Data: 2018-12-19 07:27:12

Legittima la sospensione dell’attività di un circolo privato per la somministraz

[b]Legittima la sospensione dell’attività di un circolo privato per la somministrazione a non tesserati[/b]

Pubblicato il 11/12/2018

N. 00340/2018 REG.PROV.COLL.

N. 00348/2014 REG.RIC.




REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Emilia Romagna

sezione staccata di Parma (Sezione Prima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 348 del 2014, proposto da
XXXXXXXXXXXXXXXXXX del Circolo di XXXXXXXXXXXX., rappresentati e difesi dall’Avvocato Maurizio Palladini, presso il quale elegge domicilio, in Parma, borgo San Biagio n. 6;


contro

Comune di Fidenza, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avv. Annalisa Molinari, presso la quale elegge domicilio, in Parma, via Mistrali n. 4;
Unione dei Comuni Terre Verdiane, non costituita in giudizio;


per l'annullamento

- dell'ordinanza n.287 del 03/11/2014 con la quale il Dirigente dello Sportello Unico Attività Produttive del Comune di XXXXXX ha imposto, relativamente al circolo privato AVIS di XXXXXX, la cessazione immediata di ogni attività di somministrazione al pubblico di alimenti e bevande, la sospensione per giorni 60 dell'attività di somministrazione di alimenti e bevande ai soci con decorrenza dalla notifica e la rimozione di ogni attrezzatura esterna per la somministrazione e dei manufatti ritenuti abusivamente installati;

- del verbale di accertamento del Corpo Unico della Polizia Municipale dell' XXXXXXX n.32-G/2014 redatto a seguito di sopralluogo il 07/06/2014, nonchè dell'eventuale ulteriore verbale d'ispezione acquisito dal Comune intimato in data 14/10/2014;


Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di XXXXXXX;
Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 5 dicembre 2018 il dott. Marco Poppi e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.



FATTO e DIRITTO

In data 7 giugno 2014, personale della Polizia Municipale dell’XXXXXXdi XXXXXXXXXX accedeva all’interno del Circolo privato AVIS, gestito dalla Società XXXXXXXo in virtù di un contratto di concessione, accertando “l’accesso e la presenza nei locali di somministrazione di persone non in possesso della tessera di associati” con conseguente contestazione, al trasgressore odierna parte ricorrente e al Presidente del circolo AVIS concedente, della violazione di cui agli artt. 2 e 4 del d.P.R. n. 335/2001 con applicazione della sanzione ex art. 10 della L. n. 287/1991.

Nella corso del medesimo accesso veniva, altresì, riscontrata la presenza, nell’area esterna di pertinenza dell’esercizio, di “un gazebo in materiale plastico sotto il quale erano collocate attrezzature per la somministrazione (panche e tavoli utilizzati dalle persone presenti per consumare le bevande acquistate all’interno), come documentato tra l’altro da rapporto fotografico” (materiali la cui presenza sul posto veniva già rilevata in sede di precedente accesso del 9 novembre 2012 ed oggetto, in assenza di elementi certi circa il loro utilizzo, di ordine di sgombero – v. provvedimento impugnato).

Il Comune di XXXXXXXX, preso atto di quanto evidenziato dagli operanti, con ordinanza n. 287 del 3 novembre 2014 ordinava al Presidente del Circolo AVIS e a parte ricorrente “la cessazione immediata di ogni attività di somministrazione al pubblico di alimenti e bevande” e “la sospensione per 60 giorni dell’attività di somministrazione” decorrenti dal giorno successivo alla data di notifica del provvedimento, nonché, la “rimozione di ogni attrezzatura esterna per la somministrazione e dei manufatti abusivamente installati”.

Il ricorrente impugnava la richiamata ordinanza deducendo una pluralità di profili di illegittimità.

Con decreto presidenziale n. 136 del 12 dicembre 2014 veniva respinta l’istanza di misure cautelari monocratiche.

Il Circolo AVIS di XXXXXXXXX, comunicava alla Società ricorrente la volontà di recedere dal contratto di comodato dei locali in questione alla data del 31 dicembre 2014 invitandola al rilascio immediato degli stessi e, con successiva SCIA del 14 gennaio 2015, comunicava all’Amministrazione la cessazione dell’attività di somministrazione alla medesima data.

