sinteticità contribuisce a coniugare la qualità e il numero dei provvedimenti, tanto meglio.





G. Paolo Cirillo

Presidente di sezione del Consiglio di Stato













(*)  Il testo costituisce l'elaborazione della relazione introduttiva tenuta al corso di aggiornamento organizzato dall'Ufficio studi per i nuovi vincitori del concorso al Consiglio di Stato e al Tar, Palazzo Spada  26 marzo 2012.

      Con gli opportuni adattamenti è destinato a confluire nel volume collettaneo “Diritto processuale amministrativo” del Trattato di diritto amministrativo, diretto da Giuseppe Santaniello, in corso di preparazione e coordinato dall'autore.









[1] Sul punto si veda Cass. SS.UU. n. 5698 dell'11 aprile 2012, in www. Giustizia-amministrativa.it, dove è stato dichiarato inammissibile il ricorso per cassazione per inosservanza del requisito di cui all'art. 366, comma 1, n. 3, c.p.c.. Esso era stato confezionato con l'assemblaggio integrale in caratteri minuscoli di  alcuni atti processuali, quali la sentenza di primo grado, la comparsa di risposta in appello, comparsa successiva alla riassunzione a seguito dell'interruzione, sentenza d'appello e così via. L’importante sentenza ha statuito: <<La pedissequa riproduzione dell'intero, letterale contenuto degli atti processuali è dunque, per un verso, del tutto superflua, non essendo affatto richiesto che si dia meticoloso conto di tutti i momenti nei quali Ia vicenda processuale s'e articolata; per altro verso, è inidonea a tener il luogo della sintetica esposizione dei fatti, in quanta equivale ad affidare alla Corte, dopo averla costretta a leggere tutto (anche quello di cui non serve affatto che sia informata), Ia scelta di quanto effettivamente rileva in relazione ai motivi di ricorso.>>

Le Sezioni Unite hanno affermato altresì.<< La selezione di ciò che integralmente rileva in funzione della pedissequa riproduzione, nonchè Ia esposizione sommaria dei fatti di causa, entrambe correlate ai motivi di ricorso, vanno insomma fatte dal difensore del ricorrente che, per essere iscritto all'albo speciale di cui all'art. 33 del r.d.l.27.11.1933, n. 1578 (convertito in Iegge dalla I. 22.1.1934, n. 36, come successivamente modificata), ha l'esperienza e Ia competenza necessarie ad un non delegabile compito di sintesi, non sempre del tutto agevole e,tuttavia, assolutamente ineludibile.>> Infine, non ha mancato di notare: <<II rilievo che Ia sintesi va assumendo nell'ordinamento è del resto attestato anche dall'art. 3, n. 2, del codice del processo amministrativo (di cui al decreto legislativo 2.7.2010, n. 104), il quale prescrive anche alle parti di redigere gli atti in maniera chiara e sintetica.>>

Va segnalato, altresì, che il presidente del Consiglio di Stato ha emanato due decreti, in data21 e 27 dicembre 2010,  con i quale gli operatori pratici della giustizia sono stati invitati ad osservare il precetto indicato sulla sinteticità dei ricorsi. Essi si trovano pubblicati sul sito www. Giustizia-amministrativa.it.



[2] Detta circostanza viene messa in rilievo da tutti i primi commentatori della norma. Per tutti vedansi: Caringella- Protto, Codice del nuovo processo amministrativo, Dike,  93 ss.;R. Chieppa, Il codice del processo amministrativo, Milano, 2010, 53; F. Merusi , in  Il processo amministrativo, coordinato da A. Quaranta-V. Lopilato Milano, 2011, 66 . Quest'ultimo si sofferma meno sui profili in esame.



[3] Per un’analisi più approfondita del tema della decisione amministrativa e del ruolo da essa svolto nelle decisioni delle autorità indipendenti, e in particolare nel ricorso innanzi al Garante per la protezione dei dati personali, vedasi G. P. Cirillo, Il procedimento sanzionatorio delle autorità amministrative indipendenti e la decisione contenziosa alternativa del garante per la protezione dei dati personali, in Foro amministrativo, 1998, 272 e ss., e la letteratura ivi citata.



