GDPR: giurisprudenza in materia di trattamento dei dati
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[b]Sezione dedicata agli approfondimenti GIURISPRUDENZIALI sul GDPR[/b]
Le risposte scritte ad un esame e le annotazioni del valutatore sono DATI PERSONALI
[color=red][b]Corte giustizia Unione Europea Sez. II, Sent., 20/12/2017, n. 434/16[/b][/color]
SENTENZA DELLA CORTE (Seconda Sezione)
20 dicembre 2017
"Rinvio pregiudiziale - Tutela delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali - Direttiva 95/46/CE - Articolo 2, lettera a) - Nozione di "dati personali" - Risposte scritte fornite da un candidato durante un esame professionale - Annotazioni dell'esaminatore relative a tali risposte - Articolo 12, lettere a) e b) - Portata dei diritti di accesso e di rettifica della persona interessata"
Nella causa C-434/16,
avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi dell'articolo 267 TFUE, dalla Supreme Court (Corte Suprema, Irlanda), con decisione del 29 luglio 2016, pervenuta in cancelleria il 4 agosto 2016, nel procedimento
Peter Nowak
contro
Data Protection Commissioner,
LA CORTE (Seconda Sezione),
composta da M. Ilešič (relatore), presidente di sezione, A. Rosas, C. Toader, A. Prechal ed E. Jarašiūnas, giudici,
avvocato generale: J. Kokott
cancelliere: M. Aleksejev, amministratore
vista la fase scritta del procedimento e in seguito all'udienza del 22 giugno 2017,
considerate le osservazioni presentate:
- per P. Nowak, da G. Rudden, solicitor, e N. Travers, SC;
- per il Data Protection Commissioner, da D. Young, solicitor, e P. A. McDermott, SC;
- per l'Irlanda, da E. Creedon, L. Williams e A. Joyce, in qualità di agenti, assistiti da A. Caroll, barrister;
- per il governo ceco, da M. Smolek e J. Vláčil, in qualità di agenti;
- per il governo ellenico, da G. Papadaki e S. Charitaki, in qualità di agenti;
- per il governo ungherese, da M. Z. Fehér e A. Pálfy, in qualità di agenti;
- per il governo austriaco, da G. Eberhard, in qualità di agente;
- per il governo polacco, da B. Majczyna, in qualità di agente;
- per il governo portoghese, da L. Inez Fernandes, M. Figueiredo e I. Oliveira, in qualità di agenti;
- per la Commissione Europea, da D. Nardi e H. Kranenborg, in qualità di agenti,
sentite le conclusioni dell'avvocato generale, presentate all'udienza del 20 luglio 2017,
ha pronunciato la seguente
Sentenza
Svolgimento del processo - Motivi della decisione
1 La domanda di pronuncia pregiudiziale riguarda l'interpretazione della direttiva 95/46/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio, del 24 ottobre 1995, relativa alla tutela delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali, nonché alla libera circolazione di tali dati (GU 1995, L 281, pag. 31).
2 Tale domanda è stata presentata nell'ambito di una controversia tra il sig. Peter Nowak e il Data Protection Commissioner (garante per la protezione dei dati personali, Irlanda), in merito al rifiuto di quest'ultimo di consentire al sig. Nowak l'accesso alla copia corretta di una prova d'esame che egli aveva svolto, in ragione del fatto che le informazioni ivi contenute non costituivano dati personali.
Contesto normativo
Diritto dell'Unione
Direttiva 95/46
3 La direttiva 95/46, che, a tenore del suo articolo 1, ha per oggetto la tutela dei diritti e delle libertà fondamentali delle persone fisiche e particolarmente del diritto alla vita privata, con riguardo al trattamento dei dati personali, nonché l'eliminazione degli ostacoli alla libera circolazione di tali dati, ai considerando 25, 26 e 41, enuncia quanto segue:
"(25) considerando che i principi di tutela si esprimono, da un lato, nei vari obblighi a carico delle persone (...) responsabili del trattamento, obblighi relativi in particolare alla qualità dei dati, alla sicurezza tecnica, alla notificazione all'autorità di controllo, alle circostanze in cui il trattamento può essere effettuato e, dall'altro, nel diritto delle persone, i cui dati sono oggetto di trattamento, di esserne informate, di poter accedere ai dati, e chiederne la rettifica, o di opporsi al trattamento in talune circostanze;
(26) considerando che i principi della tutela si devono applicare ad ogni informazione concernente una persona identificata o identificabile; che, per determinare se una persona è identificabile, è opportuno prendere in considerazione l'insieme dei mezzi che possono essere ragionevolmente utilizzati dal responsabile del trattamento o da altri per identificare detta persona; che i principi della tutela non si applicano a dati resi anonimi in modo tale che la persona interessata non è più identificabile; (...)
(...)
(41) considerando che una persona deve godere del diritto d'accesso ai dati che la riguardano e che sono oggetto di trattamento, per poter verificare, in particolare, la loro esattezza e la liceità del trattamento; (...)".
4 La nozione di "dati personali" è definita all'articolo 2, lettera a), di tale direttiva come "qualsiasi informazione concernente una persona fisica identificata o identificabile ("persona interessata"); si considera identificabile la persona che può essere identificata, direttamente o indirettamente, in particolare mediante riferimento ad un numero di identificazione o ad uno o più elementi caratteristici della sua identità fisica, fisiologica, psichica, economica, culturale o sociale".
5 Nel capo II di detta direttiva, segnatamente alla sezione I, intitolata "Principi relativi alla qualità dei dati", l'articolo 6 è così formulato:
"1. Gli Stati membri dispongono che i dati personali devono essere:
a) trattati lealmente e lecitamente;
b) rilevati per finalità determinate, esplicite e legittime, e successivamente trattati in modo non incompatibile con tali finalità. Il trattamento successivo dei dati per scopi storici, statistici o scientifici non è ritenuto incompatibile, purché gli Stati membri forniscano garanzie appropriate;
c) adeguati, pertinenti e non eccedenti rispetto alle finalità per le quali vengono rilevati e/o per le quali vengono successivamente trattati;
d) esatti e, se necessario, aggiornati; devono essere prese tutte le misure ragionevoli per cancellare o rettificare i dati inesatti o incompleti rispetto alle finalità per le quali sono rilevati o sono successivamente trattati, cancellati o rettificati;
e) conservati in modo da consentire l'identificazione delle persone interessate per un arco di tempo non superiore a quello necessario al conseguimento delle finalità per le quali sono rilevati o sono successivamente trattati. Gli Stati membri prevedono garanzie adeguate per i dati personali conservati oltre il suddetto arco di tempo per motivi storici, statistici o scientifici.
2. Il responsabile del trattamento è tenuto a garantire il rispetto delle disposizioni del paragrafo 1".
6 Nel capo II della direttiva 95/46, alla sezione II, rubricata "Principi relativi alla legittimazione del trattamento dei dati", l'articolo 7 dispone quanto segue:
"Gli Stati membri dispongono che il trattamento di dati personali può essere effettuato soltanto quando:
a) la persona interessata ha manifestato il proprio consenso in maniera inequivocabile,
oppure
(...)
c) è necessario per adempiere un obbligo legale al quale è soggetto il responsabile del trattamento,
oppure
(...)
e) è necessario per l'esecuzione di un compito di interesse pubblico o connesso all'esercizio di pubblici poteri di cui è investito il responsabile del trattamento o il terzo a cui vengono comunicati i dati,
oppure
f) è necessario per il perseguimento dell'interesse legittimo del responsabile del trattamento oppure del o dei terzi cui vengono comunicati i dati, a condizione che non prevalgano l'interesse o i diritti e le libertà fondamentali della persona interessata, che richiedono tutela ai sensi dell'articolo 1, paragrafo 1".
7 L'articolo 12 di tale direttiva, rubricato "Diritto di accesso", enuncia quanto segue:
"Gli Stati membri garantiscono a qualsiasi persona interessata il diritto di ottenere dal responsabile del trattamento:
a) liberamente e senza costrizione, ad intervalli ragionevoli e senza ritardi o spese eccessivi:
- la conferma dell'esistenza o meno di trattamenti di dati che la riguardano, e l'informazione almeno sulle finalità dei trattamenti, sulle categorie di dati trattati, sui destinatari o sulle categorie di destinatari cui sono comunicati i dati;
- la comunicazione in forma intelligibile dei dati che sono oggetto dei trattamenti, nonché di tutte le informazioni disponibili sull'origine dei dati;
(...)
b) a seconda dei casi, la rettifica, la cancellazione o il congelamento dei dati il cui trattamento non è conforme alle disposizioni della presente direttiva, in particolare a causa del carattere incompleto o inesatto dei dati;
c) la notificazione ai terzi, ai quali sono stati comunicati i dati, di qualsiasi rettifica, cancellazione o congelamento, effettuati conformemente alla lettera b), se non si dimostra che è impossibile o implica uno sforzo sproporzionato".
8 L'articolo 13 di detta direttiva, intitolato "Deroghe e restrizioni", così dispone:
"1. Gli Stati membri possono adottare disposizioni legislative intese a limitare la portata degli obblighi e dei diritti previsti dalle disposizioni dell'articolo 6, paragrafo 1, dell'articolo 10, dell'articolo 11, paragrafo 1 e degli articoli 12 e 21, qualora tale restrizione costituisca una misura necessaria alla salvaguardia:
(...)
g) della protezione della persona interessata o dei diritti e delle libertà altrui.
(...)".
9 L'articolo 14 della direttiva 95/46, rubricato "Diritto di opposizione della persona interessata", così recita:
"Gli Stati membri riconoscono alla persona interessata il diritto:
a) almeno nei casi di cui all'articolo 7, lettere e) e f), di opporsi in qualsiasi momento, per motivi preminenti e legittimi, derivanti dalla sua situazione particolare, al trattamento di dati che la riguardano, salvo disposizione contraria prevista dalla normativa nazionale. In caso di opposizione giustificata il trattamento effettuato dal responsabile non può più riguardare tali dati;
(...)".
10 L'articolo 28 di detta direttiva, intitolato "Autorità di controllo", enuncia quanto segue:
"1. Ogni Stato membro dispone che una o più autorità pubbliche siano incaricate di sorvegliare, nel suo territorio, l'applicazione delle disposizioni di attuazione della presente direttiva, adottate dagli Stati membri.
(...)
3. Ogni autorità di controllo dispone in particolare:
- di poteri investigativi, come il diritto di accesso ai dati oggetto di trattamento e di raccolta di qualsiasi informazione necessaria all'esercizio della sua funzione di controllo;
- di poteri effettivi d'intervento, come quello (...) di ordinare il congelamento, la cancellazione o la distruzione dei dati, oppure di vietare a titolo provvisorio o definitivo un trattamento (...);
(...)
È possibile un ricorso giurisdizionale avverso le decisioni dell'autorità di controllo recanti pregiudizio.
4. Qualsiasi persona, o associazione che la rappresenti, può presentare all'autorità di controllo una domanda relativa alla tutela dei suoi diritti e libertà con riguardo al trattamento di dati personali. La persona interessata viene informata del seguito dato alla sua domanda.
(...)".
Regolamento (UE) 2016/679
[b]11 Il regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento Europeo e del Consiglio, del 27 aprile 2016, relativo alla protezione delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali, nonché alla libera circolazione di tali dati e che abroga la direttiva 95/46 (regolamento generale sulla protezione dei dati) (GU 2016, L 119, pag. 1), è applicabile, ai sensi del suo articolo 99, paragrafo 2, dal 25 maggio 2018. L'articolo 94, paragrafo 1, di tale regolamento dispone che la direttiva 95/46 è abrogata a decorrere dalla medesima data.[/b]
12 Al suo articolo 15, rubricato "Diritto di accesso dell'interessato", detto regolamento così dispone:
"1. L'interessato ha il diritto di ottenere dal titolare del trattamento la conferma che sia o meno in corso un trattamento di dati personali che lo riguardano e in tal caso, di ottenere l'accesso ai dati personali (...)
(...)
3. Il titolare del trattamento fornisce una copia dei dati personali oggetto di trattamento. (...)
4. Il diritto di ottenere una copia di cui al paragrafo 3 non deve ledere i diritti e le libertà altrui".
13 L'articolo 23 del regolamento n. 2016/679, rubricato "Limitazioni", dispone quanto segue:
[b]"1. Il diritto dell'Unione o dello Stato membro cui è soggetto il titolare del trattamento o il responsabile del trattamento può limitare, mediante misure legislative, la portata degli obblighi e dei diritti di cui agli articoli da 12 a 22 (...), qualora tale limitazione rispetti l'essenza dei diritti e delle libertà fondamentali e sia una misura necessaria e proporzionata in una società democratica per salvaguardare:[/b]
(...)
e) altri importanti obiettivi di interesse pubblico generale dell'Unione o di uno Stato membro, in particolare un rilevante interesse economico o finanziario dell'Unione o di uno Stato membro, anche in materia monetaria, di bilancio e tributaria, di sanità pubblica e sicurezza sociale;
(...)
i) la tutela dell'interessato o dei diritti e delle libertà altrui;
(...)".
Diritto irlandese
14 Il Data Protection Act 1988 (legge del 1988 sulla protezione dei dati), come modificato dal Data Protection (Amendement) Act 2003 (legge di modifica del 2003 sulla protezione dei dati) (in prosieguo: la "legge sulla protezione dei dati"), recepisce la direttiva 95/46 nell'ordinamento giuridico irlandese. L'articolo 1, paragrafo 1, di tale legge definisce la nozione di "dati personali" nel seguente modo:
"dati concernenti un individuo vivente che è o può essere identificato a partire dai dati in questione o dagli stessi dati combinati con altre informazioni che sono detenute, o possono probabilmente essere acquisite, dal responsabile del trattamento dei dati".
15 Il diritto di accesso è disciplinato dall'articolo 4 della legge sulla protezione dei dati, il cui paragrafo 6, che riguarda specificamente le domande di accesso ai risultati di esami, ha il seguente tenore:
"a) ai fini del presente articolo si presume che la richiesta presentata da una persona ai sensi del paragrafo 1 di questo articolo relativa ai risultati di un esame da essa svolto, sia effettuata
i) alla data della prima pubblicazione dei risultati dell'esame, o
ii) al momento della richiesta,
se questa è posteriore; (...)
b) ai sensi del presente paragrafo si intende per "esame" qualsiasi procedimento volto a determinare le conoscenze, l'intelligenza, la competenza o la capacità di una persona facendo riferimento alle sue prestazioni in qualsiasi test, lavoro o altra attività".
16 L'articolo 6 della legge sulla protezione dei dati prevede il diritto di rettifica e di cancellazione dei dati personali, il cui trattamento non sia conforme a tale legge.
17 L'articolo 10, paragrafo 1, lettera b), i), della legge sulla protezione dei dati impone al garante per la protezione dei dati di dare seguito a un reclamo "a meno che non lo ritenga futile o vessatorio".
Procedimento principale e questioni pregiudiziali
18 Il sig. Nowak, in quanto esperto contabile tirocinante, superava gli esami di primo livello di contabilità e tre degli esami di secondo livello organizzati dall'Institute of Chartered Accountants of Ireland (organizzazione professionale irlandese degli esperti contabili; in prosieguo: l'"organizzazione professionale degli esperti contabili"). Egli non superava, tuttavia, l'esame di "finanza strategica e contabilità gestionale", durante il quale il candidato aveva la possibilità di utilizzare documenti (esame con libera consultazione di materiale).
19 A seguito del quarto insuccesso a tale esame, nell'autunno del 2009, il sig. Nowak presentava, in un primo tempo, un reclamo tendente a contestare il risultato dello stesso. In seguito al rigetto di tale reclamo nel mese di marzo 2010, egli presentava, nel mese di maggio 2010, una domanda di accesso ai sensi dell'articolo 4 della legge sulla protezione dei dati, che si riferiva a tutti i dati personali che lo riguardavano, detenuti dall'organizzazione professionale degli esperti contabili.
20 Con lettera del 1° giugno 2010, l'organizzazione professionale degli esperti contabili trasmetteva al sig. Nowak 17 documenti, rifiutando tuttavia di trasmettergli la sua prova di esame con la motivazione che l'elaborato non conteneva dati personali ai sensi della legge sulla protezione dei dati.
21 Il sig. Nowak si rivolgeva allora al garante per la protezione dei dati personali al fine di contestare la fondatezza del motivo del rifiuto di comunicazione della sua prova di esame. Nel mese di giugno del 2010, il garante inviava al sig. Nowak un messaggio di posta elettronica per informarlo, inter alia, del fatto che "le prove d'esame non sono generalmente da prendere in considerazione [ai fini della protezione dei dati] (...) in quanto tali documenti non costituiscono generalmente dati personali".
22 A tale risposta del garante per la protezione dei dati personali seguiva uno scambio di corrispondenza tra il sig. Nowak e tale garante che si concludeva, il 1° luglio 2010, con la presentazione di un reclamo formale da parte del sig. Nowak.
23 Con messaggio di posta elettronica del 21 luglio 2010 il garante per la protezione dei dati personali informava il sig. Nowak che, dopo aver esaminato il caso, non aveva individuato alcuna violazione sostanziale della legge sulla protezione dei dati e che, conformemente all'articolo 10, paragrafo 1, lettera b), i), di tale legge, che prevede il caso dei reclami futili o vessatori, aveva deciso di non dare seguito al reclamo. Tale messaggio di posta elettronica informava, inoltre, che i documenti su cui il sig. Nowak intendeva esercitare "un diritto di rettifica" "non costituiscono dati personali cui si applica l'articolo 6 della legge sulla protezione dei dati".
24 Avverso tale decisione il sig. Nowak proponeva impugnazione dinanzi al Circuit Court (tribunale circondariale, Irlanda). Tale giudice concludeva nel senso dell'irricevibilità del ricorso in ragione del fatto che, in assenza di istruzione del reclamo da parte del garante per la protezione dei dati personali, non vi era decisione impugnabile. In via subordinata, tale giudice dichiarava che il ricorso era infondato, poiché la prova di esame non costituiva un dato personale.
25 Il sig. Nowak proponeva ricorso avverso la sentenza di detto giudice dinanzi alla High Court (Alta Corte, Irlanda), la quale confermava, tuttavia, tale sentenza. La sentenza della High Court (Alta Corte) era a sua volta confermata dalla Court of Appeal (Corte d'appello, Irlanda). La Supreme Court (Corte suprema, Irlanda), che aveva autorizzato l'impugnazione contro la sentenza della Court of Appeal (Corte d'appello), concludeva nel senso della ricevibilità del ricorso proposto dal sig. Nowak contro la decisione del garante per la protezione dei dati personali.
26 Tuttavia, poiché nutriva dubbi sulla questione se una prova d'esame possa costituire un dato personale ai sensi della direttiva 95/46, la Supreme Court (Corte suprema) decideva di sospendere il procedimento e sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:
"1) Se le informazioni registrate nelle risposte o a titolo di risposte fornite da un candidato durante un esame professionale possano costituire dati personali ai sensi della direttiva 95/46.
2) Qualora la risposta alla prima questione sia che tali informazioni possono costituire, in tutto o in parte, dati personali ai sensi della direttiva, quali fattori siano pertinenti nel determinare nei singoli casi se la prova d'esame costituisca dati personali, e quale peso debba essere conferito a tali fattori".
Sulle questioni pregiudiziali
27 Con le sue questioni, da esaminarsi congiuntamente, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se l'articolo 2, lettera a), della direttiva 95/46 debba essere interpretato nel senso che, in circostanze come quelle di cui al procedimento principale, le risposte scritte fornite da un candidato durante un esame professionale e le eventuali annotazioni dell'esaminatore ad esse relative costituiscano dati personali, ai sensi di tale disposizione.
28 A tale proposito, occorre ricordare che l'articolo 2, lettera a), della direttiva 95/46 definisce i dati personali come "qualsiasi informazione concernente una persona fisica identificata o identificabile". Ai sensi della medesima disposizione, "si considera identificabile la persona che può essere identificata, direttamente o indirettamente, in particolare mediante riferimento ad un numero di identificazione o ad uno o più elementi caratteristici della sua identità fisica, fisiologica, psichica, economica, culturale o sociale".
29 È pacifico che un candidato a un esame professionale è una persona fisica che può essere identificata, vuoi direttamente mediante il suo nome, vuoi indirettamente, mediante un numero d'identificazione, i quali vengono apposti sulla prova d'esame o sulla pagina di copertina di tale prova.
30 Contrariamente a quanto sembra affermare il garante per la protezione dei dati personali, è priva di rilevanza in tale contesto la questione se l'esaminatore possa o no identificare il candidato al momento della correzione e della valutazione della prova di esame.
31 Infatti, affinché un dato possa essere qualificato come "dato personale", ai sensi dell'articolo 2, lettera a), della direttiva 95/46, non si richiede che tutte le informazioni che consentono di identificare la persona interessata siano in possesso di una sola persona (sentenza del 19 ottobre 2016, Breyer, C-582/14, EU:C:2016:779, punto 43). È pacifico, peraltro, che, nell'ipotesi in cui l'esaminatore non conosca l'identità del candidato al momento della valutazione delle risposte da esso fornite nell'ambito di un esame, l'ente che ha organizzato l'esame, nella fattispecie l'organizzazione professionale degli esperti contabili, dispone, per contro, delle informazioni necessarie che gli consentono di identificare senza difficoltà o dubbi tale candidato mediante il suo numero di identificazione, apposto sulla prova d'esame o sulla pagina di copertina di tale prova, e quindi di attribuirgli le sue risposte.
32 Si deve, tuttavia, verificare se le risposte scritte fornite dal candidato durante un esame professionale e le eventuali annotazioni dell'esaminatore ad esse relative costituiscano informazioni concernenti tale candidato, ai sensi dell'articolo 2, lettera a), della direttiva 95/46.
33 Come ha già constatato la Corte, l'ambito di applicazione della direttiva 95/46 è molto ampio e i dati personali a cui si riferisce sono vari (sentenza del 7 maggio 2009, Rijkeboer, C-553/07, EU:C:2009:293, punto 59 e giurisprudenza ivi citata).
34 Infatti, l'uso dell'espressione "qualsiasi informazione" nell'ambito della definizione della nozione di "dati personali", di cui all'articolo 2, lettera a), della direttiva 95/46 riflette l'obiettivo del legislatore dell'Unione di attribuire un'accezione estesa a tale nozione, che non è limitata alle informazioni sensibili o di ordine privato, ma comprende potenzialmente ogni tipo di informazioni, tanto oggettive quanto soggettive, sotto forma di pareri o di valutazioni, a condizione che esse siano "concernenti" la persona interessata.
35 Per quanto riguarda tale ultima condizione, essa è soddisfatta qualora, in ragione del suo contenuto, della sua finalità o del suo effetto, l'informazione sia connessa a una determinata persona.
36 Orbene, come hanno affermato, in sostanza, il sig. Nowak, i governi ceco, ellenico, ungherese, austriaco e portoghese, nonché la Commissione Europea, le risposte scritte fornite da un candidato a un esame professionale costituiscono simili informazioni, connesse alla sua persona.
37 Infatti, innanzitutto, il contenuto di tali risposte riflette il livello di conoscenza e di competenza del candidato in un dato settore nonché, se del caso, i suoi processi di riflessione, il suo giudizio e il suo spirito critico. In caso di esame redatto a mano le risposte contengono, inoltre, informazioni calligrafiche.
38 La raccolta di tali risposte ha, poi, la funzione di valutare le capacità professionali del candidato e la sua idoneità a esercitare il mestiere di cui trattasi.
39 Infine, l'uso di tali informazioni, che si traduce, segnatamente, nel successo o nel fallimento del candidato all'esame di cui trattasi, può avere un effetto sui diritti e interessi dello stesso, in quanto può determinare o influenzare, per esempio, le sue possibilità di accedere alla professione o all'impiego desiderati.
40 La constatazione che le risposte scritte fornite da un candidato a un esame professionale costituiscono informazioni concernenti tale candidato in ragione del loro contenuto, della loro finalità e del loro effetto vale, peraltro, anche quando si tratti, come nella fattispecie, di un esame con libera consultazione di materiale.
41 Infatti, come ha rilevato l'avvocato generale al paragrafo 24 delle sue conclusioni, qualsiasi esame è diretto a verificare e a stabilire le prestazioni individuali di una specifica persona, segnatamente del candidato, e non, diversamente, ad esempio, da un sondaggio rappresentativo, ad ottenere informazioni non associabili a tale persona.
42 Per quanto riguarda le annotazioni dell'esaminatore relative alle risposte del candidato, occorre constatare che esse costituiscono, proprio come le risposte fornite dal candidato durante l'esame, informazioni concernenti tale candidato.
43 Infatti, il contenuto di tali annotazioni riflette l'opinione o la valutazione dell'esaminatore sulle prestazioni individuali del candidato durante l'esame, e in particolare sulle sue conoscenze e competenze nel settore di cui trattasi. Dette annotazioni hanno, peraltro, appunto lo scopo di documentare la valutazione fatta dall'esaminatore delle prestazioni del candidato e possono produrre effetti per quest'ultimo, come indicato al punto 39 della presente sentenza.
44 La constatazione che le annotazioni dell'esaminatore relative alla risposte fornite dal candidato durante l'esame costituiscono informazioni che, in ragione del loro contenuto, della loro finalità e del loro effetto, sono collegate a tale candidato non è contraddetta dal fatto che tali annotazioni costituiscono anche informazioni concernenti l'esaminatore.
45 Infatti, la medesima informazione può riguardare più persone fisiche e costituire per le stesse, a condizione che tali persone siano identificate o identificabili, un dato personale ai sensi dell'articolo 2, lettera a) della direttiva 95/46.
46 Peraltro, la qualificazione come dati personali delle risposte scritte fornite da un candidato durante un esame professionale e delle eventuali annotazioni dell'esaminatore ad esse relative non può essere influenzata, contrariamente a quanto fanno valere il garante per la protezione dei dati personali e il governo irlandese, dalla circostanza che tale qualificazione conferisca, in linea di principio, a tale candidato diritti di accesso e di rettifica, ai sensi dell'articolo 12, lettere a) e b), della direttiva 95/46.
47 A tale proposito, si deve innanzitutto ricordare, come ha esposto la Commissione in udienza, che numerosi principi e garanzie previsti dalla direttiva 95/46 si ricollegano a tale qualificazione e da essa dipendono.
48 Infatti, risulta dal considerando 25 della direttiva 95/46, che i principi di tutela previsti da quest'ultima si esprimono, da un lato, nei vari obblighi a carico dei soggetti responsabili del trattamento dei dati, obblighi relativi in particolare alla qualità dei dati, alla sicurezza tecnica, alla notificazione all'autorità di controllo, alle circostanze in cui il trattamento può essere effettuato, e, dall'altro, nel diritto delle persone, i cui dati sono oggetto di trattamento, di esserne informate, di poter accedere ai dati e di poterne chiedere la rettifica, o di opporsi al trattamento in talune circostanze.
49 Di conseguenza, negare la qualificazione di "dati personali" alle informazioni concernenti un candidato, contenute nelle sue risposte fornite durante un esame professionale e nelle annotazioni dall'esaminatore ad esse riferite, avrebbe la conseguenza di sottrarre interamente tali informazioni al rispetto dei principi e delle garanzie in materia di tutela dei dati personali e, segnatamente, dei principi relativi alla qualità di tali dati e alla legittimità del loro trattamento, sanciti dagli articoli 6 e 7 della direttiva 95/46 nonché dei diritti di accesso, di rettifica e di opposizione della persona interessata, di cui agli articoli 12 e 14 di tale direttiva, e del controllo esercitato dall'autorità di controllo ai sensi dell'articolo 28 della medesima direttiva.
50 Orbene, come ha rilevato l'avvocato generale al paragrafo 26 delle sue conclusioni, è pacifico che un candidato a un esame ha, in particolare, un interesse legittimo, vertente sulla protezione della sua vita privata, a potersi opporre a che le sue risposte fornite durante tale esame e le annotazioni dell'esaminatore ad esse riferite siano trattate al di fuori del procedimento di esame. e, segnatamente, a che siano trasmesse a terzi, o pubblicate, senza il suo consenso. Parimenti, l'ente che organizza l'esame, in qualità di responsabile del trattamento dei dati, è tenuto a garantire che tali risposte e annotazioni siano conservate in modo da evitare che terzi vi abbiano accesso in modo illecito.
51 Va constatato, poi, che i diritti di accesso e di rettifica, previsti dall'articolo 12, lettere a) e b), della direttiva 95/46, possono anch'essi trovare giustificazione per quanto riguarda le risposte scritte fornite da un candidato durante un esame professionale e le eventuali annotazioni dell'esaminatore ad esse relative.
52 Vero è che il diritto di rettifica, previsto all'articolo 12, lettera b), della direttiva 95/46, non può, evidentemente, consentire al candidato di "rettificare", a posteriori, risposte "sbagliate".
53 Infatti. come risulta dall'articolo 6, paragrafo 1, lettera d) della direttiva 95/46, l'esattezza e la completezza dei dati personali devono essere valutate con riguardo alla finalità per la quale tali dati sono stati rilevati. Tale finalità consiste, per quanto riguarda le risposte di un candidato a un esame, nel poter valutare il livello di conoscenza e di competenza di tale candidato al momento dell'esame. Orbene, tale livello si riflette proprio in eventuali errori in tali risposte. Di conseguenza, errori del genere non costituiscono affatto un'inesattezza, ai sensi della direttiva 95/46, che conferisca un diritto di rettifica ai sensi dell'articolo 12, lettera b), della stessa.
54 Per contro, è possibile che si presentino situazioni nelle quali le risposte di un candidato a un esame e le annotazioni dell'esaminatore ad esse relative si rivelano inesatte, ai sensi dell'articolo 6, paragrafo 1, lettera d), della direttiva 95/46, per esempio per il fatto che, per errore, le prove di esame sono state scambiate in modo tale che le risposte di un altro candidato siano state attribuite al candidato interessato, o che una parte dei fogli contenenti le risposte di tale candidato è stata smarrita con la conseguenza che tali risposte sono incomplete o, ancora, che le eventuali annotazioni dell'esaminatore non documentano correttamente la valutazione da esso effettuata delle risposte del candidato interessato.
55 Peraltro, come ha rilevato l'avvocato generale al paragrafo 37 delle sue conclusioni, non può essere escluso che un candidato abbia, ai sensi dell'articolo 12, lettera b) della direttiva 95/46, il diritto di chiedere al responsabile per il trattamento dei dati che le sue risposte all'esame e le annotazioni dell'esaminatore ad esse riferite, trascorso un certo periodo di tempo, siano cancellate, vale a dire distrutte. Infatti, ai sensi dell'articolo 6, paragrafo 1, lettera e), di tale direttiva, i dati personali possono, in linea di principio, essere conservati in modo da consentire l'identificazione delle persone interessate per un arco di tempo non superiore a quello necessario al conseguimento delle finalità per le quali sono rilevati o sono successivamente trattati. Orbene, tenuto conto della finalità delle risposte fornite da un candidato durante un esame e delle annotazioni relative a tali risposte, la loro conservazione in una forma tale da consentire l'identificazione del candidato non risulta, a priori, più necessaria una volta che il procedimento di esame sia definitivamente chiuso e non possa più essere oggetto di ricorso, con la conseguenza che tali risposte e annotazioni hanno perduto ogni valore probatorio.
56 Nella misura in cui le risposte scritte fornite dal candidato durante un esame professionale e le eventuali annotazione dell'esaminatore ad esse relative possono quindi essere assoggettate a una verifica, in particolare, della loro esattezza e della necessità della loro conservazione, ai sensi dell'articolo 6, paragrafo 1, lettere d) e e), della direttiva 95/46, e possono essere oggetto di una rettifica o di una cancellazione, ai sensi dell'articolo 12, lettera b), della stessa, si deve considerare che il fatto di dare al candidato un diritto di accesso a tali risposte e a tali annotazioni, ai sensi dell'articolo 12, lettera a), di tale direttiva, è conforme all'obiettivo della stessa consistente nel garantire la tutela del diritto alla vita privata di tale candidato rispetto al trattamento dei dati che lo riguardano (v., a contrario, sentenza del 17 luglio 2014, YS e a., C-141/12 e C-372/12, EU:C:2014:2081, punti 45 e 46) e ciò indipendentemente dalla questione se detto candidato disponga o no di un tale diritto di accesso anche in forza della normativa nazionale applicabile al procedimento di esame.
57 In tale contesto, va ricordato che la tutela del diritto fondamentale al rispetto della vita privata implica, in particolare, che qualsiasi persona fisica possa assicurarsi che i dati personali che la riguardano siano esatti e che siano trattati in maniera lecita. Come emerge dal considerando 41 della direttiva 95/46, è al fine di effettuare le necessarie verifiche che la persona interessata gode, ai sensi dell'articolo 12, lettera a), della medesima, di un diritto di accesso ai dati che la riguardano e che sono oggetto di trattamento. Tale diritto di accesso è necessario, in particolare, per consentire alla persona interessata di ottenere, se del caso, da parte del responsabile del trattamento la rettifica, la cancellazione o il congelamento di tali dati e, di conseguenza, di esercitare il diritto previsto all'articolo 12, lettera b), della suddetta direttiva (sentenza del 17 luglio 2014, YS e a., C-141/12 e C-372/12, EU:C:2014:2081, punto 44 e giurisprudenza ivi citata).
58 Infine, si deve constatare che, da un lato, i diritti di accesso e di rettifica, ai sensi dell'articolo 12, lettere a) e b), della direttiva 95/46, non si estendono alle domande poste in sede di esame, le quali non costituiscono in quanto tali dati personali del candidato.
59 Dall'altro lato, tanto la direttiva 95/46 quanto il regolamento 2016/679, che la sostituisce, prevedono talune limitazioni di tali diritti.
60 Infatti, ai sensi dell'articolo 13, paragrafo 1, lettera g), della direttiva 95/46, gli Stati membri possono adottare disposizioni legislative intese a limitare la portata degli obblighi e dei diritti previsti, in particolare all'articolo 6, paragrafo 1, e all'articolo 12 di tale direttiva, qualora tale limitazione costituisca una misura necessaria alla salvaguardia dei diritti e delle libertà altrui.
[b]61 L'articolo 23, paragrafo 1, lettera e), del regolamento 2016/679 estende l'elenco dei motivi di limitazione, attualmente previsto all'articolo 13, paragrafo 1, della direttiva 95/46, a "altri importanti obiettivi di interesse pubblico generale dell'Unione o di uno Stato membro". Inoltre, l'articolo 15 del regolamento 2016/679, vertente sul diritto di accesso della persona interessata, prevede, al paragrafo 4, che il diritto di ottenere una copia di dati personali non deve ledere i diritti e le libertà altrui.[/b]
62 Tenuto conto di tutte le considerazioni che precedono, occorre rispondere alle questioni poste dichiarando che l'articolo 2, lettera a), della direttiva 95/46 deve essere interpretato nel senso che, in circostanze come quelle di cui al procedimento principale, le risposte scritte fornite da un candidato durante un esame professionale e le eventuali annotazioni dell'esaminatore relative a tali risposte costituiscono dati personali, ai sensi di tale disposizione.
Sulle spese
63 Nei confronti delle parti nel procedimento principale la presente causa costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione.
P.Q.M.
Per questi motivi, la Corte (Seconda Sezione) dichiara:
[color=red][b]L'articolo 2, lettera a), della direttiva 95/46/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio, del 24 ottobre 1995, relativa alla tutela delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali, nonché alla libera circolazione di tali dati, deve essere interpretato nel senso che, in circostanze come quelle di cui al procedimento principale, le risposte scritte fornite da un candidato durante un esame professionale e le eventuali annotazioni dell'esaminatore relative a tali risposte costituiscono dati personali, ai sensi di tale disposizione.[/b][/color]
I dati personali del REGISTRO IMPRESE non sono soggetti a diritto all'oblio
[color=red][b]Corte giustizia Unione Europea, Concl. Avv. Gen., 08/09/2016, n. 398/15[/b][/color]
CONCLUSIONI DELL'AVVOCATO GENERALE
YVES BOT
presentate l'8 settembre 2016 (1)
Causa C-398/15
Camera di Commercio, Industria, Artigianato e Agricoltura di Lecce
contro
Salvatore Manni
[domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dalla Corte suprema di cassazione (Italia)]
[b]"Rinvio pregiudiziale - Dati personali - Tutela delle persone fisiche con riguardo al trattamento di tali dati - Direttiva 95/46/CE - Articolo 6, paragrafo 1, lettera e), nonché articolo 7, lettere c), e) e f) - Dati soggetti a pubblicità mediante il registro delle imprese - Prima direttiva 68/151/CEE - Articolo 2, paragrafo 1, lettere d) e j), nonché articolo 3 - Diritto all'oblio - Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea - Articoli 7 e 8"[/b]
Svolgimento del processo - Motivi della decisione
1. A seguito della sentenza del 13 maggio 2014, Google Spain e Google (C-131/12, EU:C:2014:317), la Corte viene invitata a precisare i contorni del diritto delle persone fisiche ad ottenere la cancellazione o la trasformazione in forma anonima dei loro dati personali, questa volta nel contesto particolare della pubblicità legale delle informazioni relative alle società.
2. Nell'ambito della presente causa, la Corte dovrà interpretare le disposizioni di due direttive alla luce della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea (in prosieguo: la "Carta"), in modo da rendere conciliabili le loro disposizioni.
3. Si tratta, da un lato, della prima direttiva 68/151/CEE del Consiglio del 9 marzo 1968, intesa a coordinare, per renderle equivalenti, le garanzie che sono richieste, negli Stati Membri, alle società a mente dell'articolo 58, secondo comma, del Trattato per proteggere gli interessi dei soci e dei terzi (2), come modificata dalla direttiva 2003/58/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 15 luglio 2003 (3) (in prosieguo: la "direttiva 68/151"), e, dall'altro, della direttiva 95/46/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 24 ottobre 1995, relativa alla tutela delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali, nonché alla libera circolazione di tali dati (4).
