Data: 2018-10-03 07:12:46

La realizzazione di una tettoia non è edilizia libera

La realizzazione di una tettoia non è edilizia libera

[color=red][b] Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 26 settembre 2018, n. 5541.[/b][/color]

Pubblicato il 26/09/2018
N. 05541/2018REG.PROV.COLL.
N. 05938/2018 REG.RIC.
R E P U B B L I C A I T A L I A N A
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
ex artt. 38 e 60 cod. proc. amm.
sul ricorso numero di registro generale 5938 del 2018, proposto dal signor ...,
rappresentato e difeso dall'avvocato Gennaro Contardi, con domicilio digitale come
da PEC da Registri di Giustizia;
contro
Roma Capitale, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso
dall'avvocato Andrea Camarda, con domicilio digitale come da PEC da Registri di
Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via del Tempio di Giove,
n. 21;
nei confronti
dei signori …, rappresentati e difesi dall'avvocato Jacopo D'Auria, con domicilio
digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. per il Lazio n.174 del 2018.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di Roma Capitale e dei signori Enzo ... e
Monica ...;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nella camera di consiglio del giorno 13 settembre 2018 il Cons. Giordano
Lamberti e uditi per le parti gli avvocati Gennaro Contardi, Andrea Camarda e
Jacopo D'Auria;
Sentite le stesse parti ai sensi dell'art. 60 cod. proc. amm.;
Considerato che:
- in riferimento alle opere di cui alla DIA presentata dall’appellante nel 2011, deve
trovare integrale conferma la valutazione effettuata dal T.A.R., non sussistendo
alcuna prova atta a dimostrare la presenza del volume del sottotetto in epoca
antecedente a tale dichiarazione; viceversa, gli elementi già evidenziati dal T.A.R.
confermano che le preesistenze (presupposte nella DIA oggetto di causa) non
esistevano e che, dunque, la situazione rappresentata come esistente dall’appellante
nella DIA del 30 giugno 2011 (n. CE/41420) non è veritiera;
- ciò emerge, in primo luogo, dalla DIA n. 21985 del 2007, presentata dallo stesso
appellante per l'effettuazione di lavori sul medesimo immobile; infatti, mentre nella
DIA del 2007, la cui situazione a lavori ultimatiavrebbe dovuto coincidere con la
situazione di inizio lavori prospettata nella DIA del 2011, risulta rappresentare solo
un semplice tetto non praticabile, nell'ante operam della DIA del 2011, invece, tale
altezza raggiunge mt. 1,70; inoltre, mentre nella DIA del 2007 risulta un'altezza di
gronda pari a 3 mt, detta misurazione nella DIA del 2011 giunge a 4,76 mt.;
- le contestazioni mosse dall’appellante a tale metodo di confronto sono superate
dagli ulteriori elementi emersi sia nell’istruttoria procedimentale, che in quella
effettuata in sede penale, che si sono rivelati coerenti con tali conclusioni; in
particolare: a) dal verbale di dissequestro del 1994, in cui l’altezza dei muri
perimetrali è riportata in mt. 3 circa “compreso il solaio di copertura”; b) dalle
aerofotogrammetrie e dall’ulteriore materiale fotografico depositato in giudizio, da
cui emerge chiaramente la sopraelevazione del fabbricato;
- la relazione predisposta da Roma Capitale, in riscontro alla richiesta formulata dalla
Procura della Repubblica, conferma come il riferimento al post operam del 2007, in
qualità di titolo in sanatoria più recente dichiarato nella relazione tecnica della DIA
del 2011, rivela un eccesso di cubatura realizzato in forza della legge regionale n. 13
del 2009 e, precisamente, un incremento pari a circa il 230%, ben superiore a quello
consentito dalla legge (20%);
- la lettura dei documenti citati conferma che l'altezza dei muri perimetrali coincide
proprio con le misure dichiarate dall’appellante nella DIA del 2007 e risulta coerente
con le foto e le aerofotogrammetrie allegate, ma non trova corrispondenza con le
misure dichiarate nell'anteoperam della DIA del 2011;
- infine, l'effettiva sussistenza in quest’ultima dichiarazione di una falsa
rappresentazione, concernente la descrizione dell'altezza reale dell'edificio nell'ante
operam, è stata confermata anche dalla sentenza del Tribunale di Roma n. 1215 del
2017, con cui l’appellante ed il geometra Mil. sono stati dichiarati "colpevoli del reato di
cui agli artt. 110 c.p. e 44 lett. B) del dpr n. 380/01 e del delitto di cui agli artt. 110 c.p. e 481
c.p., per aver abusivamente realizzato una sopraelevazione dell'unità immobiliare e per aver