[4] Per i riferimenti storici vedasi: S. Evangelista, Motivazione della sentenza civile, in Enc. Dir., XXVII, Milano, 1977, 154; V.  Manzini, Trattato di diritto processuale penale italiano, a cura di G. Conso e G. D. Pisapia, I,, Torino, 1961, 79 ss.

[5] Per avere informazioni approfondite di diritto comparato, oltre alle fondamentali opere del medesimo Autore, quali “La fisionomia della sentenza in Italia”in AA.VV. e “La sentenza in Europa. Metodo, tecnica e stile”, Padova, 1988, è sufficiente M. Taruffo, voce “Motivazione della sentenza-Dir. comp. e str., Novissimo Digesto, sez. dir. pubblico.  Si veda anche G. Sbisà, Certezza del diritto e flessibilità del sistema (la motivazione della sentenza in common law e in civil law), in Contratto e impresa, 1988, 519, dove viene posto in evidenza la cura che i giudici inglesi riservano per il <<fatto>>, posto al centro di qualunque discorso giuridico In particolare sulla motivazione in uso presso il Consiglio di Stato francese, si veda lo studio di L.Viola, L'esperienza del Groupe de travail sur la reductio des decision de la jurisdiction adminastritive e lo stile di motivazione delle decisioni amministrative italiane, in corso di pubblicazione sul sito dell'Ufficio studi del Consiglio di Stato, in www.giustizia-amministrativa.it .Si veda in una prospettiva più ampia anche: R. De Nictolis, La tecnica di redazione delle sentenze del giudice amministrativo, in Studi e contribut, www, giustizia-amministrativa.it

[6] Circa il significato da attribuire all'inserimento nel testo costituzionale dell'obbligo di motivazione, si vedano: G. Lombardi, Motivazione (diritto costituzionale), in Nss. D.I., X, Torino, 1964, 954; M. Taruffo, La motivazione della sentenza civile, Padova, 1975; S. Evangelista, Motivazione della sentenza civile, in Enc. Dir., XXVII, Milano, 1977, 154; E. Amodio, Motivazione della sentenza penale, in Enc. dir., XXVII, Milano, 1977, 181; Idem, L’obbligo costituzionale di motivazione e l'istituto della giuria, in Riv. dir. proc., 1970, 444; G. Corso, Il nuovo art. 111 Cost. e il processo amministrativo profili generali, in Accademia Nazionale dei Lincei, Il giusto processo, Roma, 28-29 marzo 2002, Roma, 2003,51 ss.



[7] Sulla motivazione in generale esiste una ricca bibliografia. Ai nostri fini è sufficiente rinviare all'ottima voce di M. Taruffo, già citata, dove viene indicata la letteratura più significativa sul tema.



[8] Non si può non ricordare, per le interferenze tra la motivazione dell’atto amministrativo e il controllo giurisdizionale, M. S. Giannini, Motivazione dell’atto amministrativo, in Enc. Dir., XXVII,Milano, 1977, specialmente 268. C.  M. Jaccarino, Studi  sulla motivazione, Roma, 1933; A. M. Sandulli, Il giudizio davanti al Consiglio di Stato e ai giudici sottordinati, Napoli, 1964.



[9] Quanto riferito nel testo viene rilevato praticamente da tutti gli scrittori della materia: G. Paleologo, forma e dall'autorità delle sentenze amministrative, in Riv. Cons. St.,1981, II, 61 ss.; V. Caianiello, Lineamenti del processo amministrativo, Torino, 1979; M. Nigro, Giustizia amministrativa, Bologna 1979; A. Andreani, Dispositivo e contenuto decisorio della sentenza amministrativa, in Il giudizio di ottemperanza, Atti del ventisettesimo Convegno di Studi amministrativi dell'amministrazione provinciale di Como, Milano, 1983, 439 ssi; C. Calabrò, Il giudizio di ottemperanza, Imp. Amb. p. a., 1980, 243 ss.



[10] Caringella- Protto, op. cit, 98.