L’Amministrazione si costituiva formalmente con atto depositato l’8 gennaio 2015 chiedendo la reiezione del ricorso.

Nella camera di consiglio del 15 gennaio 2015, la Sezione prendeva atto dell’intervenuta rinunzia all’istanza cautelare comunicata con atto depositato il 24 dicembre precedente.

Con ordinanza n. 27 del 5 febbraio 2015 (non impugnata), l’Amministrazione, rilevata la prosecuzione dell’attività anche dopo il 31 dicembre 2014, evidenziato il disturbo alla quiete pubblica arrecato dagli avventori del Circolo in orari serali e notturni e richiamata, infine, l’ordinanza n. 287/2014 (impugnata nel presente giudizio), disponeva l’immediata cessazione di ogni attività di somministrazione di alimenti e bevande all’interno dell’esercizio.

Con ordinanza ingiunzione n. 162 del 3 giugno 2015, l’Amministrazione irrogava alla ricorrente la sanzione di € 3.000,00 ex artt. 2 e 4 del d.P.R. n. 235/2001 per aver proseguito l’attività dopo la scadenza del contratto di comodato d’uso dei locali e la presentazione, da parte di AVIS, della SCIA per cessazione attività.
Alla pubblica udienza dell’8 novembre 2017 il ricorrente rappresentava la permanenza del proprio interesse alla decisione del ricorso.

Il Comune esplicava le proprie difese in vista dell’udienza di merito con memoria depositata il 31 ottobre 2018 eccependo il difetto di interesse in capo alla ricorrente stante l’omessa impugnazione dell’ordinanza n. 27/2015 che disponeva la cessazione dell’attività, mentre il ricorrente confermava le proprie doglianze con memoria depositata il successivo 2 novembre allegando l’attualità dell’interesse ad essere risarcito del danno patito a seguito dell’illegittimità sospensione dell’attività.

In detta sede parte ricorrente esponeva che il verbale dell’XXXXXX n. 32/2014 (nel quale si dava atto della presenza di estranei all’interno dei locali del Circolo), veniva impugnato innanzi al Giudice di Pace che, con sentenza n. 329/2015, lo annullava per omessa indicazione delle generalità dei presenti all’interno del locale al momento del sopralluogo e qualificabili come non associati.

Esponeva, altresì, che a seguito di opposizione la citata ordinanza ingiunzione n. 162/2015 veniva revocata dal Tribunale di XXXXXX con sentenza del 21 febbraio 2017 poiché il Circolo AVIS aveva inoltrato la già citata SCIA per cessazione attività senza darne comunicazione al gestore.

Ricorrente e Comune replicavano alle avverse difese con memorie depositate, rispettivamente, il 13 e 14 novembre 2018.

All’esito dell’udienza del 5 dicembre 2018, la causa veniva decisa.

Deve preliminarmente evidenziarsi l’irrilevanza degli illustrati esiti innanzi al giudice di Pace ed al Tribunale civile di XXXXX poiché relativi ad ordinanze ingiunzione estranee all’oggetto del presente giudizio.

Sempre in via preliminare si rileva che la cessazione dell’attività determinata dall’Amministrazione con la citata ordinanza n. 27/2015, non elide l’interesse alla presente decisione ai fini della domanda risarcitoria proposta dal ricorrente poiché il provvedimento di sospensione dell’attività esplicava i propri effetti in epoca precedente alla cessazione dell’attività configurando, in astratto, la concretezza ed attualità dell’interesse risarcitorio fatto valere.

Ciò premesso, con il primo motivo il ricorrente deduce la violazione dell’art. 10 della L. n. 287/1991, degli artt. 2 e 4 del d.P.R. n. 235/2001 e degli artt. 17 bis e 17 quater del R.D. n. 773/1931, nonché, eccesso di potere sotto svariati profili.

