Data: 2018-09-13 13:11:28

Soppressione "motivata" di ufficio AVVOCATURA COMUNALE: insindacabile

Soppressione "motivata" di ufficio AVVOCATURA COMUNALE: insindacabile

[color=red][b]CONSIGLIO DI STATO, SEZ. V – sentenza 3 settembre 2018 n. 5143[/b][/color]

DIRITTO

1.- L’appello è fondato e merita di essere accolto.

2.- Con due ragioni di gravame, che possono essere esaminate congiuntamente, il Comune appellante lamenta – denunziando error in judicando, eccesso di potere per presupposto erroneo, travisamento, manifesta illogicità ed irragionevolezza, sviamento, violazione dell’art. 97 Cost. e degli artt. 2 e 5 del d. lgs. n. 165/2001, nonché dell’art. 89, comma 1 del d. lgs. n.267/2000, oltre a eccesso di potere per violazione della discrezionalità amministrativa – che la sentenza impugnata abbia giustificato la decisione assunta sul non corretto presupposto che le scelte organizzative dell’Ente, con le quali – nei sensi della narrativa in fatto che precede – si era decisa la riorganizzazione degli uffici e dei servizi e la soppressione dell’Avvocatura civica – non fossero state idoneamente motivate (sotto il duplice e concorrente profilo della preventiva valutazione dell’impatto economico rinveniente dalla necessità di affidare il contenzioso a legali esterni e della possibilità di non escludere “completamente” una difesa interna dell’Ente).

Assume, in proposito: a) che – per un verso ed in termini generali – le scelte di ordine macroorganizzativo non richiedono, per natura, motivazione puntuale e specifica (il cui pregnante sindacato si risolverebbe, come occorso nella specie, in un giudizio sovrappositorio del giudice su scelte ampiamente riservate alla sfera discrezionale dell’amministrazione; b) che – per altro verso ed in particolare – le decisioni in contestazione erano state il frutto di ampio e diffuso apprezzamento istruttorio, dal quale era lecito indurre con puntualità le ragioni giustificative.

3.- Il motivo è fondato.

Importa premettere che la determinazione delle linee fondamentali di organizzazione degli uffici pubblici (con l’individuazione di quelli di maggiore rilevanza, dei modi di conferimento della relativa titolarità e di determinazione delle dotazioni organiche complessive) è rimessa – sulla base di “principi generali” fissati dalla legge – a ciascuna amministrazione pubblica, che vi provvedere mediante “atti organizzativi” (cfr. artt. 2 e 5 d. lgs. n. 165/2001), complessivamente ispirati a criteri di funzionalità, flessibilità, trasparenza ed imparzialità, idonei a tradurre e compendiare, in prospettiva programmatica, i principi costituzionali di buon andamento ed imparzialità (art. 97 Cost.) e a perseguire la complessiva efficacia ed efficienza dell’azione amministrativa (art. 1 l. n. 241/1990).

Sebbene non sia revocabile in dubbio che siffatti “atti organizzativi” rientrino pienamente nel novero del provvedimenti amministrativi e siano, in quanto tali, soggetti al relativo statuto (che ne impone la complessiva verifica di legittimità, la soggezione alle norme sulla competenza, il rispetto dei canoni di ragionevolezza, la garanzia di imparzialità e ne legittima il corrispondente sindacato giurisdizionale da parte del giudice amministrativo, anche in punto di adeguatezza delle premesse istruttorie e di idoneità giustificativa sul piano motivazionale: cfr. Cons. Stato, sez. V, 12 giugno 2009, n. 3728), è vero, tuttavia, che gli ampi margini della scolpita logica di auto organizzazione postulano ed impongono, per tradizionale e consolidato intendimento, il riconoscimento di una lata discrezionalità programmatica.

