Demolizione di opere abusive ai sensi dell'art. 27 o dell'art. 31 del d.P.R. n. 380 del 2001?
(TAR Lazio, Sez. I quater, sentenza 10.4.2012, n. 3260)
Nel giudizio in esame il ricorrente si duole che il Comune, pur dopo avere premesso che le opere in contestazione necessitavano di DIA, anziché di permesso di costruire, ne ha poi ugualmente ordinato la demolizione a cura del ricorrente entro 90 giorni, a pena di acquisizione del sedime al patrimonio pubblico. L’amministrazione ad avviso del Collegio ha in tal modo applicato l’art. 31 del d.P.R. n. 380 del 2001, benché avesse ritenuto sufficiente, sul piano edilizio, la denuncia di inizio attività, esercitando il potere in senso difforme dal paradigma normativo conseguente allo stato di fatto che si era ritenuto sussistere. Va aggiunto che dall’atto impugnato emerge che alcune opere sono state eseguite su area vincolata, con l’effetto che esse, quand’anche soggette a DIA, andrebbero demolite d’ufficio ex art. 27 d.P.R. n. 380 del 2001, in assenza di autorizzazione dell’Autorità preposta al vincolo. Il TAR ha, quindi, annullato le ordinanze di demolizione affermando altresì comunque che resta fermo il potere del Comune di ordinare tale demolizione, in forza del predetto art. 27, ove ne ricorrano i presupposti.
(TAR Lazio, Sez. I quater, sentenza 10.4.2012, n. 3260)
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N. 03260/2012 REG.PROV.COLL.
N. 03077/2007 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Prima Quater)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 3077 del 2007, proposto da:
Tomassetti Giancarlo, rappresentato e difeso dall'avv. Nicola Trotta, con domicilio eletto presso Nicola Trotta in Roma, via Quarto Grande, 85;
contro
Comune di Sacrofano, rappresentato e difeso dall'avv. Ilaria Sciamanna, con domicilio eletto presso Ilaria Sciamanna in Roma, via A. Baiamonti, 4;
per l'annullamento
ORDINE DI DEMOLIZIONE DI OPERE ABUSIVE E RIPRISTINO DELLO STATO DEI LUOGHI
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Comune di Sacrofano;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 8 marzo 2012 il dott. Marco Bignami e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
Il ricorrente impugna due ordini di demolizione adottati dal Comune di Sacrofano.
Con l’ordinanza n. 6 del 2007 al ricorrente, in qualità di proprietario del terreno mapp. n. 22 particella n. 850 sub 18 e n. 853 sub 2, è stato ingiunto di demolire entro 90 giorni le seguenti opere prive di permesso di costruire (i numeri corrispondono all’elenco indicato nell’atto impugnato): 1) ampliamento di fabbricato residenziale al piano terra di precedente organismo edilizio, con tamponatura perimetrale per ricavare un nuovo ambiente fuso con il vano soggiorno; 2) ampliamento di fabbricato residenziale al piano terra, con le medesime modalità di cui al punto 1), e fusione del nuovo ambiente con il vano pranzo; 3) ampliamento di fabbricato residenziale al piano terra, con struttura portante in muratura e struttura di copertura in legno, così da realizzare un ripostiglio e una legnaia fusi con cucina e vano pranzo; 7) realizzazione di un fabbricato per rimessa attrezzi agricoli a livello seminterrato con servizio igienico, finestre ed illuminazione, ottenuto trasformando gli originali terrazzamenti del giardino. Sempre l’ordinanza n. 6 del 2007 ha anche per oggetto opere eseguite in difetto di DIA: 4) pergolati, con altezza di mt 2,50, formati da due strutture in legno; 5) variazione degli ambienti al primo piano, con creazione di una vano bagno; 6) realizzazione di una piscina scoperta in cemento armato, di 78 mq di superficie.
Con l’ordinanza n. 46 del 2007 si è invece ordinato al ricorrente di demolire un manufatto in legno su piattaforma di cemento, chiuso su tutti i lati, con copertura e pavimentazione, utilizzato come rimessa di foraggio.