[11] Per i profili che qui rilevano, si veda: A. Clini, La  forma semplificata della sentenza nel “giusto processo amministrativo”, Padova, 2009.



[12] In proposito è utile riportare per esteso una nota predisposta per i giudici della Terza Sezione del Consiglio di Stato dal Presidente, P.G. Lignani,  Appunti per la redazione dei testi, in corso di pubblicazione sul sito dell'ufficio studi del Consiglio di Stato

<<PRESCRIZIONI TECNICO-GRAFICHE

(per chi usa NSIGA) I segni di interpunzione (. , ; :) debbono essere aderenti alla parola che li precede e seguiti da uno spazio che li stacchi dalla parola che segue. Nessuno spazio, né prima né dopo, per il punto e la virgola usati nei numerali. Mai usare punti esclamativi e interrogativi (!?)Le parentesi debbono avere uno spazio verso l'esterno, e nessuno spazio verso l'interno. Pertanto la parentesi che si apre va preceduta da uno spazio e deve essere aderente alla parola che segue; per la parentesi che si chiude vale la regola inversa.Il trattino di separazione ( - ) deve essere preceduto e seguito da uno spazio se è utilizzato per staccare una frase dall'altra (la regola pertanto è parzialmente diversa da quella delle parentesi, anche se la funzione è simile). Invece se il trattino è utilizzato come trait d'union, ossia per "legare" insieme due parole (esempio: potere-dovere; comma 2-bis) allora non ci vuole lo spazio né prima né dopo.Se si vuol citare per intero (cioè: giorno-mese-anno) la data di un atto, di una legge, di una sentenza, il mese va sempre scritto per esteso (settembre, ottobre). In alternativa è consentito indicare solo l'anno delle leggi e delle sentenze, qualora la loro numerazione (come d'abitudine) è progressiva per anno. Si scriva allora: legge n. 10/1977, sentenza n. 500/1999, mettendo sempre l'anno per intero (quattro cifre) e interponendo la sbarra / fra il numero e l'anno senza spazi. Evitare di confondere la sbarra / (giusto) con quella inversa \ (sbagliato).I commi di un articolo di legge vanno citati diversamente a seconda che nella norma siano numerati o meno. Se sono numerati si scrive sempre: comma 2, comma 8, comma 2-bis (non: secondo comma, né comma II, né comma 2°, né comma 2^). Se non sono numerati si scrive sempre: terzo comma, quarto comma, per esteso senza abbreviazioni di sorta.Le citazioni testuali è opportuno che siano inserite fra virgolette «» (meglio che fra “”). Evitare in ogni caso il segno <<>>.



*SUGGERIMENTI PER LA LEGGIBILITA'

Linguaggio.Limitare l'uso di abbreviazioni, acronimi, sigle. Ciascuna di esse richiede al lettore uno sforzo supplementare d'interpretazione e quindi rallenta la lettura e distoglie l'attenzione dal filo centrale del discorso. Si può fare l’eccezione solo per gli acronimi entrati anche nel linguaggio usuale parlato come se fossero parole (T.A.R., d.i.a.). Consentito l’uso di abbreviazioni e sigle nelle citazioni delle fonti (t.u.l.p.s., Cass., d.P.R.) purché di uso generale e come tale inequivoco. Nei casi dubbi usare la prima volta l’espressione estesa, e solo dopo la formula abbreviata.Fra due espressioni equivalenti, usare sempre la più semplice e chiara, più aderente al linguaggio comune.

Ispirarsi al Codice civile. La frase «Le parti, nello svolgimento delle trattative e nella formazione del contratto, devono comportarsi secondo buona fede» ha implicazioni intorno alle quali si potranno scrivere libri interi, ma intanto anche un analfabeta ha capito che cosa vuol dire.Dice Giovanni Paleologo: «Scrivi come se scrivessi una lettera a un amico». In effetti Paleologo è impareggiabile, forse anche perché pensa in inglese. Senza arrivare a tanto, è utile chiedersi se quello che stiamo dicendo è traducibile (e come) in una lingua straniera, magari con traduzione simultanea (com’è noto, gli italiani mettono spesso in crisi gli interpreti).Usare i termini tecnici tutte le volte che è opportuno (... beninteso purché siano usati correttamente!) ma evitare assolutamente gli pseudo-termini tecnici.