4. La presente domanda di pronuncia pregiudiziale è stata proposta nell'ambito di una controversia sorta fra la Camera di Commercio, Industria, Artigianato e Agricoltura di Lecce (in prosieguo: la "Camera di commercio di Lecce ") e il sig. Salvatore Manni in merito al diniego di quest'ultima di cancellare taluni dati personali relativi al sig. Manni dal registro delle imprese (5).
5. Nelle presenti conclusioni, proporrò alla Corte di rispondere alla Corte suprema di cassazione (Italia) che l'articolo 2, paragrafo 1, lettere d) e j), nonché l'articolo 3 della direttiva 68/151 e l'articolo 6, paragrafo 1, lettera e), nonché l'articolo 7, lettere c), e) e f), della direttiva 95/46, in combinato disposto con gli articoli 7 e 8 della Carta, devono essere interpretati nel senso che essi ostano a che i dati personali iscritti nel registro delle imprese possano, dopo un certo periodo di tempo e su richiesta della persona di cui trattasi, essere cancellati, resi anonimi o bloccati oppure resi accessibili unicamente ad una cerchia ristretta di terzi, ossia a coloro che comprovano un interesse legittimo all'accesso a tali dati.
I - Contesto normativo
A - Diritto dell'Unione
1. La direttiva 68/151
6. Ai sensi dell'articolo 1 della direttiva 68/151, le misure di coordinamento da essa previste si applicano alle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative degli Stati membri relative ai seguenti tipi di società, ossia, per la Repubblica italiana, "[la] società per azioni, [la] società in accomandita per azioni, [e la] società a responsabilità limitata".
7. Gli articoli 2 e 3 di tale direttiva, contenuti nella sezione 1 della medesima, intitolata "Pubblicità", enunciano quanto segue:
"Articolo 2
1. Gli Stati membri adottano le misure necessarie perché l'obbligo della pubblicità per le società concerna almeno gli atti e le indicazioni seguenti:
a) l'atto costitutivo e lo statuto, se quest'ultimo forma oggetto di atto separato;
(...)
d) la nomina, la cessazione dalle funzioni nonché le generalità delle persone che, in quanto organo previsto per legge o membri di tale organo:
i) hanno il potere di obbligare la società di fronte ai terzi e di rappresentarla in giudizio;
ii) partecipano all'amministrazione, all'ispezione o al controllo della società.
(...)
h) lo scioglimento della società;
(...)
j) la nomina e le generalità dei liquidatori e i loro rispettivi poteri, a meno che tali poteri risultino espressamente ed esclusivamente dalla legge o dallo statuto;
k) la chiusura della liquidazione e la cancellazione dal registro negli Stati membri in cui quest'ultima produce effetti giuridici.
Articolo 3
1. In ciascuno Stato membro viene costituito un fascicolo, o presso un registro centrale, o presso il registro di commercio o registro delle imprese, per ogni società iscritta.
2. Tutti gli atti e le indicazioni soggetti a pubblicità a norma dell'articolo 2 sono inseriti nel fascicolo o trascritti nel registro; dal fascicolo deve in ogni caso risultare l'oggetto delle trascrizioni fatte nel registro.
(...)
3. Una copia integrale o parziale di ogni atto o indicazione di cui all'articolo 2 deve potersi ottenere su richiesta. Dal 1° gennaio 2007 al più tardi, le richieste possono essere presentate al registro, in forma cartacea o per via elettronica, a scelta del richiedente.
(...)".
8. La direttiva 68/151 è stata abrogata e sostituita dalla direttiva 2009/101/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 16 settembre 2009, intesa a coordinare, per renderle equivalenti, le garanzie che sono richieste, negli Stati membri, alle società a mente dell'articolo 48, secondo comma, del trattato per proteggere gli interessi dei soci e dei terzi (6).
9. La direttiva 2009/101 è stata, a sua volta, modificata dalla direttiva 2012/17/UE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 13 giugno 2012 (7).
10. Risulta dal considerando 9 della direttiva 2012/17, che essa mira a migliorare l'accesso transfrontaliero alle informazioni sulle imprese e sulle loro succursali create in altri Stati membri, assicurando l'interoperabilità dei registri.
11. Secondo il considerando 25 di tale direttiva, ogni trattamento di dati personali da parte dei registri degli Stati membri, da parte della Commissione Europea e, se del caso, da parte di terzi partecipanti alla gestione della piattaforma centrale Europea instaurata da detta direttiva dovrebbe aver luogo nel rispetto della direttiva 95/46.
12. A tal fine, la direttiva 2012/17 ha in particolare introdotto l'articolo 7 bis nella direttiva 2009/101, il quale precisa quanto segue:
"Il trattamento dei dati personali effettuato nel quadro della presente direttiva è disciplinato dalla direttiva 95/46[...]".
13. Tuttavia, alla luce dell'epoca dei fatti di cui al procedimento principale, quest'ultimo continua ad essere disciplinato dalla direttiva 68/151.
2. La direttiva 95/46
14. La direttiva 95/46, la quale, ai sensi del suo articolo 1, ha per oggetto la tutela dei diritti e delle libertà fondamentali delle persone fisiche e particolarmente del diritto alla vita privata, con riguardo al trattamento dei dati personali, nonché l'eliminazione degli ostacoli alla libera circolazione di tali dati, enuncia, ai considerando 2, da 8 a 10, 25, 28 e 29, quanto segue:
"(2) considerando che i sistemi di trattamento dei dati sono al servizio dell'uomo; che essi, indipendentemente dalla nazionalità o dalla residenza delle persone fisiche, debbono rispettare le libertà e i diritti fondamentali delle stesse, in particolare la vita privata, e debbono contribuire al progresso economico e sociale, allo sviluppo degli scambi nonché al benessere degli individui;
(...)
(8) considerando che, per eliminare gli ostacoli alla circolazione dei dati personali, il livello di tutela dei diritti e delle libertà delle persone relativamente al trattamento di tali dati deve essere equivalente in tutti gli Stati membri (...)
(9) considerando che, data la protezione equivalente derivante dal ravvicinamento delle legislazioni nazionali, gli Stati membri non potranno più ostacolare la libera circolazione tra loro di dati personali per ragioni inerenti alla tutela dei diritti e delle libertà delle persone fisiche, segnatamente del diritto alla vita privata (...)
(10) considerando che le legislazioni nazionali relative al trattamento dei dati personali hanno lo scopo di garantire il rispetto dei diritti e delle libertà fondamentali, in particolare del diritto alla vita privata, riconosciuto anche dall'articolo 8 della Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali[, firmata a Roma il 4 novembre 1950,] e dai principi generali del diritto comunitario; che pertanto il ravvicinamento di dette legislazioni non deve avere per effetto un indebolimento della tutela da esse assicurata ma deve anzi mirare a garantire un elevato grado di tutela nella Comunità;
(...)
(25) considerando che i principi di tutela si esprimono, da un lato, nei vari obblighi a carico delle persone (...) responsabili del trattamento, obblighi relativi in particolare alla qualità dei dati, alla sicurezza tecnica, alla notificazione all'autorità di controllo, alle circostanze in cui il trattamento può essere effettuato e, dall'altro, nel diritto delle persone, i cui dati sono oggetto di trattamento, di esserne informate, di poter accedere ai dati, e chiederne la rettifica, o di opporsi al trattamento in talune circostanze;
(...)
(28) considerando che qualsivoglia trattamento di dati personali deve essere eseguito lealmente e lecitamente nei confronti delle persone interessate; che esso deve in particolare avere per oggetto dati adeguati, pertinenti e non eccedenti rispetto alle finalità perseguite; che tali finalità devono essere esplicite e legittime e specificate al momento della raccolta dei dati; che le finalità dei trattamenti successivi alla raccolta non possono essere incompatibili con quelle originariamente specificate;
(29) considerando che l'ulteriore trattamento di dati personali per scopi storici, statistici o scientifici non è generalmente considerato incompatibile con le finalità per le quali i dati erano stati preventivamente raccolti, purché gli Stati membri forniscano adeguate garanzie; che tali garanzie devono soprattutto impedire l'uso dei dati per l'adozione di misure o decisioni nei confronti di singole persone".
15. L'articolo 2 della direttiva 95/46 dispone quanto segue:
"Ai fini della presente direttiva si intende per:
a) "dati personali": qualsiasi informazione concernente una persona fisica identificata o identificabile ("persona interessata"); si considera identificabile la persona che può essere identificata, direttamente o indirettamente, in particolare mediante riferimento ad un numero di identificazione o ad uno o più elementi specifici caratteristici della sua identità fisica, fisiologica, psichica, economica, culturale o sociale;
b) "trattamento di dati personali" ("trattamento"): qualsiasi operazione o insieme di operazioni compiute con o senza l'ausilio di processi automatizzati e applicate a dati personali, come la raccolta, la registrazione, l'organizzazione, la conservazione, l'elaborazione o la modifica, l'estrazione, la consultazione, l'impiego, la comunicazione mediante trasmissione, diffusione o qualsiasi altra forma di messa a disposizione, il raffronto o l'interconnessione, nonché il congelamento, la cancellazione o la distruzione;
(...)
d) "responsabile del trattamento": la persona fisica o giuridica, l'autorità pubblica, il servizio o qualsiasi altro organismo che, da solo o insieme ad altri, determina le finalità e gli strumenti del trattamento di dati personali. Quando le finalità e i mezzi del trattamento sono determinati da disposizioni legislative o regolamentari nazionali o comunitarie, il responsabile del trattamento o i criteri specifici per la sua designazione possono essere fissati dal diritto nazionale o comunitario;
(...)".
16. L'articolo 3 di tale direttiva, intitolato "Campo d'applicazione", al suo paragrafo 1 dispone quanto segue:
"Le disposizioni della presente direttiva si applicano al trattamento di dati personali interamente o parzialmente automatizzato nonché al trattamento non automatizzato di dati personali contenuti o destinati a figurare negli archivi".
17. Al capo II, sezione I, della direttiva 95/46, intitolata "Principi relativi alla qualità dei dati", l'articolo 6 di tale direttiva così recita:
"1. Gli Stati membri dispongono che i dati personali devono essere:
a) trattati lealmente e lecitamente;
b) rilevati per finalità determinate, esplicite e legittime, e successivamente trattati in modo non incompatibile con tali finalità. Il trattamento successivo dei dati per scopi storici, statistici o scientifici non è ritenuto incompatibile, purché gli Stati membri forniscano garanzie appropriate;
c) adeguati, pertinenti e non eccedenti rispetto alle finalità per le quali vengono rilevati e/o per le quali vengono successivamente trattati;
d) esatti e, se necessario, aggiornati; devono essere prese tutte le misure ragionevoli per cancellare o rettificare i dati inesatti o incompleti rispetto alle finalità per le quali sono rilevati o sono successivamente trattati, cancellati o rettificati;
e) conservati in modo da consentire l'identificazione delle persone interessate per un arco di tempo non superiore a quello necessario al conseguimento delle finalità per le quali sono rilevati o sono successivamente trattati. Gli Stati membri prevedono garanzie adeguate per i dati personali conservati oltre il suddetto arco di tempo per motivi storici, statistici o scientifici.
2. Il responsabile del trattamento è tenuto a garantire il rispetto delle disposizioni del paragrafo 1".
18. Al capo II, sezione II, della direttiva 95/46, intitolata "Principi relativi alla legittimazione del trattamento dei dati", l'articolo 7 di tale direttiva così recita:
"Gli Stati membri dispongono che il trattamento di dati personali può essere effettuato soltanto quando:
(...)
c) è necessario per adempiere un obbligo legale al quale è soggetto il responsabile del trattamento, oppure
(...)
e) è necessario per l'esecuzione di un compito di interesse pubblico o connesso all'esercizio di pubblici poteri di cui è investito il responsabile del trattamento o il terzo a cui vengono comunicati i dati, oppure
f) è necessario per il perseguimento dell'interesse legittimo del responsabile del trattamento oppure del o dei terzi cui vengono comunicati i dati, a condizione che non prevalgano l'interesse o i diritti e le libertà fondamentali della persona interessata, che richiedono tutela ai sensi dell'articolo 1, paragrafo 1".
19. Inoltre, l'articolo 12 di detta direttiva, intitolato "Diritto di accesso", prevede quanto segue:
"Gli Stati membri garantiscono a qualsiasi persona interessata il diritto di ottenere dal responsabile del trattamento:
(...)
b) a seconda dei casi, la rettifica, la cancellazione o il congelamento dei dati il cui trattamento non è conforme alle disposizioni della presente direttiva, in particolare a causa del carattere incompleto o inesatto dei dati;
(...)".
20. Infine, l'articolo 14 della direttiva 95/46, intitolato "Diritto di opposizione della persona interessata", così recita:
"Gli Stati membri riconoscono alla persona interessata il diritto:
a) almeno nei casi di cui all'articolo 7, lettere e) e f), di opporsi in qualsiasi momento, per motivi preminenti e legittimi, derivanti dalla sua situazione particolare, al trattamento di dati che la riguardano, salvo disposizione contraria prevista dalla normativa nazionale. In caso di opposizione giustificata il trattamento effettuato dal responsabile non può più riguardare tali dati;
(...)".
B - La normativa italiana
21. L'articolo 2188 del Codice civile stabilisce quanto segue:
"È istituito il registro delle imprese per le iscrizioni previste dalla legge.
Il registro è tenuto dall'ufficio del registro delle imprese sotto la vigilanza di un giudice delegato dal presidente del tribunale.
Il registro è pubblico".
22. L' articolo 8, paragrafi 1 e 2, della legge del 29 dicembre 1993, n. 580 - Riordinamento delle camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura (8), prevede che la tenuta del registro delle imprese sia affidata alle camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura.
23. Il decreto del Presidente della Repubblica del 7 dicembre 1995, n. 581 - Regolamento di attuazione dell' articolo 8 della legge 29 dicembre 1993, n. 580, in materia di istituzione del registro delle imprese di cui all'articolo 2188 del codice civile (9), disciplina taluni dettagli relativi al registro delle imprese.
24. La trasposizione nel diritto italiano della direttiva 95/46 è assicurata dal decreto legislativo del 30 giugno 2003, n. 196 - Codice in materia di protezione dei dati personali (10).
II - Procedimento principale e questioni pregiudiziali
25. Il sig. Manni è l'amministratore unico della Italiana Costruzioni S.r.l., società edile che ha ricevuto l'appalto per la costruzione di un complesso turistico.
26. Con ricorso del 12 dicembre 2007, il sig. Manni ha convenuto in giudizio la Camera di commercio di Lecce, affermando che le unita' immobiliari di tale complesso non trovavano acquirenti, in quanto risultava dal registro delle imprese che egli era stato l'amministratore unico e il liquidatore della Immobiliare e Finanziaria Salentina S.r.l. (in prosieguo: l'"Immobiliare Salentina"), il cui fallimento era stato dichiarato nel 1992 e che era stata cancellata dal registro delle imprese all'esito della liquidazione, in data 7 luglio 2005.
27. Nell'ambito di tale ricorso, il sig. Manni ha fatto valere che tali dati personali, contenuti nel registro delle imprese, sono stati trattati da società di informazione professionale, quali la Cerved Business Information S.p.A., e che, nonostante una richiesta in tal senso in data 10 aprile 2006, la Camera di commercio di Lecce non aveva provveduto alla loro cancellazione.
28. Il sig. Manni ha dunque chiesto, da un lato, la condanna della Camera di commercio di Lecce alla cancellazione, alla trasformazione in forma anonima o al blocco dei dati che lo ricollegano al fallimento della Immobiliare Salentina, e, dall'altro, la condanna della Camera di commercio di Lecce al risarcimento del danno all'immagine cagionatogli.
29. Con sentenza del 1° agosto 2011, il Tribunale di Lecce (Italia) ha accolto tale domanda, ordinando alla Camera di commercio di Lecce la trasformazione in forma anonima dei dati che collegavano il sig. Manni al fallimento della Immobiliare Salentina e condannandola al risarcimento del danno subito da quest'ultimo, liquidato in EUR 2 000, oltre interessi e spese.
30. Il Tribunale di Lecce ha ritenuto, infatti, che fosse "difficilmente sostenibile la necessita' e l'utilità dell'indicazione nominativa dell'amministratore unico della società al tempo del fallimento", per la circostanza che "si tratta di fatti avvenuti oltre un decennio prima e nonostante l'intervenuta cancellazione della società dal registro (...) da pi ù di due anni". Secondo tale Tribunale, la ""memoria storica" dell'esistenza della società e delle vicissitudini che l'hanno interessata può essere ampiamente realizzata anche mediante dati anonimi". Infatti, "le iscrizioni che collegano il nominativo di una persona fisica ad una fase patologica della vita dell'impresa (come il fallimento) non possono essere perenni, in mancanza di uno specifico interesse generale alla loro conservazione e divulgazione". Giacché il codice civile non prevede un tempo massimo d'iscrizione, detto tribunale ha ritenuto che, "trascorso un lasso di tempo congruo" dalla definizione del fallimento e cancellata la società dal registro, cada la necessita' e l'utilità, ai sensi del decreto legislativo n. 196 , dell'indicazione nominativa dell'ex amministratore unico al tempo del fallimento, potendo l'interesse pubblico essere soddisfatto dall'indicazione delle vicissitudini della società con dati anonimi quanto alla persona fisica che ne era il rappresentante legale.
31. Investita dalla Camera di commercio di Lecce di un ricorso per cassazione avverso tale sentenza, la Corte suprema di cassazione ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:
"1) Se il principio di conservazione dei dati personali in modo da consentire l'identificazione delle persone interessate per un arco di tempo non superiore a quello necessario al conseguimento delle finalità per le quali sono rilevati o sono successivamente trattati, previsto dall'art[icolo] 6, [paragrafo 1,] lett[era] e), della direttiva 95/46[...], attuata dal decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 , debba prevalere e, quindi, osti al sistema di pubblicità attuato con il registro delle imprese, previsto dalla (...) direttiva 68/15[...], nonché dal diritto nazionale agli art[icoli] 2188 c.c. e 8 della legge 29 dicembre 1993, n. 580 , [Riordinamento delle camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura], laddove esso esige che chiunque, senza limiti di tempo, possa conoscere i dati relativi alle persone fisiche ivi risultanti.
2) Se, quindi, l'art[icolo] 3 della (...) direttiva 68/151[...] consenta che, in deroga alla durata temporale illimitata e ai destinatari indeterminati dei dati pubblicati sul registro delle imprese, i dati stessi non siano più soggetti a "pubblicità", in tale duplice significato, ma siano invece disponibili solo per un tempo limitato o nei confronti di destinatari determinati, in base ad una valutazione casistica affidata al gestore del dato".
III - Analisi
32. Con le presenti questioni, che, a mio avviso, devono essere esaminate congiuntamente, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, alla Corte, se l'articolo 2, paragrafo 1, lettere d) e j), nonché l'articolo 3 della direttiva 68/151 e l'articolo 6, paragrafo 1, lettera e), nonché l'articolo 7, lettere c), e) e f), della direttiva 95/46, in combinato disposto con gli articoli 7 e 8 della Carta, debbano essere interpretati nel senso che essi impongono, o al contrario escludono, che i dati personali iscritti nel registro delle imprese possano, dopo un certo periodo di tempo e su richiesta della parte interessata, essere cancellati, resi anonimi o bloccati oppure resi accessibili unicamente ad una cerchia ristretta di terzi, ossia a coloro che comprovino un interesse legittimo all'accesso a tali dati.
33. La Corte è invitata a rispondere a tali questioni nel contesto della domanda, formulata dal sig. Manni, intesa ad ottenere che i suoi dati personali contenuti nel registro delle imprese tenuto dalla Camera di commercio di Lecce, collegati ad una società da lui in precedenza amministrata e dichiarata fallita, vengano cancellati, resi anonimi o bloccati.
34. Inoltre, dette questioni vertono sulla compatibilità con il diritto dell'Unione del trattamento di tali dati da parte della Camera di commercio di Lecce, e non sulla compatibilità con questo stesso diritto di un ulteriore trattamento di detti dati da parte di una società di informazione professionale.
35. Le questioni poste dal giudice del rinvio mirano a conciliare due principi, ossia, da un lato, il principio di pubblicità dei registri delle imprese, sancito dalla direttiva 68/151, e, dall'altro, il principio di conservazione dei dati personali per un arco di tempo non superiore a quello necessario al conseguimento delle finalità per le quali tali dati sono trattati, sancito dalla direttiva 95/46.
36. Al fine di conciliare questi due principi il giudice del rinvio prende in considerazione la possibilità di limitare il principio di pubblicità dei registri delle imprese consentendo l'accesso ai dati personali ivi iscritti solo per un periodo limitato e/o a vantaggio di una cerchia ristretta di persone.
37. Occorre anzitutto precisare che il trattamento di dati personali di cui al procedimento principale rientra nell'ambito di applicazione della direttiva 95/46 (11).
38. I dati che devono figurare nei registri delle imprese, ai sensi dell'articolo 2, paragrafo 1, lettere d) e j), della direttiva 68/151, sono dati personali ai sensi dell'articolo 2, lettera a), della direttiva 95/46, in quanto si tratta di "informazion[i] concernent[i] una persona fisica identificata o identificabile" (12). La circostanza che tali informazioni si inseriscano nel contesto di un'attività professionale non è idonea a privarle della loro qualificazione quale insieme di dati personali (13).
39. Occorre poi rilevare che l'articolo 2, lettera b), della direttiva 95/46, definisce il "trattamento di dati personali" come "qualsiasi operazione o insieme di operazioni compiute con o senza l'ausilio di processi automatizzati e applicate a dati personali, come la raccolta, la registrazione, l'organizzazione, la conservazione, l'elaborazione o la modifica, l'estrazione, la consultazione, l'impiego, la comunicazione mediante trasmissione, diffusione o qualsiasi altra forma di messa a disposizione, il raffronto o l'interconnessione, nonché il congelamento, la cancellazione o la distruzione".
40. È pacifico che la registrazione, la conservazione e la messa a disposizione di dati personali da parte dell'autorità incaricata della tenuta del registro delle imprese presentano il carattere di un "trattamento di dati personali", ai sensi dell'articolo 2, lettera b), della direttiva 95/46. Inoltre, tale autorità costituisce il "responsabile" di tale trattamento, ai sensi dell'articolo 2, lettera d), di tale direttiva.
41. Le norme di tutela dei dati personali contenute nella direttiva 95/46 devono essere osservate con riferimento a qualsiasi trattamento di questi ultimi, come definito dal suo articolo 3 (14).
42. La direttiva 68/151 non prevede alcun termine alla scadenza del quale dovrebbero essere cancellate, rese anonime o bloccate le informazioni contenute nei registri delle imprese. Tale direttiva non prevede neanche la limitazione dell'accesso alle dette informazioni, dopo un certo periodo di tempo, ad una cerchia ristretta di persone. Orbene, nell'attuare la suddetta direttiva, gli Stati membri sono tenuti a rispettare le norme del diritto dell'Unione in materia di protezione dei dati personali, ossia la direttiva 95/46, nonché gli articoli 7 e 8 della Carta.
43. Per quanto attiene alle norme contenute nella direttiva 95/46, il trattamento di dati personali al quale procedono le autorità nazionali incaricate della tenuta dei registri delle imprese deve essere conforme ai principi relativi alla qualità dei dati, enunciati all'articolo 6 di tale direttiva, e soddisfare uno dei principi relativi alla legittimazione dei trattamenti di dati, elencati all'articolo 7 di detta direttiva.
44. La Corte ha già statuito che le disposizioni della direttiva 95/46, disciplinando il trattamento di dati personali che possono arrecare pregiudizio alle libertà fondamentali e, segnatamente, al diritto al rispetto della vita privata, devono essere necessariamente interpretate alla luce dei diritti fondamentali garantiti dalla Carta (15).
45. In tal senso, l'articolo 7 della Carta garantisce il diritto al rispetto della vita privata, mentre l'articolo 8 della medesima proclama espressamente il diritto alla protezione dei dati personali. L'articolo 8, paragrafi 2 e 3, della Carta, precisa che tali dati devono essere trattati secondo il principio di lealtà, per finalità determinate e in base al consenso della persona interessata o a un altro fondamento legittimo previsto dalla legge; che ogni persona ha il diritto di accedere ai dati raccolti che la riguardano e di ottenerne la rettifica, e che il rispetto di tali regole è soggetto al controllo di un'autorità indipendente. Tali prescrizioni ricevono attuazione in particolare mediante gli articoli 6, 7, 12, 14 e 28 della direttiva 95/46.
46. Risulta dall'articolo 1, nonché dai considerando 2 e 10 della direttiva 95/46, che essa è intesa a garantire non solo una tutela efficace e completa delle libertà e dei diritti fondamentali delle persone fisiche, e segnatamente del diritto fondamentale al rispetto della vita privata con riguardo al trattamento dei dati personali, ma anche un livello elevato di protezione di tali libertà e diritti fondamentali. L'importanza tanto del diritto fondamentale al rispetto della vita privata, garantito dall'articolo 7 della Carta, quanto del diritto fondamentale alla tutela dei dati personali, garantito dall'articolo 8 della stessa, è inoltre sottolineata nella giurisprudenza della Corte (16).
47. Ciò premesso, discende dalla giurisprudenza della Corte che il diritto alla protezione dei dati personali non appare come una prerogativa assoluta, ma va considerato alla luce della sua funzione sociale (17). Inoltre, l'articolo 52, paragrafo 1, della Carta, ammette che possano essere apportate limitazioni all'esercizio di diritti come quelli sanciti dagli articoli 7 e 8 della medesima, purché tali limitazioni siano previste dalla legge, rispettino il contenuto essenziale di detti diritti e libertà e, nel rispetto del principio di proporzionalità, siano necessarie e rispondano effettivamente a finalità di interesse generale riconosciute dall'Unione Europea o all'esigenza di proteggere i diritti e le libertà altrui.
48. I dubbi del giudice del rinvio si concentrano sull'interpretazione dell'articolo 6, paragrafo 1, lettera e), della direttiva 95/46, che prevede che i dati personali devono essere "conservati in modo da consentire l'identificazione delle persone interessate per un arco di tempo non superiore a quello necessario al conseguimento delle finalità per le quali sono rilevati o sono successivamente trattati". Tale disposizione precisa parimenti che "[g]li Stati membri prevedono garanzie adeguate per i dati personali conservati oltre il suddetto arco di tempo per motivi storici, statistici o scientifici".
49. Il principio relativo alla qualità dei dati enunciato all'articolo 6, paragrafo 1, lettera e), della direttiva 95/46, significa che, fintantoché la finalità per la quale i dati personali sono stati rilevati e, se del caso, successivamente trattati lo richieda, la conservazione di tali dati in modo da consentire l'identificazione delle persone interessate resta lecita.
50. Il problema sollevato dalla presente causa è se le autorità nazionali incaricate della tenuta dei registri delle imprese debbano decidere, dopo il decorso di un certo periodo di tempo a partire dalla cessazione delle attività di una società e su richiesta della persona interessata, vuoi di cancellare o rendere anonimi i suoi dati personali contenuti in un registro delle imprese vuoi di limitarne la pubblicità restringendo la cerchia dei loro destinatari.
51. Ritengo che le norme del diritto dell'Unione relative alla protezione dei dati personali non impongano limitazioni del genere alla pubblicità legale offerta dai registri delle imprese.
52. Rilevo, anzitutto, che il trattamento dei dati personali di cui al procedimento principale è conforme a diversi principi relativi alla legittimazione dei trattamenti di dati elencati all'articolo 7 della direttiva 95/46. In primo luogo, in conformità all'articolo 7, lettera c), di tale direttiva, tale trattamento è "necessario per adempiere un obbligo legale al quale è soggetto il responsabile del trattamento". In secondo luogo, in conformità all'articolo 7, lettera e), di detta direttiva, detto trattamento è "necessario per l'esecuzione di un compito di interesse pubblico o connesso all'esercizio di pubblici poteri di cui è investito il responsabile del trattamento". In terzo luogo, in conformità all'articolo 7, lettera f), della direttiva 95/46, un siffatto trattamento è "necessario per il perseguimento dell'interesse legittimo (...) del o dei terzi cui vengono comunicati i dati, a condizione che non prevalgano l'interesse o i diritti e le libertà fondamentali della persona interessata, che richiedono tutela ai sensi dell'articolo 1, paragrafo 1".
53. L'obbligo legale al quale sono soggetti i responsabili del trattamento risulta dagli articoli 2 e 3 della direttiva 68/151, come trasposti nei diritti degli Stati membri, i quali impongono a questi ultimi di prevedere l'iscrizione nei registri delle imprese di dati personali relativi agli amministratori e ai liquidatori di società, nonché l'accesso dei terzi a tali dati.
54. L'iscrizione e la pubblicazione in tali registri delle informazioni essenziali relative alle società mirano a creare una fonte di informazione attendibile e ad assicurare in tal modo la certezza del diritto necessaria alla tutela degli interessi dei terzi, e segnatamente degli interessi dei creditori, la lealtà delle transazioni commerciali e, pertanto, il buon funzionamento del mercato. I terzi devono dunque poter accedere ad informazioni ufficiali e attendibili sulle società, al fine di garantire un livello adeguato di trasparenza e di certezza del diritto sul mercato.
55. Le esigenze di pubblicità riguardano le società individuate all'articolo 1 della direttiva 68/151. Tali società beneficiano di uno status giuridico particolare che offre loro i vantaggi connessi alla personalità giuridica. In compenso, risponde all'interesse pubblico che le informazioni relative alle persone fisiche coinvolte in siffatte società possano essere controllate ed assoggettate a pubblicità.
56. Nella sentenza del 12 luglio 2012, Compass-Datenbank (C-138/11, EU:C:2012:449), la Corte ha dichiarato che un'attività di raccolta di dati relativi ad imprese, basata su un obbligo legale di dichiarazione imposto a queste ultime e sui correlativi poteri coercitivi, rientra nell'esercizio di pubblici poteri. Di conseguenza, un'attività di tal genere non configura un'attività economica (18).
57. Del pari, secondo la Corte, un'attività consistente nel conservare e nel rendere accessibili al pubblico i dati in tal modo raccolti, vuoi mediante semplice consultazione, vuoi mediante la fornitura di copie su supporto cartaceo, conformemente alla normativa nazionale applicabile, non costituisce neanch'essa un'attività economica, poiché la tenuta di una banca dati contenente tali dati e la sua messa a disposizione del pubblico sono attività inscindibili dall'attività di raccolta degli stessi dati. Invero, la raccolta di suddetti dati sarebbe ampiamente privata della sua utilità qualora non venisse tenuta una banca dati che li registra affinché possano essere consultati dal pubblico (19).
58. Condivido il punto di vista espresso dall'avvocato generale Jääskinen nelle sue conclusioni nella causa Compass-Datenbank (C-138/11, EU:C:2012:251), nelle quali egli ha affermato che "[è] indubbio che la memorizzazione in una banca dati, nella fattispecie il registro delle imprese, delle informazioni fornite dalle imprese in adempimento di un obbligo legale di notificazione si ricollega, per la sua natura, il suo oggetto e le norme alle quali è soggetta, all'esercizio di prerogative pubbliche" (20). Egli ha parimenti precisato che "[l]a memorizzazione di dati nel registro delle imprese, in ottemperanza ad un obbligo legale in tal senso, costituisce un'attività svolta nell'interesse generale della certezza del diritto" (21) e che "[l]o scopo esplicito dei registri pubblici, quale il registro delle imprese, consiste nel creare una fonte di informazioni attendibile nei rapporti giuridici e pertanto nel garantire la certezza del diritto necessaria ai fini degli scambi sul mercato" (22). Infine, l'opponibilità ai terzi delle informazioni iscritte nei registri delle imprese può essere conferita solo mediante specifiche disposizioni di legge, il che distingue tali informazioni da quelle che verrebbero raccolte da imprese a fini commerciali (23).
59. A tal riguardo, come rilevato correttamente dal giudice del rinvio, occorre distinguere il trattamento di dati personali posto in essere dall'autorità incaricata della tenuta del registro delle imprese da quello effettuato da terzi a partire dalle informazioni comprese in tale registro. Infatti, solo il primo trattamento costituisce una manifestazione dell'esercizio dell'autorità pubblica diretta alla regolazione del mercato e non alla partecipazione ad esso.
60. Come risulta dal suo primo considerando, la direttiva 68/151 mira a favorire lo sviluppo del mercato interno. Per conseguire detto obiettivo, tale direttiva prevede norme minime comuni sulla pubblicità delle società e sulle informazioni minime che i registri devono contenere, a vantaggio della certezza del diritto necessaria agli scambi e allo sviluppo stesso del mercato interno.
61. Secondo il secondo considerando della direttiva 68/151, l'obiettivo di quest'ultima è garantire la tutela degli interessi dei terzi. In particolare, secondo il quarto considerando di tale direttiva, "la pubblicità deve consentire ai terzi di conoscere gli atti essenziali della società, certe indicazioni che la concernono, in particolare le generalità delle persone che hanno il potere di obbligarla". Discende parimenti dai considerando dal quarto al sesto della suddetta direttiva, che il fatto di comunicare ai terzi gli atti e le indicazioni essenziali relativi alla società, e in particolare i dati relativi alle persone che hanno il potere di obbligarla, è strettamente connesso alla necessità di limitare, per quanto possibile, le cause di invalidità delle obbligazioni assunte in nome della società. Pertanto, la pubblicità dei dati iscritti nel registro delle imprese è intesa a garantire la certezza del diritto nelle transazioni commerciali.
62. Il legislatore dell'Unione ha in tal modo sottolineato l'importanza, per i terzi, di poter accedere ai dati relativi alle persone che hanno il potere di rappresentare la società o che partecipano all'amministrazione, alla sorveglianza o al controllo della medesima. Nella sentenza del 12 novembre 1974, Haaga (32/74, EU:C:1974:116), la Corte ha rilevato che lo scopo della direttiva 68/151 è quello di "fornire una garanzia giuridica per le relazioni tra la società ed i terzi, in previsione di un incremento degli scambi commerciali fra gli Stati membri in seguito all'istituzione del mercato comune" (24). In un'ottica del genere, è indispensabile, a suo avviso, che "chiunque intenda intrattenere rapporti d'affari con società aventi la propria sede in altri Stati membri possa conoscere agevolmente i dati essenziali relativi alla struttura delle imprese ed ai poteri dei loro rappresentanti" (25). Per questo motivo, nell'interesse delle transazioni giuridiche fra cittadini di Stati membri diversi, tutti i dati rilevanti "devono figurare, in maniera esplicita, nei registri o nelle pubblicazioni ufficiali" (26). Ciascuna autorità nazionale incaricata della tenuta del registro delle imprese diviene pertanto "depositaria di ciò che assomiglia allo stato civile delle persone giuridiche" (27).
63. Inoltre, la Corte ha già avuto l'occasione di affermare che la tutela degli interessi dei terzi, e in particolare dei creditori, nonché la tutela della lealtà e della certezza del diritto nei rapporti commerciali, costituiscono motivi imperativi di interesse pubblico (28).
64. Alla luce degli elementi che precedono, gli Stati membri, nell'attuare gli articoli 2 e 3 della direttiva 68/151, i quali prevedono la pubblicità legale delle informazioni iscritte nel registro delle imprese, perseguono dunque indubbiamente un obiettivo di interesse generale riconosciuto dall'Unione, come richiesto dall'articolo 52, paragrafo 1, della Carta.
65. Resta da stabilire se una siffatta pubblicità legale, senza limiti di durata e destinata ad una cerchia indeterminata di persone, non ecceda quanto necessario al conseguimento di siffatto obiettivo di interesse generale.
66. A tal riguardo, rilevo che discende dalla giurisprudenza della Corte che la protezione del diritto fondamentale al rispetto della vita privata a livello dell'Unione richiede che le deroghe e le restrizioni alla tutela dei dati personali operino entro i limiti dello stretto necessario (29).
67. Ciò premesso, la Corte ha parimenti precisato che, al fine di garantire la protezione dei dati personali, le autorità nazionali di controllo devono assicurare un giusto equilibrio fra, da un lato, il rispetto del diritto fondamentale alla vita privata e, dall'altro, gli interessi che impongono una libera circolazione dei dati personali (30). Non si deve perdere di vista, a tal riguardo, il fatto che l'obiettivo perseguito dalla direttiva 95/46 consiste nel mantenere l'equilibrio tra la libera circolazione dei dati personali e la tutela della vita privata (31).
68. Ritengo che, nel caso della pubblicità legale delle informazioni relative alle società, gli interessi che impongono una libera circolazione dei dati personali prevalgano sul diritto delle persone i cui dati figurano in un registro delle imprese a reclamarne, dopo un certo periodo di tempo, la cancellazione o la trasformazione in forma anonima oppure a chiedere che la loro pubblicazione sia limitata ai terzi che comprovano un interesse legittimo.
69. Occorre, infatti, preservare la funzione essenziale del registro delle imprese, consistente nel tratteggiare un quadro completo della vita, e poi della storia di una società, e nel consentire a chiunque di venire a conoscenza delle informazioni che compongono tale quadro, ovunque si trovi e senza limiti di tempo.
70. Garantire tale funzione essenziale del registro delle imprese non costituisce, a mio avviso, una violazione sproporzionata del diritto alla protezione dei dati personali, e ciò per i seguenti motivi.
71. In primo luogo, la pubblicità legale richiesta dalla direttiva 68/151 verte su un numero limitato di informazioni che riguardano, come precisato dal considerando 4 di tale direttiva, "gli atti essenziali della società, certe indicazioni che la concernono, in particolare le generalità delle persone che hanno il potere di obbligarla". Segnatamente, i dati personali elencati all'articolo 2, paragrafo 1, lettere d) e j), della suddetta direttiva, rappresentano le informazioni minime per individuare le persone fisiche che si celano dietro la maschera della personalità giuridica indossata dalle società.