Espone a tal proposito che la presenza all’interno dei locali del circolo di persone non associate sarebbe giustificata dalle particolari finalità perseguite dall’AVIS che renderebbero necessaria l’accoglienza di estranei “potenziali iscritti e quindi potenziali donatori” ai quali descrivere “le attività associative” ed i “vantaggi derivanti dal possesso della tessera” (pag. 6 del ricorso).

Evidenzia ulteriormente che il contratto in virtù del quale veniva gestito l’esercizio prevedeva che l’ingresso dovesse essere “di norma” riservato ai soci: previsione che non esclude la possibilità di invitare soggetti estranei per fornire informazioni o proporre l’iscrizione e non legittimerebbe il gestore ad impedire l’ingresso ai non soci.

In sede di sopralluogo, inoltre, gli operanti si sarebbero limitati ad accertare il mancato possesso della tessera da parte degli avventori presenti senza accertare la loro eventuale iscrizione presso altri circoli AVIS che, ai sensi di quanto disposto dall’art. 2 del d.P.R. n. 235/2001, legittimerebbe l’accesso ad ogni sede o circolo su tutto il territorio nazionale.

Il motivo è infondato.

In primis deve ritenersi l’irrilevanza delle invocate disposizioni contrattuali che avrebbero consentito l’accesso a soggetti non soci (“di norma”) poiché atto espressione di autonomia privata non incidente sul regime normativo disciplinante la gestione dei circoli privati.

Nella presente controversia non è contestato che l’esercizio gestito da parte ricorrente fosse un Circolo privato soggetto alle relative limitazioni ed è, altresì, accertato che al momento del sopralluogo effettuato dalla Polizia Municipale erano presenti 16 avventori, 10 dei quali non soci.

La circostanza che si trattasse di persone aventi già presentato domanda di iscrizione ed in attesa di accoglimento da parte dell’Associazione (circostanza in ogni caso non comprovata) non rileva poiché, come pacifico in giurisprudenza, la somministrazione di alimenti e bevande all’interno dei circoli privati è consentita in favore dei soli soci (ex multis, TAR Campania, Napoli, Sez. III, 4 aprile 2018, n. 2159) e la qualità di socio si acquisisce unicamente a seguito del perfezionamento della procedura di iscrizione (ex multis, TAR Lazio, Roma, Sez. III, 15 novembre 2016, n. 11312).

Lo stesso Statuto dell’Associazione, in coerenza con gli illustrati principi, prevede all’art. 4 che si acquista la qualità “di socio con l’accoglimento da parte del Consiglio Direttivo della domanda presentata allo stesso Consiglio direttivo e con il versamento della quota associativa”.

La mera presentazione della domanda, pertanto, non essendo di per sé idonea a conferire al soggetto la qualità di socio, non consente l’accesso e la consumazione di alimenti e bevande.

Con il secondo motivo parte ricorrente deduce la violazione dell’art. 4 del D.M. n. 564/1992 ed eccesso di potere sotto svariati profili in relazione alla contestata (e negata) pubblicizzazione delle serate organizzate preso il locale mediante volantinaggio e avvalendosi del profilo Facebook dell’esercizio, ritenuta dall’Amministrazione incompatibile con la natura privata del Circolo.

In particolare viene dedotto che l’Amministrazione non avrebbe comprovato tali modalità di invito né avrebbe valutato la possibilità che le serate in questione fossero organizzate per finalità istituzionali allo scopo di favorire nuove affiliazioni.

Espone ulteriormente che la somministrazione delle bevande sarebbe sempre avvenuta all’interno dei locali come prescritto dalla norma invocata e che la presenza del gazebo abusivo non potrebbe essere contestata in quanto già presente e già oggetto di un ordine di rimozione (come anticipato) da epoca precedente alla propria gestione.

Il motivo è infondato.

Le richiamate modalità di pubblicizzazione delle serate (peraltro non espressamente smentite) venivano confermate dai presenti identificati nel locale e di tale circostanza ve ne è menzione nel verbale della Polizia Municipale, non contestato nell’unica forma consentita, ovvero, mediante proposizione di querela di falso.

Che dette serate venissero organizzate per motivi istituzionali è circostanza allegata genericamente da parte ricorrente senza fornire alcun principio di prova.

