Data: 2018-09-04 09:08:12

IMPRENDITORE AGRICOLO deve rispettare prevalenza dei propri prodotti

IMPRENDITORE AGRICOLO deve rispettare prevalenza dei propri prodotti

[color=red][b]Cons. di Stato, 23 luglio 2018, n. 4441[/b][/color]


DIRITTO

1. In punto di fatto occorre premettere che la vicenda oggetto del presente giudizio riguarda un’attività di vendita di propri prodotti agricoli su terreno privato di proprietà del sig. Giuseppe xxxx, identificato al Catasto del Comune di Affi al foglio 10, particella 198, svolta dall’attuale appellante sig. Pasquale yyyy, per la quale quest’ultimo in data 16.6.2014 ha inviato al Comune di Affi apposita comunicazione.

In seguito ad un’ispezione dei NAS di Padova in data 3.10.2017 (di cui ai verbali di contestazione in atti) ed ai successivi accertamenti compiuti dai Carabinieri, che hanno redatto, in data 15.2.2018, il rapporto ex art. 17 L. 24 novembre 1981, n. 689, è emerso che l’interessato, anziché vendere prodotti propri, aveva posto in commercio prodotti di varia natura provenienti da aziende terze, violando così la normativa vigente esclusivamente per la vendita di prodotti agricoli (d.lgs. 18 maggio 2001, n. 228, recante “Orientamento e modernizzazione del settore agricolo, a norma dell'articolo 7 della legge 5 marzo 2001, n. 57”) e per il commercio (d.lgs. 31 marzo 1998, n. 114, recante “Riforma della disciplina relativa al settore del commercio, a norma dell'art. 4, comma 4, della legge 15 marzo 1997, n. 59”, integrata dagli artt. da 65 a 70 del d.lgs. n. 59 del 2010).

[b]La disciplina del settore agricolo, di cui al d.lgs. 18 maggio 2001, n. 228, infatti, prevede che gli imprenditori agricoli possano vendere direttamente al dettaglio i prodotti provenienti in misura prevalente dalle rispettive aziende, effettuando una comunicazione al Sindaco del comune in cui si intende esercitare la vendita (art. 4); la disciplina del settore del commercio (ex art. 7 d.lgs. n. 114 del 1998, in parte sostituito dalle analoghe previsioni dell’art. 65 d.lgs. n. 59 del 2010) prevede, invece, la presentazione di segnalazione certificata di inizio attività, il cui contenuto è indicato nella legge stessa, per l’apertura di esercizi di vicinato.[/b]

2. Ciò premesso, passando all’esame dei singoli moti di gravame, si osserva quanto segue.

2.1.Con il primo motivo di appello il sig. Pasquale yyyy ritiene applicabile alla fattispecie de qua la disciplina di cui al d.lgs. 18 maggio 2001, n. 228, nella parte in cui si regola la vendita diretta al dettaglio di prodotti agricoli provenienti, in misura prevalente, dalla propria azienda.

[color=red][b]In realtà se è vero che l’appellante è un produttore agricolo, non per questo l’attività di vendita posta in essere può ritenersi ex se legittima.[/b][/color]

Infatti, la riformulazione dell’art. 2135 c.c., operata dall’art. 1 d.lgs. n. 228 del 2001, ha chiarito definitivamente che deve considerarsi comunque agricola la commercializzazione dei prodotti agricoli da parte dell’impresa agricola, effettuata sia direttamente al consumatore sia a commercianti o industriali trasformatori, poiché realizza il collegamento con il mercato, che è elemento fondamentale dell’impresa agricola come di tutte le altre imprese.

[b]Ai fini della qualificazione dell’attività di commercializzazione come “agricola” è richiesto, tuttavia, in primo luogo un collegamento “[color=red]soggettivo[/color]”: quindi l’attività deve essere svolta dallo stesso soggetto già qualificabile come imprenditore agricolo in quanto svolge in forma di impresa l’attività principale di coltivazione del fondo, di allevamento di animali o di selvicoltura (cfr. articolo 2135 cod. civ.); inoltre si richiede un collegamento “aziendale”, cioè di carattere oggettivo, individuato per le attività di manipolazione, conservazione, trasformazione, commercializzazione e valorizzazione, nella circostanza che i prodotti provengano prevalentemente dalla attività agricola principale.[/b]

Sulla scorta di ciò non residuano dubbi sulla possibilità per l’imprenditore agricolo di poter effettuare la vendita diretta, m solo dei propri prodotti, affiancando alla sua produzione aziendale anche prodotti agricoli acquistati, in forma non prevalente, sul mercato.