72. In secondo luogo, occorre sottolineare che la pubblicità delle informazioni iscritte nel registro delle imprese resta necessaria per la tutela degli interessi dei terzi, anche allorché esse riguardano società che hanno cessato la loro attività da diversi anni ovvero da diversi decenni.
73. A tal riguardo, mi sembra pacifico che tali informazioni, inclusi i dati personali, debbano essere soggette al principio di pubblicità del registro non solo fintantoché una società è operante sul mercato, bensì anche dopo la cessazione delle sue attività. La scomparsa di una società e la sua conseguente cancellazione dal registro non escludono, infatti ,che i diritti e i rapporti giuridici ad essa relativi possano continuare ad esistere. È pertanto necessario che le persone che possono far valere siffatti diritti nei confronti di una società che abbia cessato le proprie attività, o che hanno allacciato siffatti rapporti giuridici con tale società, possano accedere alle informazioni relative a quest'ultima, inclusi i dati personali concernenti i dirigenti della medesima.
74. Come rilevato dal governo tedesco, anche dati che non sono più attuali sono importanti per gli scambi economici. In tal senso, in caso di controversia, è spesso necessario sapere chi era legittimato a rappresentare una società in un determinato periodo (32). Nello stesso senso, ritengo, al pari dei governi ceco e polacco, che sia necessario conservare le informazioni nel registro anche dopo lo scioglimento di una società, dal momento che tali informazioni possono ancora rivelarsi rilevanti, ad esempio al fine di verificare la legalità di un atto effettuato diversi anni prima dal dirigente di una società oppure affinché terzi possano avviare un'azione nei confronti dei membri degli organi o dei liquidatori di una società.
75. Inoltre, i terzi devono potersi fare in qualsiasi momento un'idea attendibile di una società, a prescindere dalla questione se essa sia ancora attiva sul mercato o meno, nonché dei suoi dirigenti, al fine di poter valutare i rischi di una relazione commerciale. L'obiettivo di tutela dei terzi, il quale implica la possibilità di ottenere un'immagine fedele della storia di una società, depone dunque a favore della conservazione e della pubblicità per un periodo di tempo indeterminato delle informazioni iscritte nel registro delle imprese.
76. Una delle funzioni del registro delle imprese consiste proprio nell'informare in modo attendibile ed esaustivo i terzi in ordine a fatti passati. Ciascun registro è pertanto composto da dati attuali e da dati storici.
77. Tale registro deve garantire un accesso completo, rapido e trasparente a tutte le informazioni relative alle società che operano o che hanno operato sul mercato, indipendentemente dal luogo in cui si trova la persona che chiede tale accesso. Chiunque deve poter venire a conoscenza del profilo integrale di ciascuna società, anche qualora essa abbia cessato le proprie attività da diversi anni. Rimuovere dal registro talune informazioni in relazione a quest'ultima categoria di società, con la conseguenza che il ritratto della società risulterebbe in tal caso incompleto, arrecherebbe dunque pregiudizio alla tutela degli interessi dei terzi.
78. Inoltre, diversamente da ciò che avviente nel caso della funzione statistica, la funzione storica del registro delle imprese e l'obiettivo di tutela dei terzi rendono necessarie la raccolta e la conservazione di dati nominativi. In altri termini, l'obiettivo inteso a realizzare un ritratto completo delle società è incompatibile con il trattamento di informazioni anonime (33). Un'informazione adeguata dei terzi esige, infatti, ad esempio, che essi possano fare il collegamento fra una società dichiarata fallita e i dirigenti che ne sono stati alla guida. Non condivido pertanto la posizione adottata dal Tribunale di Lecce, il quale aveva ritenuto che la memoria storica dell'esistenza di una società e delle vicissitudini che questa aveva attraversato potesse essere ampiamente realizzata anche mediante dati anonimi.
79. In concreto, nell'ambito della presente causa, l'interesse del sig. Manni a che non venga più portata a conoscenza del pubblico la sua passata attività di amministratore di una società che ha dovuto cessare le proprie attività a seguito di un fallimento, osta all'interesse dei terzi a potersi informare, anche a posteriori, per sapere chi fosse legittimato ad agire in nome di tale società ai tempi in cui quest'ultima era ancora in attività. In tal senso, può rivelarsi utile, per il futuro acquirente di un bene immobile, sapere da quanti anni la società incaricata della costruzione di tale bene sia presente sul mercato, se la persona che dirige tale società sia già stata alla guida di altre società nel passato e quale sia stata la storia di tali società. In particolare, la circostanza che una delle società sia stata dichiarata fallita può costituire, dal punto di vista dell'acquirente, un elemento determinante all'atto di acquisto.
80. Peraltro, alla luce della diversità dei termini di prescrizione delle azioni civili e commerciali in vigore all'interno degli Stati membri, della diversità degli interessi che i terzi possono avere alla consultazione dei registri delle imprese e del fatto che i rapporti giuridici possono coinvolgere soggetti in diversi Stati membri, mi sembra difficile, se non impossibile, per le autorità incaricate della tenuta di tali registri, decidere con certezza che, ad una determinata data, gli interessi dei terzi sono venuti meno. L'accoglimento, in un caso concreto, di una domanda di cancellazione o di trasformazione in forma anonima dei dati personali contenuti nel registro delle imprese potrebbe dunque arrecare pregiudizio ad altre domande di comunicazione di informazioni che permangono necessarie al fine di tutelare gli interessi dei terzi.
81. Nello stesso ordine di idee, al fine di illustrare il fatto che gli interessi dei terzi continuano a sussistere anche dopo la cancellazione di una società dal registro delle imprese, il governo italiano ha menzionato l'esistenza di termini di prescrizione molto lunghi in materia di responsabilità degli organi delle società di capitali, che peraltro possono essere interrotti nell'ambito di azioni giudiziarie, nonché l'assenza, in Italia, di un termine di prescrizione per le azioni di nullità.
82. Infine, rilevo che la Corte ha già riconosciuto che l'ambito di applicazione della direttiva 95/46 è molto ampio e che i dati personali ricompresi da tale direttiva sono vari. La durata della conservazione di questi ultimi, definita ai sensi dell'articolo 6, paragrafo 1, lettera e), di detta direttiva, in funzione delle finalità per le quali essi sono rilevati o sono successivamente trattati, può quindi essere diversa. In taluni casi, essa potrà essere molto lunga (34).
83. In terzo luogo, nella ponderazione che deve essere effettuata fra l'obiettivo di protezione dei terzi e il diritto alla protezione dei dati personali iscritti nel registro delle imprese, occorre tenere conto del fatto che i dati che consentono di identificare le persone fisiche compaiono in tale registro in quanto esse hanno deciso di esercitare la loro attività tramite una società dotata di personalità giuridica. Orbene, la Corte ha già rilevato che "la gravità della lesione del diritto alla protezione dei dati personali si presenta in maniera differente per le persone giuridiche e per le persone fisiche. Si deve rilevare, a tale riguardo, che le persone giuridiche sono già soggette a un obbligo più gravoso di pubblicazione dei dati che le riguardano" (35).
84. Condivido l'opinione del governo tedesco secondo il quale chiunque desideri partecipare agli scambi economici tramite una società commerciale deve essere pronto a rendere pubbliche determinate informazioni. Si tratta della contropartita dell'esercizio di un'attività sotto forma di una società che gode di personalità giuridica. L'imprenditore, allorché si lancia sul mercato creando una società commerciale, è consapevole del fatto che i suoi dati saranno iscritti nel registro delle imprese, il quale riveste natura pubblica, e che essi saranno disponibili indipendentemente dagli eventi che contrassegneranno la vita della sua società.
85. L'articolo 2, paragrafo 1, lettere d) e j), della direttiva 68/151 prevede l'iscrizione nel registro delle imprese delle indicazioni relative alle persone che, per un periodo determinato, svolgono funzioni in seno ad uno degli organi della società o rivestono il ruolo di liquidatore di tale società. Anche se la pubblicazione di tale genere di indicazioni può costituire un disagio per una persona fisica, a causa delle difficoltà eventualmente incontrate dalla società nella quale essa era impegnata, tale disagio costituisce un aspetto normale della partecipazione alla vita economica.
86. Aggiungo, al pari del governo italiano, che la circostanza che una società sia stata assoggettata a procedura concorsuale non rappresenta di per sé un dato lesivo della reputazione o dell'onorabilità dell'amministratore che l'ha rappresentata. Infatti, il fallimento di una società può essere stato determinato da circostanze esterne, non direttamente riferibili ad una cattiva gestione di tale società, ad esempio a causa di una crisi economica o di un calo della domanda nel settore di cui trattasi.
87. In quarto luogo, non penso che la soluzione proposta dalla Commissione, la quale consiste nel limitare, dopo un certo periodo di tempo dalla cessazione delle sue attività da parte di una società commerciale, la comunicazione delle informazioni iscritte nel registro delle imprese ad una cerchia ristretta di terzi che comprovano un interesse legittimo a conoscere tali informazioni, il quale prevale sui diritti fondamentali della persona interessata tutelati dagli articoli 7 e 8 della Carta, sia idonea, nella fase di sviluppo attuale del diritto dell'Unione, a garantire un giusto equilibrio fra l'obiettivo di tutela dei terzi e il diritto alla protezione dei dati personali iscritti nel registro delle imprese.
88. Rilevo, a tal riguardo, che l'obiettivo di tutela degli interessi dei terzi perseguito dalla direttiva 68/151 è formulato in modo sufficientemente ampio da coprire non solo i creditori della società i cui dati sono controversi, bensì anche, in modo più globale, tutte le persone che desiderano ottenere informazioni concernenti tale società.
89. La Corte ha già definito la categoria dei "terzi" i cui interessi la direttiva 68/151 mira a proteggere.
90. Nella sentenza del 4 dicembre 1997, Daihatsu Deutschland (C-97/96, EU:C:1997:581), la Corte ha accolto un'interpretazione ampia della nozione di terzi. Essa ha rilevato che il testo stesso dell'articolo 54, paragrafo 3, lettera g), del Trattato CE, il quale funge da base giuridica della direttiva 68/151, "menziona l'obiettivo di tutela dei terzi in generale senza distinguere o escludere categorie fra questi ultimi" (36). Secondo la Corte, "[d]i conseguenza la nozione di terzi prevista [da tale disposizione] non può essere limitata ai soli creditori della società" (37). La Corte ha parimenti considerato che "[l]e disposizioni dell'art[icolo] 3 della direttiva, che prevedono la tenuta di un registro pubblico nel quale devono essere registrati tutti gli atti e le indicazioni soggetti all'obbligo della pubblicità nonché la possibilità per chiunque di ottenere copia dei conti annuali per corrispondenza, confermano l'intento di consentire a qualsiasi interessato di ottenere informazioni" (38).
91. Nell' ordinanza del 23 settembre 2004 , Springer (C-435/02 e C-103/03, EU:C:2004:552), la Corte ha risposto in maniera ancora più chiara alla questione se il novero dei terzi da tutelare a norma dell'articolo 54, paragrafo 3, lettera g), del Trattato dovesse essere definito in modo da includere chiunque, a prescindere dal suo status. Fondandosi sul ragionamento adottato nella sentenza del 4 dicembre 1997, Daihatsu Deutschland (C-97/96, EU:C:1997:581), la Corte ha precisato che "gli obblighi in materia di pubblicità prescritti dall'art[icolo] 3 della prima direttiva società (...) implicano che chiunque abbia la possibilità di consultare i conti annuali e la relazione sulla gestione delle società costituite nelle forme considerate dalla [ direttiva 90/605/CEE (39)] senza dover dimostrare alcun diritto o interesse meritevole di tutela" (40). La Corte ha parimenti confermato che la nozione di "terzi", ai sensi dell'articolo 54, paragrafo 3, lettera g), del Trattato, "si riferisce a qualunque terzo" e che "tale nozione va interpretata estensivamente" (41).
92. Inoltre, la soluzione proposta dalla Commissione presenta il notevole inconveniente di lasciare alla libera valutazione delle autorità incaricate della tenuta dei registri delle imprese non solo la determinazione del momento in cui la pubblicità assoluta delle informazioni contenute in tali registri si trasforma in pubblicità selettiva, vale a dire destinata ad una cerchia ristretta di persone comprovanti un interesse legittimo ad ottenere tali informazioni, ma anche la decisione in ordine all'esistenza o meno di un siffatto interesse legittimo. Una soluzione del genere presenta pertanto un rischio maggiore di divergenze di valutazione fra le autorità incaricate della tenuta dei registri delle imprese.
93. Di conseguenza, consentire alle autorità incaricate della tenuta dei registri delle imprese di assoggettare la comunicazione di dati personali contenuti in tali registri all'esistenza di un interesse legittimo condurrebbe inevitabilmente a far venir meno la parità di accesso a tali dati fra gli operatori economici all'interno dell'Unione.
94. È vero che la direttiva 68/151 prevede misure di coordinamento che non sono destinate a disciplinare tutti gli aspetti relativi ai registri delle imprese degli Stati membri. Così, ad esempio, la fissazione dei criteri di ricerca che consentono di accedere alle informazioni contenute in tali registri rientra nel potere discrezionale degli Stati membri (42). Ciò premesso, risulta chiaramente dall'articolo 2, paragrafo 1, della direttiva 68/151, che essa mira a fissare la base minima delle informazioni relative alle società che devono essere oggetto di una pubblicità obbligatoria. Sarebbe vano prevedere una siffatta base uniforme per tutti gli Stati membri, se ciascuno di essi potesse modulare nel tempo e in funzione dell'esistenza o meno di un interesse legittimo l'accesso alle informazioni contenute nel loro registro delle imprese. Ciò sarebbe parimenti contrario allo scopo del coordinamento delle legislazioni nazionali che consiste, per quanto riguarda le direttive fondate sull'articolo 54 del Trattato, nell'eliminare gli ostacoli alla libertà di stabilimento che risultano dalla eterogeneità delle normative dei diversi Stati membri, instaurando nell'Unione, per quanto riguarda in particolare lo scopo previsto dall'articolo 54, paragrafo 3, lettera g), del Trattato, condizioni giuridiche minime equivalenti per quanto riguarda la portata delle informazioni relative alle società che devono essere rese pubbliche (43).
95. Inoltre, occorre ricordare che, come risulta in particolare dal suo considerando 8, la direttiva 95/46 mira a rendere equivalente in tutti gli Stati membri il livello di tutela dei diritti e delle libertà delle persone riguardo al trattamento dei dati personali.
96. Ancora, condivido il parere del governo tedesco secondo il quale far dipendere l'accesso al registro delle imprese dalla dimostrazione di un interesse legittimo, anche dopo un certo periodo di tempo, come proposto dalla Commissione, comprometterebbe il carattere operativo di tale registro. Infatti, la verifica dell'esistenza di un siffatto interesse legittimo del richiedente comporterebbe un onere amministrativo smisurato, in termini di tempi e costi, che metterebbe in discussione, in definitiva, la capacità del registro ad assolvere le sue funzioni.
97. Inoltre, se tutte le persone che prendono parte, a vario titolo, a rapporti commerciali, fossero soggette al rischio di non poter dimostrare il loro interesse ad ottenere informazioni contenute nel registro delle imprese, ciò avrebbe come effetto di diminuire la loro fiducia in tale strumento.
[color=red][b]98. In definitiva, ritengo che i registri pubblici come il registro delle imprese possano conseguire il loro scopo essenziale, vale a dire il rafforzamento della certezza del diritto mediante la messa a disposizione trasparente di informazioni giuridicamente attendibili, solo se l'accesso ai medesimi è aperto a tutti e per un periodo di tempo indeterminato.[/b][/color]
99. La Corte ha riconosciuto che il giusto equilibrio tra i diritti fondamentali tutelati dal diritto dell'Unione e gli obiettivi di interesse generale riconosciuti dall'Unione può dipendere dalla natura dell'informazione di cui trattasi e dal suo carattere sensibile per la vita privata della persona interessata, nonché dall'interesse del pubblico a disporre di tale informazione, il quale può variare, in particolare, a seconda del ruolo che tale persona riveste nella vita pubblica (44).
[b]100. La scelta fatta da talune persone fisiche di impegnarsi nella vita economica tramite una società commerciale implica un'esigenza permanente di trasparenza. Per questo principale motivo, modulato nei suoi diversi aspetti nelle considerazioni che precedono, ritengo che l'ingerenza nel diritto alla protezione dei dati personali contenuti nei registri delle imprese, consistente nell'assicurare una pubblicità a tali dati per un periodo di tempo indeterminato e a destinazione di chiunque chieda la comunicazione di detti dati, sia giustificata dall'interesse preponderante dei terzi ad accedere alle informazioni di cui trattasi (45).[/b]
[color=red][b]101. Infine, osservo che l'analisi che precede è in linea con l'articolo 17, paragrafo 3, lettere b) e d), del regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016, relativo alla protezione delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali, nonché alla libera circolazione di tali dati e che abroga la direttiva 95/46/CE (regolamento generale sulla protezione dei dati) (46). Infatti, tale disposizione prevede che il diritto alla cancellazione di dati personali o "diritto all'oblio" non si applica qualora il trattamento sia necessario "per l'adempimento di un obbligo legale che richieda il trattamento previsto dal diritto dell'Unione o dello Stato membro cui è soggetto il titolare del trattamento o per l'esecuzione di un compito svolto nel pubblico interesse oppure nell'esercizio di pubblici poteri di cui è investito il titolare del trattamento" o "a fini di archiviazione nel pubblico interesse".[/b][/color]
IV - Conclusione
102. Alla luce delle suesposte considerazioni, propongo alla Corte di rispondere nei seguenti termini alla Corte suprema di cassazione (Italia):
[color=red][b]L'articolo 2, paragrafo 1, lettere d) e j), nonché l' articolo 3 della direttiva 68/151/CEE del Consiglio del 9 marzo 1968, intesa a coordinare, per renderle equivalenti, le garanzie che sono richieste, negli Stati Membri, alle società a mente dell'articolo 58, secondo comma, del Trattato per proteggere gli interessi dei soci e dei terzi, come modificata dalla direttiva 2003/58/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 15 luglio 2003, e l'articolo 6, paragrafo 1, lettera e), nonché l' articolo 7, lettere c), e) e f), della direttiva 95/46/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 24 ottobre 1995, relativa alla tutela delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali, nonché alla libera circolazione di tali dati, in combinato disposto con gli articoli 7 e 8 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea, devono essere interpretati nel senso che essi ostano a che i dati personali iscritti nel registro delle imprese possano, dopo un certo periodo di tempo e su richiesta della persona interessata, essere cancellati, resi anonimi o bloccati, oppure resi accessibili unicamente ad una cerchia di terzi, ossia a coloro che comprovano un interesse legittimo all'accesso a siffatti dati.[/b][/color]
1 Lingua originale: il francese.
2- GU 1968, L 65, pag. 8.
3- GU 2003, L 221, pag. 13.
4- GU 1995, L 281, pag. 31.
5- Nelle presenti conclusioni, designerò con "registro delle imprese" ogni registro centrale, di commercio o delle imprese, ai sensi dell'articolo 3, paragrafo 1, della direttiva 68/151.
6- GU 2009, L 258, pag. 11.
7- GU 2012, L 156, pag. 1.
8- Supplemento ordinario alla GURI dell'11 gennaio 1994, n. 7.
9- GURI del 3 febbraio 1996, n. 28.
10- Supplemento ordinario alla GURI del 29 luglio 2003, n. 174; in prosieguo: il " decreto legislativo n. 196 ".
11- Ciò è stato confermato dal legislatore dell'Unione allorché la direttiva 2012/17 ha introdotto l'articolo 7 bis nella direttiva 2009/101.
12- V., segnatamente, sentenze del 16 dicembre 2008, Satakunnan Markkinapörssi e Satamedia (C-73/07, EU:C:2008:727, punto 35, nonché la giurisprudenza ivi citata), e del 30 maggio 2013, Worten (C-342/12, EU:C:2013:355, punto 19, nonché la giurisprudenza ivi citata).
13- V., segnatamente, sentenza del 16 luglio 2015, ClientEarth e PAN Europe/EFSA (C-615/13 P, EU:C:2015:489, punto 30, nonché la giurisprudenza ivi citata). Nella sentenza del 9 novembre 2010, Volker und Markus Schecke e Eifert (C-92/09 e C-93/09, EU:C:2010:662), la Corte ha dichiarato che "è irrilevante la circostanza che i dati pubblicati attengano ad attività professionali". Essa si è basata sulla giurisprudenza della Corte Europea dei diritti dell'uomo relativa all'interpretazione dell'articolo 8 della Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, precisando che "l'espressione "vita privata" non deve essere interpretata in modo restrittivo e che "nessun motivo di principio consente di escludere le attività professionali (...) dalla nozione di 'vita privata'"" (punto 59 e la giurisprudenza ivi citata).
14- V. sentenza del 20 maggio 2003, Österreichischer Rundfunk e a. (C-465/00, C-138/01 e C-139/01, EU:C:2003:294, punto 40).
15- V., segnatamente, sentenza del 6 ottobre 2015, Schrems (C-362/14, EU:C:2015:650, punto 38 e la giurisprudenza ivi citata).
16- V., segnatamente, sentenza del 6 ottobre 2015, Schrems (C-362/14, EU:C:2015:650, punto 39 e la giurisprudenza ivi citata).
17- V., segnatamente, sentenza del 9 novembre 2010, Volker und Markus Schecke e Eifert (C-92/09 e C-93/09, EU:C:2010:662, punto 48, nonché la giurisprudenza ivi citata).
18- Sentenza del 12 luglio 2012, Compass-Datenbank (C-138/11, EU:C:2012:449, punto 40).
19- Sentenza del 12 luglio 2012, Compass-Datenbank (C-138/11, EU:C:2012:449, punto 41).
20- Conclusioni dell'avvocato generale Jääskinen nella causa Compass-Datenbank (C-138/11, EU:C:2012:251, paragrafo 47).
21- Conclusioni dell'avvocato generale Jääskinen nella causa Compass-Datenbank (C-138/11, EU:C:2012:251, paragrafo 48).
22- Conclusioni dell'avvocato generale Jääskinen nella causa Compass-Datenbank (C-138/11, EU:C:2012:251, paragrafo 50).
23- Conclusioni dell'avvocato generale Jääskinen nella causa Compass-Datenbank (C-138/11, EU:C:2012:251, paragrafo 50).
24- Sentenza del 12 novembre 1974, Haaga (32/74, EU:C:1974:116, punto 6).
25- Sentenza del 12 novembre 1974, Haaga (32/74, EU:C:1974:116, punto 6).
26- Sentenza del 12 novembre 1974, Haaga (32/74, EU:C:1974:116, punto 6).
27- Secondo l'espressione utilizzata da Le Cannu, P., e Dondero, B., Droit des sociétés, 4° ed.., Montchrestien, 2011, pag. 220, par. 360.
28- V., in tal senso, sentenza del 30 settembre 2003, Inspire Art (C-167/01, EU:C:2003:512, punto 132).
29- V., segnatamente, sentenza del 6 ottobre 2015, Schrems (C-362/14, EU:C:2015:650, punto 92 e la giurisprudenza ivi citata).
30- V., segnatamente, sentenza del 6 ottobre 2015, Schrems (C-362/14, EU:C:2015:650, punto 42 e la giurisprudenza ivi citata).
31- V., segnatamente, sentenza del 24 novembre 2011, Asociación Nacional de Establecimientos Financieros de Crédito (C-468/10 e C-469/10, EU:C:2011:777, punto 34, nonché la giurisprudenza ivi citata).
32- Il governo tedesco fornisce l'esempio seguente: ossia che una persona che abbia acquistato, nel 1991, un bene patrimoniale presso la società dichiarata insolvente nel 1992, il cui amministratore era il sig. Manni, potrebbe, ancora oggi, essere tenuta a dimostrare la legittimazione del sig. Manni a rappresentare tale società qualora il suo titolo di proprietà sul bene in questione fosse oggetto di contestazione.
33- V., per quanto attiene all'elaborazione di statistiche, sentenza del 16 dicembre 2008, Huber (C-524/06, EU:C:2008:724, punto 65).
34- V. sentenza del 7 maggio 2009, Rijkeboer (C-553/07, EU:C:2009:293, punto 59 e la giurisprudenza ivi citata).
35- V. sentenza del 9 novembre 2010, Volker und Markus Schecke e Eifert (C-92/09 e C-93/09, EU:C:2010:662, punto 87).
36- Sentenza del 4 dicembre 1997, Daihatsu Deutschland (C-97/96, EU:C:1997:581, punto 19).
37- Sentenza del 4 dicembre 1997, Daihatsu Deutschland (C-97/96, EU:C:1997:581, punto 20).
38- Sentenza del 4 dicembre 1997, Daihatsu Deutschland (C-97/96, EU:C:1997:58, punto 22).
39- Direttiva del Consiglio dell'8 novembre 1990, che modifica le direttive 78/660/CEE e 83/349/CEE relative rispettivamente ai conti annuali e ai conti consolidati per quanto riguarda il loro campo d'applicazione (GU 1990, L 317, pag. 60).
40- Ordinanza del 23 settembre 2004 , Springer (C-435/02 e C-103/03, EU:C:2004:552, punto 33) (il corsivo è mio).
41- Ordinanza del 23 settembre 2004 , Springer (C-435/02 e C-103/03, EU:C:2004:552, punto 34).
42- Secondo una logica simile, la direttiva 2012/17 prevede, al suo considerando 11, che, "[d]al momento che [essa] non è intesa ad armonizzare i sistemi nazionali dei registri centrali, commerciali e delle imprese, gli Stati membri non sono tenuti a modificare il proprio sistema interno dei registri, in particolare con riferimento alla gestione, alla memorizzazione dei dati, ai tributi e all'utilizzo e alla divulgazione delle informazioni a fini nazionali".
43- V., in tal senso, sentenze del 4 dicembre 1997, Daihatsu Deutschland (C-97/96, EU:C:1997:581, punto 22), e del 21 giugno 2006, Danzer/Consiglio (T-47/02, EU:T:2006:167, punto 49).
44 - V. sentenza del 13 maggio 2014, Google Spain e Google (C-131/12, EU:C:2014:317, punto 81).
45- Mi riferisco, a tal riguardo, ai punti 81 e 97 della sentenza del 13 maggio 2014, Google Spain e Google (C-131/12, EU:C:2014:317).
46- GU 2016, L 119, pag. 1.
[color=red][b]T.A.R. Lazio Roma Sez. III ter, Sent., (ud. 02/03/2018) 27-03-2018, n. 3391[/b][/color]
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Terza Ter)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 5254 del 2008, proposto da:
Soc R.R. Spa, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dagli avvocati Rubens Esposito, Ernesto Sticchi Damiani, Cinzia Pistolesi, Massimo Pacella, con domicilio eletto presso lo studio dell'avvocato Ernesto Sticchi Damiani in Roma, p.zza San Lorenzo in Lucina, 26;
contro
Autorità' Garante delle Comunicazioni, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura dello Stato, domiciliataria in Roma, via dei Portoghesi, 12;
Comitato Appl. Codice Autoregolamentazione Tv e Minori, Ministero delle Comunicazioni non costituiti in giudizio;
per l'annullamento
della delibera 19/08/CONS con la quale l'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni ha irrogato alla RAI la sanzione amministrativa pecuniaria di Euro 100.000,00 (centomila/00) per la violazione del Codice di Autoregolamentazione TV e Minori, paragrafi 1.2. e 2.3. in combinato disposto con l'articolo 34, comma 3, del D.Lgs. 31 luglio 2005, n.177.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Autorita' Garante delle Comunicazioni;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza smaltimento del giorno 2 marzo 2018 la dott.ssa Ines Simona Immacolata Pisano e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Svolgimento del processo
Con il ricorso in epigrafe la R.R. S.p.A. ha chiesto l'annullamento, deducendone l'illegittimità sotto vari profili, della delibera 19/08/CONS - con la quale l'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni ha irrogato alla menzionata società la sanzione amministrativa pecuniaria di Euro 100.000,00 (centomila/00) per la violazione del Codice di Autoregolamentazione TV e Minori, paragrafi 1.2. e 2.3. in combinato disposto con l'articolo 34, comma 3, del D.Lgs. 31 luglio 2005, n.177.
Ed invero, nel corso dell'edizione serale del telegiornale TG1 (in onda sull' emittente Rai1, in data 21 aprile 2007 alle ore 20:16) la RAI trasmetteva un servizio giornalistico che - riproponendo una parte di un video già diffuso ore prima in tutto il mondo dalla televisione satellitare panaraba Al-Arabyia e, di seguito, riproposto dalle principali televisioni internazionali nonché sulla rete internet- mostrava il volto di un minore, non oscurato, in procinto di compiere atti efferati.
Tale video, registrato dai fondamentalisti talebani dell'Afghanistan e fatto recapitare all'emittente televisiva Al-Arabyia, ritraeva infatti un bambino di età (presumibilmente) inferiore a 12 anni a viso scoperto che, tra talebani di età adulta, incitava la gloria di Allah ed eseguiva la decapitazione di un prigioniero pakistano accusato di essere spia del governo degli Stati Uniti.
Su segnalazione del Comitato di applicazione del Codice di autoregolamentazione TV e minori l'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni avviava un procedimento sanzionatorio che culminava nella nota prot.n. (...) del 10 settembre 2007 con cui l'Autorità contestava alla RAI la violazione del Codice di autoregolamentazione TV e minori (riferimento specifico ai paragrafi 1.2 e 2.3), sollecitando l'obbligatorietà per tutte le emittenti televisive del menzionato Codice di autoregolamentazione ai sensi dell'articolo 34, comma 3, del D.Lgs. 31 luglio 2005, n. 177.
La ricorrente produceva nell'ambito del procedimento sanzionatorio un'articolata memoria difensiva (prot. n. (...) del 25 settembre 2007) e ribadiva le proprie controdeduzioni nel verbale dell'audizione tenutasi presso l'AGCOM in data 23 ottobre 2007.
A conclusione del procedimento sanzionatorio, la Commissione per i servizi e i prodotti dell'Autorità adottava l'impugnata Delib. n.19/08/CSP, con la quale la RAI veniva condannata al pagamento di una sanzione pecuniaria pari ad Euro 100.000,00, in applicazione dell'articolo 35 comma 2, del D.Lgs. n. 177 del 2005.
Con il ricorso in epigrafe la Rai ha contestato la sanzione irrogata, deducendone l'illegittimità sotto vari profili.
In via preliminare ha precisato che il giornalista del TG1, prima di mandare in onda il video, aveva comunque avvertito i telespettatori che le immagini in procinto di essere trasmesse erano inadatte ad un pubblico di minori e pertanto riservate ad un pubblico maturo: ed invero, secondo quanto evidenziato dalla società, il fine della diffusione del video era quello da un lato di segnalare l'escalation della propaganda terroristica e dall'altro proprio quello di denunciare, nei confronti dell'opinione pubblica, la problematica dei c.d. "bambini soldato".
Con il primo motivo, ha dedotto violazione del combinato disposto degli articoli 11,12,139,154 e 162 del D.Lgs. n. 196 del 2003 e degli articoli 4, comma 3,11,35 e 51 del D.Lgs. n. 177 del 2005, eccependo l'incompetenza dell'Agcom rispetto al provvedimento impugnato che, nella parte in cui invoca di tutelare la privacy del minore, competerebbe alla Autorità Garante per la protezione dei dati personali.
Con il secondo motivo, ha dedotto violazione del principio di leale collaborazione tra le autorità amministrative indipendenti - violazione dell'articolo 154, comma 3 e 5 del D.Lgs. n. 196 del 2003 - violazione dell'articolo 33 del regolamento di organizzazione e funzionamento dell'AGCOM di cui alla delibera 316/02/cons - eccesso di potere per contraddittorietà, difetto di istruttoria, illogicità manifesta non avendo l'AGCOM, nel caso in esame, richiesto la collaborazione con il Garante in materia di protezione dei dati personali.
Con il terzo motivo la RAI ha contestato l'addebito nel merito, con riferimento alla violazione del paragrafo 1.2 e 2.3 del Codice di Autoregolamentazione.
In particolare la ricorrente non ritiene di avere violato il paragrafo 1.2 poiché la trasmissione delle immagini non integra alcun reato qualificabile come tale, atteso che la decapitazione di un soldato ad opera di un minore attiene a fattispecie ascrivibili alla sharia musulmana, prive di ogni significato lesivo e disvalore penale. Nel caso in cui fosse stato oscurato il volto del bambino, poi, sarebbe stato frustrato lo scopo di denuncia svolto dal servizio andato in onda durante il TG1 nell'esercizio del diritto-dovere di informazione.
Inoltre, non sarebbe neppure violato il diritto alla riservatezza del minore poiché, peraltro, le immagini che ritraevano lo stesso minore erano già state trasmesse in altre programmazioni.
Ed ancora, evidenzia la RAI che il servizio giornalistico ha dato evidenza di una delle tante storie relative ai "bambini soldato" assumendo, volutamente, toni di denuncia a beneficio di tutti i minori (e non solo quello ritratto nelle immagini) assoldati, in ambito internazionale, dalla criminalità organizzata.
Con il quarto motivo ha dedotto violazione degli articoli 14 e 18 della L. n. 689 del 1981 e degli articoli 5,9 e 10 della delibera AGCOM 136/06/cons recante regolamento in materia di procedure sanzionatorie, violazione del principio di difesa e contraddittorio in relazione alla mancanza dell'addebito nella contestazione della violazione relative delle disposizioni del D.Lgs. n. 177 del 2005. Inoltre ha eccepito l'infondatezza dell'addebito poiché ritiene che non siano state messe in onda scene di violenza efferata richiamate dall' articolo 34 del D.lgs. che possano nuocere allo sviluppo del minore considerato che il conduttore del programma ha ripetutamente avvisato la messa in onda di contenuti forti e impressionanti.
Infine, con l'ultimo motivo di doglianza, la ricorrente ha eccepito la carenza motivazionale dell'elemento soggettivo del provvedimento sanzionatorio impugnato che, sebbene privo di una valutazione relativa al dolo o alla colpa del conduttore, avrebbe quantificato la sanzione nel quadruplo del minimo edittale.
Nell'odierna udienza, viste le memorie delle parti, la causa è stata trattenuta in decisione.
Motivi della decisione
In via preliminare, va respinta perché infondata l'eccezione di parte ricorrente con cui parte ricorrente contesta l'inammissibilità del deposito della memoria dell'AGCOM perché avvenuto oltre il termine di legge, e in particolare oltre le ore 12.00 del giorno di scadenza (e cioè, nel caso in esame, alle ore 14.14.41 del 14 febbraio 2018).
La tesi di parte ricorrente, invero, risente di una interpretazione che non tiene conto di quanto precisamente imposto dal legislatore dopo l'entrata in vigore del processo amministrativo telematico, e cioè che tutte le disposizioni del codice del processo amministrativo e delle relative disposizioni di attuazione siano interpretate in senso "telematico", cioè con una ratio che tenga conto delle differenze tra i previgenti adempimenti "cartacei" e quelli attuati con modalità telematiche.
Né l'interpretazione di parte ricorrente tiene conto che, al di là della previsione generale di chiusura contenuta nell'art. 136 c.p.a. come modificato dalla L. n. 197 del 2016, in materia di orario di deposito il legislatore ha ritenuto di intervenire in modo specifico con detta legge, modificando l'art.4 delle disposizioni di attuazione del codice (v. art. 7, comma 2, lettera b) del D.L. 31 agosto 2016, n. 168, convertito con modificazioni dalla Legge 25 ottobre 2016, n. 197).
In particolare, la vigente disposizione dell'art.4 delle disposizioni di attuazione prevede, al comma 2, il rispetto delle ore 12.00 dell'ultimo giorno consentito - legato, tradizionalmente, all'orario di chiusura delle Segreterie- solo nei casi in cui il deposito riguardi atti o documenti che, in virtù delle disposizioni codicistiche, debba avvenire il giorno precedente la trattazione di una domanda in camera di consiglio, come ad esempio espressamente previsto per la trattazione cautelare controversie di cui all'art. 119 e 120 c.p.a. Tale disposizione ha l'evidente finalità di consentire pure a ridosso della camera di consiglio la possibilità materiale per il Giudice e per le altre parti del giudizio di conoscere il contenuto degli atti e documenti depositati in relazione alla trattazione di una domanda in camera di consiglio da tenersi il giorno successivo (come per il caso regolato dall'art. 131 del c.p.a. e in relazione all'art. 69, dall'art. 67 e dall'art. 100, comma 3 c.p.a.).
Trattandosi di problematica assai rilevante, giova chiarire che per quanto attiene alla problematica della tempestività, per l'avvocato, del rispetto dei termini di legge ove il deposito sia eseguito con modalità telematiche, il Sistema Informativo del PAT è configurato, come emerge chiaramente dall'art.9 commi 4 e 5 delle specifiche tecniche (All.A) al D.P.C.M. in modo che il deposito avvenga "in automatico" - e ciò a differenza del PCT, in cui l'accettazione richiede il controllo delle informazioni da parte degli impiegati addetti alla Segreteria (v. art.13, comma 2, del D.M. n. 44 del 2011, a cui la disposizione si ispira senza tuttavia tener conto della differenza dei relativi sistemi informatici) - senza necessità, quindi, di alcuna registrazione o intervento umano.
Proprio tenendo conto di tale specificità, le regole tecniche del processo amministrativo prima e poi addirittura il legislatore (tenendo conto del "suggerimento" indicato nel parere sullo schema di decreto reso dal Consiglio di Stato in sede consultiva n.66/2016) hanno previsto come regola generale che il termine del deposito è da considerarsi rispettato, da parte del difensore, qualora il Sistema generi la c.d. "ricevuta di accettazione" entro le ore 24.00 dell'ultimo giorno consentito.
Fatta eccezione per tale specifica ipotesi, il comma 4 dell'art. 4 prevede che il deposito con modalità telematica gli atti in scadenza è consentito fino alle ore 24:00 dell'ultimo giorno (in senso analogo disponeva anche, prima della modifica legislativa, già l'art. 9 del D.P.C.M. n. 40 del 16 febbraio 2016).