Come si distinguono i termini tecnici dagli pseudo-termini tecnici? Il termine tecnico riunisce queste due caratteristiche: (a) è usato dalla legge; (b) rinvia ad altre norme, cioè ad una specifica disciplina giuridica, e quindi arricchisce di significati il discorso e gli conferisce precisione. Esempio: "prescrizione" è un termine tecnico (specie se contrapposto a "decadenza") perché richiama tutta la inerente disciplina giuridica, che è diversa da quella della decadenza (la prescrizione si interrompe, la decadenza no, etc.). Idem "obbligazione solidale".

Lo pseudo-termine tecnico è invece una parola che "suona" come tecnica, perché non appartiene al linguaggio comune ed è usata solo dagli addetti ai lavori (es.: "gravame") ma non richiama una disciplina giuridica specifica e quindi non rende il discorso più preciso, né lo arricchisce di significati. Quindi se invece di "gravame" si dice "ricorso" (o se del caso "appello") capiscono anche i non addetti ai lavori e non si perde nulla sul piano del significato (anzi!). Idem per “arresto” nel significato di decisione.

Evitare anche i barocchismi, come “il supremo consesso amministrativo” per dire il Consiglio di Stato, “il Giudice delle leggi” per dire la Corte costituzionale.

Non abusare (ossia usare parcamente) i sostantivi femminili astratti che possono essere sostituiti con forme verbali oppure aggettivi, avverbi, etc. – oppure addirittura omessi.

Esempio; invece di «il resistente solleva una eccezione di inammissibilità del ricorso per l'invalidità della notificazione» si può dire, con vantaggio: «il ricorrente eccepisce che il ricorso è inammissibile perché notificato non validamente».

Altro esempio: «verificare la sussistenza dei presupposti»; meglio: «verificare se sussistano i presupposti»; meglio ancora «verificare i presupposti».

E’ una inutile leziosità (e anche un po’ fastidioso per il lettore) scrivere: «Il Prefetto di Bergamo (in seguito: il Prefetto) ha ordinato al Sindaco di Brembate (in seguito: il Sindaco)».  Dopo la prima volta, il lettore, se trova scritto Prefetto o Sindaco, sa che si parla del Prefetto di Bergamo e del Sindaco di Brembate.

Le iniziali maiuscole vanno usate con assoluta parsimonia. Vittorio Emanuele Orlando (autore brillantissimo e piacevole più di molti nostri contemporanei) scriveva in minuscolo anche le parole “re”, “governo”, “ministro”. E non certo per disprezzo, visto il ruolo da lui svolto nella storia d’Italia.

Non usare i periodi lunghi e complessi, nei quali informazioni eterogenee vengono trasmesse tutte insieme, sovrapponendosi e confondendosi fra loro.

Evitare anche le informazioni sovrabbondanti, come i dati che sono irrilevanti ai fini della decisione. Ci sono informazioni superflue (ossia del tutto irrilevanti ai fini della decisione: esempio: la cronistoria di un procedimento di gara d’appalto, se in contestazione c’è solo se l’impresa W possieda o meno un certo requisito di partecipazione); e le informazioni secondarie (ossia quelle che possono essere omesse nella prima esposizione dei fatti, ma possono semmai essere introdotte successivamente, quando si esamina in dettaglio il motivo, o l’eccezione, nel cui ambito sono rilevanti).

Esempio da non seguire di un esordio della sentenza (“fatto”):

«FATTO. Con il provvedimento impugnato con il ricorso in epigrafe, notificato il... e motivato con riferimento al vizio dell'eccesso di potere per difetto di motivazione oltre che per contraddittorietà e disparità di trattamento, il Comune di Y, in data ...., disattendendo le osservazioni del sig. Z, ha definitivamente approvato la variante, adottata con delibera ... in data..., che impone ad un terreno di quest'ultimo, sito in località W, dell'estensione di mq 4237, già classificato nel precedente PRG come zona C con destinazione d'uso residenziale e indice di fabbricabilità 2 mc per mq, la destinazione a zona agricola di rispetto».