Priva di pregio è, infine, la dedotta preesistenza del gazebo esterno alla gestione da parte della ricorrente trattandosi di un abuso oggettivo e contestabile nei confronti di chiunque, come parte ricorrente, ne abbia la disponibilità e ne faccia uso (circostanza non negata in ricorso).

Con il terzo motivo, parte ricorrente deduce la violazione degli artt. 10, 17 bis e 17 ter del R.D. n. 773/1931 ed eccesso di potere sotto svariati profili, auto assolvendosi da ogni responsabilità circa i rumori e gli schiamazzi degli avventori negli spazi esterni ai locali (gazebo).

Allega in particolare che la mancata sanatoria del gazebo sarebbe imputabile alla associazione concedente che avrebbe disatteso i ripetuti inviti a regolarizzare il manufatto “integrandolo” all’interno dei locali e insonorizzandolo.

Con il quarto motivo, che può essere scrutinato contestualmente al precedente stante l’omogeneità delle censure ivi formulate, parte ricorrente deduce la violazione degli artt. 2 e 4 della L.R. n. 23/2004 e dell’art. 27 del d.P.R. n. 380/2001 ed eccesso di potere per sviamento censurando, in particolare, l’ordine di rimozione del gazebo poiché l’Amministrazione avrebbe represso un abuso edilizio mediante un provvedimento adottato in applicazione ad una disciplina dettata per regolare fattispecie diverse (pubblici esercizi).

Il motivo (anche quando persistesse un interesse a seguito della cessazione della gestione del circolo da parte della ricorrente) è infondato.

Premesso che l’ordinanza impugnata promana dalla medesima articolazione comunale deputata alla repressione degli abusi edilizi e che il Dirigente richiama espressamente il precedente ordine di rimozione del manufatto impartito con determinazione n. 27722 del 9 novembre 2012, mai impugnata e quindi efficace, deve rielevarsi che, come pacifico in giurisprudenza, l'esercizio del potere repressivo degli abusi edilizi integra una manifestazione di potere vincolato che determina la necessaria adozione dei necessari provvedimenti repressivi, la cui efficacia non risente di eventuali vizi formali (TAR Lombardia, Milano, II, 6 agosto 2018, n. 1946).

Nessun rilievo ai fini in esame assume, inoltre, la circostanza che alla ricorrente non possa essere imputata l’esecuzione dell’abuso atteso che, come la giurisprudenza ha affermato con posizione ormai consolidata, “appare certamente legittimo rivolgere l'ordine di demolizione nei confronti del soggetto avente la disponibilità dell'opera, indipendentemente dal fatto che questi si sia reso responsabile dell'abuso per averlo concretamente realizzato, rilevando tale aspetto esclusivamente sotto il profilo della responsabilità penale, ma non certo ai fini della legittimità dell'ordine di demolizione; l'ordinanza di demolizione di un'opera abusiva, infatti, può legittimamente essere emanata nei confronti del proprietario attuale, anche se non responsabile dell'abuso, considerato che l'abuso edilizio costituisce illecito permanente e che l'ordinanza stessa ha carattere ripristinatorio e non prevede l'accertamento del dolo o della colpa del soggetto cui si imputa la trasgressione (T.A.R. Lombardia, Milano, II, 3 maggio 2018, n. 1198; 27 febbraio 2018, n. 574; 3 novembre 2016, n. 2013, T.A.R. Sicilia, Catania, I, 20 settembre 2016, n. 2261)” (TAR Lombardia, Milano, Sez. II, 18 settembre 2018, n. 2098).

Per quanto precede il ricorso deve essere respinto con condanna di parte ricorrente al pagamento delle spese di giudizio nella misura liquidata in dispositivo.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per l'Emilia Romagna, Sezione staccata di Parma, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Condanna il ricorrente al pagamento delle spese di giudizio che liquida in € 2.500,00 oltre IVA e CAP.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'Autorità amministrativa.

Così deciso in Parma nella camera di consiglio del giorno 5 dicembre 2018 con l'intervento dei magistrati:



Sergio Conti, Presidente
Marco Poppi, Consigliere, Estensore
Roberto Lombardi, Primo Referendario

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