Né deve trarre in inganno il "doppio termine" inserito sempre nel medesimo comma 4, che distingue il perfezionamento del termine per il difensore, ai fini del rispetto del termine a difesa rispetto al termine in cui si considera effettuato il deposito al fine della fissazione delle udienze camerali e pubbliche (che richiede successivi adempimenti di Segreteria) e della decorrenza del termine a difesa.
Occorre chiarire, innanzitutto, che tecnicamente il concetto di "termine a difesa" inerisce al termine concesso alla controparte al fine di replicare alle argomentazioni contenute in un atto di parte, che implica considerazioni del tutto differenti al rispetto dei termini di deposito previsti dal codice del processo amministrativo, a pena di decadenza.
Ne deriva che ad avviso del Collegio non può condividersi l'opposta conclusione a cui è pervenuto il TAR Lombardia (sez.IV, n. 00029/2018) argomentando dal fatto che "l'art. 4, u.co., all.2 al c.p.a., considera, ai fini del computo dei termini a difesa, il deposito dopo le h. 12:00 equiparato al deposito effettuato il giorno successivo" , in quanto nel caso in esame l'art.4 u.co. assolve esclusivamente alla ratio, qualora una controparte intenda replicare ad un atto processuale, di consentirgli -analogamente a quanto previsto per le Segreterie- una dilazione nel prendere materialmente contezza dell'atto digitale, qualora questo sia depositato oltre le ore 12.00. Ad accedere alla tesi del TAR Lombardia, peraltro, si perverrebbe alla conclusione secondo cui la medesima memoria sarebbe ammissibile o meno, a seconda che la controparte ritenga o meno di depositare una memoria di replica (in quanto solo in tal caso opererebbe la regola che la memoria si considererebbe depositata il giorno successivo).
Nel caso in esame, quindi, non sussiste alcuna inammissibilità del deposito della memoria AGCOM ma il ricorrente avrebbe al più potuto giovarsi, a sua volta, di un ulteriore giorno per redigere la memoria di replica, applicandosi tal caso la disposizione nella parte in cui prevede - con una ratio, in verità, piuttosto incomprensibile atteso che le segreterie degli studi legali non "chiudono" alle ore 12.00 - che ai fini della decorrenza del (solo) termine a difesa - ma non della tempestività del deposito- ove effettuato con modalità telematiche oltre le ore 12.00, il deposito si considera effettuato il giorno successivo (In tal senso, v.anche TAR TRENTO n.31/2018).
Nel merito, il ricorso è fondato e merita accoglimento.
[color=red][b]Occorre premettere che, nell'ultimo decennio, accanto ad un crescente fenomeno di "spettacolarizzazione televisiva" di fatti di cronaca, è proporzionalmente aumentata la sensibilità del legislatore rispetto alle esigenze di tutela della protezione dei dati personali, tanto da non potersi dubitare che il diritto alla protezione dei dati personali costituisca oggi un diritto "fondamentale" dell'individuo, autonomo rispetto a quello della riservatezza, in quanto tale direttamente tutelato, a prescindere dalle specifiche normative interne, come riconosciuto già dalla Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea (c.d."Carta di Nizza", nella versione del 12 dicembre 2007 che, a seguito del Trattato di Lisbona (sottoscritto il 13 dicembre 2007 - ma ratificato, quanto all'Italia, solo con L. n. 130 del 2 agosto 2008) ha acquisito il valore giuridico dei Trattati ed è pertanto vincolante per tutti gli Stati membri oltre che, più di recente, dal Regolamento UE 2016/679 entrato in vigore i 24 maggio 2016, direttamente applicabile in tutti gli Stati membri a prescindere dalla normativa interna in materia di protezione dei dati personali.[/b][/color]
La tutela di tale diritto - contrariamente a quanto sostenuto da parte ricorrente con la prima e con la seconda censura del ricorso- non è, tuttavia, affidata unicamente all'Autorità Garante in materia di protezione di dati personali: ed infatti, quanto alle competenze in materia di servizi di media audiovisivi e radiodiffusione, l'art.10 del D.Lgs. 31 luglio 2005, n. 177 attribuisce espressamente all'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, nell'esercizio dei compiti ad essa affidati dalla legge, il compito di assicurare il rispetto "dei diritti fondamentali della persona nel settore delle comunicazioni" - quale, come si è evidenziato, deve ormai certamente intendersi il diritto alla protezione dei dati personali- ferme restando, come riconosciuto dal successivo art.11, le competenze in materia di servizi di media audiovisivi e radiofonici "attribuite dalle vigenti norme alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, alla Commissione parlamentare per l'indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi, al Garante per la protezione dei dati personali e all'Autorità garante della concorrenza e del mercato".
Né tali disposizioni di legge prevedono che, in tale ambito, l'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni debba in qualche modo cooperare o coordinarsi con l'Autorità Garante in materia di protezione di dati personali che, a sua volta, dispone di autonomi poteri (anche inibitori) di controllo circa il rispetto di tale diritto anche da parte di chi esercita attività giornalistica (quale, ad esempio, il potere di cui all'art.139 del D.Lgs. n. 196 del 2003 che prevede la possibilità di vietare il trattamento dei dati qualora il Garante riscontri la violazione del Codice deontologico relativo ad attività giornalistiche).
Sotto altro profilo, il medesimo D.Lgs. 31 luglio 2005, n. 177 dedica specificatamente il Capo II del Titolo IV del d.lgs. alla "Tutela dei minori nella programmazione audiovisiva" dettando, all'art.34, specifiche disposizioni a tutela dei minori, sotto il diverso profilo non tanto della protezione dei dati personali dei minori ripresi nelle trasmissioni televisive bensì dell'integrità psico-fisica e del corretto sviluppo della personalità sia dei minori che partecipino alle trasmissioni quanto, soprattutto, dei minori destinatari delle medesime, affidando all'Autorità il compito di tutelare lo sviluppo psico-fisico degli utenti minori a fronte di trasmissioni televisive e i relativi poteri sanzionatori, disciplinati nell'art.35.
A tal fine, l'art.34 comma 6 prevede che "Le emittenti televisive, anche analogiche, diffuse su qualsiasi piattaforma di trasmissione, sono tenute ad osservare le disposizioni a tutela dei minori previste dal Codice di autoregolamentazione media e minori approvato il 29 novembre 2002, e successive modificazioni".
Tuttavia, il Collegio ritiene che nel caso di specie il ricorso debba essere accolto, stante la fondatezza della terza censura, dovendosi contestualizzare lo specifico episodio di cui trattasi con riferimento all'anno in cui si è verificato il presupposto applicativo della sanzione -cioè il 21 aprile 2007, precedente alla Carta di Nizza oltre che al Trattato di Lisbona- e alle specifiche circostanze di fatto dello stesso, trattandosi di un servizio già diffuso ore prima in tutto il mondo dalla televisione satellitare panaraba Al-Arabyia e, di seguito, riproposto dalle principali televisioni internazionali nonché sulla rete internet e mandato in onda durante il TG delle 20.00 e raffigurante un bambino straniero, non residente in Italia e non identificabile.
Premesso, infatti, che la tutela dei dati personali non può e non deve subire deroghe a seconda che si tratti di individui - specie se minori di età- italiani, Europei o stranieri, occorre analizzare la specifica fattispecie con riferimento alla normativa vigente all'epoca dei fatti e, soprattutto, alla ratio della medesima al fine di sciogliere il nodo della presente vicenda, se cioè la protezione dei dati personali del minore - specie in un epoca in cui la diffusione delle informazioni tramite canali televisivi e satellitari oltre che tramite il web trascende dai confini nazionali- costituisca valore oggettivo e assoluto e quindi riguardi "a prescindere" il trattamento, effettuato sul territorio nazionale, dei dati di qualsiasi minore si tratti (concetto in cui pacificamente, rientra anche la diffusione su canali TV delle immagini degli stessi: si pensi, ad esempio, agli spot dell'UNICEF contro la fame che ritraggono immagini non oscurate di bambini del c.d. Terzo Mondo) oppure se la finalità delle disposizioni normative in materia di protezione dei dati personali sia quella di tutelare non tutti i minori del mondo, bensì quei minori nei confronti dei quali sia esigibile, da parte dello Stato Italiano, l'impegno di adoperarsi per preservarne e garantirne lo sviluppo della personalità, ovvero i minori che risiedano, domicilino o quantomeno si trovino in via di fatto a soggiornare nel territorio italiano (o, oggi, di quello Europeo) o per i quali sia comunque ipotizzabile un collegamento rispetto all'efficacia territoriale della legge italiana.
Il Collegio - nella consapevolezza che la Convenzione di New York sui Diritti del Fanciullo (ratificata dall'Italia con L. 27 maggio 1991, n. 176) al punto 3, Prima parte, stabilisce che "In tutte le decisioni relative ai fanciulli, di competenza sia delle istituzioni pubbliche o private di assistenza sociale, dei tribunali, delle autorità amministrative o degli organi legislativi, l'interesse superiore del fanciullo deve essere una considerazione preminente" - ritiene di aderire a tale seconda opzione, nella ferma convinzione che proprio tale Convenzione, nell'ottica di impegnare gli Stati aderenti al rispetto dei diritti di "ogni individuo di età inferiore a 18 anni" ivi contemplati, richieda a ciascuno Stato un impegno limitato al proprio territorio nazionale .
Si evidenzia, tra l'altro, che tale Convezione - a differenza della successiva Carta di Nizza del 2007 - non contempla espressamente un diritto del fanciullo alla protezione dei dati personali, ma al punto 17 si limita a stabilire che "Gli Stati parti riconoscono l'importanza della funzione esercitata dai mass-media e vigilano affinché il fanciullo possa accedere ad una informazione ed a materiali provenienti da fonti nazionali ed internazionali varie, soprattutto se finalizzati a promuovere il suo benessere sociale, spirituale e morale nonché la sua salute fisica e mentale. A tal fine, gli Stati parti (...) "e) favoriscono l'elaborazione di principi direttivi appropriati destinati a proteggere il fanciullo dalle informazioni e dai materiali che nuocciono al suo benessere in considerazione delle disposizioni degli articoli 13 e 18".
Tanto premesso, il Codice in materia di trattamento dei dati personali già vigente all'epoca dei fatti (D.Lgs. n. 196 del 30 giugno 2003) all'art.1 sancisce, senza distinzione tra dati relativi ad adulti o a minori, che "Chiunque ha diritto alla protezione dei dati personali che lo riguardano". Ed invero, ad una attenta lettura del c.d. Codice Privacy, una specifica disposizione relativa ai minori si ritrova solo nell'art.52, con riferimento al divieto di divulgazione sul web di provvedimenti giurisdizionali contenenti dati personali relativi agli stessi); tali dati, inoltre, debbono essere trattati nel rispetto dei principi di cui all'art.11 (pertinenza, proporzionalità, essenzialità).
Non vi è dubbio che le disposizioni del codice in materia di protezione dei dati personali, in base al combinato disposto di cui agli artt. 12 e 139, si applichino all'attività giornalistica, seppure con le eccezioni e le integrazioni dei contenuti del codice deontologico regolatore dell'attività giornalistica (in tal senso v.già Trib. Trieste, 01-04-2011 e Cass. civ. Sez. I Sent., 25-06-2004, n. 11864 che con riferimento alla precedente L. n. 675 del 1996, quanto all'attività giornalistica, aveva avuto modo di chiarire che il principio della libertà del trattamento, nell'osservanza del codice deontologico, in ossequio al "diritto all'informazione su fatti di interesse pubblico" doveva essere comunque contemperato con il canone "dell'essenzialità dell'informazione" e che il rispetto delle previsioni deontologiche è condizione essenziale per la liceità e la correttezza del trattamento dei dati personali).
Orbene, rileva il Collegio che all'epoca dei fatti era in vigore la c.d. "Carta di Treviso" che, in materia di rapporti tra attività giornalistica e tutela dei minori, nella versione aggiornata alla data del 26 ottobre 2006, prevede:
-i giornalisti sono tenuti ad osservare tutte le disposizione penali, civili ed amministrative che regolano l'attività di informazione e di cronaca giudiziaria in materia di minori, in particolare di quelli coinvolti in procedimenti giudiziari;
-va garantito l'anonimato del minore coinvolto in fatti di cronaca, anche non aventi rilevanza penale, ma lesivi della sua personalità, come autore, vittima o teste; tale garanzia viene meno allorché la pubblicazione sia tesa a dare positivo risalto a qualità del minore e/o al contesto familiare e sociale in cui si sta formando;
-va altresì evitata la pubblicazione di tutti gli elementi che possano con facilità portare alla sua identificazione, quali le generalità dei genitori, l'indirizzo dell'abitazione o della residenza, la scuola, la parrocchia o il sodalizio frequentati, e qualsiasi altra indicazione o elemento: foto e filmati televisivi non schermati, messaggi e immagini on-line che possano contribuire alla sua individuazione. Analogo comportamento deve essere osservato per episodi di pedofilia , abusi e reati di ogni genere;
(...)
-il bambino non va intervistato o impegnato in trasmissioni televisive e radiofoniche che possano lederne la dignità o turbare il suo equilibrio psico-fisico, né va coinvolto in forme di comunicazioni lesive dell'armonico sviluppo della sua personalità, e ciò a prescindere dall'eventuale consenso dei genitori;
- nel caso di comportamenti lesivi o autolesivi - suicidi, gesti inconsulti, fughe da casa, microcriminalità, ecc. - posti in essere da minorenni, fermo restando il diritto di cronaca e l'individuazione delle responsabilità, occorre non enfatizzare quei particolari che possano provocare effetti di suggestione o emulazione;
- nel caso di minori malati, feriti, svantaggiati o in difficoltà occorre porre particolare attenzione e sensibilità nella diffusione delle immagini e delle vicende al fine di evitare che, in nome di un sentimento pietoso, si arrivi ad un sensazionalismo che finisce per divenire sfruttamento della persona;
-.se, nell'interesse del minore -esempio i casi di rapimento o di bambini scomparsi- si ritiene indispensabile la pubblicazione di dati personali e la divulgazione di immagini, andranno tenuti comunque in considerazione il parere dei genitori e delle autorità competenti;
-particolare attenzione andrà posta nei confronti di strumentalizzazioni che possano derivare da parte di adulti interessati a sfruttare, nel loro interesse, l'immagine, l'attività o la personalità del minore;
-tali norme vanno applicate anche al giornalismo on-line, multimediale e ad altre forme di comunicazione giornalistica che utilizzino innovativi strumenti tecnologici per i quali dovrà essere tenuta in considerazione la loro prolungata disponibilità nel tempo;
- tutti i giornalisti sono tenuti all'osservanza di tali regole per non incorrere nelle sanzioni previste dalla legge istitutiva dell'Ordine.
Sotto tale profilo, il Collegio non si ravvisa violazione del Codice Deontologico all'epoca vigente in quanto da un lato nel caso in esame "l'anonimato" del minore afghano, pur coinvolto in un terribile fatto di cronaca indubbiamente lesivo della sua personalità - in quanto autore e nello stesso tempo vittima- benché ne sia stata trasmessa l'immagine risulta di fatto garantito, trattandosi di bambino non identificato né identificabile nel territorio italiano; in secondo luogo, ad avviso del Collegio l'applicazione ed il rispetto del D.Lgs. n. 196 del 2003 anche da parte delle emittenti televisive (e il corrispondente ruolo di controllo attribuito all'Autorità, in mancanza di ricorso da parte degli interessati) trova un limite laddove anche attraverso l'oscuramento del volto del minore in alcun modo potrebbe giovare alla tutela dell'integrità psico-fisica del minore protagonista del servizio, sia perché si tratta di minore non identificabile nel territorio italiano, sia perché si tratta di minore privo di collegamenti territoriali con il territorio italiano, sia perché nel caso di specie il servizio era stato già diffuso, nella versione integrale, in tutto il mondo dalla televisione satellitare panaraba Al-Arabyia e, di seguito, riproposto dalle principali televisioni internazionali nonché sulla rete internet (dal quale era scaricabile liberamente), sicché il vulnus al bene giuridico tutelato si era già verificato, risultando a questo punto del tutto marginale, per la finalità suindicata, un eventuale accorgimento atto ad impedire la diffusione dell'immagine del minore afghano limitatamente al territorio italiano .
Del resto, anche il Garante in materia di protezione dei dati personali, con provvedimento del 15 novembre 2001 doc.web 39596 (provvedimento che riguardava il trattamento di dati personali di minori residenti nel territorio italiano) nell'evidenziare che "il codice introduce una specifica tutela a favore dei minori coinvolti in fatti di cronaca, privilegiando in questo caso l'esigenza di salvaguardare la sfera privata e la personalità dei minori stessi rispetto al diritto/dovere del giornalista di rendere conto degli accadimenti di pubblico interesse", ha nel contempo osservato che "La peculiare disciplina da ultimo menzionata trova fondamento nell'esigenza di preservare la crescita del minore -sia esso vittima o autore di un reato, oppure protagonista di altre delicate vicende- evitando, in particolar modo, che spettacolarizzazioni o strumentalizzazioni del suo caso di vita ne compromettano l'ordinario processo di maturazione e l'armonico sviluppo.
Pertanto,se è vero che comunque la "Carta di Treviso", sul rapporto informazione-minori , impone e nello stesso tempo consente al giornalista, sotto la propria responsabilità, di verificare con rigore la sussistenza di un rilevante interesse pubblico tale da legittimare la pubblicazione di dati e immagini riferiti al minore, tale valutazione ad avviso del Collegio può portare ad avviso del Collegio a prevedere come obbligatorio l'oscuramento del volto del minore solo quando tale accorgimento abbia una concreta incidenza al fine di contribuire ad evitare la compromissione "dell'ordinario processo di maturazione e l'armonico sviluppo" del minore, ciò che nel caso in esame appare escluso a priori, trattandosi di minore non identificabile sullo Stato italiano e privo di qualsiasi collegamento territoriale con lo stesso (cfr. in proposito provvedimento Garante protezione dei dati personali 1425022 del 19.07.2007 che, sempre con riferimento a bambini ripresi sul territorio nazionale, ha definito l'identificabilità dei minori con riferimento, oltre a riprese chiare e ravvicinate, anche tenuto conto del "ristretto contesto sociale nel quale i bambini vivono").
Infine, trattandosi di un comportamento cruento ma legato ad un particolare contesto geografico e culturale, molto diverso da quello italiano, nella trasmissione del filmato in oggetto nel TG serale il Collegio non ravvisa il pericolo di emulazione, sanzionato dalla Carta di Treviso.
Né il Collegio ritiene violato, nel caso in esame, il Codice di Autoregolamentazione TV e minori paragrafi 1.2 e 2.3, in combinato disposto con l'articolo 34, comma 3, del D.lgs. 2005, N. 177 nella parte in cui vieta trasmissioni che possano turbare lo sviluppo psico-fisico dei minori destinatari della trasmissione.
In proposito, argomenta AGCOM nella propria memoria che il legislatore, nel vietare la trasmissione di programmi radiotelevisivi "che possono nuocere allo sviluppo psichico o morale dei minori", ha inteso riferirsi specificamente a tutti quei programmi che - tenuto conto del loro oggetto, del loro contenuto, del tempo e/o delle modalità della loro trasmissione o di altri, connessi elementi rilevanti nel caso specifico - possano risultare concretamente idonei a turbare, pregiudicare, o danneggiare i delicati e complessi processi di apprendimento dall'esperienza e di discernimento tra valori diversi od opposti, nei quali si sostanziano lo svolgimento e la formazione della personalità del minore sia come individuo sia come "cittadino" e che nell'emanare il provvedimento impugnato l'Autorità ha operato in coerenza con quella giurisprudenza secondo cui, "il legislatore nel vietare la trasmissione di programmi radiotelevisivi intende riferirsi a quelli che tenuto conto del loro oggetto del loro contenuto possano risultare concretamente idonei a turbare, pregiudicare o danneggiare i delicati e complessi processi di apprendimento dall'esperienza e di discernimento tra i valori diversi ed opposti (ad. ss. bene-male, buono-cattivo, giusto-ingiusto)" (Cass. III sez. sentenza. n. 6759/04).
Tuttavia, rileva il Collegio rileva che il filmato in oggetto - certamente idoneo a turbare il pubblico anche a prescindere dalla raffigurazione di un bambino, trattandosi di raffigurazione dei momenti antecedenti a una decapitazione ma comunque ancor più inquietanti in quanto raffiguranti "bambini-soldato"- benchè non trasmesso tra le ore 22.30 e le 7.00, è comunque andato in onda durante il TG delle 20.00, cioè in un programma specificatamente destinato all'informazione del pubblico adulto sui fatti di cronaca, anche particolarmente sanguinari o impressionanti. Si trattava quindi, certamente, di una sequenza "cruda e brutale" (anche ove commessa da un adulto) idonea ad impressionare l'eventuale pubblico minore che tuttavia, come consentito dalla Carta, è stato preceduto - trattandosi di notizia di straordinario valore informativo la cui divulgazione in Italia è stata ritenuta necessaria, anche perché già precedentemente diffusa in tutto il mondo - dall'avviso del giornalista televisivo agli spettatori che "le notizie, le immagini e le parole trasmesse non sono adatte ai minori".
In conclusione, il ricorso deve essere accolto e, per l'effetto, va annullata la sanzione impugnata in epigrafe.
In considerazione della novità della questione le spese di lite possono essere interamente compensate
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Terza Ter), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie e per l'effetto annulla il provvedimento in epigrafe.
Compensa spese.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 2 marzo 2018 con l'intervento dei magistrati:
Riccardo Savoia, Presidente
Ines Simona Immacolata Pisano, Consigliere, Estensore
Vincenzo Blanda, Consigliere
[color=red][b]T.A.R. Lazio Roma Sez. I quater, Sent., (ud. 28/11/2017) 05-01-2018, n. 84[/b][/color]
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Prima Quater)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 5892 del 2017, proposto da:
Garante per la protezione dei dati personali, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Generale dello Stato, presso la cui sede domicilia in Roma, via dei Portoghesi, n.12;
contro
Presidenza del Consiglio dei ministri;
nei confronti di
-OMISSIS-i;
Codacons - Coordinamento delle associazioni e dei comitati di tutela dell'ambiente e dei diritti degli utenti e dei consumatori, rappresentato e difeso dagli avvocati Carlo Rienzi, Gino Giuliano, con domicilio eletto presso il Codacons in Roma, viale Giuseppe Mazzini, n. 73;
per la corretta esecuzione
ai sensi dell'art. 112, comma 5, c.p.a. dell'ordinanza cautelare della Sezione 2 marzo 2017, n. 1030.
Visto il ricorso;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Codacons;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nella camera di consiglio del 28 novembre 2017 il cons. Anna Bottiglieri e uditi per le parti i difensori come da relativo verbale;
Svolgimento del processo - Motivi della decisione
1. Con il ricorso all'odierno esame il Garante per la protezione dei dati personali ha domandato chiarimenti, ai sensi dell'art. 112, comma 5, c.p.a., in ordine alla corretta ottemperanza dell'ordinanza cautelare della Sezione 2 marzo 2017, n. 1030, non appellata.
I dubbi manifestati dal Garante con il ricorso e con le successive memorie depositate nel fascicolo di causa possono essere così riassunti.
L'ordinanza n. 1030/2017 di cui trattasi è stata pronunziata in accoglimento della domanda cautelare proposta nell'ambito del gravame rubricato al n.r.g. 564/17, con il quale i ricorrenti, dirigenti di ruolo del Garante per la protezione dei dati personali, hanno interposto impugnativa avverso la richiesta del Segretario generale del Garante manifestata con la nota n. 34260/96505 del 14 novembre 2016 e altre correlate, che, al fine di adempiere alle prescrizioni di cui all'art. 14, comma 1-bis, del D.Lgs. 14 marzo 2013, n. 33, inserito dall'art. 13, comma 1, lett. c), del D.Lgs. 25 maggio 2016, n. 97, nella parte in cui prevede che le pubbliche amministrazioni pubblichino nel proprio sito web i dati dei titolari di incarichi dirigenziali di cui all'art. 14, comma 1, tra cui quelli elencati alle lett. c) ed f) dello stesso comma, hanno invitato i ricorrenti a inviare la relativa documentazione.
L'ordinanza n. 1030/2017, in particolare, apprezzata la consistenza delle questioni di costituzionalità e di compatibilità con il diritto comunitario spiegate in ricorso in relazione alle norme cui la richiesta ha dato attuazione, e valutato il danno paventato dai ricorrenti, ha sospeso l'esecuzione delle note gravate nelle more della decisione del merito della controversia.
Nel prosieguo, con ordinanza 19 settembre 2017, n. 9828, la Sezione ha sospeso il processo e rimesso gli atti alla Corte Costituzionale, dichiarando rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 14, comma 1-bis, del D.Lgs. 14 marzo 2013, n. 33, nella parte in cui prevede che le pubbliche amministrazioni pubblichino i dati di cui all'art. 14, comma 1, lett. c) ed f) dello stesso D.Lgs. 14 marzo 2013, n. 33 anche per i titolari di incarichi dirigenziali, per contrasto con gli artt. 117, comma 1, 3, 2 e 13 della Costituzione.
Con la stessa ordinanza n. 9828/2017 la Sezione ha esteso la questione di legittimità costituzionale, d'ufficio, ai sensi dell'art. 23 della L. 11 marzo 1953, n. 87, recante norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte Costituzionale, anche al comma 1-ter dell'art. 14 del D.Lgs. n. 33 del 2013 ("Ciascun dirigente comunica all'amministrazione presso la quale presta servizio gli emolumenti complessivi percepiti a carico della finanza pubblica, anche in relazione a quanto previsto dall'articolo 13, comma 1, del D.L. 24 aprile 2014, n. 66, convertito, con modificazioni, dalla L. 23 giugno 2014, n. 89. L'amministrazione pubblica sul proprio sito istituzionale l'ammontare complessivo dei suddetti emolumenti per ciascun dirigente."), limitatamente alla prescrizione di cui all'ultimo periodo, che dispone che "L'amministrazione pubblica sul proprio sito istituzionale l'ammontare complessivo dei suddetti emolumenti per ciascun dirigente".
Nel descritto contesto, il Garante ha chiesto di sapere se l'ordinanza cautelare n. 1030/2017, che come detto ha sospeso la richiesta attuativa degli obblighi di trasparenza di cui al combinato disposto dei commi 1, lettere c) ed f), e 1-bis dell'art. 14 D.Lgs. n. 33 del 2013, debba intendersi preclusiva, o meno, anche della pubblicazione sul sito istituzionale dell'Amministrazione dell'ammontare degli "emolumenti complessivi percepiti a carico della finanza pubblica" da ciascun dirigente, prescritta dal comma 1-ter dello stesso art. 14 cit..
Ha esposto il Garante che il dubbio di cui trattasi è originato dalla considerazione che l'ordinanza cautelare della cui esecuzione si tratta ha sospeso atti fondati sul richiamo ai soli obblighi di pubblicazione di cui all'art. 14, comma 1, lettere c) e f), del D.Lgs. n. 33 del 2013, estesi dal comma 1-bis, tra altro, ai titolari di incarichi di direzione, senza invece fare riferimento all'analogo obbligo stabilito dall'appena citato comma 1-ter, non espressamente richiamato dagli atti impugnati.
D'altra parte, però, ha proseguito il Garante, se è vero che la circoscritta portata dell'ordinanza nei termini di cui sopra è diretta conseguenza della limitazione del thema decidendum ricavabile dal contenuto degli atti impugnati e dal ricorso, è altresì vero che la corretta interpretazione dell'ordinanza cautelare stessa, alla luce del conseguimento da parte dei ricorrenti dell'effetto utile che le è proprio, non può che precludere anche la pubblicazione del dato aggregato di cui al comma 1-ter dell'art. 14 del D.Lgs. n. 33 del 2013, che contiene o addirittura può coincidere con quello singolo di cui al comma 1, lett. c), del quale è inibita la pubblicazione per effetto diretto dell'ordinanza cautelare.
Successivamente alla sospensione del giudizio e alla remissione delle questioni di costituzionalità spiegate dai ricorrenti al Giudice delle leggi, di cui all'ordinanza della Sezione n. 9828/2017, il Garante ha esposto che la conclusione di cui sopra risulta confortata anche dalla ridetta estensione d'ufficio della questione di costituzionalità alla pubblicazione di cui al comma 1-ter.
Infine, per illustrare il proprio interesse a veder esplicitata la portata del provvedimento cautelare in parola, ha evidenziato il Garante che l'omessa pubblicazione sul sito istituzionale dei dati per cui è formulata la richiesta di chiarimenti lo espone alle sanzioni dell'Anac, mentre la sua pubblicazione lo espone all'azione risarcitoria dei dirigenti.
2. Non si sono costituiti in giudizio i ricorrenti del ricorso n.r.g. 564/17.
Si è costituito in giudizio il Codacons, interveniente ad opponendum nello stesso ricorso n.r.g. 564/17, offrendo una lettura della vicenda opposta a quella espressa dal Garante.
In particolare, il Codacons, rilevato che lo stesso Garante ammette che né i ricorrenti del ricorso n.r.g. 564/17 né l'ordinanza cautelare n. 1030/2017 fanno riferimento al comma 1-ter dell'art. 14 del D.Lgs. n. 33 del 2013, ha sostenuto che l'adesione alla tesi del Garante comporterebbe la violazione del principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunziato di cui all'art. 112 c.p.c., pacificamente applicabile al giudizio amministrativo.
3. La questione è stata introitata per la decisione alla camera di consiglio del 28 novembre 2017.
4. I chiarimenti richiesti dal Garante per la protezione dei dati personali con il ricorso in esame attengono al tema del principio della effettività della tutela giudiziale, e, segnatamente, di quella parte della tutela che deve essere assicurata dall'Amministrazione in conseguenza della tutela interinale accordata dal giudice amministrativo.
In detto ambito deve indi necessariamente muoversi il Collegio.
Sul tema, la giurisprudenza amministrativa ha tradizionalmente affermato il principio che l'ordinanza cautelare, fino all'intervento della sentenza di merito, ha una forza assimilabile al giudicato formale in termini di "immodificabilità", ed esplica un tale vincolo conformativo nei confronti dell'amministrazione per cui il nuovo esercizio del potere amministrativo "deve essere esercitato senza violare o eludere l'ordinanza cautelare, soprattutto se questa ha contenuto positivo (dispositivo)" (C. Stato, IV, 30 giugno 2006, n. 4239).
Più di recente, è stato rilevato che il carattere della tutela cautelare non è autonomo, bensì servente e provvisorio, in quanto collegato alla successiva "tutela dichiarativa" di cui alla pronuncia di merito, traendone la conseguenza che la stessa sarebbe del tutto inutile, ove limitata a una lettura formale, ovvero svincolata da un reale collegamento al bene della vita cui l'interessato aspira (C. Stato, V, 14 novembre 2017, n. 5242).
5. Le predette coordinate ermeneutiche impongono di fugare i dubbi esposti dal Garante prendendo le mosse non dagli aspetti formali della vicenda contenziosa, bensì - necessariamente, in ragione di quanto innanzi considerato - dall'apprezzamento della consistenza e della latitudine dell'interesse per il quale i ricorrenti del ricorso n.r.g. 564/17 hanno adito la tutela giurisdizionale.
Essi possono essere desunti molto agevolmente dal gravame, e in questa sede ricostruiti a mezzo del mero richiamo a quanto già rilevato dalla Sezione nella già citata ordinanza di rimessione n. 9828/2017.
[color=red][b]In tale ordinanza è riportato, nella parte deputata alla sintetica illustrazione della materia del contendere (punto 11), che i ricorrenti hanno contestato la richiesta di dati impugnata nel predetto ricorso, ritenuta violativa degli artt. 7, 8 e 52 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea, dell'art. 6 del Trattato UE, dell'art. 8 della Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, dell'art. 6 della direttiva 95/46/CE, dell'art. 5 del Regolamento 2016/679 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016, da applicarsi negli Stati membri a decorrere dal 25 maggio 2018, nonché degli artt. 117, 3, 13, 2 della Costituzione, sotto il profilo della "ingiustificata e pesante ingerenza nel diritto alla vita privata e alla protezione dei dati, con riflessi anche relativi al diritto di sicurezza" e della sua contrarietà "ai principi di proporzionalità, pertinenza, non eccedenza e finalità nel trattamento dei dati personali, sia per la natura dei dati richiesti che per le modalità di diffusione in internet, in quanto introdotti senza misure che impediscano l'indicizzazione delle informazioni da parte dei comuni motori di ricerca".[/b][/color]
In altre, più sintetiche parole, il bene della vita cui mirano i ricorrenti del ricorso n.r.g. 564/17 è dunque quello della protezione dei loro dati personali, e in specie di quelli di cui alle lettere c) e f) del comma 1 dell'art. 14 del D.Lgs. n. 33 del 2013, dalla generale diffusione a mezzo internet, che, nelle modalità introdotte con la normativa più volte richiamata, ritengono ingiustificata e comunque sproporzionata.
Tale bene ha ricevuto protezione cautelare con l'ordinanza n. 1030/2017, la quale - come già rilevato - non è stata gravata e si è pertanto consolidata.
Ciò posto, non par dubbio che allo stato, nelle more della decisione di merito del gravame, e, prima ancora, della pronunzia della Corte Costituzionale in ordine alle questioni di legittimità costituzionale sollevate con l'ordinanza della Sezione n. 9828/2017 (che costituisce nella sostanza il vero punto dirimente della controversia, atteso che le sopra descritte richieste del Garante sono state impugnate dai ricorrenti nella loro esclusiva veste di provvedimenti applicativi delle norme sospette di incostituzionalità, ovvero senza la formulazione di censure in via autonoma), la pubblicazione sul sito istituzionale dell'Amministrazione dei dati di cui al comma 1-ter dell'art. 14 del D.Lgs. n. 33 del 2013, che contengono o addirittura possono coincidere con quelli di cui al comma 1, lett. c), dello stesso art. 14, del quale è inibita la pubblicazione per effetto diretto dell'ordinanza cautelare, comporterebbe, come paventato dallo stesso Garante, per la parte corrispondente, la totale vanificazione dell'efficacia della tutela cautelare accordata.
Deve, pertanto, convenirsi con il Garante quando afferma che la corretta interpretazione dell'ordinanza cautelare di cui trattasi, alla luce del conseguimento da parte dei ricorrenti dell'effetto utile che le è proprio, preclude anche la pubblicazione del dato aggregato di cui al comma 1-ter dell'art. 14 del D.Lgs. n. 33 del 2013.
6. Il Collegio ravvisa giusti motivi per compensare tra le parti le spese di lite dell'incidente di esecuzione.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima Quater),
definitivamente pronunciando sul ricorso di cui in epigrafe, dispone come in motivazione.
Compensa tra le parti le spese dell'incidente di esecuzione.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'art. 52, comma 1 D.Lgs. 30 giugno 2003, n. 196, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo a identificare i soggetti, diversi da Codacons, che nell'odierno ricorso figurano quali controinteressati, ovvero i ricorrenti del correlato ricorso n.r.g. 564/17, conformemente alla richiesta dai medesimi avanzata nello stesso ricorso n.r.g. 564/17.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 28 novembre 2017 con l'intervento dei magistrati:
Salvatore Mezzacapo, Presidente
Anna Bottiglieri, Consigliere, Estensore
Fabio Mattei, Consigliere
[color=red][b]T.A.R. Lazio Roma Sez. III bis, Sent., (ud. 21/11/2017) 24-11-2017, n. 11628[/b][/color]
In genere
Fatto - Diritto P.Q.M.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Terza Bis)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 6431 del 2017, proposto da:
M.M., rappresentata e difesa dall'avvocato Giovanni Ingrascì, con domicilio eletto presso lo studio dell'avvocato Giovanna Ingrasci in Roma, via Santa Maria dell'Anima 39;
contro
Istituto Nazionale di Astrofisica non costituito in giudizio;
Istituto Nazionale di Astrofisica - Affari Legali, rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura Gen.Le Dello Stato, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, 12;
per l'annullamento
dell'illegittimità del silenzio opposto dal responsabile della prevenzione della corruzione e della trasparenza alla richiesta di riesame, ex art. 5, co. 7 del D.Lgs. n. 33 del 2013, come modificato dal D.Lgs. n. 97 del 2016 , formulata dalla ricorrente con PEC del 5 Maggio 2017 e volta ad ottenere l'accoglimento delle istanze di accesso civico generalizzato, inviate all'INAF via PEC in data 24 Marzo 2017;
- nonché, ove occorra, dell'illegittimità della condotta omissiva e del silenzio tenuti dall'INAF con riferimento alle suddette istanze del 24.3.2017
e per l'emanazione dell'ordine di esibizione di quanto richiesto con dette istanze, ai sensi dell'art. 116, comma 4, C.P.A.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Istituto Nazionale di Astrofisica - Affari Legali;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nella camera di consiglio del giorno 21 novembre 2017 la dott.ssa Ines Simona Immacolata Pisano e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Svolgimento del processo - Motivi della decisione
Con il ricorso in epigrafe la ricorrente espone di essere dipendente con qualifica di Tecnologo dell'Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF), in servizio presso l'Osservatorio Astrofisico di Catania, struttura dell'INAF.
A decorrere dal 16/03/2015 con istanze a diversi organi/uffici dell'INAF Essa ha sottoposto al loro esame per l'adozione degli opportuni provvedimenti la problematica concernente la situazione di
conflittualità esistente con l'attuale Direttore dell'Osservatorio di Catania, d.ssa Umana.
Le suddette istanze vennero inviate anche al Direttore Generale e al Responsabile della prevenzione della corruzione e della trasparenza (RPCT): ruoli che a partire dal 19 Ottobre 2016 risultano attribuiti alla stessa persona fisica, il dr. Telesio.