Esempio suggerito, che contiene esattamente le stesse parole, messe però in un ordine diverso (fra parentesi quadre le informazioni che riproducono quelle contenute nell'esempio di cui sopra, ma che potrebbero essere vantaggiosamente omesse in quanto superflue o secondarie). Notare gli "a capo"; e come vi siano sei "punti fermi" al posto di uno solo.

«FATTO. Il ricorrente sig. Z è proprietario di un terreno [di mq 4237], in Comune di Y, località W. Nel precedente piano regolatore il terreno era classificato come edificabile [zona C con destinazione d'uso residenziale e indice di fabbricabilità 2 mc per mq.].

«Il Comune [con delibera... in data...] ha adottato una variante che impone al terreno in parola la destinazione a zona agricola di rispetto.

«L'interessato ha presentato le sue osservazioni, ma il Comune [con delibera n.... in data....] ha disatteso le osservazioni e ha definitivamente approvato la variante.

«Il sig. Z impugna la delibera di approvazione [con il ricorso in epigrafe, notificato il ...].

«Il ricorso è motivato con riferimento al vizio dell'eccesso di potere per difetto di motivazione oltre che per contraddittorietà e disparità di trattamento».

Concisione e completezza espositiva

La motivazione e le argomentazioni debbono essere concise, ma il decisum deve risultare chiaro e completo, perché deve essere eseguito correttamente.

Seguire l'insegnamento di Giovanni Paleologo: «Leggendo le nostre sentenze anche il più ottuso dei funzionari deve capire che cosa deve fare. Quando si rigetta il ricorso, è tutto chiaro: tutto resta come prima, come se il ricorso non ci fosse mai stato. Se si accoglie il ricorso, qualche cosa cambia; ma che cosa? bisogna che sia chiarissimo quali effetti la sentenza produce: se annulla in tutto o in parte, se lascia la potestà di provvedere ed entro quali limiti, etc.».

Citazioni giurisprudenziali

Evitare gli elenchi di precedenti, tanto più se sono meramente ripetitivi. Basta (e avanza) dire: «Per giurisprudenza consolidata...» oppure «la giurisprudenza prevalente è che...» o anche «è opinione comune che...». Se qualcuno non ci crede, andrà a verificare, e scoprirà che avevamo ragione. Ma è affar suo, non nostro.

Vanno citate, al più, le sentenze “storiche” che hanno cambiato la giurisprudenza o risolto contrasti di giurisprudenza: in genere decisioni dell’Adunanza Plenaria o delle Sezioni Unite. Mai (in Consiglio di Stato), e salvo eccezioni, sentenze dei T.A.R.

Un altro caso in cui è opportuno citare sentenze specifiche è quando si vogliano mettere a confronto e discutere due orientamenti contrapposti, e risolvere il relativo contrasto.

Altrimenti scrivere «il provvedimento amministrativo deve essere motivato: T.A.R. Basilicata, sez. II, 20 gennaio 2011 n. 826» è semplicemente ridicolo. E’ sempre opportuno leggere la giurisprudenza per chiarirsi le idee, ma non è detto che si debba sempre citarla.>>.



[13] La lucida costatazione è ancora di: Taruffo, op. cit., 5.

Il linguaggio adoperato dal giudice seleziona i possibili lettori. In proposito si veda: L. Mossini, La lingua delle sentenze, in Studi parmensi, XVII, 1976, 85 ss.

Sullo stile della motivazione nelle sentenze della Corte di cassazione, valevole anche per le sentenze del giudice amministrativo, si vedano: A. Virgilio,  Lo stile delle sentenze della Corte di Cassazione, in Foro it., 1987, V,266 ss. e G. Barbagallo, Appunti di storia minima per una ricerca sullo stile della motivazione delle sentenze della Cassazione in materia civile, ibidem, 1987, V, 269 ss.