[b]Circa il significato da attribuire alla condizione della prevalenza, stabilita espressamente dal d.lgs. n. 228 del 2001, deve ragionevolmente ritenersi che vi è prevalenza sulla base di un confronto in termini quantitativi tra i prodotti ottenuti dall’attività agricola principale ed i prodotti acquistati da terzi, confronto che potrà effettuarsi solo se riguarda beni appartenenti allo stesso comparto agronomico.[/b]

Ove sia necessario confrontare prodotti appartenenti a comparti diversi, la condizione della prevalenza deve essere verificata in termini valoristici, ossia confrontando il valore normale dei prodotti agricoli ottenuti dall’attività agricola principale e il valore dei prodotti acquistati da terzi.

Come ricordato in premessa, l’articolo 4 del d.lgs. n. 228 del 2001 ha previsto che la semplificazione degli adempimenti amministrativi ivi disposta si applica anche nel caso di prodotti derivati, ottenuti a seguito di attività di manipolazione o trasformazione dei prodotti agricoli e zootecnici, “finalizzate al completo sfruttamento del ciclo produttivo dell’impresa”.

Dal combinato disposto dei commi 1 e 4, pertanto, risulta ampliato l’ambito oggettivo di applicazione della disciplina, in quanto la legge n. 59 del 1963 imponeva che i prodotti da vendere al pubblico in esenzione dalla licenza commerciale fossero esclusivamente quelli ottenuti direttamente nei fondi condotti dal produttore agricolo, a ciò facendo conseguire l’espressa sanzione del ritiro dell’autorizzazione comunale qualora il produttore ponesse in vendita prodotti diversi da quelli della propria azienda.

La “riforma” del 2001, al contrario, consente all’imprenditore agricolo di poter usufruire della semplificazione delle procedure anche se intende commercializzare prodotti non provenienti dalla propria attività aziendale, seppur non prevalenti rispetto a quelli propri, ovvero derivati e ottenuti dalle attività di manipolazione o trasformazione inerenti il ciclo produttivo dell’impresa, senza doversi munire di specifici atti autorizzatori sostituiti nelle intenzioni del legislatore dall’unica comunicazione di inizio attività.

[b]Nel caso di specie, è stata accertata, in modo inequivoco, la vendita di notevoli quantitativi di confezioni di uova, taralli e olive nonché di mozzarelle, burrate e formaggio di provenienza pugliese e campana (rinvenute all’interno di un frigorifero), non rispettando il citato principio di prevalenza, facendo ricadere l’attività nell’alveo delle disposizioni di cui al d.lgs. 31 marzo 1998 n. 114.[/b]

Sotto il profilo probatorio, proprio la circostanza che i NAS, nel rinvenire prodotti agricoli, abbiano specificato la loro provenienza da “aziende varie” e, successivamente, abbiano comminato la relativa sanzione, conferma che è stato da loro accertato il fatto che i prodotti presenti presso l’attività commerciale non risultavano dell’azienda Pasquale yyyy; né d’altra parte quest’ultimo ha provato il contrario e cioè che i prodotti posti in vendita provenissero prevalentemente dalla propria azienda.

Ciò che l’appellante ha allegato e documentato riguarda invero:

- le fatture di trasporto, che sono generiche e non provano l’effettivo trasporto di prodotti agricoli di produzione “Pasquale yyyy”. riportando in gran parte date successive alla controversia in esame;

- la fattura di vendita prodotta, idonea a dimostrare soltanto la provenienza dei prodotti ivi indicati dall’azienda “Pasquale yyyy”.