In data 23 Febbraio 2017 venne trasmessa in streaming in diretta la riunione allargata del Collegio dei Direttori e del CdA INAF: il video relativo, della durata di oltre 5 ore, veniva, altresì, contestualmente pubblicato e risultava visibile sul sito dell'INAF in apposito "posto"
mediante collegamento al canale youtube.
In data 3 Marzo 2017 il video venne modificato e ripubblicato, ma in versione ridotta: in particolare, venne tagliata anche la parte nella quale era ripreso un colloquio tra il Direttore dell'Osservatorio di Catania e il Direttore Generale, nonché RPCT, dell'INAF.
Con due istanze, debitamente sottoscritte e corredate da copia del proprio documento di riconoscimento, inviate via PEC in data 24 Marzo 2017 all'INAF, rispettivamente al Direttore Scientifico e al Responsabile e Coordinatore dei Servizi Informatici e per il Digitale (SID), ritenuti
"detentori" degli atti e delle informazioni richieste, la ricorrente chiedeva l'accesso civico, al fine di prenderne visione ed estrarne eventualmente copia, ai seguenti documenti:
a) "video in versione integrale del Collegio dei Direttori allargato del 23 Febbraio 2017, trasmesso in diretta in streaming e, successivamente, pubblicato mediante collegamento accessibile dal sito dell'INAF, ma dopo qualche giorno parzialmente 'tagliato'", specificando che oggetto di
esplicita richiesta era anche la parte della registrazione - intercorrente tra le ore 4:10 circa e le ore 4:40 dall'inizio del video - in cui è ripreso, tra l'altro, un colloquio di circa dieci minuti tra il Dott. Telesio, Direttore Generale e Responsabile prevenzione corruzione, e la Dott.ssa Umana;
b) "provvedimento con il quale sarebbe stato disposto 'il taglio' del video inizialmente pubblicato nella versione integrale".
La ricorrente ha evidenziato, a sostegno delle proprie argomentazioni, che "quanto richiesto è stato già reso pubblico sul sito dell'INAF (benché successivamente "tagliato") proprio al fine di garantire
trasparenza e promuovere la partecipazione del personale al dibattito pubblico e la visione del video favorisce forme diffuse di controllo sul "perseguimento delle funzioni istituzionali" (tutti i presenti si trovavano nell'esercizio delle loro funzioni istituzionali) e sull'utilizzo "di risorse pubbliche": pertanto può costituire anche oggetto di accesso civico ai sensi del D.Lgs. n. 97 del 2016 ".
Con proprie note dell'aprile 2017 il Direttore Generale INAF comunicava che:
- le due istanze di accesso erano state assunte al protocollo dell'INAF in data 27 Marzo 2017, con i numeri (...) e (...) ed erano state inoltrate ai destinatari con note prot. (...) e (...) del 4 Aprile 2017;
- che il Responsabile dei due Procedimenti di accesso era il Dott. Francesco Caprio, il quale, stante la connessione oggettiva delle istanze inviate al Direttore Scientifico e al Coordinatore dei Servizi Informatici, avrebbe esaminato e trattato contestualmente i procedimenti di accesso in questione.
Con nota prot. (...) del 10 Aprile 2017 il responsabile del procedimento ha trasmesso la lettera prot. n. (...) datata 7 Aprile e firmata dal Dott. N.M., Coordinatore del SID, con cui il predetto ha dichiarato di non detenere il video, attestando, nel contempo, che la registrazione -
cui egli aveva contribuito con il proprio supporto tecnico - "è proseguita ininterrottamente per tutta la giornata dell'incontro".
Con successiva nota prot. (...) del 21 Aprile 2017, ricevuta via PEC in pari data, il responsabile del procedimento trasmetteva altra lettera, a firma del Direttore Scientifico (prot. n. (...) del 21 Aprile 2017), con cui Costui comunicava che: "la Direzione Scientifica non detiene 'il video' e non ha archiviato su alcun supporto locale la trasmissione in streaming non avendone né facoltà né competenza tecnica".
Argomenta la ricorrente che il silenzio e la condotta omissiva hanno riguardato non solo il video ma
anche lo sconosciuto provvedimento con il quale in data 3 Marzo 2017 venne disposta ed attuata la modifica del documento in precedenza già "pubblicato" integralmente: è, infatti, certo che la registrazione, - come attestato dal Coordinatore del SID, dr. N. - "è proseguita ininterrottamente per tutta la giornata dell'incontro" del 23 Febbraio 2017 e che fino al 3 Marzo nessuna modifica era stata apportata a quanto "trasmesso in streaming" in diretta.
Con istanza del 5 Maggio 2017 la ricorrente, esercitando la facoltà prevista dal comma 7 dell' art. 5 del D.Lgs. n. 33 del 2013 come modificato dal D.Lgs. n. 97 del 2016 , proponeva formale 'richiesta di riesame' al responsabile della prevenzione della corruzione e della trasparenza dell'INAF, onde conseguire il chiesto accesso civico, senza esito.
Con i motivi dedotti, la ricorrente invoca violazione della "normativa in materia di trasparenza e di accesso civico generalizzato" ed il " D.Lgs. n. 97 del 2016 ", e la mancata conclusione del procedimento volto all'accesso civico con provvedimento espresso e motivato nel termine previsto dall' art. 5 co. 7 D.Lgs. n. 33 del 2013.
L'amministrazione si è costituta con articolata memoria per avversare il ricorso evidenziando, in punto di fatto, che il 23 febbraio 2017, nel corso di una riunione presso la Sede centrale dell'Istituto Nazionale di Astrofisica in cui si riunivano i membri del Consiglio di Amministrazione, i membri
del Consiglio scientifico dell'Ente, il Direttore Generale e il Direttore Scientifico, si procedeva alla trasmissione della stessa in diretta "streaming" su apposito Canale Youtube, denominato "INAF Sede Centrale".
Accadeva, tuttavia, che telecamera rimanesse "puntata" sull'area destinata agli interventi anche durante la sospensione dei lavori per una pausa pranzo, durante la quale venivano inavvertitamente filmati colloqui personali per scambi di saluti, conversazioni a carattere privato, ecc., tra i partecipanti alla riunione che si trovavano nel raggio di azione della telecamera.
Successivamente, dal filmato sono state, eliminate le parti che esulano completamente dalle finalità dell'incontro e della sua registrazione e il video, infine, così epurato delle parti inutili, è stato nuovamente pubblicato sullo stesso "Canale Youtube" ed è ancora oggi presente.
Tanto premesso, il ricorso non merita accoglimento.
Premesso che parte ricorrente non ha precisato in virtù di quale disposizione dell'art.5 D.Lgs. n. 33 del 2013 ella invochi la tutela dell'accesso civico - se, cioè, lamenti la violazione del comma 1 o del comma 2 ma comunque non ha dedotto la violazione di un preciso obbligo di pubblicazione che imponesse all'amministrazione "l'obbligo di pubblicazione integrale della ripresa in streaming della seduta", compresa di "pause", il Collegio ritiene di precisare, in proposito, i confini dell'ambito applicativo dell'accesso pubblico generalizzato di cui all'art.5 comma 2, secondo cui "Allo scopo di favorire forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull'utilizzo delle risorse pubbliche e di promuovere la partecipazione al dibattito pubblico, chiunque ha diritto di accedere ai dati e ai documenti detenuti dalle pubbliche amministrazioni, ulteriori rispetto a quelli oggetto di pubblicazione ai sensi del presente decreto, nel rispetto dei limiti relativi alla tutela di interessi giuridicamente rilevanti secondo quanto previsto dall'articolo 5-bis.".
Emerge immediatamente, dalla lettura della norma, che:
l'accesso ai " dati e documenti" può riguardare esclusivamente dati e documenti "detenuti" dall'amministrazione;
che l'accesso ha la finalità di "favorire forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull'utilizzo delle risorse pubbliche e di promuovere la partecipazione al dibattito pubblico" sicché sono oggetti di accesso generalizzato esclusivamente documenti attinenti a tali finalità;
che l'accesso non può prescindere dal rispetto dei limiti relativi alla tutela di interessi giuridicamente rilevanti secondo quanto previsto dall'articolo 5-bis, tra cui rileva in primo luogo ai sensi dell'art.5 bis comma 2 lett.c), quello relativo alla protezione dei dati personali.
Orbene, quanto al primo punto, va evidenziato che nella relazione dell'amministrazione viene dato atto che il Responsabile dei "Servizi Informatici per il Digitale", Dottore M.N., il quale ha fornito il supporto tecnico alla riproduzione, a riscontro della richiesta di accesso civico formulata dalla Dottoressa M. ha precisato che la registrazione dei video in "streaming" non prevede l'archiviazione su supporti locali e che il Dottor M.N. ha altresì puntualizzato che, allorché vengano operati interventi di regia per rimuovere interruzioni o sospensioni all'interno della registrazione, non viene conservata la versione precedente.
Ne deriva, allo stato, l'acclarata inesistenza di un "documento" videoregistrato che possa essere anche solo astrattamente suscettibile di accesso - generalizzato o meno- e che non costituisce oggetto del presente gravame la questione se, procedendo ad eliminare dalla versione integrale del video la parte non pertinente relativa alla pausa pranzo, l'amministrazione abbia semplicemente adempiuto all'obbligo previsto dall'art.5 bis comma D.Lgs. 14 marzo 2013, n. 33 o si sia invece resa responsabile della violazione di eventuali obblighi di conservazione e custodia
In secondo luogo, dal ricorso non emergono le ragioni per cui l'accessibilità della ripresa relativa alla pausa pranzo - e, in particolare, al colloquio di circa dieci minuti tra il Dott. Telesio, Direttore Generale e Responsabile prevenzione corruzione, e la Dott.ssa Umana- debba ritenersi strumentale al perseguimento delle funzioni istituzionali, all'utilizzo delle risorse pubbliche e alla promuovere la partecipazione al dibattito pubblico, piuttosto che a ragioni personali della ricorrente che si inseriscono nel quadro dei rapporti con la Dott.ssa Umana (v. sentenza 10866/2017).
In terzo luogo, non può non evidenziarsi che la vigente normativa in materia di protezione dei dati personali , ovvero il D.Lgs. n. 196 del 2003 prevede all'art.11 il divieto di trattamento di dati al di fuori del rispetto dei canoni di necessità, proporzionalità e pertinenza, oltre al principio generale di cui all'art. 20, secondo cui il trattamento dei dati sensibili da parte di soggetti pubblici è consentito solo se autorizzato da espressa disposizione di legge nella quale sono specificati i tipi di dati che possono essere trattati e di operazioni eseguibili e le finalità di rilevante interesse pubblico perseguite.
Ne deriva che, tranne nel caso di esplicito consenso degli interessati, la pubblicazione da parte dell'INAF (non obbligatoria in virtù di espressa previsione di legge nè necessitata da finalità di interesse pubblico) di documentazione di videoriprese relative a conversazioni private -quali sono inquadrabili quelle di cui trattasi, in quanto non strettamente inerenti alla riunione sebbene occasionalmente riprese in una sede istituzionale- sarebbe illegittima.
Ciò spiega peraltro perché l'art.5 comma 5 preveda che, "fatti salvi i casi di pubblicazione obbligatoria, l'amministrazione cui è indirizzata la richiesta di accesso, se individua soggetti controinteressati, ai sensi dell'articolo 5-bis, comma 2, è tenuta a dare comunicazione agli stessi, mediante invio di copia con raccomandata con avviso di ricevimento, o per via telematica per coloro che abbiano consentito tale forma di comunicazione" ai fini della eventuale opposizione.
[color=red][b]Si evidenzia, oltretutto, che tali obblighi sono oggi ancor più pregnanti dopo l'entrata in vigore del Regolamento UE 2016/679, i cui art.5, 6 e ss. -in attuazione al diritto fondamentale alla protezione dei dati personali sancito dall'art.8 della CEDU- ne ribadiscono l'inderogabilità da parte di disposizioni normative interne di eventuale segno opposto, neppure in nome della trasparenza e del diritto di accesso che, a differenza del diritto alla protezione dei dati personali, non trova protezione tra i diritti fondamentali dell'individuo tutelati dalla Carta Costituzionale Europea.[/b][/color]
In conclusione, il ricorso deve essere respinto.
Le spese, come per legge, seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Terza Bis), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Condanna parte ricorrente alle spese di lite, che si liquidano in Euro 750,00 (settecentocinquanta).
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 21 novembre 2017 con l'intervento dei magistrati:
Riccardo Savoia, Presidente
Maria Cristina Quiligotti, Consigliere
Ines Simona Immacolata Pisano, Consigliere, Estensore
[color=red][b]T.A.R. Lazio Roma Sez. IV,Ordinanza di remissione (ud. 13/06/2017) 19-09-2017, n. 167[/b][/color]
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE PER IL LAZIO
(Sezione Prima Quater)
Ha pronunciato la presente ordinanza sul ricorso numero di registro generale 564 del 2017, proposto da:
(Omissis), rappresentati e difesi dagli avvocati Stefano Orlandi, Micaela Grandi, con domicilio eletto presso lo studio dell'avv. Renato Caruso in Roma, via Cristoforo Colombo, n. 436;
Contro Garante per la protezione dei dati personali, Presidenza del Consiglio dei ministri, rappresentati e difesi dall'Avvocatura generale dello Stato, presso la cui sede domiciliano in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;
e con l'intervento di
ad opponendum: Codacons - Coordinamento delle associazioni e dei comitati di tutela dell'ambiente e dei diritti degli utenti e dei consumatori, rappresentato e difeso dagli avvocati Carlo Rienzi, Gino Giuliano, con domicilio eletto presso il suo ufficio legale in Roma, viale Giuseppe Mazzini, n. 73;
Per l'annullamento:
della nota del Segretario generale del Garante per la protezione dei dati personali n. 34260/96505 del 14 novembre 2016 ricevuta dai ricorrenti il 15 novembre 2016;
delle note del Segretario generale del Garante per la protezione dei dati personali n. 37894/96505, 37897/96505, 37899/96505, 37892/96505, 37893/96505, 37898/96505, del 15 dicembre 2016,
eventualmente, previa eventuale disapplicazione dell'art. 14, comma 1-bis, D.Lgs. 14 marzo 2013, n. 33 , nella parte in cui prevede che le pubbliche amministrazioni pubblichino i dati di cui all'art. 14 comma 1, lettere c) ed f), dello stesso decreto legislativo anche per i titolari di incarichi dirigenziali,
ovvero per la rimessione alla Corte di giustizia dell'Unione Europea o alla Corte costituzionale della questione in ordine alla compatibilita' delle disposizioni sopra citate con la normativa Europea e costituzionale.
Visto il ricorso;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del Garante per la protezione dei dati personali e della Presidenza del Consiglio dei ministri;
Visto l'atto di intervento ad opponendum di Codacons;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del 13 giugno 2017 il cons. Anna Bottiglieri e uditi per le parti i difensori come da relativo verbale.
Svolgimento del processo - Motivi della decisione
1. Con l'odierno gravame i ricorrenti, dirigenti di ruolo del Garante per la protezione dei dati personali, hanno interposto impugnativa avverso la nota del Segretario generale del Garante n. 34260/96505 del 14 novembre 2016, che, al fine di adempiere alle prescrizioni di cui all'art. 14, comma 1-bis, del D.Lgs. 14 marzo 2013, n. 33 , nella parte in cui prevede che le pubbliche amministrazioni pubblichino nel proprio sito web i dati dei titolari di incarichi dirigenziali di cui all'art. 14 comma 1, lettera c) e f) dello stesso decreto legislativo, ed evidenziato che la violazione dell'obbligo e' sanzionata amministrativamente dall' art. 47, comma 1, del D.Lgs. n. 33 del 2013, a carico del singolo dirigente responsabile della mancata comunicazione, ed e' parimenti soggetta a pubblicazione, ha invitato i ricorrenti a inviare entro un dato termine la relativa documentazione, e precisamente:
copia dell'ultima dichiarazione dei redditi presentata, oscurando i dati eccedenti, come previsto dalla Linee guida del Garante;
dichiarazione, aggiornata alla data di sottoscrizione, per la pubblicita' della situazione patrimoniale, da rendersi secondo lo schema allegato alla richiesta;
dichiarazione di negato consenso per il coniuge non separato e i parenti entro il secondo grado, ovvero, pel caso di avvenuta prestazione del consenso, copia delle dichiarazioni dei redditi dei suddetti soggetti e dichiarazioni aggiornate per la pubblicita' delle rispettive situazioni patrimoniali, sempre secondo il modello allegato;
dichiarazione dei dati relativi ad eventuali altre cariche presso enti pubblici o privati o altri incarichi con oneri a carico della finanza pubblica assunte dagli interessati.
L'impugnativa e' stata estesa agli ulteriori provvedimenti indicati in epigrafe, con i quali il Garante ha restituito a ciascuno dei ricorrenti, intonsa, la documentazione trasmessa dai medesimi in riscontro alla predetta richiesta, significando che quanto fatto pervenire, ovvero una busta sigillata contenente la documentazione sopra elencata, con contestuale istanza di non dar corso al trattamento dei relativi dati, onde evitare un illegittimo pregiudizio nelle more della tutela giudiziale in via di attivazione, non integrasse adempimento dell'obbligo. I ricorrenti hanno rappresentato di aver successivamente trasmesso alla casella di posta elettronica indicata dall'amministrazione la documentazione in parola, al solo fine di adempiere a quanto richiesto e mantenendo assolutamente ferma la propria opposizione al trattamento dei dati in questione e alla loro successiva pubblicazione.
A sostegno dell'impugnativa, i ricorrenti descrivono il precedente quadro normativo, illustrando come l' art. 21, comma 1, della L. 18 giugno 2009, n. 69, abbia introdotto l'obbligo a carico delle pubbliche amministrazioni di cui all' art. 1, comma 2, del D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165, di pubblicare sui propri siti internet i curricula vitae dei dirigenti, i dati relativi agli emolumenti da questi percepiti e i relativi recapiti d'ufficio, oltre che le informazioni inerenti i tassi di assenza e di presenza del personale di ciascun ufficio dirigenziale, e come tale obbligo sia poi rifluito nella formulazione dell' art. 15 del D.Lgs. 14 marzo 2013, n. 33, "Riordino della disciplina riguardante il diritto di accesso civico e gli obblighi di pubblicita', trasparenza e diffusione di informazioni da parte delle pubbliche amministrazioni", il cui ambito di applicazione e' stato esteso, con l' art. 24-bis del D.L. 24 giugno 2014, n. 90, convertito dalla L. 11 agosto 2014, n. 114 , anche alle autorita' amministrative indipendenti, tra cui il Garante per la protezione dei dati personali, mentre, allo stato, l'ambito di applicazione soggettiva della disciplina sulla trasparenza e' definito nell' art. 2-bis del D.Lgs. n. 33 del 2013.
Proseguono i ricorrenti evidenziando che il quadro degli obblighi di trasparenza applicabili ai dirigenti e' stato modificato radicalmente dal D.Lgs. 25 maggio 2016, n. 97 , recante revisione e semplificazione delle disposizioni in materia di prevenzione della corruzione, pubblicita' e trasparenza, in attuazione dell' art. 7 della L. 7 agosto 2015, n. 124, che li ha equiparati integralmente a quelli stabiliti per i titolari di incarichi politici, di amministrazione, di direzione o di governo.
In particolare, il D.Lgs. n. 97 del 2016 ha introdotto il comma 1-bis dell' art. 14 del D.Lgs. n. 33 del 2013, prevedente che "le pubbliche amministrazioni pubblicano i dati di cui al comma 1 per i titolari di incarichi o cariche di amministrazione, di direzione o di governo comunque denominati, salvo che siano attribuiti a titolo gratuito, e per i titolari di incarichi dirigenziali, a qualsiasi titolo conferiti, ivi inclusi quelli conferiti discrezionalmente dall'organo di indirizzo politico senza procedure pubbliche di selezione".
I dati in parola sono elencati al comma 1 dello stesso art. 14, e sono i seguenti, tra cui quelli in contestazione, riportati in corsivo:
a) l'atto di nomina o di proclamazione, con l'indicazione della durata dell'incarico o del mandato elettivo;
b) il curriculum;
c) "i compensi di qualsiasi natura connessi all'assunzione della carica; gli importi di viaggi di servizio e missioni pagati con fondi pubblici";
d) i dati relativi all'assunzione di altre cariche, presso enti pubblici o privati, ed i relativi compensi a qualsiasi titolo corrisposti;
e) gli altri eventuali incarichi con oneri a carico della finanza pubblica e l'indicazione dei compensi spettanti;
f) "le dichiarazioni di cui all' art. 2, della L. 5 luglio 1982, n. 441, nonche' le attestazioni e dichiarazioni di cui agli articoli 3 e 4 della medesima legge (dichiarazione dei redditi, dichiarazione dello stato patrimoniale come possesso di beni immobili o mobili registrati, azioni, obbligazioni o quote societarie etc., n.d.r.,) come modificata dal presente decreto, limitatamente al soggetto, al coniuge non separato e ai parenti entro il secondo grado, ove gli stessi vi consentano. Viene in ogni caso data evidenza al mancato consenso. ...".
Cio' posto, i ricorrenti lamentano, in linea generale, che il livello di trasparenza richiesto dalla novella normativa appena descritta, che determina il trattamento giuridico limitativo della riservatezza individuale costituito dalla pubblicazione online dei dati in parola a carico di un notevolissimo numero di soggetti (secondo le elaborazioni dell'Aran, oltre 140.000, senza contare coniugi ne' parenti fino al secondo grado), non trovi rispondenza in alcun altro ordinamento nazionale, contrasti frontalmente con il principio di proporzionalita' di derivazione Europea, sia fondato sull'erronea assimilazione di condizioni non equiparabili fra loro (dirigenti delle amministrazioni pubbliche e degli altri soggetti cui il decreto si applica e titolari di incarichi politici), e prescinda dall'effettivo rischio corruttivo insito nella funzione svolta, come del resto evidenziato dallo stesso Garante per la protezione dei dati personali anche nell'ambito del parere reso alla Presidenza del Consiglio dei ministri sullo schema del D.Lgs. n. 97 del 2016 .
Di talche' i ricorrenti, rilevato che le Linee guida sull'attuazione dell' art. 14 del D.Lgs. n. 33 del 2013 dell'Autorita' nazionale anticorruzione (Anac), in corso di predisposizione, indicano al punto 6 che gli obblighi di trasparenza riferiti ai dirigenti si applicano a partire dall'1 gennaio 2017 e che i dati dovranno essere pubblicati dal 31 marzo 2017 (esclusa la dichiarazione dei redditi, la quale andra' pubblicata entro un mese dalla sua presentazione), hanno domandato l'annullamento degli atti gravati, previa eventuale disapplicazione dell'art. 14, comma 1-bis, del D.Lgs. n. 33 del 2013 , nella parte in cui prevede che le pubbliche amministrazioni pubblichino i dati di cui all'art. 14 comma 1, lettere c) ed f) dello stesso decreto legislativo anche per i titolari di incarichi dirigenziali, ovvero, in subordine, che il Tribunale adito sollevi in via pregiudiziale la questione di legittimita' dell'art. 14, comma 1-bis in combinato disposto con il comma 1, lettere c) ed f), D.Lgs. n. 33 del 2013 , innanzi alla Corte di giustizia dell'Unione Europea o avanti alla Corte costituzionale, per violazione in tale ultima ipotesi degli articoli 2, 3, 11, 13 e 117, comma 1, della Costituzione.
Le predette conclusioni sono affidate ai seguenti motivi di diritto.
[color=red][b]1) Violazione di legge per violazione del diritto alla vita privata, del diritto alla protezione dei dati personali, del principio di proporzionalita' e del principio di finalita' sanciti dagli articoli 7, 8 e 52 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea, dall'art. 6 del Trattato UE, dall'art. 8 della Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali, dall' art. 6, par. 1, lettera c), direttiva 95/46/CE e dall'art. 5, par. 1, lettera c), del regolamento 2016/679 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016.[/b][/color]
Con il primo motivo in parola i ricorrenti affermano che il contrasto degli atti gravati con il diritto Europeo emerge dalla sentenza della Corte di giustizia 20 maggio 2003 (C-465/00, C-138/01 e C-139/01, Österreichischer Rundfunk), che, in analoga fattispecie di legislazione nazionale che prevedeva la raccolta e divulgazione di dati concernenti il reddito di dipendenti di un ente pubblico, ha dichiarato la diretta invocabilita' innanzi al giudice nazionale, avverso norme di diritto interno contrarie a tali disposizioni, dell' art. 6, par. 1, lettera c), della direttiva 95/46/CE del 24 ottobre 1995, direttiva del Parlamento Europeo del Consiglio relativa alla tutela delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali, nonche' alla libera circolazione di tali dati, ai sensi del quale "i dati personali devono essere (...) adeguati, pertinenti e non eccedenti rispetto alle finalita' per le quali vengono rilevati e/o per le quali vengono successivamente trattati", nonche' dell'art. 7, lettere c) o e) della stessa direttiva, secondo cui il trattamento dei dati personali puo' essere effettuato solo laddove esso sia necessario per adempiere a un obbligo legale al quale e' soggetto il responsabile del trattamento ovvero per l'esecuzione di un compito di interesse pubblico o connesso all'esercizio di pubblici poteri di cui e' investito il responsabile del trattamento a cui vengono comunicati i dati.
I ricorrenti richiamano ancora la sentenza n. 389 del 1989 della Corte costituzionale e la sentenza della Corte di giustizia Europea 22 giugno 1989, in C 103/1988, F.lli Costanzo v. Comune di Milano, che hanno riconosciuto che anche gli organi della pubblica amministrazione, nello svolgimento della propria attivita' amministrativa, sono vincolati a non dare applicazione alle norme interne confliggenti con quelle comunitarie direttamente applicabili.
Cio' posto, i ricorrenti concludono per la disapplicazione nei loro confronti dell'art. 14, comma 1-bis e comma 1, lettere c) e f), D.Lgs. n. 33 del 2013 , disposizioni che ritengono contrarie alla predetta disciplina comunitaria, direttamente applicabile, di protezione dei dati personali, letta anche alla luce degli articoli 7 (Rispetto della vita privata e della vita familiare), 8 (Protezione dei dati di carattere personale) e 52 (Portata e interpretazione dei diritti e dei principi) della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea.
[color=red][b]I ricorrenti soggiungono come la gravata disposizione sia suscettibile di recare pregiudizio ai diritti fondamentali oggetto dell'art. 6 del Trattato UE (Diritto alla sicurezza), e si ponga, come detto, in diretto contrasto con l'art. 6, par. 1, lett c), e l'art. 8, par. 1 e 4, della direttiva 95/46/CE , che, rispettivamente, individuano rigorose modalita' di trattamento dei dati personali e vietano il trattamento di quelli rivelanti dati sensibili, principi confermati dalla nuova normativa in materia di protezione dei dati di cui al regolamento n. 2016/679 del Parlamento Europeo e del Consiglio, del 27 aprile 2016, entrato in vigore in Italia il 4 maggio 2016 e destinato ad avere piena efficacia il 25 maggio 2018, con l'art. 8 della Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali - CEDU, richiamata all'art. 52 della Carta dei diritti fondamentali dell'UE, che disciplina il diritto al rispetto della vita privata e familiare, del domicilio e della corrispondenza della persona, vietando ogni ingerenza dell'autorita' pubblica nell'esercizio di tale diritto che non sia previsto dalla legge e costituisca una misura necessaria per la protezione dei beni ivi indicati, con la Convenzione n. 108 del Consiglio d'Europa, firmata a Strasburgo il 28 gennaio 1981, che persegue la specifica finalita' di proteggere le persone rispetto al trattamento automatizzato di dati a carattere personale, con l'art. 117, primo comma, della Costituzione , che prevede che "la potesta' legislativa e' esercitata dallo Stato e dalle Regioni nel rispetto della Costituzione, nonche' dei vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali."[/b][/color]
Piu' in dettaglio, i ricorrenti sostengono che l'obbligo di trasmissione all'amministrazione e la successiva pubblicazione dei dati di cui all' art. 14, D.Lgs. n. 33 del 2013, cosi' come novellato dall' art. 13, D.Lgs. n. 97 del 2016, con l'introduzione del comma 1-bis, e con specifico riferimento ai dati di cui alle lettere c) e f), violi le richiamate disposizioni sotto il profilo:
A - della violazione del diritto alla vita privata e alla protezione dei dati, comportando un'ingerenza nella vita privata degli interessati, del coniuge e dei parenti di secondo grado;
B - della violazione dei principi di proporzionalita', di pertinenza e non eccedenza nel trattamento dei dati personali, stante la compressione pressoche' integrale di diritti fondamentali, in violazione del principio di proporzionalita', il cui rispetto comporterebbe il perseguimento delle legittime finalita' di trasparenza dell'amministrazione e non dei suoi dipendenti, contemperando in pari tempo i diritti fondamentali degli interessati.
In particolare, nel caso di specie, i ricorrenti sostengono che nessuna misura di contemperamento sia stata posta in essere, disattendendo, peraltro, i pareri espressi dal Garante per la protezione dei dati (parere reso al Governo il 3 marzo 2016; nota 30 ottobre 2014, firmata con il Presidente dell'Anac e indirizzata al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione), che hanno evidenziato le criticita' costituite dal carattere indifferenziato degli obblighi di pubblicita', con conseguente pregiudizio della ragionevolezza complessiva della disciplina in materia di trasparenza, essenziale per il buon andamento e la democraticita' dell'azione amministrativa, dalle significative limitazioni della riservatezza comportate dall'obbligo di pubblicita', suscettibile di irragionevolezza, stante la divulgazione online di una quantita' spesso ingestibile di dati, riferiti per giunta non solo ai diretti interessati, ma anche al coniuge e ai parenti entro il secondo grado, ove questi acconsentano, con rischi di alterazione, manipolazione, riproduzione per fini diversi, che potrebbero frustrare le esigenze di informazione veritiera e, quindi, di controllo, poste a base della disposizione, dalla sproporzione delle misure di pubblicita', introdotte mediante la totale equiparazione, ovvero senza alcuna graduazione, di tutti i dirigenti delle pubbliche amministrazioni ai titolari di incarichi politici di amministrazione, di direzione e di governo.
Del resto, analoga sproporzione, rilevano i ricorrenti, e' stata stigmatizzata nell'ordinamento francese, avendo il Conseil constitutionnel, con decisione n. 2013-675 DC del 9 ottobre 2013, relativa alla "Loi organique relative a' la transparence de la vie publique" (Projet de loi adopte' le 17 septembre 2013 - T.A. n. 209), giudicato sproporzionata la pubblicazione dello stato reddituale e patrimoniale di soggetti che non ricoprono cariche elettive ma che esercitano incarichi implicanti soltanto responsabilita' di natura amministrativa, per i quali e' stato ritenuto invece proporzionato il solo deposito delle relative dichiarazioni presso l'Autorita' di controllo competente (punto 22).
I ricorrenti proseguono indicando i rischi insiti nel sistema di pubblicita' prescritto dalla norma, sia con riguardo al tipo di documentazione richiesta, prettamente basata sui valori immobiliari, sia con riguardo al tipo di pubblicita' prevista, ovvero la diffusione mediante i siti internet istituzionali (tra cui i rischi di furto di identita' o rischi di natura piu' grave da parte di potenziali aggressori, anche in zone del territorio diverse da quelle di abituale dimora, la divulgazione di informazioni sensibili), ed evidenziano modalita' alternative di pubblicita' idonee ad assicurare le finalita' di trasparenza assunte dalla norma, mentre, quanto all'erronea equiparazione fra titolari di incarichi dirigenziali e di incarichi politici, sostengono la pervasivita' della misura, che per i secondi costituisce un sacrificio temporalmente limitato alla durata dell'incarico politico, laddove per i dirigenti si trasforma in una vera e propria condizione di vita, destinata ad accompagnarli per l'intera durata del rapporto di lavoro ( art. 14, comma 2, D.Lgs. n. 33 del 2013), tenuto anche conto del fatto che, una volta diffusi, anche se materialmente rimossi dai siti istituzionali, i dati pubblicati possono continuare a circolare senza che vi sia un effettivo modo di impedirlo.
Il sacrificio imposto ai diritti dei singoli, rilevano i ricorrenti, e' ulteriormente aggravato dalla previsione normativa (art. 7-bis, comma 1, e 9, comma 1, D.Lgs. n. 33 del 2013 ) per cui nessun filtro o artifizio puo' essere adottato dalle amministrazioni cui compete la pubblicazione online dei dati affinche' l'accesso ai documenti venga, anche con l'uso di strumenti informatizzati, in qualunque modo discriminato e gli stessi documenti siano resi non consultabili dai c.d. motori di ricerca, con l'effetto di rendere immediatamente e automaticamente indicizzate le informazioni e i dati personali riferiti ai ricorrenti (ed, eventualmente, ai loro familiari), o comunque a essi riconducibili, da parte dei motori di ricerca internet, quali Google, che amplifica a dismisura la conoscibilita' dei documenti pubblicati online, producendo un'irragionevole espansione del novero dei fruitori dei dati al di la' di qualunque criterio limitativo temporale o geografico, e prestandosi alla disseminazione di dati decontestualizzati e parziali, idonei a fornire rappresentazioni erronee e fuorvianti della personalita' degli interessati e delle informazioni a essi riferibili, anche nei confronti di soggetti non interessati ai profili di trasparenza amministrativa, che possono casualmente imbattersi, usando quale chiave di ricerca il nominativo personale, nell'insieme delle informazioni in parola.
In altre parole, per i ricorrenti, la sproporzione della misura e la gravita' dell'interferenza nella vita privata degli interessati risiede anche nella sconfinata platea dei soggetti che, tramite la prevista diffusione in internet dei documenti e dei dati richiesti, e' in condizione di accedere alla mole di informazioni sopra descritte, peraltro con estrema facilita', essendo le stesse, come detto, a portata di "click" grazie alla mera digitazione dei nominativi degli interessati nei comuni motori di ricerca.
I ricorrenti invocano altre determinazioni inerenti la necessita' del rispetto, nella regolazione della trasparenza, del principio di proporzionalita' di derivazione Europea, che, negando l'automatica prevalenza dell'obiettivo di trasparenza sul diritto alla protezione dei dati personali, depongono per la sua violazione nel caso di specie (Anac, Atto di segnalazione n. 1 del 2 marzo 2016, relativo al decreto legislativo di cui all' art. 7 della L. n. 124 del 2015, approvato dal Consiglio dei ministri il 20 gennaio 2016; Corte di giustizia dell'Unione Europea, decisione del 20 maggio 2003, Österreichischer Rundfunk, C-465/00, C-138/01 e C-139/01 riunite; Corte di giustizia dell'U.E., Grande Sezione, decisione del 9 novembre 2010, C-92/09 e 93/09 riunite).
Nel proprio percorso argomentativo i ricorrenti richiamano il parere del Gruppo delle Autorita' di protezione dati Europee, previsto dall' art. 29 della direttiva 95/46/CE, organismo consultivo e indipendente, composto dai rappresentanti delle Autorita' di protezione dei dati di ciascuno Stato membro, dal Garante Europeo della protezione dei dati e da un rappresentante della Commissione Europea, reso in relazione alla pubblicazione di dati personali per scopi di trasparenza nel settore pubblico, Opinion 2/2016 on the publication of Personal Data for Transparency purposes in the Public Sector, WP 239.
Tale parere, in applicazione dei principi sin qui riferiti in tema di misure relative a conflitti di interesse e trasparenza, richiamata l'attenzione degli Stati membri sulla necessita' di definire criteri oggettivi e pertinenti nello stabilire quali dati di quali soggetti debbano essere sottoposti a trattamento, ovvero di adottare un approccio selettivo al trattamento di dati personali, nel quale rilevano anche le distinzioni basate "sulla collocazione gerarchica e sul potere decisionale con riguardo a politici, alti dirigenti o figure pubbliche che occupino posizioni associate a responsabilita' di natura politica, rispetto a soggetti che rivestono qualifiche gestionali nel settore pubblico, quali gli amministratori o i dirigenti, che non occupano cariche elettive ma rivestono qualifiche di natura gestionale-amministrativa, e ai soggetti operanti nel settore pubblico privi di autonome responsabilita' decisionali", e sulla necessita' di rispettare il principio (di minimizzazione) per cui "il trattamento di dati personali deve corrispondere al minimo necessario per il raggiungimento dello scopo perseguito (l'individuazione e la punizione di eventuali conflitti di interesse)", ha concluso che nel caso di "norme nazionali in materia di trasparenza", che prevedano "la pubblicazione online di informazioni relative ai redditi individuali e ai compensi percepiti da soggetti che rivestono qualifiche di livello elevato nell'amministrazione (ad esempio, dirigenti generali)" sarebbe, nel rispetto del principio di minimizzazione "sufficiente pubblicare l'importo complessivo dei compensi relativi ai soggetti in questione. Viceversa, sara' difficilmente proporzionata la pubblicazione di dati quali il codice o identificativo fiscale, relazioni finanziarie per esteso, informazioni dettagliate ricavate da denunce dei redditi o dai cedolini stipendiali, informazioni bancarie o indirizzi privati, numeri di telefono personali o account personali di posta elettronica";
C - della violazione del principio di finalita' di cui agli articoli 8 della Carta e 6, par. 1, lettera b), dir. 95/46/CE , cardine della disciplina di protezione dei dati, secondo il quale i dati personali possono essere "rilevati per finalita' determinate, esplicite e legittime, e successivamente trattati in modo non incompatibile con tali finalita'", ritenendosi in ricorso che l'avversata norma pieghi le informazioni personali (obbligatoriamente) conferite dagli interessati all'amministrazione finanziaria in adempimento dei doveri fiscali (nella forma della dichiarazione dei redditi) al perseguimento di una finalita' diversa e incompatibile rispetto a quella che ne ha giustificato l'originaria raccolta.