In via preliminare, va affermata l’ammissibilità del ricorso, che la difesa del Comune contesta, a causa della natura cumulativa che esso rivestirebbe: è palese la connessione oggettiva che avviluppa gli abusi contestati con le due ordinanze impugnate, in quanto riferiti al medesimo luogo e ad analoghe circostanze temporali (da ultimo, Cons. Stato, n. 6537 del 2011)
Nel merito, è assorbente rilevare, quanto alle opere n. 4), 5) e 6), la fondatezza del 10° motivo di ricorso, con il quale si è denunciato che il Comune, pur dopo avere premesso che esse necessitassero di DIA, anziché di permesso di costruire, tuttavia ne ha ugualmente ordinato la demolizione a cura del ricorrente entro 90 giorni, a pena di acquisizione del sedime al patrimonio pubblico.
Infatti, l’amministrazione ha in tal modo applicato l’art. 31 del d.P.R. n. 380 del 2001, benché avesse ritenuto sufficiente, sul piano edilizio, la denuncia di inizio attività, esercitando il potere in senso difforme dal paradigma normativo conseguente allo stato di fatto che si era ritenuto sussistere. Va aggiunto che dall’atto impugnato emerge che le opere n. 4, 5) e 6) sono state eseguite su area vincolata, con l’effetto che esse, quand’anche soggette a DIA, andrebbero demolite d’ufficio ex art. 27 d.P.R. n. 380 del 2001, in assenza di autorizzazione dell’Autorità preposta al vincolo.
Sotto tale profilo, che non interferisce con una contestazione basata sul solo difetto del titolo edilizio, resta fermo il potere del Comune di ordinare tale demolizione, in forza del predetto art. 27, ove ne ricorrano i presupposti.
L’ordinanza n. 6 del 2007 va perciò annullata, con esclusivo riferimento alle opere n. 4 (pergolato), 5 (variazione degli ambienti), 6 (piscina).
Vanno pertanto esaminate le residue censure, non dopo avere premesso che non ha rilievo in causa né la presentazione, dopo la contestazione dell’abuso, di domanda di sanatoria ex art. 36 d.P.R. documentata dal ricorrente (atteso che essa non incide sulla legittimità dell’ordine demolitorio), né l’osservazione (motivo n. 1), secondo cui penderebbe una domanda di condono edilizio del 2004, posto che da essa non si sviluppa un’ autonoma censura, e che, in ogni caso, lo stesso ricorrente si limita a sostenere che il Comune avrebbe dovuto avvisarlo prima di procedere, per consentirgli una “integrazione” della domanda, di cui non è precisata natura e condizione legittimante.
È infondato il primo motivo, con cui si denuncia l’omissione della comunicazione di avvio del procedimento, atteso che, per costante indirizzo di questo Tribunale, essa non è dovuta a fronte di atto dal contenuto vincolato, quale è l’ordine di demolizione.
È infondato il secondo motivo (concernente l’opera n. 7), con cui si lamenta che il Comune avrebbe omesso di pronunciarsi sulla domanda di ristrutturazione dei terrazzamenti proposta dal ricorrente: quand’anche ciò rispondesse al vero, ugualmente non si sarebbe trattato di ipotesi di silenzio-accoglimento, con l’effetto che la attività edilizia non avrebbe potuto essere avviata, ferma la tutela concessa dall’ordinamento contro l’inerzia della P.A.
Con il terzo motivo il ricorrente contesta che le opere n. 1, 2 e 3 siano da assoggettarsi a permesso di costruire.
In fatto, l’atto impugnato dà conto, sulla base del sopralluogo eseguito in loco, che tutte tali opere hanno sviluppato superficie e volume, nei seguenti modi: n. 1, mq 11,70 e mc 34,22; n. 2, mq 17,11 e mc 50,05; n.3, mq 4,20 e mc 10,50. Viene cosi’ smentita l’indimostrata asserzione contraria del ricorrente. Inoltre, la fusione che in tal modo è stata conseguita con preesistenti locali, determinandone l’ampliamento, è tale da escludere che simili opere possano acquisire un carattere pertinenziale, finanche nella accezione civilistica, come è noto più lata di quella urbanistica, di tale nozione giuridica, atteso che i vani sono divenuti elementi costitutivi della cosa, anziché porsi a suo servizio o ornamento.
Ne segue l’irrilevanza del rilievo per cui l’aumento di volumetria non sarebbe stato superiore al 20% del volume del fabbricato principale, giacchè si tratta di criterio applicabile alle sole pertinenze (art. 3 d.P.R. n. 380 del 2001); nel caso di specie, si è invece in presenza di ristrutturazioni edilizie, che richiedevano il permesso di costruire ex art. 10, comma 1, lett. C) d.P.R. n. 380 del 2001.