[color=red][b]In definitiva l’appellante non può beneficiare del regime di favore di cui all’art. 4, d.lgs. n. 228 del 2001, svolgendo un’attività meramente commerciale e avendo posto in vendita prodotti non provenienti dalla sua azienda, così che i provvedimenti impugnati risultano legittimi.[/b][/color]

2.2. In relazione all’applicazione dell’art. 4, comma 5, d.lgs. n. 228 del 2001 per la vendita di prodotti derivati, oggetto del secondo motivo di appello, la Sezione è dell’avviso che la legge faccia riferimento a prodotti che derivano da quelli agricoli e zootecnici dell’azienda stessa, poiché, diversamente opinando, la norma sarebbe priva di senso, dal momento che praticamente tutti i prodotti alimentari di provenienza agricola non “primari” derivano dalla manipolazione o trasformazione di prodotti originariamente agricoli o zootecnici.

[color=red][b]E’, infatti, pacifico che la vendita di prodotti anche agricoli, provenienti però da aziende terze, è soggetta alla legislazione in materia di commercio.[/b][/color]

[b]Quanto poi alla soglia di € 160.000,00 per i ricavi derivanti dalla vendita di prodotti non provenienti dalle rispettive aziende, soglia posta dal legislatore (art. 4, comma 8, d.lgs. n. 228 del 2001) come limite oltre il quale viene automaticamente esclusa l’applicabilità della disciplina speciale del settore agricolo, essa non determina una zona franca per gli imprenditori che non raggiungono tale fatturato, così come suggestivamente prospettato dall’appellante. Anche al di sotto di tale soglia, si deve verificare in concreto se effettivamente l’imprenditore agricolo stia ponendo in vendita prevalentemente prodotti propri o meno.[/b]

2.3. Con il terzo motivo di appello si reitera la censura di erronea applicazione degli artt. 21-octies e 10-bis l. n. 241 del 1990.

Al riguardo si osserva che il combinato disposto degli artt. 7 e 22 d.lgs. n. 114 del 1998 prevede che, laddove vengano posti in vendita prodotti alimentari senza autorizzazione o denuncia di inizio attività, venga ordinata la chiusura immediata dell’esercizio di vendita.

Il provvedimento di chiusura dell’esercizio commerciale, pertanto, come correttamente rilevato dal TAR, è un atto dovuto e vincolato, risultando nel caso in esame ininfluente sia l’omessa comunicazione di avvio del procedimento, sia la mancata comunicazione del preavviso di rigetto, ex art. 21-octies, comma 2, l. n. 241del 1990,

Peraltro, come accennato in precedenza, nemmeno in giudizio, l’appellante ha provato la effettiva prevalente provenienza dei prodotti venduti dalla propria azienda, con la conseguenza che risulta confermata la portata ininfluente delle omissioni procedimentali contestate.

2.4. Con il quarto motivo di appello si sostiene che l’Amministrazione non avrebbe potuto ordinare la chiusura dell’attività perché la contestazione circa la violazione dell’art. 7, comma 1, d.lgs. n. 114 del 1998 determinerebbe solamente una sanzione pecuniaria e non l’emanazione del più grave provvedimento di cui al successivo art. 22, comma 6.

Il TAR ha condivisibilmente statuito sul punto che la ratio della doppia sanzione prevista dall’art. 22 d.lgs. n. 114 del 1998, economica quella di cui al comma 1, demolitoria quella di cui al successivo comma 6, va ravvisata nella circostanza che, mentre la prima punisce la condotta abusiva già tenuta dall’interessato, la chiusura assolve a una funzione ripristinatoria, destinata ad evitare la prosecuzione, nel futuro, della condotta abusiva.

D’altronde, se fosse corretta l’interpretazione delle norme di riferimento così come ipotizzato dall’appellante, l’art. 22, comma 6 in esame resterebbe privo di concreta applicazione, verificandosi lo svolgimento abusivo dell’attività proprio nell’ipotesi contemplata dall’art. 7 del medesimo d.lgs., ovvero in carenza di autorizzazione e/o di adeguata segnalazione.

3. Conclusivamente, alla luce delle predette argomentazioni, l’appello deve essere respinto.

Le spese di lite del presente grado di giudizio possono essere compensate, stante la peculiarità della controversia.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), definitivamente pronunciando sull’appello come in epigrafe indicato, lo respinge.

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