Anche per tale profilo, sottolineata l'estraneita' delle finalita' fiscali alle finalita' di trasparenza, i ricorrenti invocano le conclusioni assunte dal Gruppo delle Autorita' di protezione dati Europee, parere n. 03/2013, che evidenziano il nesso che deve sussistere tra gli scopi per cui i dati sono stati originariamente raccolti e le finalita' dell'ulteriore trattamento previsto, il contesto in cui questi sono stati raccolti e le ragionevoli aspettative degli interessati per quanto riguarda il loro ulteriore utilizzo, la natura dei dati trattati, le possibili conseguenze dell'ulteriore trattamento sulle persone interessate, le eventuali garanzie previste per evitare un impatto eccessivo sulle persone interessate.
D - della violazione del principio di pertinenza e non eccedenza nel trattamento dei dati personali con riferimento al principio di ragionevolezza.
I ricorrenti sostengono che non vi sia alcuna ragionevolezza nel diffondere i compensi di un dirigente, cosi' come ritengono priva di qualunque logica la pubblicazione del numero di fabbricati posseduti senza ulteriore specificazione che non la citta' in cui essi si trovano, elementi che ritengono suscettibili, di per se, di dare adito alle piu' varie congetture.
2) Violazione di legge per violazione dell'art. 117, comma 1 della Costituzione e violazione del rispetto dei vincoli internazionali e comunitari.
Con il secondo motivo di ricorso i ricorrenti lamentano la violazione da parte delle norme in parola dell'art. 117, comma 1, della Costituzione , sotto il profilo della violazione dei principi di pertinenza e non eccedenza nel trattamento dei dati, degli obblighi di esattezza, di aggiornamento e di limitata conservazione dei dati, fissati dalla normativa internazionale e comunitaria sopra illustrata e direttamente operanti nell'ordinamento nazionale, con conseguente illegittimita' anche costituzionale delle stesse.
3) Violazione di legge per violazione dell'art. 3 della Costituzione , del principio di uguaglianza, dell'art. 13 Costituzione (liberta' personale).
Per il terzo motivo, l'art. 14, comma 1-bis, del D.Lgs. 14 marzo 2013, n. 33 , nella parte in cui prevede che ai dirigenti delle pubbliche amministrazioni si applichino gli stessi obblighi di pubblicita' e di trasparenza dei titolari di incarichi politici di cui di cui all'art. 14, comma 1, lettere c) ed f) - sancendo il medesimo obbligo di pubblicazione online della dichiarazione dei redditi e della dichiarazione dello stato patrimoniale (come possesso di beni immobili o mobili registrati, azioni, obbligazioni o quote societarie) nonche' dei compensi di qualsiasi natura connessi all'assunzione della carica (ivi inclusi gli importi di viaggi di servizio e missioni pagati con fondi pubblici) - si pone in contrasto con il principio di eguaglianza formale di cui all'art. 3, comma 1, Cost. , avendo parificato in modo irragionevole, illogico, irrazionale e arbitrario situazioni molto diverse fra loro (trasparenza delle cariche politiche e trasparenza degli incarichi amministrativi), senza distinguerne la portata degli obblighi di pubblicita' online in ragione, in particolare, del grado di esposizione dell'incarico pubblico al rischio di corruzione, dell'ambito di esercizio della relativa azione o delle risorse pubbliche assegnate della cui gestione il soggetto interessato debba quindi rispondere, nonche' delle ragionevoli aspettative di riservatezza dei dipendenti pubblici coinvolti.
I ricorrenti richiamano, al riguardo, la gia' citata decisione della Corte costituzionale francese (n. 2013-675 DC del 9 ottobre 2013), che ha ritenuto sproporzionata la pubblicazione dello stato reddituale e patrimoniale di soggetti che non ricoprono cariche elettive ma che esercitano incarichi implicanti soltanto responsabilita' di natura amministrativa.
I ricorrenti denunziano la violazione del principio di eguaglianza anche tramite l'utilizzo della tecnica del "tertium comparationis", ovvero in relazione al fatto che le contestate misure siano state previste per i dirigenti pubblici e parapubblici, e non per altre categorie di lavoratori e settori aventi le medesime caratteristiche, nonche' per altre figure professionali dell'amministrazione.
I ricorrenti ritengono le impugnate disposizioni in materia di trasparenza irragionevoli e irrazionali, dunque viziate sotto il profilo dell'eccesso di potere, per l'evidente sproporzione dei mezzi utilizzati per raggiungere le finalita' di trasparenza volute dal legislatore, con effetti in larga parte disfunzionali rispetto all'esigenza di consentire quelle forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull'utilizzo delle risorse pubbliche di cui al D.Lgs. n. 33 del 2013 , finalita' che assumono poter essere assicurata dalla mera indicazione delle fasce stipendiali, eventualmente anche per qualifiche non comprese nella normativa di cui trattasi.
I ricorrenti sostengono infine che detta nuova situazione giuridica: e' stata imposta ai dirigenti per legge, mutando unilateralmente le condizioni anche contrattuali previgenti, con effetti diretti e negativi su aspetti fondamentali della vita degli interessati, legati al riconosciuto diritto alla riservatezza e alla dignita' personale; che lo strumento previsto e' irragionevole, in quanto la pubblicazione della dichiarazione dei redditi o l'indicazione dei beni immobili non necessariamente lasciano trasparire condotte illecite, e considerato che gli episodi di corruzione vedono spesso coinvolte anche figure diverse da quelle dirigenziali, non assoggettate ai menzionati obblighi; che gli obblighi in parola sono stati introdotti con riferimento ai congiunti delle figure dirigenziali (coniuge non separato e parenti entro il secondo grado), che vengono assoggettati dalle disposizioni citate ai medesimi obblighi di pubblicazione, e che la prevista possibilita' per il familiare di negare il consenso alla pubblicazione e' misura insufficiente a impedire un implicito giudizio negativo sulla determinazione, atteso che si prevede che il rifiuto del congiunto sia pubblicato sul sito dell'amministrazione.
4) Violazione di legge per violazione degli articoli 2 e 13 Costituzione , della liberta' e sicurezza personale, del principio di uguaglianza.
Con il quarto motivo i ricorrenti sostengono che le disposizioni in questione sono violative degli articoli 2 e 13 della Costituzione che garantiscono a chiunque di godere dei diritti fondamentali, ivi compresi quelli alla sicurezza e alla liberta', beni che si ritengono compromessi dalla conoscibilita' integrale e diffusa della situazione reddituale e patrimoniale di una persona e della sua famiglia, che pone gli interessati in una posizione di sostanziale rischio per la sicurezza individuale e perpetra ulteriormente anche la violazione del principio di uguaglianza. Tale rischio, soggiungono i ricorrenti, e' stato evidenziato in analoghe fattispecie nel gia' citato parere dell'8 giugno 2016 del Gruppo delle Autorita' di protezione dati Europee nonche' nelle Linee guida recanti indicazioni operative ai fini della definizione delle esclusioni e dei limiti all'accesso civico di cui all' art. 5, comma 2, del D.Lgs. n. 33 del 2013 dell'ANAC (Delib. n. 1309 del 28 dicembre 2016).
5) Con il quinto motivo, relativo alla domanda di annullamento delle note del Segretario generale del Garante, i ricorrenti riconoscono che le stesse traggono diretto fondamento dai vigenti obblighi normativi in materia di trasparenza di cui si chiede la disapplicazione, e che l'amministrazione ha introdotto temperamenti alle previsioni normative, ma espongono tuttavia come tali temperamenti non elidano il grave pregiudizio discendente agli interessati dalla diffusione delle informazioni richieste.
Cio' in quanto la possibilita' di mascherare gli importi delle spese sanitarie del nucleo familiare contenuti nella dichiarazione dei redditi e posti in detrazione sarebbe rimedio vanificato dal confronto tra l'importo del reddito complessivo con il reddito imponibile (dati non mascherabili), per cui la presenza di spese per cure mediche, rivelatrice dello stato di salute degli interessati e dei familiari, verrebbe immediatamente rilevata anche da un osservatore non specificamente interessato o, circostanza ben piu' preoccupante, da chi avesse interesse e sufficienti mezzi per procedere al rilevamento automatizzato e massivo di tali situazioni tramite la consultazione dei dati diffusi in rete anche mediante l'azione dei motori di ricerca.
6) Con il sesto motivo, dedicato alla disapplicazione dell'art. 14, comma 1-bis, in combinato disposto con il comma 1, lettera c), D.Lgs. n. 33 del 2013 , i ricorrenti assumono, oltre a quanto rilevato in relazione all'art. 14, comma 1, lettera f), dello stesso decreto legislativo, che l'indiscriminata diffusione presso il pubblico dei compensi, con le modalita' previste dalla legge, peraltro indipendentemente da qualunque predefinizione di soglia, e' un'ingerenza nella vita privata che puo' essere giustificata, ai sensi dell'art. 8, n. 2, della CEDU (richiamata dall'art. 52 della Carta dei diritti fondamentali), solo ove tale informazione contribuisca al benessere economico del paese e non per (pur rilevanti) esigenze di trasparenza amministrativa. Nel caso di specie si tratterebbe, invece, di un mero interesse del pubblico a essere informato, e la misura sarebbe, in ogni caso, sproporzionata rispetto al diritto alla vita privata e familiare nonche' al diritto alla protezione dei dati personali degli interessati.
I ricorrenti ribadiscono come, del resto, in conformita' al principio di proporzionalita', l'obiettivo perseguito dalle norme in esame ben potrebbe essere realizzato utilizzando modalita' meno invasive (quali, a esempio, la diffusione di dati coperti dall'anonimato, la pubblicazione di tabelle reddituali, la pubblicazione in forma nominativa di informazioni secondo scaglioni, come previsto in taluni ordinamenti Europei).
Infine, i ricorrenti ritengono la normativa nazionale de qua incompatibile con l'art. 6, n. 1, lettere b) e c), della direttiva n. 95/46 e non legittimata ai sensi dell'art. 7, lettere c) o e), di quest'ultima, poiche' essa rappresenta un'ingerenza non giustificata alla luce dell'art. 8, n. 2, della CEDU, nonche' sproporzionata, atteso che l'ordinario controllo contabile, integrato da un regime di pubblicita' dei redditi rispettoso dei diritti dei singoli, sarebbe sufficiente per garantire l'impiego parsimonioso delle finanze pubbliche.
Esaurita l'illustrazione delle illegittimita' rilevate a carico degli atti gravati, i ricorrenti, come detto, domandano la disapplicazione delle menzionate disposizioni di cui all' art. 14, D.Lgs. n. 33 del 2013, con il conseguente annullamento degli atti gravati, e, in subordine, che il Tribunale adito rimetta alla Corte di giustizia dell'Unione Europea le questioni pregiudiziali analiticamente formulate in ricorso, ai sensi dell'art. 267 TUE, ovvero sollevi innanzi alla Corte costituzionale la questione di legittimita' dell'art. 14, comma 1-bis in combinato disposto con il comma 1, lettere c) ed f), D.Lgs. n. 33 del 2013 , per violazione degli articoli 2, 3, 11, 13 e 117, comma 1, della Costituzione.
2. Si sono costituiti in resistenza il Garante per la protezione dei dati personali e la Presidenza del Consiglio dei ministri, eccependo in via pregiudiziale il difetto di giurisdizione dell'adito Tar in favore del giudice ordinario, ai sensi dell' art. 152 del D.Lgs. 30 giugno 2003, n. 196, e l'inammissibilita' dell'impugnativa, rivolta avverso atti non costituenti provvedimenti amministrativi e in quanto tali privi di autonoma lesivita'.
Nel merito, la difesa erariale sostiene la legittimita' dell'azione amministrativa posta in essere dal Garante, che, esercitati i suoi compiti consultivi e non vincolanti nei confronti del legislatore evidenziando alcune limitate criticita' della bozza di disposizione di cui si discute, ed entrata in vigore la norma di legge nella formulazione in parola, non poteva che adottare le iniziative finalizzate a darvi attuazione, e illustra l'insussistenza nella fattispecie dei peculiari presupposti individuati dalla giurisprudenza che legittimano il ricorso al rimedio della disapplicazione della normativa nazionale: difetterebbe, in particolare, l'elemento di assoluta certezza del contrasto tra la norma interna e gli invocati principi del diritto UE.
L'amministrazione resistente evidenzia con varie argomentazioni come l'applicazione delle contestate misure di trasparenza, in chiave di prevenzione di fenomeni corruttivi, appare particolarmente indicata e rispettosa del parere del Garante, concludendo pertanto, in ogni caso, per la reiezione del gravame.
3. Con ordinanza 2 marzo 2017, n. 1030, la domanda di sospensione interinale dell'esecuzione degli atti gravati, incidentalmente formulata in ricorso, e' stata accolta.
4. Si e' costituito in giudizio ad opponendum, il Codacons - Coordinamento delle associazioni e dei comitati di tutela dell'ambiente e dei diritti degli utenti e dei consumatori.
L'interveniente, illustrati la sua legittimazione e il suo interesse a spiegare intervento nel giudizio di cui trattasi, sostiene la legittimita' dei gravati provvedimenti, attuativi di disposizioni normative a tutela della trasparenza dell'agire amministrativo che ritiene parimenti legittime, tenuto conto delle facolta' dei cittadini in cui il principio della trasparenza deve necessariamente declinarsi al fine del raggiungimento delle connesse finalita' pubblicistiche volte a favorire il controllo diffuso sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull'utilizzo delle risorse pubbliche.
Il Codacons rileva in particolare come l'estensione ai dirigenti pubblici degli obblighi di trasparenza prescritti inizialmente solo a carico dei titolari di incarichi politici fosse gia' stata prevista dall'Anac (Delib. n. 144 del 2014) mediante una interpretazione costituzionalmente orientata, e anzi imposta, dell' art. 14 del D.Lgs. n. 33 del 2013, alla luce del principio di ragionevolezza e non discriminazione di cui all'art. 3 Cost. , trattandosi in entrambi i casi di categorie titolari di poteri, di natura politica o amministrativa, di indirizzo o di gestione e di amministrazione attiva, esposte piu' di altre al concreto e attuale pericolo di corruzione, con la conseguente esigenza di garantire, mediante la pubblicazione di dati anche reddituali e patrimoniali, la trasparenza del loro esercizio, mediante una prescrizione normativa che si inserisce, quale naturale evoluzione legislativa connessa alla trasformazione e all'accrescimento del ruolo e della responsabilita' della dirigenza operatosi nel tempo, in un coacervo di specifici obblighi gia' incombenti sui dirigenti ( art. 13 del D.P.R. n. 62 del 2013).
Per il Codacons, che conclude per il rigetto del gravame e richiama, quanto alla ragionevolezza e coerenza dell'attuale assetto normativo, le Linee guida Anac n. 241/2014, sarebbe, in sostanza, la sottrazione dei dirigenti all'obbligo di trasparenza di cui all' art. 14, D.Lgs. n. 33 del 2013, a dar luogo a una irragionevole e incostituzionale disparita' di trattamento.
5. Nel prosieguo, le parti costituite hanno affidato a memorie lo sviluppo delle proprie tesi difensive.
5.1. La difesa erariale, ribadite le eccezioni pregiudiziali gia' spiegate, e riferito che, l'Anac, con Delib. n. 382 del 2017, ha sospeso l'efficacia della precedente Delib. n. 241 del 2017, Linee guida per l'attuazione del ridetto art. 14, limitatamente alla parte inerente l'applicazione del relativo comma 1, lettere c) e f) per i dirigenti pubblici, in dichiarata attesa della definizione del presente giudizio o di un intervento chiarificatore del legislatore, rileva l'inconferenza dell'assunto secondo cui l'estensione di obblighi preesistenti e vigenti nell'ordinamento nazionale da oltre tre anni a una nuova categoria di soggetti possa ridondare, ora, in violazione di un apparato di norme Europee e nazionali, determinando lesioni di diritti e liberta' individuali di valore assoluto.
La difesa erariale rileva, piu' in dettaglio, l'insostenibilita' della tesi, cui ritiene informato il gravame, secondo cui gli obblighi di pubblicazione di cui all' art. 14, lettere c) e f), D.Lgs. n. 33 del 2013, sarebbero legittimi in relazione a determinate categorie di soggetti (titolari di incarichi politici) e illegittimi in relazione ad altra categoria (titolari di incarichi dirigenziali), sia in quanto, evidentemente, il vizio non concerne l'obbligo di pubblicazione ex se, sia perche' basata esclusivamente su orientamenti giurisprudenziali formatisi in base a valutazioni di proporzionalita' e ragionevolezza di norme appartenenti a ordinamenti stranieri, cio' che implica l'apprezzamento delle modalita' complessive con cui gli stessi hanno regolato la materia della trasparenza e dell'accesso, che non permette di effettuare comparativamente una diretta utilizzazione delle relative conclusioni.
La difesa erariale evidenzia ancora come tutte le norme sovranazionali richiamate dalla parte ricorrente rimettano sempre al legislatore nazionale, come e' naturale che sia, la ponderazione dei diversi interessi in gioco (interesse pubblico generale alla trasparenza, da una parte, e interesse personale alla riservatezza del singolo, dall'altra) e come, quindi, i principi invocati di proporzionalita', pertinenza, non eccedenza, finalita', non siano altro che strumenti in base ai quali effettuare una ponderazione, che sconta i differenti caratteri e la diversa portata dell'interesse pubblico generale che si intende tutelare attraverso il regime di trasparenza, e che puo' avere una configurazione diversa, a seconda del sistema nazionale considerato.
In altre parole, la difesa erariale evidenzia la necessita' di distinguere, nella valutazione di come i predetti principi possano essere legittimamente calati nei vari ordinamenti, tra sistemi nazionali in cui l'accesso agli atti dati e informazioni delle pubbliche amministrazioni (secondo il paradigma statunitense "Freedom of information act - Foia"), e' sempre stato generalizzato, e' ormai cristallizzato e funziona bene, in cui il sistema di giustizia (o di rimedi stragiudiziali) opera in modo tempestivo ed efficiente, i casi di conflitti di interessi e di corruzione non sono numerosi (o e' comunque prevista una specifica disciplina normativa al riguardo), e sistemi in cui, diversamente, l'accesso e' sempre stato qualificato e ristretto o magari non garantisce adeguati standard di tempestivita' ed efficienza, i casi di conflitti di interessi e di corruzione sono al di sopra della media Europea e internazionale ovvero esistono discipline deboli sulla trasparenza e sul conflitto di interessi.
E, per l'amministrazione, collocandosi l'Italia in questa seconda categoria, alla luce delle specifiche pubblicazioni nazionali e internazionali richiamati nella memoria, e' in siffatto contesto ("relativita' intrinseca") che va valutata la proporzionalita', pertinenza, non eccedenza, finalita' della contestata misura, operazione che dimostra che la relativa ampiezza e' giustificata e rispettosa dei predetti criteri, anche tenendo conto degli studi e dei dati dell'OCSE in tema di gestione del conflitto di interessi e di "asset disclosure" per i funzionari pubblici (Government at a Glance 2015; Survey on Managing Conflict of Interest in the Executive Branch, 2014), che evidenziano, a livello internazionale, che il livello di divulgazione degli interessi privati dei funzionari pubblici, in media, e' strettamente correlato alla posizione dirigenziale, e che, in Italia, il livello di divulgazione per i dirigenti e' al di sotto della media OCSE, la cui Recommendation on Public Integrity, del gennaio 2017, raccomanda ai paesi aderenti di rafforzare le misure finalizzate a prevenire e gestire conflitti di interesse attuali e potenziali.
L'amministrazione, poi, sostiene che i ricorrenti non chiariscono le ragioni giuridiche per le quali l'obbligo di cui alla lettera c) dell' art. 14, comma 1, D.Lgs. n. 33 del 2013 costituisca violazione della tutela dei dati personali, e rileva la manifesta contraddizione in cui a suo avviso ricadrebbero i ricorrenti, non chiarendo perche' tutti gli obblighi di pubblicazione in esame sarebbero legittimi per i titolari di cariche politiche e illegittimi per i dirigenti, anche di nomina politica.
Infine, la difesa erariale, in relazione ai dati patrimoniali di cui alla ridetta lettera f), illustra alcuni aspetti della disciplina in parola, illustrandone la funzione equilibratrice tra gli interessi in gioco oscuramento di tutti i dati sensibili; pubblicazione del solo quadro riassuntivo della dichiarazione dei redditi, riassuntivo del dato patrimoniale generale, senza elementi analitici di dettaglio; previsione del consenso del familiare per la pubblicazione dei dati che lo riguardano; proporzionalita' della misura, sotto il profilo della prevista contrazione dei dati da pubblicare, non comprendenti quelli di cui alla lettera f), per i dirigenti dei comuni sotto i 15.000 abitanti, art. 3, comma 1-ter, e per i dirigenti scolastici, Linee guida ANAC, p.11.
5.2. Il Codacons eccepisce il difetto di giurisdizione dell'adito Tribunale e l'inammissibilita' del ricorso, stante la natura non provvedimentale degli atti gravati, sulla scorta di motivazioni non dissimili di quelle a suo tempo svolte dalla difesa erariale nelle analoghe eccezioni, nonche' l'improcedibilita' del ricorso per mancata impugnazione della delibera dell'Anac di approvazione delle Linee guida attuative dell' art. 14 del D.Lgs. n. 33 del 2013, pubblicate in pendenza della controversia (24 marzo 2017).
Nel merito, il Codacons, premesso, come gia' la difesa erariale, che il ricorso e' contraddittorio, nella misura in cui i ricorrenti contestano non la legittimita' dell'obbligo di pubblicazione in se, bensi' esclusivamente la sua applicazione ai dirigenti, confuta analiticamente, con varie argomentazioni, le censure ricorsuali, sostenendo la compatibilita' e, anzi, la necessita' della misura, nonche' la sua ragionevolezza e proporzionalita', alla luce del diritto dell'UE e della Costituzione.
5.3. I ricorrenti eccepiscono l'inammissibilita' dell'intervento del Codacons e confutano le questioni pregiudiziali e di merito introdotte dalle parti resistenti.
5.4. La difesa erariale, in replica, fa propria l'eccezione di improcedibilita' del ricorso per mancata impugnazione della delibera dell'Anac di approvazione delle Linee guida, gia' svolta dall'interveniente ad opponendum.
5.5. La controversia e' stata trattenuta in decisione alla pubblica udienza del 13 giugno 2017.
6. Va prioritariamente affrontata, com'e' d'uopo, la disamina delle questioni pregiudiziali.
7. Viene in immediato rilievo la questione inerente la giurisdizione dell'adito Tribunale sulla controversia in esame. Il Collegio la ritiene sussistente, in forza delle seguenti considerazioni.
7.1. L' art. 152 del D.Lgs. 30 giugno 2003, n. 196, Codice in materia di protezione dei dati personali, dispone al comma 1 che "Tutte le controversie che riguardano, comunque, l'applicazione delle disposizioni del presente codice, comprese quelle inerenti ai provvedimenti del Garante in materia di protezione dei dati personali o alla loro mancata adozione, nonche' le controversie previste dall' art. 10, comma 5, della L. 1 aprile 1981, n. 121, e successive modificazioni, sono attribuite all'autorita' giudiziaria ordinaria".
Il giudice amministrativo ha ritenuto non conforme al dettato costituzionale una lettura dell' art. 152, comma 1, D.Lgs. n. 196 del 2003, nel senso della introduzione di una giurisdizione esclusiva nei riguardi del giudice ordinario estesa agli interessi legittimi. Tale disposizione, si e' sostenuto, non persegue la finalita' di fondare la giurisdizione sulla sola individuazione del soggetto pubblico coinvolto nella controversia, bensi' quella di chiarire come i provvedimenti del Garante per la protezione dei dati personali, riguardanti la protezione di detti dati, in quanto incidenti su diritti soggettivi dei privati, sono soggetti al sindacato dell'autorita' giudiziaria ordinaria secondo le particolari regole di procedura dettate dai successivi comma contenuti nel medesimo articolo, con la conseguente indispensabilita', ai fini dell'operativita' della disposizione, e, indi, sulla individuazione del plesso giurisdizionale competente per la disamina di una controversia afferente la protezione dei dati personali, dell'apprezzamento della concreta situazione soggettiva azionata in giudizio, secondo il tradizionale paradigma interesse legittimo/diritto soggettivo (C. Stato, VI, 3 settembre 2009, n. 5198, confermativa della sentenza del TAR Lazio, Roma, II, 23 gennaio 2009, n. 587).
La tesi non ha superato il vaglio di legittimita' del giudice della giurisdizione, che, nel pronunziarsi sulla questione, ha rilevato, per un verso, la piana lettura e la altrettanto piana interpretazione della disposizione, "la cui cristallina espressione letterale (rara avis) non lascia margini a dubbi circa l'intentio legis di attribuire l'intera materia alla cognizione dell'AGO, senza eccezioni di sorta" e, in particolare, senza che a cio' risulti di ostacolo, come ritenuto dal giudice amministrativo, l'art. 103 Cost. , stante l'evoluzione interpretativa di cui la norma costituzionale e' stata oggetto a partire da Cass. SS.UU. 3521/1994.
Nel giungere alle predette conclusioni, le SS.UU. hanno anche osservato come l' art. 152, comma 1, del D.Lgs. n. 196 del 2003 risulti, nel merito, perfettamente ragionevole, "poiche' la materia dell'accesso ai dati personali e dei costi di esercizio di tale diritto presenta una indiscutibile, reciproca, inestricabile interferenza di diritti e interessi legittimi, nella quale, peraltro, netta appare la prevalenza dei primi rispetto ai secondi" (Cass., SS.UU. 14 aprile 2011, n. 8487).
Alla luce della appena richiamata giurisprudenza, non puo', pertanto, porsi alcun dubbio sul fatto che:
a) tutte le controversie afferenti alla "intera materia" dell'accesso ai dati personali, per richiamare le parole della Corte, sono soggette alla giurisdizione del giudice ordinario;
b) per esse, non e' necessaria alcuna distinzione fondata sulla posizione soggettiva azionata in giudizio.
Cio' posto, occorre osservare che nel giudizio in esame si discute non dell'applicazione di norme del D.Lgs. n. 196 del 2003 - i cui articoli non risultano neanche invocati dai ricorrenti quale parametro di legittimita' violato dalle gravate disposizioni - o di provvedimenti del Garante in materia di protezione dei dati personali o loro mancata adozione, bensi' di questioni e provvedimenti che afferiscono alle norme in materia di trasparenza, di cui al D.Lgs. 14 marzo 2013, n. 33 .
Viene, pertanto, in rilievo l'art. 50 - Tutela giurisdizionale del predetto D.Lgs. n. 33 del 2013 , che dispone che "Le controversie relative agli obblighi di trasparenza previsti dalla normativa vigente sono disciplinate dal D.Lgs. 2 luglio 2010, n. 104 ", e, per l'effetto, il codice del processo amministrativo ivi richiamato e, nel suo ambito, l'art. 133, che indica al comma 1, lettera a), n. 6, tra le materie di giurisdizione esclusiva attribuite al giudice amministrativo, "il diritto di accesso ai documenti amministrativi e violazione degli obblighi di trasparenza amministrativa".
Di tali ultime norme l'amministrazione resistente offre la seguente lettura.
In particolare, la difesa erariale sostiene che, poiche' il legislatore, nel D.Lgs. n. 33 del 2013, art. 50, si riferisce alle controversie "relative agli obblighi di trasparenza", mentre il c.p.a., art. 133, comma 1, lettera a), n. 6, menziona la "violazione degli obblighi di trasparenza amministrativa", tema asseritamente meno ampio del primo, il rimando operato dall'art. 50 va inteso in senso letterale e siccome riferito all'intero c.p.a., con la conseguenza che, per la controversia in esame, devono essere applicate le norme del codice del processo amministrativo sul generale riparto di giurisdizione (art. 7: "sono devolute alla giurisdizione amministrativa le controversie, nelle quali si faccia questione di interessi legittimi e, nelle particolari materie indicate dalla legge, di diritti soggettivi, concernenti l'esercizio o il mancato esercizio del potere amministrativo, riguardanti provvedimenti, atti, accordi o comportamenti riconducibili anche mediatamente all'esercizio di tale potere, posti in essere da pubbliche amministrazioni"), e valutata, per l'effetto, la natura della situazione soggettiva azionata in giudizio, secondo la gia' citata ripartizione interessi legittimi/diritti soggettivi, con la conclusione dell'attribuzione al giudice ordinario della cognizione del giudizio, nell'ambito del quale la difesa erariale non rinviene posizioni di interesse legittimo.
La tesi e' suggestiva ma non convince.
E' innanzitutto debole, sotto il profilo della semantica frasale, e, indi, dell'interpretazione letterale, la differenziazione - unico elemento posto a base dell'eccezione - tra le espressioni "relative agli obblighi di trasparenza" di cui all' art. 50, D.Lgs. n. 33 del 2013 e "violazione degli obblighi di trasparenza amministrativa" di cui all'art. 133, comma 1, lettera a), n. 6), c.p.a.
Le due locuzioni rimandano, invero, nella parte qualificante, a un unico tema, che e' quello degli "obblighi di trasparenza amministrativa", inequivocabilmente contenuto in entrambe, mentre la differenza in parola e' confinata nell'alveo delle parole introduttive del tema stesso ("relative agli"; "violazione degli"), e, indi, in posizione tale che, nell'economia generale delle due norme, non permette quell'apprezzamento della sua rilevanza nei sensi richiesti dalla difesa erariale.
Anche sotto il profilo sostanziale, la ricostruzione in commento manifesta gravi criticita': se e' vero infatti che la "violazione degli obblighi" e' solo una delle possibili fattispecie delle questioni "relative agli obblighi", e' altresi' vero che l'indagine sulla "violazione degli obblighi" comporta necessariamente la disamina delle questioni "relative agli obblighi" (sussistenza, estensione, ambito soggettivo e oggettivo, etc.) , di talche' e' ben arduo ipotizzare che la disamina della violazione dell'obbligo possa costituire una categoria a se stante, diversa quella dell'obbligo in se, tale da richiedere, o permettere, l'intervento di due distinte cognizioni giudiziali.
Sotto il profilo dell'interpretazione sistematica, inoltre, e' difficile comprendere come il legislatore possa aver affidato l'elemento dirimente di una questione cosi' rilevante, qual e' quella del riparto di giurisdizione della materia della trasparenza amministrativa, sulla base non dell'individuazione dell'oggetto della disciplina da regolare, in se considerata, per giunta incontrovertibilmente delineata ("obblighi di trasparenza amministrativa"), bensi' sulle modalita' con cui la stessa e' stata richiamata.
Sul punto, puo' anche osservarsi come, per le altre disposizioni dell'art. 133, comma 1, c.p.a. (che si ritiene di non riportare integralmente per mere ragioni di economia espositiva), la delimitazione della giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo avvenga mediante la enucleazione di specifiche materie lettera a), 1): "risarcimento del danno ingiusto cagionato in conseguenza dell'inosservanza dolosa o colposa del termine di conclusione del procedimento amministrativo"; lettera a), 2): "formazione, conclusione ed esecuzione degli accordi integrativi o sostitutivi di provvedimento amministrativo e degli accordi fra pubbliche amministrazioni", e, laddove tale criterio non risulti esaustivo, con il richiamo di porzioni di materie, a loro volta espressamente delimitate tramite eccezioni lettera b): "controversie aventi ad oggetto atti e provvedimenti relativi a rapporti di concessione di beni pubblici, ad eccezione delle controversie concernenti indennita', canoni ed altri corrispettivi e quelle attribuite ai tribunali delle acque pubbliche e al Tribunale superiore delle acque pubbliche", esclusioni lettera c): "controversie aventi ad oggetto atti e provvedimenti relativi a rapporti di concessione di beni pubblici, ad eccezione delle controversie concernenti indennita', canoni ed altri corrispettivi e quelle attribuite ai tribunali delle acque pubbliche e al Tribunale superiore delle acque pubbliche", "fermi restando" lettera f): "controversie aventi ad oggetto gli atti e i provvedimenti delle pubbliche amministrazioni in materia urbanistica e edilizia, concernente tutti gli aspetti dell'uso del territorio, e ferme restando le giurisdizioni del Tribunale superiore delle acque pubbliche e del Commissario liquidatore per gli usi civici, nonche' del giudice ordinario per le controversie riguardanti la determinazione e la corresponsione delle indennita' in conseguenza dell'adozione di atti di natura espropriativa o ablativa", ovvero mediante l'indicazione del settore di intervento, indicato mediante l'autorita' procedente ovvero lo specifico oggetto dell'agire pubblico lettera l): "le controversie aventi ad oggetto tutti i provvedimenti, compresi quelli sanzionatori ed esclusi quelli inerenti ai rapporti di impiego privatizzati, adottati dalla Banca d'Italia...".
L'apprezzamento della estensione della giurisdizione esclusiva affidata al giudice amministrativo dall'art. 133 del codice del processo amministrativo non richiede, pertanto, di norma, che la verifica dell'appartenenza della controversia a una determinata materia, settore, parti di essi o amministrazione. In cio', il c.p.a. si rivela da un lato coerente con la ratio dell'attribuzione della giurisdizione esclusiva, che esclude, in nuce, la necessita' di un'analisi, caso per caso, di quale sia l'interesse azionato in giudizio (scrutinio che puo' invece riguardare, ove necessario, la disamina del merito del ricorso), dall'altro attuativo del principio di chiarezza della legislazione, come del resto gia' dimostra l'art. 7 dello stesso codice sulla giurisdizione amministrativa generale.
Del resto, uno dei criteri informatori del codice, alla luce della legge delega 18 giugno 2009, n. 69, art. 44, comma 2, lettera b), n. 2), e' il riordino delle norme vigenti sulla giurisdizione del giudice amministrativo anche rispetto alle altre giurisdizioni, con l'evidente finalita' di eliminare la necessita' di distinguere tra diritti e interessi legittimi in determinate materie, nei quali gli stessi si presentano inestricabilmente interferenti.
A ben vedere, pertanto, la tesi della difesa erariale, comportando la necessita' di distinguere tra diritti e interessi ai fini della individuazione della giurisdizione in una materia menzionata in sede di regolazione di giurisdizione esclusiva del g.a., risulta disarmonica non solo con l' art. 50 del D.Lgs. n. 33 del 2013 e con l'art. 133 del c.p.a., ma con l'intero impianto codicistico di cui al D.Lgs. n. 104 del 2010 .
E allora non puo' che concludersi che, anche per gli "obblighi di trasparenza", la menzione della materia tra quelle elencate all'art. 133 c.p.a. comporti la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo.
A tale conclusione non e' di ostacolo l' art. 50 del D.Lgs. n. 33 del 2013, che per le controversie "relative agli obblighi di trasparenza" - diversamente da quanto fa, come visto, il Codice in materia di protezione dei dati personali a favore del giudice ordinario per le questioni che riguardano l'applicazione delle norme del codice stesso, comprese quelle inerenti ai provvedimenti del Garante in materia di protezione dei dati personali - non introduce un espresso rinvio alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo ne' si riferisce direttamente all'art. 133, comma 1, lettera a), n. 6 del c.p.a., bensi' richiama l'intera disciplina del D.Lgs. 2 luglio 2010, n. 104 (c.p.a.).
Ogni possibile dubbio sul punto puo' infatti essere superato sol che si osservi che l'attuale formulazione dell'art. 133, comma 1, lettera a), n. 6 del c.p.a. ("sono devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo ... le controversie in materia di ... diritto di accesso ai documenti amministrativi e violazione degli obblighi di trasparenza amministrativa"), che precedentemente richiamava solo le controversie in materia di accesso ai documenti amministrativi, e' stata introdotta proprio dal D.Lgs. n. 33 del 2013 (art. 52, comma 4, lettera e), e che, come gia' sopra rilevato, tra i criteri ispiratori del c.p.a. introdotto con il D.Lgs. n. 104 del 2010 , a mente della legge delega 18 giugno 2009, n. 69, art. 44, comma 2, lettera b), punto 1, si rinviene quello di conferire unitarieta' di fonte alle norme sulla giurisdizione del giudice amministrativo. Di talche' deve ritenersi che, nel novellare il c.p.a. per la materia della trasparenza, il D.Lgs. n. 33 del 2013 abbia opportunamente ritenuto di attenersi ai criteri ispiratori dello stesso c.p.a., anziche' introdurre una isolata norma sulla giurisdizione, che si sarebbe posta in contrasto con il nuovo impianto regolatorio della giurisdizione amministrativa.
Inoltre, la conclusione assunta armonizza l'interpretazione letterale, sistematica e teleologica delle norme considerate, non incorrendo nelle difficolta' interpretative sopra citate, in cui incappa invece la lettura offerta dalla difesa erariale, ed e' rafforzata dalla circostanza che la materia della trasparenza e' stata accomunata, nella regolazione della giurisdizione, da parte dell'alinea di cui al comma 1, lettera a), n. 6, con la materia dell'accesso agli atti, rimessa, quale categoria autonoma, alla cognizione del giudice amministrativo.
Deve ancora rilevarsi come la proposta interpretazione si manifesti conforme ai principi generali della giurisdizione amministrativa.
Invero, come piu' volte chiarito dalla giurisprudenza, e come ora definitivamente sancito anche dall' art. 7, comma 1, D.Lgs. n. 104 del 2010, c.p.a., la giurisdizione esclusiva presuppone tradizionalmente che l'oggetto della controversia abbia un collegamento, sia pure indiretto o mediato, con l'esercizio del potere pubblico (sentenze della Corte costituzionale n. 204 del 2004 e n. 191 del 2006; C. Stato, V, 31 gennaio 2017, n. 382; vedasi anche in tal senso Cass., SS. UU., 4 settembre 2015, n. 17586).
E un siffatto collegamento emerge con tutta evidenza nella materia in trattazione, sol che si consideri che le argomentazioni addotte dalla parte resistente pubblica sottolineano come il tema della regolazione della trasparenza dell'attivita' amministrativa costituisca uno degli imprescindibili riflessi degli ordinamenti democratici.
Infine, il riconoscimento dell'attribuzione al giudice amministrativo, in via esclusiva, della materia della trasparenza non stride con la riserva al giudice ordinario della materia dell'accesso ai dati personali ( art. 152, D.Lgs. n. 196 del 2003).