La conclusione discende, del resto, dal rilievo che – pur essendo anche l’attività amministrativa organizzativa assoggettata al principio di legalità (art. 97 Cost., nella parte in cui postula una base legale ad ogni attribuzione competenziale) – i relativi procedimenti (di matrice caratteristicamente infrastrutturale o interna o programmatoria) non sono destinati ad incidere, se non in via mediata, sulle posizioni soggettive dei consociati, in quanto destinatari dell’azione amministrativa: a livello macroorganizzativo, l’amministrazione non entra in relazione diretta con i titolari di situazioni giuridiche soggettive, ma crea soltanto presupposti alla instaurazione di rapporti giuridicamente rilevanti con tali soggetti. Ne risulta corrispondentemente attutito (se pur non eliso, non trattandosi propriamente di autonomia) il profilo garantistico del momento giustificativo, che legittima – come tale – un sindacato limitato al travisamento del fatto o al manifesto eccesso di potere.

[b]Si dovrà cioè osservare che sussiste, nella adozione dei provvedimenti in questione, una discrezionalità che, per un verso – non strutturandosi in termini di confronto comparativo di posizioni e di interessi pubblici e privati, nella logica della determinazione conclusiva dei procedimenti ad efficacia esterna – ridimensiona, pur senza elidere, l’intensità dell’onere motivazionale e, per altro e consequenziale verso, limita il sindacato giudiziale alle ipotesi di conclamata ed evidente abnormità.[/b]

A livello di enti locali, gli esposti principi hanno trovato conferma positiva a partire dalla legge n. 127 del 1997 che, nel modificare l’art. 51 della legge n. 142 del 1990, ha cambiato la competenza ad adottare il regolamento degli uffici e dei servizi, attribuendolo (unico, non a caso, fra tutti i regolamenti) alla Giunta, proprio per porre in evidenza che la organizzazione degli uffici degli enti locali è vicenda intrinsecamente collegata con il potere operativo.

In siffatto contesto, anche l’Avvocatura Comunale, malgrado le consistenti guarentigie rivenienti dalla legge professionale in relazione alla qualificata attività dispiegata, rappresenta a tutti gli effetti un ufficio comunale e, come tale, è soggetto al generale potere di auto-regolamentazione dell’ente.

[b]Alla luce delle esposte premesse deve ritenersi che la sentenza impugnata – nella parte in cui ha imputato alle contestate scelte organizzative di non aver idoneamente vagliato la possibilità di non rinunciare “completamente” alla difesa interna dell’Ente – ha obiettivamente travalicato i limiti di un sindacato estrinseco di legalità, di fatto sovrapponendosi ad una opzione organizzativa di per sé né arbitraria, né irragionevole, né sproporzionata, ove confrontata con i canoni di funzionalità e flessibilità (art. 2 d. lgs. n. 165/2001 cit.).[/b]

Del resto, la scansione degli atti, così come sintetizzata nella narrativa in fatto che precede, dimostra che, nel caso di specie, la decisione di sopprimere l’ufficio legale – lungi dal rappresentare il frutto di una decisione improvvisata, poco meditata o superficiale – ha costituito l’esito della progressiva maturazione, elaborata attraverso un complesso iter istruttorio, di riorganizzare e rivisitare, per esigenze finanziarie e di “semplificazione” organizzativa, la macro-struttura dell’ente.

Né – contrariamente all’assunto del primo giudice – risulta pretermessa la stima dei prevedibili impatti economici rinvenienti dalla necessità di affidare all’esterno gli incarichi legali: stima operata nel quadro di un complessivo bilanciamento di costi e benefici, che di per sé – in difetto di emergenti incongruenze o contraddizioni – non può essere doppiato e superato da un difforme apprezzamento giudiziale.

[color=red][b]Del resto, dovrà pur notarsi – di là da ogni altro rilievo – che la soppressione dell’Avvocatura civica non risulta operata ut sic, ma costituisce il frutto di un più comprensivo “accorpamento” degli uffici (con significativa riduzione dei servizi preesistenti) e di una reciproca “internalizzazione” della (deficitaria) gestione dell’accertamento tributario e della relativa riscossione. Le cui complessive motivazioni di fondo emergono con sufficiente chiarezza dagli atti dei relativi procedimenti decisionali.[/b][/color]

4.- Le esposte considerazioni sono sufficienti ai fini dell’accoglimento dell’appello, con conseguente riforma della statuizione impugnata e reiezione del ricorso di primo grado.

La particolarità della vicenda giustifica l’integrale compensazione di spese e competenze di lite.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, respinge il ricorso di primo grado.

riferimento id:46543
vuoi interagire con la community? vai al NUOVO FORUM - community.omniavis.it