attestato falsamente nella DIA la conformità del manufatto realizzato”;
- non risulta condivisibile la lettura dell’appellante alle deposizioni testimoniali rese
in tale processo, che, come già riferito, si è concluso con la sua condanna;
- alla luce di tali obiettive evidenze, risulta inconferente la censura con la quale
l’appellante lamenta la violazione dell’art. 97 della Costituzione, sostenendo che
l’amministrazione non potrebbe chiedere al cittadino, interessato ad un
provvedimento favorevole, copia di precedenti autorizzazioni amministrative da
essa stessa rilasciate, dal momento che tali richieste in genere rispondono
all’interesse della stessa parte privata, collegandosi alla necessità di rispettare il
contraddittorio procedimentale con la stessa;
- in ogni caso, non risulta condivisibile la conclusione secondo cui l’amministrazione
sarebbe obbligata ad accettare la dichiarazione del cittadino resa nella SCIA, senza
onerare quest’ultimo della dimostrazione dei precedenti titoli edilizi che interessano
il fabbricato, posto che sull’amministrazione grava il potere\dovere di verificare la
legittimità dell’intervento (cfr. art. 19 L. 241/90 e art. 23 D.P.R. 380/01), che include
la verifica della bontà di quanto dichiarato dall’istante, non potendosi affatto
affermare l’intangibilità di quanto dallo stesso attestato, come parrebbe voler
concludere l’appellante;
- ai fini del presente giudizio, non è riconoscibile alcuna efficacia di giudicato alla
sentenza del T.A.R. per il Lazio n. 2340 del 2013, effettivamente relativa alla
medesima vicenda, ma che si è limitata a dichiarare improcedibile il ricorso proposto
ai sensi degli artt. 31 e 117 c.p.a., al fine di sollecitare l’amministrazione a verificare
la regolarità dell’intervento;
- la sentenza impugnata deve trovare integrale conferma anche nella parte in cui ha
rigettato il ricorso avverso l’ordinanza di demolizione delle ulteriori opere abusive;
- la tesi dell’appellante, secondo il quale la tettoia pertinenziale all’unità immobiliare,
esistente al piano terreno in adiacenza all’appartamento, sarebbe una struttura
equivalente ad un gazebo o pergolato, non risulta coerente con le effettive
caratteristiche dell’opera; questa costruzione – pacificamente priva di titolo edilizio
– infatti, consiste in un porticato in muratura sormontato da una tettoia a coppi di
rilevanti dimensioni, ancorata a terra ed al muro perimetrale, che non può, pertanto,
essere ricondotta nell’ambito dell’edilizia libera (dal momento che vi è un pergolato
quando si tratti di “un manufatto leggero, amovibile e non infisso al pavimento, non
solo privo di qualsiasi elemento in muratura da qualsiasi lato, ma caratterizzato dalla
assenza di una copertura anche parziale con materiali di qualsiasi natura, e avente
nella parte superiore gli elementi indispensabili per sorreggere le piante che servano
per ombreggiare: in altri termini, la pergola è configurabile esclusivamente quando
vi sia una impalcatura di sostegno per piante rampicanti e viti” (Cons. Stato, Sez. VI,
2 luglio 2018, n. 4001);
- il manufatto in legno e muratura all’interno del quale è stata allestita una cucina -
che secondo l’appellante esisterebbe dagli anni 1930, avendo mutato solo la
destinazione da bagno a cucina - risulta invece realizzato dopo il 2007, come
dimostrato dalle aerofotogrammetrie prodotte in causa, oltre che dalla
documentazione catastale, che non evidenzia la presenza di alcuna costruzione sul
confine, tenuto anche conto del fatto che il manufatto originariamente esistente sul
confine era stato demolito nel 1986;
- le spese del secondo grado di lite, liquidate come in dispositivo, seguono la
soccombenza;
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato, in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), respinge l’appello n.
5938 del 2018 e condanna l’appellante alla refusione delle spese di lite, che liquida in
complessivi € 2000 in favore del Comune ed in complessivi € 2000 in favore dei
controinteressati, oltre accessori come per legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del giorno 13 settembre 2018, con
l'intervento dei magistrati:
Luigi Maruotti, Presidente
Vincenzo Lopilato, Consigliere
Oreste Mario Caputo, Consigliere
Dario Simeoli, Consigliere
Giordano Lamberti, Consigliere, Estensore
L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
Giordano Lamberti Luigi Maruotti
IL SEGRETARIO

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