Data: 2012-04-17 11:32:50

LIBERALIZZAZIONE della somministrazione - conferma dal Consiglio di Stato

LIBERALIZZAZIONE della somministrazione - conferma dal Consiglio di Stato

Cons. Stato Sez. V, Sent., 26-03-2012, n. 1722
La DAA di D.D. e C. s.a.s. adiva il Tar Puglia - sez. staccata di Lecce per chiedere l'annullamento di due determinazioni dirigenziali, nn. 20/2 e 26/3/2009, con le quali il responsabile dei servizi AA.PP. del Comune di Francavilla Fontana respingeva altrettante istanze di autorizzazione alla somministrazione di alimenti e bevande (tipologia C, ex art. 5, comma 1, lett. c), della L. n. 287 del 1991) presso i propri locali, nei quali è svolta attività di raccolta di scommesse sportive.
Nel contraddittorio con l'amministrazione comunale il Tar adito respingeva il ricorso.
Appella la sentenza la DAA chiedendone la riforma.
Si è costituito in resistenza il Comune di Francavilla Fontana.
Disposta la sospensione dell'esecutività della sentenza, all'udienza del 6/3/2012 la causa è stata trattenuta in decisione.
L'oggetto di giudizio verte sulla legittimità dei dinieghi opposti dall'amministrazione odierna appellata alle istanze autorizzative presentate dalla società ricorrente per la somministrazione al pubblico di alimenti e bevande, ai sensi dell'art. 5, comma 1, lett. c), dellaL. n. 287 del 1991.
Le ragioni addotte dal Comune a sostegno delle determinazioni negative su dette richieste si fondano essenzialmente sulle previsioni del Piano di sviluppo commerciale del Comune di Francavilla Fontana, approvato con deliberazione di G.C. n. 371 del 19/11/2002 - gravato dalla ricorrente quale atto presupposto - ed in particolare sul disposto dell'art.11, a mente del quale "la somministrazione di alimenti e bevande può essere effettuata esclusivamente nei confronti di colui il quale accede, a pagamento, all'attività di intrattenimento e svago", mentre nel caso dell'attività esercitata dalla società istante l'ingresso non è subordinato al pagamento da parte del pubblico.
Il Tar ha reputato che la previsione regolamentare citata risponda ad esigenze di programmazione nel rilascio delle licenze commerciali in tale ambito merceologico ed a finalità di contrasto di fenomeni distorsivi della concorrenza, che invece si determinerebbero se in locali quali quelli gestiti dalla DAA fosse consentita la somministrazione di alimenti e bevande ad un pubblico non pagante, contrariamente a quanto avviene per la somministrazione in sale da ballo, sale da gioco, locali notturni e stabilimenti balneari, ai sensi dell'art. 5, comma 1, lett. c), L. n. 287 del 1991.
Tale conclusione non sarebbe contraddetta - ha soggiunto il primo giudice - dall'avvento della liberalizzazione in materia commerciale avviata a partire dal c.d. decreto B., D.L. n. 223 del 2006, dovendosi ritenere che lo stesso abbia comportato "la perdurante efficacia di disposizioni limitative dettate da canoni di ragionevolezza".
Nel riproporre tutte le censure svolte nel ricorso di primo grado, la società appellante critica il ragionamento del primo giudice, qui sintetizzato, assumendo che il principio di pianficazione commerciale e contingentamento dell'offerta, proprio della L. n. 287 del 1991, sarebbe stato superato dalle liberalizzazioni introdotte nell'ordinamento con il citato D.L. n. 223 del 2006, ed in particolare, per quanto concerne l'attività di somministrazione di alimenti e bevande, dall'art. 3, che ha disposto l'abrogazione delle disposizioni legislative e regolamentari statali di disciplina del settore della distribuzione commerciale incompatibili con le disposizioni di apertura alla libera iniziativa economica introdotte.
Preliminarmente va comunque dato atto che in sede di discussione il patrono di parte appellante ha dichiarato che con delibera di Giunta n. 73 del 6/2/2012 il Comune resistente ha avviato una iniziativa per la modifica del regolamento oggetto della presente impugnativa, manifestando comunque la persistenza dell'interesse al presente ricorso in ragione dell'incertezza sui tempi di perfezionamento del procedimento e di conseguente favorevole valutazione dell'istanza autorizzatoria per cui è giudizio.
Pacifico, sulla base di quanto ora rilevato, il persistente interesse alla decisione di questo Collegio, risulta inoltre fondato l'appello.
Come già anticipato nell'ordinanza con cui è stata disposta la sospensione dell'esecutività della sentenza appellata, l'art. 3 del D.L. n. 223 del 2006, ha eliminato, per l'attività di somministrazione di alimenti e bevande, una serie di limiti, tra cui il possesso "di requisiti professionali soggettivi per l'esercizio di attività commerciali" ed "il rispetto di limiti riferiti a quote di mercato predefinite" (comma 1, lett. "a" e "d"), contestualmente prevedendo l'abrogazione delle disposizioni legislative e regolamentari statali incompatibili (comma 2), ed imponendo alle regioni ed agli enti locali di adeguare "le proprie disposizioni legislative e regolamentari ai principi e alle disposizioni di cui al comma 1 entro il 1 gennaio 2007" (comma 3).
Diversamente da quanto ritenuto dal Tar, la disposizione regolamentare censurata dall'odierna appellante è contraria ai principi di massima apertura del mercato ed eliminazione delle barriere all'ingresso nello stesso che informano la disciplina legislativa in esame, direttamente discendenti dalle "disposizioni dell'ordinamento comunitario in materia di tutela della concorrenza e libera circolazione delle merci e dei servizi" (comma 1 dell'art. 3 D.L. n. 223 del 2006 cit.). Detta contrarietà è particolarmente evidente nell'effetto di sbarramento a nuovi ingressi e di salvaguardia delle posizioni di mercato già conseguite dagli operatori economici in attività che con essa si determina.
Non giova poi richiamare considerazioni di ragionevolezza degli assetti esistenti, poiché esse divengono recessive rispetto ai vincoli comunitari di apertura del mercato, potendo questi essere limitati unicamente da esigenze imperative di carattere generale, nel caso di specie non sussistenti.
Ne consegue che la disposizione regolamentare impugnata in primo grado dall'odierna appellante è contraria alla normativa primaria sopravvenuta e che sono del pari illegittimi i dinieghi che su di essa si fondano.
In ragione di tutto quanto sopra, in riforma della sentenza appellata deve essere accolto il ricorso di primo grado, con conseguente annullamento degli atti impugnati.
Si ravvisano giusti motivi per compensare integralmente le spese del doppio grado di giudizio, in considerazione della novità della questione e dell'avvio da parte dell'amministrazione comunale soccombente di un'iniziativa intesa ad adeguare la propria disciplina regolamentare delle attività commerciali alla normativa primaria sopra in questione.

P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)
definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l'effetto, in riforma della sentenza appellata, accoglie il ricorso di primo grado, annullando gli atti impugnati.
Spese del doppio grado di giudizio integralmente compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

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