La materia della trasparenza si colloca infatti sul piano dell'interesse pubblico che si intende tutelare attraverso il regime della pubblicita' dei dati, che e' profondamente diverso dal piano in cui opera il codice in materia di protezione dei dati personali, e che si pone, al piu', laddove siano possibili interferenze, sia logicamente che cronologicamente, a valle di ogni questione inerente gli specifici diritti e obblighi relativi all'accesso ai dati personali.
La diversita' dei piani di cui sopra emerge ictu oculi anche dall'oggetto delle rispettive regolazioni, costituite, per il D.Lgs. 30 giugno 2003, n. 196 , dalla protezione dei dati personali, e per il D.Lgs. 14 marzo 2013, n. 33 , dal diritto di accesso civico e dagli obblighi di pubblicita', trasparenza e diffusione di informazioni da parte delle pubbliche amministrazioni.
Alla luce di tali ultime notazioni, deve anzi rilevarsi come le due giurisdizioni esclusive, ordinaria in materia di protezione dei dati personali, amministrativa in materia di trasparenza, rispecchino perfettamente, completandosi, il profilo privatistico e quello pubblicistico del piu' ampio tema complessivamente evidenziato dai due considerati ordinamenti di settore.
7.2. L'eccezione di carenza di giurisdizione dell'adito Tribunale va, per tutto quanto sopra, respinta.
8. Occorre a questo punto individuare le parti del presente giudizio, e, segnatamente, esaminare l'eccezione, sollevata dai ricorrenti, di inammissibilita' dell'intervento ad opponendum del Codacons.
Sul punto, in linea generale, puo' rammentarsi che le condizioni legittimanti gli interventi volontari nel giudizio amministrativo, allo stato regolato dagli articoli 28 e 50 del c.p.a., consistono tradizionalmente, per gli interventori ad adiuvandum, nella carenza di una posizione sostanziale di interesse legittimo, cui conseguirebbe, anziche' la assunta posizione adesiva, la proposizione di autonomo ricorso nei prescritti termini di decadenza (C. Stato, IV, 29 febbraio 2016, n. 853; VI, 6 settembre 2010, n. 6483; C.G.A.R.S., 2 maggio 2017, n. 205; si veda, comunque, C. Stato, VI, 3 marzo 2016, n. 882, che ammette, ai sensi della lettera dell'art. 28 del c.p.a., anche dopo la scadenza del termine di decadenza, un intervento adesivo dipendente del cointeressato, almeno laddove egli sia destinatario di atti ad effetti non frazionabili), e, per gli interventori ad opponendum, nella titolarita' di un interesse contrario a quello azionato dai deducenti, il quale potrebbe subire pregiudizio dall'annullamento dell'atto impugnato (Tar Lazio, Roma, I, 4 giugno 2007, n. 5149).
L'interveniente, ai sensi dell'art. 50, comma 1, c.p.a., deve esporre la titolarita' di una situazione qualificata, la quale, per quanto attiene all'intervento ad opponendum, di rilevanza in questa sede, presuppone necessariamente un oggettivo e concreto interesse in capo al terzo a contrastare il ricorso e a conseguirne il rigetto, interesse che puo' essere sia analogo a quello esposto dall'amministrazione resistente o dal controinteressato gia' costituito in giudizio sia autonomamente correlato al mantenimento in vita dell'atto gravato.
In altre parole, l'intervento ad opponendum, ai fini della sua ammissibilita', non puo' prescindere dalla rappresentazione da parte dell'interveniente della titolarita' di una situazione soggettiva, idonea ad attestare la ricaduta di effetti negativi a suo danno in caso di positivo riscontro dell'azione di annullamento proposta, adeguatamente supportata da elementi concreti e oggettivi atti a comprovare la sussistenza di un interesse che, seppure di mero fatto, deve palesarsi come specifico e differenziato rispetto alla collettivita' (da ultimo, Tar Lazio, Roma, II-bis, 4 maggio 2017, n. 5201).
Tanto chiarito, deve concludersi che, contrariamente a quanto rappresentato dai ricorrenti, che dubitano che il Codacons abbia dimostrato l'interesse a intervenire in giudizio, tutte tali condizioni, nel caso di specie, risultano sussistenti.
Come chiarito dall'atto di intervento, il Codacons "e' un'associazione di volontariato di cui alla L. n. 266 del 1991 autonoma, senza fini di lucro a base democratica e partecipativa che persegue esclusivamente obiettivi di solidarieta' sociale" (art. 1 dello Statuto). L'Associazione, come da disposizioni statutarie, "ha quale sua esclusiva finalita' quella di tutelare con ogni mezzo legittimo, ivi compreso il ricorso allo strumento giudiziario, i diritti e gli interessi dei consumatori ed utenti, categoria socialmente debole" (art. 2.2 Statuto) e a tal fine "interviene nei giudizi civili, penali e amministrativi" (art. 2.3 Statuto).
Con l'intervento in esame, il Codacons ha azionato il suo interesse ad agire al fine di "tutelare il miglior utilizzo delle risorse pubbliche" perseguendo "ogni attivita' illecita finalizzata alla corruzione e comunque alla violazione delle norme e dei principi che devono informare il corretto andamento della pubblica amministrazione, anche per evitare che i cittadini debbano subire il sovrapprezzo necessariamente generato dalle condotte corruttive" (art. 2.1 dello Statuto), e a tutelare "il diritto alla trasparenza, alla corretta gestione e al buon andamento delle pubbliche amministrazioni" (art. 2.1 Statuto).
Atteso l'oggetto dell'odierno giudizio e gli interessi e scopi perseguiti e qui dichiarati dall'Associazione, deve indi ritenersi sussistente la legittimazione e l'interesse ad agire del Codacons a sostegno delle parti resistenti.
8.1. Con l'occasione, deve rilevarsi, d'ufficio, la tardivita' della memoria difensiva depositata dal Codacons l'8 giugno 2017, ovvero quando erano ormai scaduti i termini di cui all'art. 73, comma 1, c.p.a., da calcolarsi tenendo conto della data dell'udienza di discussione (13 giugno 2017).
9. Occorre ora occuparsi delle eccezioni, formulate sia dalla difesa erariale che dal Codacons, di inammissibilita' del ricorso, stante la natura non provvedimentale degli atti gravati, e di improcedibilita' dello stesso, non avendo i ricorrenti provveduto all'impugnazione della delibera dell'Anac 8 marzo 2017, n. 241, di approvazione delle Linee guida attuative dell' art. 14 del D.Lgs. n. 33 del 2013, pubblicata in pendenza della controversia (24 marzo 2017).
Entrambe le eccezioni vanno respinte.
9.1. Quanto alla prima, di inammissibilita', si osserva che gli atti in parola attuano una prescrizione introdotta dalla legge, ovvero ne concretizzano gli effetti, introducendo le previsioni di dettaglio e richiamando le sanzioni previste pel caso di inadempimento, cio' che evidenzia che il meccanismo obbligatorio previsto dalla norma, lungi dall'essere auto-applicativo, necessita dell'intermediazione costituita dal provvedimento della pubblica amministrazione, che, collocandosi nella fase esecutiva dell'obbligo, manifesta il suo contenuto autoritativo e la sua portata lesiva. Del resto, non consta che la natura applicativa di un atto dell'amministrazione possa tradursi in carenza di contenuto provvedimentale: se cosi' fosse ben pochi atti amministrativi sarebbero impugnabili, atteso che essi, per la piu' parte, danno concreta attuazione a previsioni di legge.
9.2. Quanto alla seconda eccezione, di improcedibilita', si rammenta che l'individuazione della sopravvenuta carenza di interesse deve essere effettuata con criteri rigorosi e restrittivi per evitare che la preclusione dell'esame del merito della controversia si trasformi in un'inammissibile elusione dell'obbligo del giudice di provvedere sulla domanda, dovendosi, in particolare, ritenere che (a prescindere dalle ipotesi di sopravvenienze costituite da modifiche normative o accadimenti di fatto) solo laddove vi sia stata l'adozione di provvedimenti sopravvenuti ormai non piu' utilmente impugnabili, il giudice possa dichiarare la sopravvenuta carenza di interesse, essendo ormai definitiva l'inconfigurabilita' di qualsiasi possibile utilita' discendente dalla favorevole definizione nel merito della controversia (da ultimo, C. Stato, III, 3 novembre 2016, n. 4615; V, 8 aprile 2014, n. 1663; IV, 17 settembre 2013, n. 4637).
Applicando tali coordinate ermeneutiche al caso di specie, la favorevole valutazione dell'eccezione non potrebbe indi che fondarsi sull'accertamento della natura vincolante delle sopravvenute Linee guida Anac 8 marzo 2017, n. 241: solo in tal caso, infatti, i ricorrenti potrebbero ritenersi sforniti di interesse alla coltivazione dell'impugnazione degli atti gravati con il ricorso, atteso che, anche nel caso di una favorevole delibazione del gravame, con conseguente annullamento degli stessi, i contestati obblighi troverebbero comunque fonte nelle predette Linee guida, non fatte oggetto di impugnazione.
Ma un siffatto accertamento e' escluso dal parere del Consiglio di Stato, Commissione speciale, n. 1257 del 29 maggio 2017, reso nell'adunanza del 20 aprile 2017, in ordine a uno schema di atto assunto dall'Anac sempre in materia di trasparenza, la delibera di "Aggiornamento delle Linee guida per l'attuazione della normativa in materia di prevenzione della corruzione e trasparenza da parte delle societa' e degli enti di diritto privato controllati e partecipati dalle pubbliche amministrazioni e degli enti pubblici economici".
In tale parere e' stato osservato (punto 3) come le linee guida in parola costituiscano, in esplicazione della potesta' di vigilanza affidata all'Anac dall' art. 1, comma 2, lettera f), della L. 6 novembre 2012, n. 190, e s.m.i., un atto di natura non regolamentare, che, nella misura in cui e' volto a chiarire la portata applicativa e le ricadute organizzative degli adempimenti stabiliti dalla normativa di cui trattasi ( L. n. 190 del 2012 e D.Lgs. n. 33 del 2013 , come novellati dal D.Lgs. n. 97 del 2016 ), e' riconducibile al novero degli atti non vincolanti, ovvero che possono essere disattesi mediante atti che contengano una adeguata e puntuale motivazione, idonea a dar conto delle ragioni della diversa scelta amministrativa.
Al di fuori di tale ultima ipotesi, ha chiarito il predetto parere, la violazione delle linee guida puo' essere considerata, in sede giurisdizionale, come elemento sintomatico dell'eccesso di potere, sulla falsariga dell'elaborazione che si e' avuta con riguardo alla violazione delle circolari.
Ed e' noto che, per la giurisprudenza, le circolari non rivestono un rilevanza determinante nella genesi dei provvedimenti che ne fanno applicazione, per cui i soggetti destinatari di questi ultimi non hanno alcun onere di impugnare la circolare, essendo meramente facoltizzati (e quindi non onerati), a contestarne la legittimita' (C. Stato, IV, 16 ottobre 2000, n. 5506; 20 settembre 1994, n. 720).
10. Esaurito l'esame delle eccezioni pregiudiziali, puo' passarsi all'esame del merito del gravame.
11. Come ampiamente riferito in fatto, i ricorrenti contestano i gravati provvedimenti del Garante per la protezione dei dati personali, che hanno dato applicazione nei loro confronti alla norma di cui all'art. 14, comma 1-bis, D.Lgs. n. 33 del 2013 , laddove prevede, in analogia con quanto gia' previsto per i titolari di incarichi politici di cui al comma 1, che le pubbliche amministrazioni pubblichino nel proprio sito web, oltre che gli altri dati elencati nel comma 1 dell'art. 14, anche i dati dei titolari di incarichi dirigenziali di cui all'art. 14 comma 1, lettere c) e f) dello stesso decreto legislativo, costituiti da:
"c) i compensi di qualsiasi natura connessi all'assunzione della carica; gli importi di viaggi di servizio e missioni pagati con fondi pubblici;";
"f) le dichiarazioni di cui all' art. 2, della L. 5 luglio 1982, n. 441, nonche' le attestazioni e dichiarazioni di cui agli articoli 3 e 4 della medesima legge, come modificata dal presente decreto, limitatamente al soggetto, al coniuge non separato e ai parenti entro il secondo grado, ove gli stessi vi consentano. Viene in ogni caso data evidenza al mancato consenso.".
In particolare, in attuazione della predetta norma, il Garante ha invitato i ricorrenti a inviare entro un dato termine la relativa documentazione, e precisamente:
copia dell'ultima dichiarazione dei redditi presentata, oscurando i dati eccedenti, come previsto dalla Linee guida del Garante;
dichiarazione, aggiornata alla data di sottoscrizione, per la pubblicita' della situazione patrimoniale, da rendersi secondo lo schema allegato alla richiesta;
dichiarazione di negato consenso per il coniuge non separato e i parenti entro il secondo grado, ovvero, pel caso si avvenuta prestazione del consenso, copia delle dichiarazioni dei redditi dei suddetti soggetti e dichiarazioni aggiornate per la pubblicita' delle rispettive situazioni patrimoniali, sempre secondo il modello allegato;
dichiarazione dei dati relativi ad eventuali altre cariche presso enti pubblici o privati o altri incarichi con oneri a carico della finanza pubblica assunte dagli interessati.
[color=red][b]La disposizione normativa sulla base della quale la predetta richiesta e' stata avanzata e' ritenuta dai ricorrenti violativa degli articoli 7, 8 e 52 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea, dell'art. 6 del Trattato UE, dell'art. 8 della Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali, dell' art. 6 della direttiva 95/46/CE, dell'art. 5 del regolamento n. 2016/679 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016, da applicarsi negli Stati membri a decorrere dal 25 maggio 2018, nonche' degli articoli 117, 3, 13, 2 della Costituzione.[/b][/color]
In particolare, secondo i ricorrenti, i predetti obblighi di pubblicazione comporterebbero una ingiustificata e pesante ingerenza nel diritto alla vita privata e alla protezione dei dati, con riflessi anche relativi alla diritto di sicurezza, e sarebbero contrari ai principi di proporzionalita', pertinenza, non eccedenza e finalita' nel trattamento dei dati personali, sia per la natura dei dati richiesti che per le modalita' di diffusione in internet, in quanto introdotti senza misure che impediscano l'indicizzazione delle informazioni da parte dei comuni motori di ricerca.
12. Ritiene al riguardo il Collegio che le questioni sollevate dai ricorrenti meritino favorevole considerazione, nei limiti di seguito evidenziati.
13. Appare immediatamente opportuno chiarire che il Collegio non dubita della serieta' e della fondatezza delle ragioni illustrate dalla difesa erariale quando evidenzia la necessita' non piu' prorogabile di adottare un sistema rigido di prevenzione della corruzione, alla luce dei noti fatti di cronaca giudiziaria, e in virtu' dei numerosi moniti provenienti da rilevanti organizzazioni internazionali (Onu, Greco, OCSE) e dalla stessa Unione Europea, che hanno raccomandato piu' volte all'Italia l'adozione di misure severe e drastiche, ispirate a una logica di integrita' e trasparenza.
Del resto, una siffatta necessita' consegue anche alle classifiche stilate dall'organizzazione "Transparency International" citate dall'amministrazione, che collocano Italia tra i paesi in cui e' piu' elevata la percezione della corruzione, da intendersi anche come carenza di trasparenza.
Meritevole di massima considerazione e' anche la notazione secondo cui l'Italia, nella generale bipartizione tra sistemi nazionali caratterizzati da un generalizzato e risalente sistema di accesso agli atti, dati e informazioni delle pubbliche amministrazioni, dalla tempestivita' ed efficienza dei rimedi giudiziali e stragiudiziali, dalla non rilevanza numerica dei casi di conflitti di interessi e di corruzione, o comunque dalla loro puntuale regolazione specifica, e sistemi in cui, al contrario, l'accesso e' ristretto e non garantisce adeguati standard di tempestivita' ed efficienza, i casi di conflitti di interessi e di corruzione sono al di sopra della media Europea e internazionale ed esistono discipline deboli sulla trasparenza e sul conflitto di interessi, si colloca nella seconda categoria, per la quale l'unica risposta possibile per realizzare un serio regime di prevenzione della corruzione e' una normativa sulla trasparenza che sia correlata alla portata delle rilevate problematiche.
Pero', sia la considerazione della rilevanza del contesto delineato da tali informazioni e da tutti gli altri elementi evidenziati dall'amministrazione a sostegno dell'adozione di un regime di trasparenza "forte", sia l'apprezzamento ulteriore dell'entita' della ricaduta negativa dei fenomeni corruttivi in tutti i settori in cui essi si manifestano (amministrativo, giudiziario, economico, sociale ...), che conferma la priorita' della questione, nulla dicono in ordine alla proporzionalita' e alla ragionevolezza delle misure qui in contestazione, posto che, com'e' evidente, va escluso che la risposta normativa a qualsiasi problematica, per quanto, in linea generale, di rilievo assoluto, opportuna, se non necessitata, motivata da idonei presupposti e compulsata dalla comunita' internazionale, possa trasmodare dagli ambiti che nella Costituzione e nella normativa Europea delineano i diritti della persona.
14. Nell'individuare, conseguentemente a quanto sopra, gli ambiti tutelati qui in evidenza, vengono in rilievo, come sostenuto dagli interessati:
la direttiva 24 ottobre 1995, n. 95/46/CE , direttiva del Parlamento Europeo del Consiglio relativa alla tutela delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali, nonche' alla libera circolazione di tali dati, che all'art. 6, par. 1, lettera c), prevede che gli Stati membri dispongono che i dati personali siano "adeguati, pertinenti e non eccedenti rispetto alle finalita' per le quali vengono rilevati e/o per le quali vengono successivamente trattati";
l'art. 7 della stessa direttiva 95/46/CE , che dispone che "Gli Stati membri dispongono che il trattamento di dati personali puo' essere effettuato soltanto quando: ... c) e' necessario per adempiere un obbligo legale al quale e' soggetto il responsabile del trattamento ... oppure e) e' necessario per l'esecuzione di un compito di interesse pubblico o connesso all'esercizio di pubblici poteri di cui e' investito il responsabile del trattamento o il terzo a cui vengono comunicati i dati...";
l'art. 8 della ridetta direttiva 95/46/CE , paragrafi 1 e 4, che recitano rispettivamente che "Gli Stati membri vietano il trattamento di dati personali che rivelano l'origine razziale o etnica, le opinioni politiche, le convinzioni religiose o filosofiche, l'appartenenza sindacale, nonche' il trattamento di dati relativi alla salute e alla vita sessuale.", e che "Purche' siano previste le opportune garanzie, gli Stati membri possono, per motivi di interesse pubblico rilevante, stabilire ulteriori deroghe oltre a quelle previste dal paragrafo 2 sulla base della legislazione nazionale o di una decisione dell'autorita' di controllo.".
In relazione alla predetta direttiva, si osserva che la Corte di giustizia delle comunita' Europee (Sezioni riunite, 20 maggio 2003, Rechnungshof e Neukomm e Lauermann c. Osterreichischer Rundfunk e altri) ha ritenuto che gli art. 6, n. 1, lettera c), e 7, lettere c) ed e), della direttiva in parola sono direttamente applicabili, nel senso che essi possono essere fatti valere da un singolo dinanzi ai giudici nazionali per evitare l'applicazione delle norme di diritto interno contrarie a tali disposizioni.
[color=red][b]Inoltre, i principi da essa recati e sopramenzionati hanno trovato conferma nella nuova normativa in materia di protezione dei dati personali di cui al regolamento (UE) n. 2016/679 del Parlamento Europeo e del Consiglio, del 27 aprile 2016, entrato in vigore in Italia il 4 maggio 2016 e destinato ad acquisire piena efficacia il 25 maggio 2018;[/b][/color]
la Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea, art. 7 ("Ogni persona ha diritto al rispetto della propria vita privata e familiare, del proprio domicilio e delle proprie comunicazioni."), art. 8 ("1. Ogni persona ha diritto alla protezione dei dati di carattere personale che la riguardano. 2.Tali dati devono essere trattati secondo il principio di lealta', per finalita' determinate e in base al consenso della persona interessata o a un altro fondamento legittimo previsto dalla legge ..."), art. 52 ("1. Eventuali limitazioni all'esercizio dei diritti e delle liberta' riconosciuti dalla presente Carta devono essere previste dalla legge e rispettare il contenuto essenziale di detti diritti e liberta'. Nel rispetto del principio di proporzionalita', possono essere apportate limitazioni solo laddove siano necessarie e rispondano effettivamente a finalita' di interesse generale riconosciute dall'Unione o all'esigenza di proteggere i diritti e le liberta' altrui. 2. I diritti riconosciuti dalla presente Carta per i quali i trattati prevedono disposizioni si esercitano alle condizioni e nei limiti dagli stessi definiti.
3. Laddove la presente Carta contenga diritti corrispondenti a quelli garantiti dalla Convenzione Europea per la salvaguardia dei Diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali, il significato e la portata degli stessi sono uguali a quelli conferiti dalla suddetta convenzione. La presente disposizione non preclude che il diritto dell'Unione conceda una protezione piu' estesa...";
l'art. 8 della Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali, che dispone che "Ogni persona ha diritto al rispetto della sua vita privata e familiare, del suo domicilio e della sua corrispondenza.", e che "Non puo' esservi ingerenza della pubblica autorita' nell'esercizio di tale diritto a meno che tale ingerenza sia prevista dalla legge e costituisca una misura che, in una societa' democratica, e' necessaria per la sicurezza nazionale, l'ordine pubblico, il benessere economico del paese, la prevenzione dei reati, la protezione della salute o della morale, o la protezione dei diritti e delle liberta' altrui.";
l'art. 5 della Convenzione n. 108 sulla protezione delle persone rispetto al trattamento automatizzato di dati di carattere personale, adottata a Strasburgo il 28 gennaio 1981, ratificata con L. 21 febbraio 1989, n. 98 , secondo cui i dati a carattere personale oggetto di un'elaborazione automatizzata sono: "a) ottenuti e elaborati in modo lecito e corretto; b) registrati per scopi determinati e legittimi ed impiegati in una maniera non incompatibile con detti fini; c) adeguati, pertinenti e non eccessivi riguardo ai fini per i quali vengono registrati; d) esatti e, se necessario, aggiornati; e) conservati in una forma che consenta l'identificazione delle persone interessate per una durata non superiore a quella necessaria ai fini per i quali sono registrati.".
Le predette norme delineano chiaramente la necessita', fortemente evidenziata dalla sopra citata sentenza della Corte di giustizia delle comunita' Europee 20 maggio 2003 in relazione agli art. 6, n. 1, lettera c), e 7, lettere c) ed e), della direttiva n. 1995/46/CE, ma declinata anche dalle altre decisioni invocate in ricorso e riportate in fatto, secondo cui la tutela delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali, nonche' alla libera circolazione di tali dati, non osta a una normativa nazionale che imponga la raccolta e la divulgazione dei dati sui redditi dei dipendenti pubblici, a condizione, pero', che sia provato che la divulgazione, laddove puntuale, ovvero riferita anche ai nominativi dei dipendenti, risulti necessaria e appropriata per l'obiettivo di buona gestione delle risorse pubbliche.
In altre parole, i principi di proporzionalita', pertinenza e non eccedenza costituiscono il canone complessivo che governa l'equilibrio del rapporto tra esigenza, privata, di protezione dei dati personali, ed esigenza, pubblica, di trasparenza.
15. In applicazione delle predette coordinate normative ed ermeneutiche, la denunzia di incompatibilita' con la normativa Europea e costituzionale formulata dai ricorrenti in relazione ai contestati dati oggetto di divulgazione risulta non manifestamente infondata.
Il Collegio ritiene infatti che la divulgazione dei dati riferiti ai dirigenti pubblici di cui alle lettere c) e f) dell' art. 14, comma 1, del D.Lgs. n. 33 del 2013, applicabile ai medesimi per effetto dell'estensione operata dal successivo comma 1-bis, che riguardano la situazione reddituale e patrimoniale degli interessati, si presti ai seguenti rilievi.
A) Quanto alla integrale equiparazione dei dirigenti pubblici con i titolari di incarichi politici, originari destinatari della prescrizione di cui all' art. 14, comma 1, D.Lgs. n. 33 del 2013, e alla assenza di qualsiasi differenziazione tra le figure dirigenziali. Il Collegio osserva che la previsione in contestazione assimila condizioni che, all'evidenza, non sono equiparabili fra loro, stante l'enorme diversita' tra le condizioni giuridiche facenti capo, nel vigente ordinamento nazionale, da un lato, ai titolari di incarichi politici e, dall'altro, ai titolari di incarichi dirigenziali.
La differenza di status tra le considerate categorie per genesi, struttura, funzioni esercitate e poteri statali di riferimento e' talmente marcata da non richiedere, per la sua illustrazione, molte parole.
Basti al riguardo segnalare che i rapporti e le responsabilita' che correlano, da un lato, i titolari di incarichi politici, dall'altro, i dirigenti pubblici, allo Stato e, indi, ai cittadini, si collocano su piani non comunicanti, in un insieme che rende del tutto implausibile la loro riconduzione, agli esclusivi fini della trasparenza, nell'ambito di un identico regime.
I ricorrenti segnalano anche, condivisibilmente, come la comune soggezione dei titolari di incarichi politici e dei dirigenti a identici obblighi di pubblicita', stante la diversa durata temporale che, di norma, caratterizza lo svolgimento delle relative funzioni, sia particolarmente pervasiva per i secondi, esposti, ai sensi del comma 2 dell'art. 14 in esame, all'assoggettamento alla disciplina in contestazione per un periodo corrispondente all'intera durata del rapporto di lavoro, che si atteggia pertanto, nei loro confronti, diversamente che per i titolari di incarichi politici, alla stregua di una "condizione della vita".
Anche la mancata differenziazione tra le categorie dirigenziali soggette alla misura, in base, a esempio, all'amministrazione di appartenenza, alla qualifica, alle funzioni in concreto ricoperte, ai compensi percepiti, e' parimenti indice di una non adeguata calibrazione della disposizione in parola, tenuto conto della molteplicita' delle categorie dirigenziali rinvenibili nell'ordinamento vigente, e della connessa varieta' ed estensione dei segmenti di potere amministrativo esercitato.
Sul punto, deve rilevarsi come i temperamenti apportati alla norma in sede applicativa, siccome illustrati dalla difesa erariale, non sono idonei a sconfessare la linea, fatta propria dall'art. 14, comma 1-bis, D.Lgs. n. 33 del 2013 , secondo cui il regime di cui trattasi e' destinato a vincolare "i titolari di incarichi dirigenziali, a qualsiasi titolo conferiti, ivi inclusi quelli conferiti discrezionalmente dall'organo di indirizzo politico senza procedure pubbliche di selezione".
Del resto, i ricorrenti evidenziano che la disposizione, secondo quanto rilevato dallo stesso Garante per la protezione dei dati personali nell'ambito del parere reso alla Presidenza del Consiglio dei ministri sullo schema del D.Lgs. 25 maggio 2016, n. 97 , che ha inserito il ridetto art. 14-bis, concerne un notevolissimo numero di soggetti, indicato, secondo le elaborazioni dell'Aran, in oltre 140.000.
E lo stesso parere ha rilevato come una siffatta scelta, cui consegue un trattamento giuridico limitativo della riservatezza individuale, e' stata effettuata senza alcuna considerazione dell'effettivo rischio corruttivo insito nella funzione svolta.
L'argomentazione in parola, insieme ad altre considerazioni che militano a favore dell'irragionevolezza della misura, si trova ancor piu' esplicitata nella nota a firma del Presidente dell'Anac e del Garante per la protezione dei dati indirizzata al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione del 30 ottobre 2014, che riferisce, puo' aggiungersi autorevolmente, stante la particolare competenza nella materia di cui trattasi dei due firmatari, che "le criticita' - segnalate da vari soggetti alle Autorita' da noi presiedute -attengono, essenzialmente, al carattere indifferenziato degli obblighi di pubblicita'. Essi si applicano infatti, con analogo contenuto, ad enti e realta' profondamente diversi tra loro, senza distinguerne la portata in ragione del grado di esposizione dell'organo al rischio di corruzione; dell'ambito di esercizio della relativa azione o, comunque, delle risorse pubbliche assegnate, della cui gestione l'ente debba quindi rispondere. Nel regolare cosi', in modo identico, situazioni diverse, tali norme rischiano di pregiudicare la ragionevolezza complessiva della disciplina in materia di trasparenza (essenziale invece per il buon andamento e la democraticita' dell'azione amministrativa). E questo, con effetti in larga parte disfunzionali rispetto alla stessa esigenza di consentire 'forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull'utilizzo delle risorse pubbliche', perseguita dallo stesso decreto n. 33 .
Pertanto, le limitazioni (in alcuni casi anche significative) della riservatezza, che tali obblighi di pubblicita' comportano, possono risultare irragionevoli e, come tali, meritevoli di revisione .... La divulgazione on-line di una quantita' spesso ingestibile di dati comporta infatti dei rischi di alterazione, manipolazione, riproduzione per fini diversi, che potrebbero frustrare quelle esigenze di informazione veritiera e, quindi, di controllo, che sono alla base del decreto".
Resta da aggiungere che la difesa erariale stigmatizza che la contestazione del regime di pubblicita' di cui trattasi, gia' pacificamente in vigore per i titolari di cariche politiche, sia formulata in ricorso solo in quanto applicabile ai dirigenti.
Il rilievo non e' conducente, atteso che la segnalata circostanza e' una mera conseguenza delle caratteristiche di personalita', attualita' e concretezza che devono permeare l'interesse giuridico fatto valere nel giudizio amministrativo.
B) Quanto alla diffusione degli specifici dati di cui all'art. 14, comma 1-bis, lettere c) e f) del D.Lgs. n. 33 del 2013 .
Il Collegio dubita della legittimita' della prescrizione imposta ai dirigenti di pubblicare i dati in contestazione, invece che, a tutela della proporzionalita' della misura, una loro ragionata elaborazione, atta a scongiurare incontrovertibilmente la diffusione di dati sensibili o di dati, per un verso, superflui ai fini perseguiti dalla norma, per altro verso, suscettibili di interpretazioni distorte.
In particolare, si e' gia' visto che la disposizione di cui trattasi comporta la divulgazione online di dati reddituali e patrimoniali relativi ai dirigenti, ai coniugi e ai parenti entro il secondo grado, ove essi acconsentano. E' prevista anche, pel caso di mancato consenso del coniuge o del parente entro il secondo grado, la menzione dello stesso. I dati in parola, essendo desunti dalla dichiarazione dei redditi, si collocano a un livello di notevole dettaglio.
La rigorosita' della misura e' sottolineata dalla ulteriore prescrizione secondo cui nessun filtro o artifizio puo' essere adottato dalle amministrazioni cui compete la pubblicazione online dei dati affinche' l'accesso ai documenti venga, anche con l'uso di strumenti informatizzati, in qualunque modo discriminato e gli stessi documenti siano resi non consultabili dai c.d. motori di ricerca.
L' art. 7-bis, comma 1, D.Lgs. n. 33 del 2013, dispone infatti che "Gli obblighi di pubblicazione dei dati personali diversi dai dati sensibili e dai dati giudiziari, di cui all'art. 4, comma 1, lettere d) ed e), del D.Lgs. 30 giugno 2003, n. 196 , comportano la possibilita' di una diffusione dei dati medesimi attraverso siti istituzionali, nonche' il loro trattamento secondo modalita' che ne consentono la indicizzazione e la rintracciabilita' tramite i motori di ricerca web ed il loro riutilizzo ai sensi dell'articolo 7 nel rispetto dei principi sul trattamento dei dati personali".
Le descritte caratteristiche di una siffatta pubblicazione la rendono indubbiamente foriera di usi da parte del pubblico che possono trasmodare, come pure segnalato nella gia' citata nota del 30 ottobre 2014 indirizzata dal Presidente dell'Anac e dal Garante per la protezione dei dati al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione, dalla finalita' della trasparenza, sino a giungere alla messa a rischio della sicurezza degli interessati, nei sensi segnalati in ricorso e riportati in fatto.
Puo' aggiungersi a quanto piu' articolatamente rappresentato dagli interessati che il legislatore delegato ha ritenuto di assicurare il regime di trasparenza mediante lo "sversamento" sic et simpliciter dei dati in parola, posto a carico degli interessati, con i connessi rischi di cui sopra, ovvero, come detto, senza mitigare la portata della divulgazione di questi ultimi mediante l'elaborazione di una piattaforma di elementi effettivamente significativi ai fine di garantire una vera e propria trasparenza dell'attivita' amministrativa.
Non vi e' dubbio che tale ultima opzione, pur richiedendo uno sforzo preparatorio da parte del legislatore delegato maggiore di quello esercitato nel mero trasferimento in capo ai dirigenti di un regime gia' in corso di applicazione per i titolari di cariche politiche, sarebbe risultata - diversamente da quello in esame - non solo conforme ai principi comunitari e costituzionali nella coniugazione equilibrata degli interessi pubblici e privati in gioco, ma anche piu' efficace ai fini dell'introduzione di un effettivo regime di trasparenza a carico dei dirigenti pubblici, atteso che, in forza delle stesse considerazioni poste a base del principio di "utilita' marginale" operante in economia, non consta che la pubblicazione di massicce quantita' di dati si traduca automaticamente nell'agevolazione della ricerca di quelli piu' significativi a determinati fini.
La questione va infatti posta al livello dei singoli cittadini o delle loro aggregazioni semplici, rispetto ai quali e' lecito supporre, come dato notorio, in caso di accesso finalizzato alla trasparenza, la mancata disponibilita' di efficaci strumenti di lettura e di elaborazione di dati sovrabbondanti o eccessivamente diffusi.
Ed e' a tale livello che va necessariamente ricondotta la problematica della trasparenza amministrativa e regolato il relativo interesse pubblico, pena la sostanziale inutilita' del regime "anti-corruttivo" disegnato per i dirigenti pubblici, che deve essere finalizzato, per sua natura, a tutelare l'intera collettivita' e non solo i soggetti complessi a vario titolo operanti nell'ordinamento vigente, che, essendo in possesso di strumenti idonei a decrittare importanti masse di informazioni, risultano, a legislazione vigente, ossia al cospetto dell'attuale formulazione del combinato disposto dell'art. 14, comma 1, lettere c) e f), e dell'art. 1-bis, allo stato i soli in grado di trarre dalle stesse conclusioni coerenti con quanto complessivamente reso disponibile e con gli obiettivi propri della legislazione di cui trattasi.
Come, del resto, segnala in sostanza la ridetta nota 30 ottobre 2014 del Presidente dell'Anac e del Garante per la protezione dei dati, laddove evidenzia la disfunzionalita' della previsione in esame rispetto all'esigenza di consentire le forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull'utilizzo delle risorse pubbliche, che costituisce la finalita' perseguita dal D.Lgs. n. 33 del 2013 .
Deve ancora rilevarsi che i ricorrenti segnalano vari esempi di come i dati utili ai fini del regime di trasparenza per i dirigenti avrebbero potuto essere selezionati. Il Collegio si limita a prenderne atto, non spettando a questa sede giudiziale entrare nel merito delle relative valutazioni.
16. A questo punto va evidenziato che la tutela della posizione dei ricorrenti, che consegue alla rilevata serieta' delle contestazioni formulate, nei sensi di cui sopra, non puo' essere attuata mediante l'annullamento degli atti gravati, trattandosi, come dianzi gia' osservato, di provvedimenti che danno mera esecuzione a puntuali obblighi di legge, di talche' va escluso in radice il rimedio della demolizione dell'atto conseguente all'esito dell'ordinario scrutinio della sua legittimita' secondo il paradigma costituito dalla legislazione di riferimento.
17. Ne' pare che la norma contestata dai ricorrenti sia suscettibile di essere disapplicata per contrasto con normative comunitarie, posto che, alla luce di tutti gli elementi emergenti dal fascicolo di causa, non e' individuabile una disciplina self-executing di tale matrice direttamente applicabile alla fattispecie oggetto di giudizio.
Sul punto, infatti, occorre concordare con la difesa erariale quando segnala che i principi di proporzionalita', pertinenza, e non eccedenza di fonte comunitaria invocati dalla parte ricorrente non sono che criteri in base ai quali effettuare una ponderazione della conformita' dell'art. 14, comma 1-bis, D.Lgs. 14 marzo 2013, n. 33 , nella parte in cui prevede che le pubbliche amministrazioni pubblichino i dati di cui all'art. 14 comma 1, lettere c) ed f), dello stesso decreto legislativo anche per i titolari di incarichi dirigenziali, operazione che sconta i differenti caratteri e la diversa portata dell'interesse pubblico generale che si intende tutelare attraverso il regime di trasparenza, e che puo' avere una configurazione diversa, a seconda del sistema nazionale considerato.
La sorte del ricorso non puo', pertanto, che essere affidata alla disamina delle questioni pregiudiziali sollevate dai ricorrenti da parte della Corte di giustizia dell'Unione Europea o della Corte costituzionale.
18. Nell'ambito dei predetti rimedi, il Collegio propende per la remissione alla Corte costituzionale dello scrutinio inerente la non manifesta infondatezza della questione di costituzionalita' relativa all'art. 14, comma 1-bis, D.Lgs. 14 marzo 2013, n. 33 , nella parte in cui prevede che le pubbliche amministrazioni pubblichino i dati di cui all'art. 14 comma 1, lettere c) ed f), dello stesso decreto legislativo anche per i titolari di incarichi dirigenziali.
Cio' in quanto, come visto, nell'ambito di siffatto scrutinio, inerente il rispetto da parte della misura dei principi di proporzionalita', pertinenza, e non eccedenza di matrice comunitaria, indispensabile ai fini della tutela di diritti fondamentali della persona, un ruolo centrale e' assunto dalla questione inerente se uno specifico ordinamento nazionale preservi il necessario equilibrio nel rapporto tra protezione dei dati personali e esigenze di trasparenza, calibrando anche in ragione dei primi l'intensita' dell'interesse pubblico da assicurare mediante la divulgazione di dati personali.