[14] In proposito si segnala un delizioso libricino, uscito in occasione del conferimento del Premio Strega alla Costituzione e alla lingua ivi adoperata, La costituzione della Repubblica italiana (1947),  Utet, Torino, 2006, con l'introduzione di T. De Mauro, dove l'insigne linguista rileva come, in percentuale il lessico della Costituzione sia composto per il 74% dal vocabolario di base e per il 26% dal vocabolario non di base. Si tratta di una percentuale altissima di vocabolario di base rispetto alle consuetudini del corpuslegislativo italiano. Egli stabilisce che la leggibilità di un testo, che costituisce la precondizione per la sua comprensibilità, è legato a due fattori: la maggiore o minore presenza di vocabolario di base e la maggiore o minore brevità dei periodi.



[15] Sul punto si rinvia a A. Andreani, voce Motivazione, V) Motivazione della sentenza- Dir. Proc. Amm., Novissimo Digesto, Sez. Pubbl., 3 e alla bibliografia ivi indicata.

[16]  Per tutti si vedano: G. A. Micheli, Corso di diritto processuale civile, II, Milano, 1959, 168 ; S. Satta, Commentario al codice di procedura civile, II, 1, Milano, 1961,317;  A. Sandulli, op. cit., 392 ss; V. Caianiello, op. cit., 476.





[17] La giurisprudenza ha sostanzialmente affermato due principi base, entrambi ispirati al principio dell'economia dei giudizi, ossia quello della prevalenza dell’esame delle questioni pregiudiziali rispetto a quelle di merito e quello della non necessità che il giudice motivi in ordine a tutte le questioni contenute nel ricorso. Sul punto si vedano: Con St:, Ad. Pl, 7 novembre 1966, n. 22; sez. IV, 23 novembre 1966, n. 840; sez. V, 26 settembre 1964, n. 676; sez. VI 12 dicembre 1987, n. 893; sez. V, 4 dicembre 1987, n.766; sez. V,16 aprile 1987, n. 248. In dottrina si veda: A. Romano, La pregiudizialità nel processo amministrativo, Milano, 1958,119 ss.

[18] Le parole tra virgolette sono di A. Andreani, op. ult: cit, 3.In dottrina non sono mancati pareri discordanti: R. Jannotta, L'assorbimento dei motivi e la posizione del contro interessato e dell'amministrazione resistente, in Nuova Rassegna, 1981,843, laddove ritiene che la tecnica dell'assorbimento dei motivi non è compatibile con il processo si va delineando, ossia quello fondato sul rapporto e non sull’atto. F. Paolucci, L'assorbimento dei motivi: un problema in più per l'ottemperanza, in Il giudizio di ottemperanza, cit., 449





[19] In giurisprudenza il principio è stato chiarito sin dall'inizio. Infatti, a riprova si vedano le meno recenti: Cons. St., sez. VI, 5 marzo 1986, n. 234; sez. VI, 6 luglio 1979, n. 566; sez. V 26 ottobre 1979, n. 640; sez. IV, 20 maggio 1980 n.576; Cga , 22 maggio 1985 n. 60;; sez. VI 15 dicembre 1982, n. 699, sez. VI 28 settembre 1982, n. 628.

[20] Il rapporto tra dispositivo e motivazione è stato molto studiato dalla migliore dottrina civilistica. Essa è unanime nel ritenere che l'unicità essenziale della decisione è confermata, e non smentita, dalla possibilità di scomporre, sul piano processuale, il dispositivo dalla motivazione. Questo non fa venir meno il fatto che la sentenza sia <<un atto uno e unico e non può quindi sussumersi nella categoria dell'atto complesso né in quella del procedimento>>, V. Andrioli, Sul contrasto tra il dispositivo e la motivazione nella sentenza della Corte di Assise, in Riv. Dir. Proc. Civ., 1942, I, 147-151. Sul punto si veda anche E. Fazzalari, sentenza civile, in Enc. Dir. XLI, Milano, 1989, 1245 ss.

http://www.giustizia-amministrativa.it/documentazione/Art3cpa.htm

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