Non è invece ammissibile la censura, contenuta sempre nel terzo motivo di ricorso, secondo cui l’opera n. 3 “sembra (…) rientrare nella superficie a suo tempo assistita” ed “anzi sembrerebbe potersi considerare oggetto di domanda di concessione in sanatoria”, giacchè essa ha natura perplessa: il ricorrente aveva invece l’onere di proporla in termini compiuti, comprovandone le circostanze in fatto, o comunque attivandosi in via istruttoria a tal fine.
Il quarto motivo inerisce all’opera di cui al n. 6 ed è perciò assorbito.
Il quinto motivo concerne le opere di cui ai nn. 4 e 5, ed è perciò assorbito.
Sono infondati il sesto e nono motivo, con cui si contesta che l’atto impugnato non avrebbe adeguatamente motivato: a fronte di un abuso edilizio, la motivazione deve considerarsi assolta tramite la compiuta descrizione dell’abuso. Né si vede per quale ragione il Comune avrebbe dovuto espressamente motivare con riguardo al carattere non pertinenziale dell’opera, atteso che, a tacer d’altro, esso è escluso dalla descrizione stessa dei lavori recata dal provvedimento impugnato. Infine, con riferimento alla violazione dell’art. 42 NTA denunciata con il nono motivo, va osservato che i criteri di computo della volumetria implicata dalle opere a destinazione agricola non hanno rilievo in causa, atteso il difetto del necessario titolo edilizio.
Né vale in senso opposto quanto eccepito con l’ottavo motivo, in riferimento alle opere n. 3 e 7 (è assorbito il profilo relativo all’opera n. 4): in questa sede, il ricorrente lamenta che gli interventi compiuti in zona agricola sarebbero sottratti ad autorizzazione dell’autorità preposta alla tutela del vincolo ambientale. Tuttavia, si è già osservato che, nella specie, la demolizione è ordinata per difetto del titolo edilizio, sicchè sono irrilevanti i profili di trasformazione urbanistica consentiti nelle zone agricole in difetto di autorizzazione paesaggistica.
È infondato, infine, l’undicesimo motivo, che lamenta la carenza di motivazione e la contraddittorietà dell’avviso di acquisizione gratuita del bene e dell’area di sedime: si tratta di un contenuto vincolato dell’ordine di demolizione ex art. 31 d.P.R. n. 380 del 2001 (la censura è assorbita con riferimento alle opere n. 4 e 5).
Venendo ora all’ordinanza n. 46 del 2007, va rammentato che essa ha per oggetto un manufatto, supra descritto, mobile, in quanto dotato di piccole ruote, e adagiato su piattaforma in cemento, che viene utilizzato come rimessa di foraggio.
L’uso finalizzato a soddisfare esigenze legate al ciclo agricolo consente di escludere che il manufatto possa sfuggire a permesso di costruire ex art. 3, comma 1, lett. E5) del d.P.R. n. 380 del 2001, atteso che esso non risponde ad esigenze meramente temporanee: sono perciò infondati, come supra, tutti i motivi di ricorso già esaminati, nella parte in cui si riferiscono a tale struttura. In particolare, la riconduzione alla lettera e5), e la qualificazione del manufatto in termini di “deposito”, servente rispetto all’attività agricola, anziché alla casa destinata ad abitazione del ricorrente, consentono di escludere che si tratti di una pertinenza.
È poi infondato il settimo motivo, dedicato esclusivamente all’ordinanza n. 46 del 2007: è privo di rilievo che il Comune abbia deciso di sanzionare la struttura mobile solo in occasione di un secondo sopralluogo, né, a fronte del suo carattere abusivo, vi era alcun obbligo di motivare sulle ragioni per cui esso non fu oggetto del primo ordine di demolizione.
In conclusione, il ricorso va respinto, con riferimento alle opere n. 1, 2, 3 e 7.
Le spese, stante la reciproca soccombenza, restano compensate.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima Quater)
definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, così provvede:
accoglie parzialmente il ricorso, ed annulla l’ordinanza n. 6 del 2007 con esclusivo riferimento alle opere ivi indicate con i numeri 4, 5 e 6.
Rigetta il ricorso per la residua parte.
Compensa le spese.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 8 marzo 2012 con l'intervento dei magistrati:
Maria Ada Russo, Presidente FF
Rita Tricarico, Consigliere
Marco Bignami, Consigliere, Estensore
L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 10/04/2012
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)
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