E un tale giudizio appare proprio di una Corte nazionale.
Del resto, la conclusione e' rafforzata dalla gia' citata sentenza della Corte di giustizia dell'Unione Europea 20 maggio 2003, che, nella analoga fattispecie sottoposta al suo giudizio, ha rimesso tale valutazione al giudice a quo.
19. In punto di rilevanza della proponenda questione di legittimita' costituzionale, il Collegio ribadisce che gli atti impugnati con l'odierno ricorso costituiscono diretta applicazione della norma sospetta di contrasto con la Costituzione. Pertanto, discendendo la paventata violazione della sfera soggettiva dei ricorrenti direttamente dalla norma stessa, solo dalla dichiarazione della sua illegittimita' costituzionale potrebbe derivare il richiesto accoglimento del ricorso per illegittimita' derivata degli atti impugnati.
20. Quanto, invece, alla non manifesta infondatezza della questione di costituzionalita' dell'art. 14, comma 1-bis, D.Lgs. 14 marzo 2013, n. 33 , nella parte in cui prevede che le pubbliche amministrazioni pubblichino i dati di cui all'art. 14, comma 1, lettere c) ed f), dello stesso decreto legislativo, originariamente previsto per i titolari di incarichi politici, anche per i titolari di incarichi dirigenziali, sotto i profili segnalati al precedente punto 15, essa si pone, ad avviso del Collegio, in relazione:
all'art. 117, comma 1, della Costituzione , che vincola la potesta' legislativa esercitata dallo Stato e dalle Regioni al rispetto della Costituzione, nonche' dei vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali, tra cui si collocano i principi di proporzionalita', pertinenza e non eccedenza nel trattamento dei dati personali;
all'art. 3 della Costituzione e al principio di uguaglianza formale e sostanziale, sia per la irragionevole parita' di trattamento che la disposizione riserva ai titolari di incarichi politici e titolari di incarichi dirigenziali, categorie non assimilabili in quanto soggette a regimi giuridici incomparabili, che non giustificano ne' permettono l'integrale identita' di regolazione ai fini di trasparenza, sia per l'irragionevole parificazione di tutti gli incarichi dirigenziali, effettuata senza distinguere, conformemente alla natura dell'interesse pubblico perseguito dalla norma, la portata degli obblighi di pubblicita' online in ragione delle caratteristiche delle loro tipologie, ovvero in riferimento al grado di esposizione dell'incarico pubblico al rischio di corruzione e all'entita' delle risorse pubbliche assegnate all'ufficio della cui gestione il soggetto interessato deve rispondere;
agli articoli 2 e 13 della Costituzione , relativi ai diritti inviolabili dell'uomo e alla liberta' personale, stante la suscettibilita' della prescrizione imposta ai dirigenti di comunicare, ai fini della loro pubblicazione, i dati in contestazione, desunti dalla dichiarazione dei redditi, invece che una loro ragionata elaborazione, piu' funzionale alle finalita' perseguite dalla trasparenza amministrativa e atta a scongiurare incontrovertibilmente la diffusione di dati sensibili o di dati, per un verso, superflui ai fini perseguiti dalla norma, per altro verso, suscettibili di interpretazioni distorte.
21. Dalla rilevata non manifesta infondatezza della questione di costituzionalita' dell'art. 14, comma 1-bis, D.Lgs. 14 marzo 2013, n. 33 , nella parte in cui prevede che le pubbliche amministrazioni pubblichino i dati di cui all'art. 14, comma 1, lettere c) ed f), dello stesso decreto legislativo anche per i titolari di incarichi dirigenziali, discende l'apprezzamento della non manifesta infondatezza della questione di incostituzionalita' anche di parte del correlato comma 1-ter dello stesso art. 14, secondo cui: "Ciascun dirigente comunica all'amministrazione presso la quale presta servizio gli emolumenti complessivi percepiti a carico della finanza pubblica, anche in relazione a quanto previsto dall' art. 13, comma 1, del D.L. 24 aprile 2014, n. 66, convertito, con modificazioni, dalla L. 23 giugno 2014, n. 89 . L'amministrazione pubblica sul proprio sito istituzionale l'ammontare complessivo dei suddetti emolumenti per ciascun dirigente.".
Invero, l'oggetto della pubblicazione prevista all'ultimo periodo dal predetto comma 1-ter costituisce un dato aggregato che contiene quello di cui al comma 1, lettera c) dello stesso articolo e puo' anzi corrispondere del tutto a quest'ultimo, laddove il dirigente non percepisca altro emolumento se non quello corrispondente alla retribuzione per l'incarico assegnato.
Il Collegio ritiene, pertanto, di estendere, d'ufficio, ai sensi dell' art. 23 della L. 11 marzo 1953, n. 87, recante norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale, la questione di legittimita' costituzionale anche al comma 1-ter dell' art. 14 del D.Lgs. n. 33 del 2013, limitatamente alla prescrizione di cui all'ultimo periodo, che dispone che "L'amministrazione pubblica sul proprio sito istituzionale l'ammontare complessivo dei suddetti emolumenti per ciascun dirigente".
Quanto alla rilevanza e alla non manifesta infondatezza della ulteriore questione sollevata, negli esclusivi sensi di cui sopra (ovvero escludendo gli obblighi di comunicazione all'amministrazione di appartenenza), si richiamano integralmente le argomentazioni gia' esposte in ordine all'art. 14, comma 1-bis, D.Lgs. 14 marzo 2013, n. 33 , nella parte in cui prevede che le pubbliche amministrazioni pubblichino i dati di cui all'art. 14, comma 1, lettere c) ed f), dello stesso decreto legislativo anche per i titolari di incarichi dirigenziali.
22. In conclusione, sussistono dunque i presupposti di rilevanza e di non manifesta infondatezza che impongono al Collegio di sollevare questione di legittimita' costituzionale:
dell'art. 14, commi 1-bis e 1-ter del D.Lgs. 14 marzo 2013, n. 33 (inseriti dall' art. 13, comma 1, lettera c), del D.Lgs. 25 maggio 2016, n. 97), nella parte in cui prevedono che le pubbliche amministrazioni pubblichino i dati di cui all'art. 14, comma 1, lettere c) ed f) dello stesso decreto legislativo anche per i titolari di incarichi dirigenziali, per contrasto con gli articoli 117, comma 1, 3, 2 e 13 della Costituzione.
Restano riservate all'esito del giudizio incidentale le determinazioni definitive sulle questioni preliminari, sul merito e sulle spese.
P.Q.M.
Il Tribunale amministrativo regionale per il Lazio (Sezione Prima Quater).
a) dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 14, comma 1-bis e comma 1-ter del D.Lgs. 14 marzo 2013, n. 33 , inseriti dall' art. 13, comma 1, lettera c), del D.Lgs. 25 maggio 2016, n. 97, nella parte in cui prevedono che le pubbliche amministrazioni pubblichino i dati di cui all'art. 14, comma 1, lettere c) ed f) dello stesso decreto legislativo anche per i titolari di incarichi dirigenziali, per contrasto con gli articoli 117, comma 1, 3, 2 e 13 della Costituzione ;
b) sospende il giudizio in corso;
c) ordina che la presente ordinanza, a cura della Segreteria della Sezione, sia notificata a tutte le parti in causa ed al Presidente del Consiglio dei ministri, e comunicata al Presidente del senato della Repubblica ed al Presidente della Camera dei deputati;
d) dispone la trasmissione degli atti, sempre a cura della Segreteria, alla Corte costituzionale.
Vista la richiesta degli interessati e ritenuto che sussistano i presupposti di cui all' art. 52, comma 1, D.Lgs. 30 giugno 2003, n. 196, a tutela dei diritti o della dignita' della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalita' nonche' di qualsiasi altro dato idoneo a identificare la parte interessata.
Cosi' deciso in Roma nella camera di consiglio del 13 giugno 2017 con l'intervento dei magistrati:
Salvatore Mezzacapo, Presidente;
Anna Bottiglieri, Consigliere, estensore;
Fabio Mattei, consigliere.
Il Presidente: Mezzacapo
L'estensore: Bottiglieri
[color=red][b]Cass. civ. Sez. I, Ord., (ud. 14/06/2017) 09-08-2017, n. 19761[/b][/color]
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. GIANCOLA Maria Cristina - Presidente -
Dott. DE CHIARA Carlo - Consigliere -
Dott. LAMORGESE Antonio Pietro - Consigliere -
Dott. NAZZICONE Loredana - rel. Consigliere -
Dott. FALABELLA Massimo - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 10042/2012 proposto da:
Camera di Commercio Industria Artigianato Agricoltura di Lecce, in persona del Segretario Generale pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, Largo di Torre Argentina n. 11, presso l'avvocato Lazzaretti Andrea, rappresentata e difesa dall'avvocato Caprioli Lucio, giusta procura a margine del ricorso;
- ricorrente -
contro
M.S.;
- intimato -
avverso la sentenza n. 1118/2011 del TRIBUNALE di LECCE, depositata il 01/08/2011;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 14/06/2017 dal Cons. Dott. NAZZICONE LOREDANA;
lette le conclusioni scritte del P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale CERONI Francesca, che chiede alla Corte di Cassazione, riunita in camera di consiglio, disporre la prosecuzione della trattazione del ricorso in pubblica udienza nella quale si riserva di rassegnare motivate conclusioni orali. In subordine, rimettere gli atti al Primo Presidente perchè assegni eventualmente il ricorso alle Sezioni Unite, affinchè individuino il criterio da utilizzare per la scelta del rito cui destinare la controversia, nonchè indichino la doverosità del suo mutamento in determinate condizioni.
Svolgimento del processo
M.S. ha convenuto innanzi al Tribunale la Camera di Commercio di Lecce, deducendo di essere l'amministratore unico della Italiana Costruzioni s.r.l., società edile che ha ricevuto l'appalto per la costruzione di un complesso turistico a (OMISSIS), affermando che le unità immobiliari, allo stato di rustico, non trovavano acquirenti, in quanto risultava dal registro delle imprese come il M. fosse stato in passato l'amministratore unico e il liquidatore della (OMISSIS) s.r.l., il cui fallimento era stato dichiarato nel 1992 e si era chiuso il 10 marzo 1995, con cancellazione, all'esito della liquidazione, della società dal registro delle imprese in data 7 luglio 2005.
Ha dedotto che tali dati, risultanti dal registro stesso, venivano trattati da società di informazione professionale, come la Cerved Business Information s.p.a., e che, nonostante la propria richiesta in data 10 aprile 2006, la Camera di Commercio non aveva provveduto alla loro cancellazione.
Ha concluso chiedendo la condanna della Camera di Commercio di Lecce alla cancellazione o alla trasformazione in forma anonima o al blocco dei dati che ricollegano il nome dell'attore al fallimento della (OMISSIS) s.r.l., oltre alla condanna al risarcimento del "danno all'immagine" cagionatogli.
Il Tribunale con sentenza del 1 agosto 2011 ha accolto le domande, ordinando alla Camera di Commercio, Industria e Artigianato di Lecce la trasformazione in forma anonima dei dati che collegano M.S. al fallimento della (OMISSIS) s.r.l. e condannando la convenuta al risarcimento del danno, liquidato in Euro 2.000,00, oltre interessi e spese.
Ha affermato il giudice del merito che: a) sussiste la legittimazione passiva della Camera di Commercio, perchè l'ufficio del registro delle imprese non ha personalità autonoma, nè è responsabile della diffusione dei dati la Cerved Business Information s.p.a., che si limita ad acquisire le informazioni dal registro delle imprese; b) l'indicazione del nominativo dell'amministratore unico della (OMISSIS) s.r.l. al tempo del fallimento, M.S., risultante dalla visura storica della società, dopo il decorso di dieci anni dal fallimento e di due anni dalla cancellazione dal registro delle imprese della società stessa, è privo di giustificazione, in quanto le iscrizioni che collegano il nome di una persona alla carica ricoperta in una società poi fallita non possono essere perenni, in mancanza di uno specifico interesse generale alla loro conservazione e divulgazione; e, non prevedendo il codice civile un tempo massimo d'iscrizione, deve ritenersi che, trascorso un lasso di tempo congruo dalla definizione del fallimento e cancellata l'impresa dal registro, siano difficilmente sostenibili la necessità e l'utilità, ai sensi del D.Lgs. n. 196 del 2003, artt. 3 e 11, dell'indicazione nominativa dell'ex amministratore unico al tempo del fallimento, potendo l'interesse pubblico essere soddisfatto dalla indicazione delle vicissitudini della società con dati anonimi quanto alla persona fisica sua rappresentante; c) sussiste un "danno all'immagine", in quanto l'istante ha provato, mediante la prova testimoniale resa dall'amministratore unico della Chiusurelle s.r.l., committente i lavori alla Italiana Costruzioni s.r.l., amministrata dal M., che la prima ha interrotto varie trattative con potenziali acquirenti in ragione delle informazioni assunte, oltre ad avere preannunziato l'interruzione di rapporti di lavoro ove non si fossero cancellate dette informazioni dal registro delle imprese; mentre il M. non ha provato l'impossibilità, o almeno la difficoltà, di ottenere finanziamenti da banche o intraprendere rapporti con fornitori ed imprese; in definitiva, il tribunale ha liquidato tale danno nella somma equitativa di Euro 2.000,00.
Contro la sentenza la soccombente ha proposto ricorso per cassazione D.Lgs. n. 196 del 2003, ex art. 152, comma 13, affidato a sette motivi.
Non ha svolto difese l'intimato.
Con ordinanza interlocutoria del 17 luglio 2015, n. 15096, questa Corte, avendo individuato una questione di rilievo, che richiede il coordinamento di principi sottesi a distinte direttive europee, ha sospeso il procedimento, sottoponendo alla Corte di Giustizia dell'Unione Europea, ai sensi dell'art. 267 del Trattato sul funzionamento dell'Unione Europea (TFUE), le seguenti questioni pregiudiziali:
"1) Se il principio di conservazione dei dati personali in modo da consentire l'identificazione delle persone interessate per un arco di tempo non superiore a quello necessario al conseguimento delle finalità per le quali sono rilevati o sono successivamente trattati, previsto dall'art. 6, lett. e), della direttiva 46/95/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 24 ottobre 1995, attuata D.Lgs. 30 giugno 2003, n. 196, debba prevalere e, quindi, osti al sistema di pubblicità attuato con il registro delle imprese, previsto dalla Prima direttiva 68/151/CE del Consiglio del 9 marzo 1968 nonchè dal diritto nazionale all'art. 2188 c.c. e L. 29 dicembre 1993, n. 580, art. 8, laddove esso esige che chiunque, senza limiti di tempo, possa conoscere i dati relativi alle persone fisiche ivi risultanti.
2) Se, quindi, l'art. 3 della Prima direttiva 68/151/CE del Consiglio del 9 marzo 1968 consenta che, in deroga alla durata temporale illimitata e ai destinatari indeterminati dei dati pubblicati sul registro delle imprese, i dati stessi non siano più soggetti a "pubblicità", in tale duplice significato, ma siano invece disponibili solo per un tempo limitato o nei confronti di destinatari determinati, in base ad una valutazione casistica affidata al gestore del dato".
In data 8 settembre 2016 l'Avvocato generale presso la Corte UE ha presentato le sue conclusioni ed il 9 marzo 2017 la Corte UE ha pronunciato la sua decisione.
La causa, quindi, è stata rimessa sul ruolo per la decisione.
Il Procuratore generale ha depositato le sue conclusioni.
La ricorrente ha depositato la memoria di cui all'art. 380-bis c.p.c., n. 1.
Motivi della decisione
1. - L'istanza di rimessione alla pubblica udienza, avanzata dal Procuratore generale, va disattesa, posta la lettura estensiva del D.L. 31 agosto 2016, n. 168, art. 1-bis, comma 2, convertito con modificazioni dalla L. 25 ottobre 2016, n. 197, secondo cui tali disposizioni "si applicano ai ricorsi depositati successivamente alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, nonchè a quelli già depositati alla medesima data per i quali non è stata fissata udienza o adunanza in Camera di consiglio".
Onde, nella specie, la ragione di ammissibilità della fissazione dell'adunanza, nonostante che l'udienza pubblica si fosse già tenuta con il vecchio rito, risiede nella considerazione dirimente secondo cui, attesa la rifissazione dell'udienza a seguito del rinvio a nuovo ruolo, può dirsi che, al momento dell'entrata in vigore della riforma, non fosse stata ancora fissata l'udienza o l'adunanza di trattazione del ricorso.
In tale evenienza, il rinvio della causa a nuovo ruolo restituisce al Primo Presidente, o al suo delegato, il potere di scelta fra tale udienza e l'adunanza della Camera di consiglio (come ritenuto sin da Cass., ord., sez. un., 29 gennaio 1993, n. 101).
Giova, inoltre, ribadire che la trattazione camerale non viola il diritto costituzionale di difesa (art. 24 Cost.), sia perchè l'oralità non è di questo diritto connotato indefettibile, sia perchè le esigenze difensive sono garantite dall'osservanza di adeguato contraddittorio mediante le memorie delle parti e le conclusioni scritte del P.G..
Pertanto, anche quando il Presidente della sezione abbia errato nella individuazione del rito (camerale, laddove sussistevano i presupposti della trattazione in pubblica udienza in virtù della rilevanza e novità della questione), il collegio non è obbligato a rimettere la causa in pubblica udienza, anche per ragioni di economia processuale, ma può procedere alla decisione.
2. - I motivi del ricorso.
Con il primo motivo, la ricorrente censura la violazione del D.Lgs. 30 giugno 2003, n. 196, art. 18 e art. 19, comma 3, oltre al vizio di insufficiente motivazione, perchè la sentenza impugnata ha finito per negare la funzione istituzionale di pubblicità legale del registro delle imprese, che costituisce una banca dati pubblica: i tre registri previsti dal codice civile (persone, beni e imprese) svolgono l'essenziale funzione di soddisfare l'interesse pubblico alla conoscenza dei dati rilevanti e rispettano i valori costituzionali, nell'equilibrio tra le libertà del singolo e delle formazioni sociali e la tutela delle stesse affidata al consesso sociale.
Con il secondo motivo, censura la motivazione erronea su fatto decisivo, avendo la sentenza impugnata affermato che la Cerved Business Information s.p.a. si è limitata ad acquisire le informazioni dal registro delle imprese, laddove invece si è verificata la rielaborazione e la diffusione dei dati da parte di questa, con conseguente difetto di legittimazione passiva della Camera di Commercio di Lecce, solo la prima avendo posto in collegamento il nome del ricorrente con il fallimento della società dal medesimo in precedenza amministrata, come del resto lo stesso M. ha dedotto nel ricorso introduttivo.
Con il terzo motivo, lamenta l'insufficiente o omessa motivazione circa il non rilevato difetto di legittimazione passiva della Camera di Commercio di Lecce, sebbene lo stesso M. avesse rivolto le proprie domande avverso l'Ufficio del Registro delle imprese, soggetto giuridico diverso.
Con il quarto motivo, deduce la nullità del procedimento, con violazione degli artt. 2188 c.c. e segg., art. 2909 c.c. e art. 324 c.p.c., dal momento che il M. aveva già esperito inutilmente ricorso, ai sensi dell'art. 2191 c.c., al giudice del registro delle imprese per ottenere la cancellazione della iscrizione del fallimento della società predetta, onde la successiva domanda costituiva un bis in idem.
Con il quinto motivo, lamenta l'omessa motivazione sul medesimo punto ora esposto.
Con il sesto motivo, censura la violazione dell'art. 2043 c.c., artt. 115 e 116 c.p.c., in quanto non è dato rinvenire in alcun modo gli estremi della imperizia o negligenza in capo alla Camera di Commercio, posto che l'ufficio del registro si è semplicemente attenuto alla rigorosa applicazione della disciplina, avendo pubblicato per legge dati reali, come confermato pure dal detto provvedimento di rigetto del giudice del registro della istanza di cancellazione delle dovute iscrizioni.
Con il settimo motivo, lamenta la falsa applicazione degli artt. 2043, 2059 c.c., artt. 115 e 116 c.p.c., per avere riconosciuto un danno all'immagine del M. in assoluta carenza di prova, avendo invero tenuto conto di un danno che sarebbe derivato alla Chiusurelle s.r.l. per il recesso dalle trattative di potenziali clienti, come dichiarato dall'unico testimone, che era poi proprio l'amministratore di questa società.
3. - Legittimazione passiva della Camera di commercio.
Vanno preliminarmente e congiuntamente trattati, per ragioni di priorità logico-giuridica, il secondo ed il terzo motivo, i quali pongono questioni intimamente connesse.
Essi sono infondati.
La legittimazione passiva si individua sulla base della prospettazione dell'attore, in quanto imputi al convenuto una condotta idonea ad integrare la fattispecie sostanziale invocata.
Questa Corte (ad es., Cass. 10 gennaio 2008, n. 355) ha precisato che la legitimatio ad causam, attiva e passiva, consiste appunto nella titolarità del potere e del dovere di promuovere o subire un giudizio in ordine al rapporto sostanziale dedotto in causa, mediante la deduzione di fatti in astratto idonei a fondare il diritto azionato, secondo la prospettazione dell'attore; essa resta dunque ferma anche quando poi, in ipotesi, il diritto vantato contro quel convenuto non sussista per avere quello agito nel rispetto della legge.
Nella specie, il ricorrente in primo grado ha convenuto in giudizio la Camera di Commercio di Lecce, imputando proprio ad essa la pubblicazione ed il mantenimento sul registro delle imprese dei dati riferiti al M.: dunque, da un lato, è stata censurata una condotta propria della resistente e non della società privata che aveva in seguito provveduto alla elaborazione dei dati raccolti; dall'altro lato, va condivisa la motivazione della sentenza impugnata, secondo cui l'ufficio del registro delle imprese costituisce una mera organizzazione interna di un servizio, giuridicamente facente capo al soggetto Camera di Commercio di Lecce, in qualità di ente conservatore del registro delle imprese.
Tale conclusione deriva dal combinato disposto dell'art. 2188 c.c., comma 2, secondo cui "il registro è tenuto dall'ufficio del registro delle imprese", ed della L. n. 580 del 1993, art. 8, il quale sancisce che è "istituito presso la camera di commercio l'ufficio del registro delle imprese di cui all'art. 2188 c.c.", il quale "provvede alla tenuta del registro delle imprese in conformità agli artt. 2188 c.c. e segg., nonchè alle disposizioni della presente legge e al regolamento di cui al comma 6 del presente articolo, sotto la vigilanza di un giudice delegato dal presidente del tribunale del capoluogo di provincia".
4. - Irrilevanza del precedente diniego di cancellazione d'ufficio.
Carattere preliminare rivestono pure il quarto e il quinto motivo, che prospettano, con riguardo l'uno al vizio di violazione di legge e l'altro al vizio di motivazione, la medesima questione, onde possono essere congiuntamente esaminati.
I motivi sono parimenti infondati.
L'art. 2191 c.c., prevede la cancellazione d'ufficio delle iscrizioni eseguite fuori dalle condizioni previste dalla legge, da ritenere esperibile pure ad istanza di parte (quale mera sollecitazione, in ragione dell'interesse pubblico sotteso, all'uso del relativo potere): quando, dunque, un'iscrizione sia avvenuta in mancanza dei presupposti previsti dalla legge, il giudice del registro, ad iniziativa d'ufficio - anche su segnalazione del conservatore, del soggetto cui appartiene l'atto iscritto o di terzi - può ordinarne con decreto la cancellazione.
Si tratta di un procedimento speciale condotto nelle forme camerali, il quale prevede l'iniziativa d'ufficio, che può essere sollecitato dunque da una parte: con una prima fase, che si svolge innanzi al giudice del registro, il quale in ogni caso provvede "sentito l'interessato", ed un'eventuale fase di reclamo al tribunale, in composizione collegiale. Tali organi operano, in entrambe le fasi, in sede di volontaria giurisdizione, nella propria attività di controllo sul pubblico registro.
Pertanto, non si verifica alcuna preclusione da giudicato in ipotesi di esperimento del procedimento di cancellazione della iscrizione presso l'ufficio, cui sia seguita, come nella specie, un'azione di condanna della CCIAA ad oscurare dati e di risarcimento del danno.
5. - Registro delle imprese e dati personali.
5.1. - La questione.
Occorre dunque esaminare il primo motivo del ricorso, che verte sulla questione centrale della controversia: lo stabilire se il diritto alla protezione dei dati personali imponga, a richiesta di parte, la cancellazione di iscrizioni o la negazione della pubblicità, al di fuori delle ipotesi tassative di tali evenienze previste dalla legge, ove l'interessato invochi un proprio interesse a non rendere più conoscibili dopo un dato tempo alcuni dati che lo riguardano.
Il motivo chiede, nella sostanza, se anche i dati conservati nel registro delle imprese dalle Camere di commercio, in adempimento della funzione ad esse demandata dalla legge, possano essere resi non più disponibili a chiunque in forza di un "diritto all'oblio", disponendosene la cancellazione, la trasformazione in forma anonima o il blocco, allorquando sia decorso un tempo che (allo stato attuale della disciplina) non è determinato o determinabile a priori in modo netto, ma è da individuare in quello necessario allo scopo per cui il dato è stato raccolto, secondo la normativa di riferimento.
5.2. - La pronuncia della Corte di giustizia 9 marzo 2017, C398/15.
In seguito al rinvio pregiudiziale disposto, ai sensi dell'art. 267 del Trattato sul funzionamento dell'Unione Europea, con ordinanza interlocutoria n. 15096 del 2015, la Corte di giustizia dell'Unione Europea ha così statuito: "L'art. 6, par. 1, lett. e), l'art. 12, lett. era b), e l'art. 14, comma 1, lett. a), della direttiva 95/46/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 24 ottobre 1995, relativa alla tutela delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali, nonchè alla libera circolazione di tali dati, in combinato disposto con l'art. 3 della prima direttiva 68/151/CEE del Consiglio, del 9 marzo 1968, intesa a coordinare, per renderle equivalenti, le garanzie che sono richieste, negli Stati membri, alle società a mente dell'art. 58, comma 2, del Trattato per proteggere gli interessi dei soci e dei terzi, come modificata dalla direttiva 2003/58/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 15 luglio 2003, devono essere interpretati nel senso che, allo stato attuale del diritto dell'Unione, spetta agli Stati membri determinare se le persone fisiche di cui all'art. 2, par. 1, lett. d) e j), della direttiva da ultimo citata possano chiedere all'autorità incaricata della tenuta, rispettivamente, del registro centrale, del registro di commercio o del registro delle imprese di verificare, in base ad una valutazione da compiersi caso per caso, se sia eccezionalmente giustificato, per ragioni preminenti e legittime connesse alla loro situazione particolare, decorso un periodo di tempo sufficientemente lungo dopo lo scioglimento della società interessata, limitare l'accesso ai dati personali che le riguardano, iscritti in detto registro, ai terzi che dimostrino un interesse specifico alla loro consultazione".
In particolare, la Corte UE, poste a raffronto la prima direttiva societaria 68/151/CEE del Consiglio, del 9 marzo 1968, come modificata dalla direttiva 2003/58/CE, e la direttiva 95/46/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 24 ottobre 1995, ha osservato in motivazione che:
- direttiva 68/151: tenuto conto dell'epoca dei fatti, la vicenda continua ad essere disciplinata dalla direttiva menzionata, sebbene essa in seguito sia stata abrogata e sostituita dalla direttiva 2009/101/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 settembre 2009, intesa a coordinare, per renderle equivalenti, le garanzie che sono richieste, negli Stati membri, alle società a mente dell'art. 48, comma 2, del trattato per proteggere gli interessi dei soci e dei terzi, ancora modificata dalla direttiva 2012/17/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 13 giugno 2012;
- legittimità del trattamento: il trattamento dei dati personali, effettuato dall'autorità incaricata della tenuta del registro delle imprese, rientra nella legittimazione di cui all'art. 7, lett. c), e) ed f) della direttiva 95/46, ossia l'"adempimento di un obbligo legale", l'"esercizio di pubblici poteri o l'esecuzione di un compito di interesse pubblico" ed il "perseguimento di un interesse legittimo del responsabile del trattamento oppure dei terzi cui vengono comunicati i dati" (punto 42);
- finalità del registro delle imprese: la finalità della iscrizione dei dati nel registro delle imprese è la certezza del diritto nelle relazioni tra le società ed i terzi, mediante la tutela dell'interesse di questi ultimi a conoscere gli atti essenziali della società interessata e le indicazioni che la concernono, e ciò senza dover dimostrare alcun diritto o interesse meritevole di tutela (punti 48-51);
- esigenza di conoscenza dei dati pur dopo lo scioglimento della società: la direttiva 68/151 non dispone espressamente con riguardo all'obbligo di iscrizione dei dati personali delle persone fisiche anche dopo la cessazione dell'attività e lo scioglimento della società interessata: ma - rileva la Corte - è pacifico che, anche dopo lo scioglimento di una società, possano residuare diritti e rapporti giuridici ad essa relativi, onde quei dati possono risultare necessari ad esempio "per verificare la legittimità di un atto compiuto a nome di detta società nel periodo in cui essa era attiva o affinchè i terzi possano avviare un'azione contro membri degli organi della società o contro i suoi liquidatori" (punti 52-53);
- impossibilità di fissare un termine univoco di inutilità della iscrizione del dato dopo lo scioglimento della società: nè, tenuto conto dei diversi termini di prescrizione dei diritti nei vari Stati membri nei distinti settori del diritto, è possibile identificare un termine univoco, a far data dallo scioglimento di una società, allo spirare del quale non sarebbe più necessaria l'iscrizione nel registro e la pubblicità dei dati citati (punti 54-55);
- conclusione: gli Stati membri non sono tenuti a garantire alle persone fisiche il diritto di ottenere, in ogni caso, decorso un certo periodo di tempo dallo scioglimento della società, la cancellazione dei dati personali o il congelamento degli stessi nei confronti del pubblico: ciò non costituisce ingerenza sproporzionata nei diritti fondamentali delle persone interessate, atteso che la pubblicità riguarda un numero limitato di dati personali e che le società per azioni e le società a responsabilità limitata offrono come unica garanzia per i terzi il proprio patrimonio sociale, mentre le persone fisiche che scelgono di prender parte agli scambi economici attraverso una simile società sono consapevoli di detto obbligo nel momento in cui decidono di impegnarsi in un'attività del genere (punti 56-58);
- facoltà dei legislatori nazionali di introdurre una norma eccezionale limitativa della pubblicità: infine, spetta ai legislatori nazionali la decisione circa l'introduzione, nel proprio ordinamento, di una norma di eccezione che permetta - decorso un periodo di tempo, da valutare caso per caso, sufficientemente lungo dopo lo scioglimento della società - l'ostensione dei dati risultanti dal registro delle imprese soltanto in favore di terzi che dimostrino un interesse specifico alla loro consultazione, in presenza di situazioni particolari e di ragioni preminenti e legittime (punti 60-61);
- compito del giudice nazionale di verificare l'esistenza di detta norma di eccezione: spetta al giudice del rinvio verificare lo stato del proprio diritto nazionale su questo punto: fermo restando, peraltro, che "il solo presumere che gli immobili di un complesso turistico costruito dalla Italiana Costruzioni, di cui il sig. M. è attualmente amministratore unico, non si vendano perchè i potenziali acquirenti di tali immobili hanno accesso ai dati in questione nel registro delle imprese, non può essere sufficiente a costituire una simile ragione, tenuto conto, in particolare, del legittimo interesse di questi ultimi a disporre di tali informazioni" (punti 61-63).
Nello stesso senso, giova precisare, sono state, in quel procedimento pregiudiziale, le unanimi osservazioni presentate dai governi italiano, ceco, tedesco, irlandese, polacco, portoghese, nonchè della Commissione europea e le conclusioni dell'Avvocato generale.
5.3. - Insussistenza di una norma di eccezione.
La ricostruzione del sistema, come operata dalla Corte di giustizia, non lascia pertanto dubbi circa la risposta negativa al quesito posto e, dunque, sulla fondatezza del primo motivo di ricorso: l'ordinamento italiano non contempla il diritto di ottenere la limitazione temporale o soggettiva dell'ostensione a terzi dei dati iscritti nel registro delle imprese, in particolare del nome dell'amministratore o liquidatore di società fallita e cancellata dal registro delle imprese.
Come ha rilevato la Corte di giustizia UE, sarebbe all'uopo indispensabile una specifica norma, che autorizzasse la diffusione dei dati sul registro delle imprese solo per un tempo determinato: non potendo la scelta in ordine alla pubblicazione essere rimessa nè al Conservatore del registro delle imprese, dopo avere valutato l'esistenza di un diritto all'accesso al dato (pena una disfunzione grave alla gestione del servizio, considerando la quantità di richieste di visura quotidiane), nè ad una decisione giudiziale (anche per l'alta disparità di soluzioni) (v., al riguardo, pure le conclusioni dell'avvocato generale presso la Corte UE, punto 96, che parla al riguardo di "un onere amministrativo smisurato, in termini di tempi e costi, che metterebbe in discussione, in definitiva, la capacità del registro ad assolvere le sue funzioni").
Le argomentazioni a suo tempo svolte nell'ordinanza interlocutoria n. 15096 del 2015, con i capisaldi del sistema ivi enumerati, esimono dalla necessità di riproporle integralmente nella presente sede.
5.3.1. - Ci si può, dunque, limitare a ricordare come la pubblicità giuridica, caratteristica del contemporaneo stato di diritto e fondamento di civiltà, risponda all'interesse generale della conoscibilità a chiunque di determinati fatti giuridici, mediante registri, albi, elenchi, pubblicazioni periodiche ufficiali: che, accessibili a chiunque, e tenuti da un ufficio pubblico, producono "sicurezza giuridica", in quanto danno certezza di fatti giuridicamente rilevanti, favorendo i rapporti economici e sociali.
E' forse necessario evidenziare che la certezza del diritto non è un bene come gli altri, in quanto portato della stessa statualità: la prima come proiezione in termini giuridici della sicurezza fisica garantita dalla seconda.
Nell'ambito di tali strumenti spicca - in ragione della obbligatorietà e non facoltatività (salvo rare eccezioni) delle iscrizioni, presidiata dal meccanismo delle iscrizioni d'ufficio ex art. 2190 c.c., in perfetta analogia con l'anagrafe delle persone nei registri dello stato civile - il registro delle imprese, che mira a predisporre un organico regime di pubblicità degli imprenditori individuali e collettivi, a base soggettiva, contenendo un elenco di imprenditori e delle loro vicende.
Istituito nel 1942, nell'ambito (come si osservò all'epoca) di un sistema economico che si avviava al ricorso sistematico al credito, già nei progetti (OMISSIS) si pensò di affidarne la tenuta alle camere di commercio, allo scopo "di rendere quanto più è possibile il registro accessibile, quasi familiare ai commercianti, collocandolo in una sede, come la camera di commercio, con la quale i commercianti hanno quotidiani rapporti". Le regole previste nella L. 29 dicembre 1993, n. 580, art. 8, comma 6 - che ha attuato il registro miravano ad assicurare la tempestiva informazione su tutto il territorio nazionale, mediante gli stessi mezzi realizzati già da tempo dalle camere di commercio e che avevano propiziato la particolare funzionalità del registro delle ditte.
Eventi essenziali nella vita dell'imprenditore individuale (come l'inizio e la cessazione dell'impresa, la ditta, le procure institorie, le autorizzazioni per il minore) e della società (la costituzione, le modificazioni dell'atto costitutivo, la fusione, lo scioglimento, la cancellazione) vengono dunque obbligatoriamente iscritti nel registro delle imprese nei termini di legge, decorrendo dall'iscrizione particolari effetti. In sostanza, non vi è evento significativo della vita dell'imprenditore individuale e collettivo (si pensi pure ai consorzi), dal suo esordio alla sua liquidazione e cessazione, che non sia soggetto a deposito od iscrizione nel registro delle imprese.
Il registro delle imprese - come, in precedenza, il registro tenuto presso le cancellerie dei tribunali ai sensi dell'art. 101 disp. att. c.c. e L. Fall., art. 262 - svolge un ruolo essenziale nella regolamentazione dei rapporti d'impresa, rientrando l'attuazione della pubblicità commerciale nei compiti primari della pubblica amministrazione e fra i doveri inderogabili dello stesso imprenditore.
I profili strutturali e funzionali del registro delle imprese sono delineati dall'art. 2188 c.c. e della L. n. 580 del 1993, art. 8, in una con il regolamento di cui al D.P.R. 7 dicembre 1995, n. 581. Sono previsti, in particolare, i procedimenti d'iscrizione e di cancellazione d'ufficio (artt. 2190-2191 c.c., D.P.R. n. 581 del 1995, artt. 16-17): quest'ultima (da non confondere con la cd. cancellazione della società, che, invece, è una nuova iscrizione) è legittima ed, anzi, doverosa, per i soli casi in cui siano avvenute senza il concorso delle "condizioni richieste dalla legge per l'iscrizione" (art. 2189 c.c., comma 2 e art. 2191 c.c.).
La "dichiarazione d'intenti" del legislatore italiano al riguardo potrebbe trarsi della Legge Istitutiva n. 580 del 1993, art. 8, comma 6, secondo cui la tenuta del registro ed il funzionamento dell'ufficio "sono realizzati in modo da assicurare completezza ed organicità di pubblicità per tutte le imprese soggette ad iscrizione, garantendo la tempestività dell'informazione su tutto il territorio nazionale".
Tanto essenziale è il sistema, che il legislatore ha corredato l'adempimento della sanzione prevista all'art. 2630 c.c., a presidio dell'interesse della collettività a conoscere gli atti essenziali d'impresa afferenti l'esistenza di essa, quale centro d'imputazione di attività economica organizzata ed autonomia patrimoniale, come ricorda la stessa Corte UE. L'importanza del ruolo del registro delle imprese non ha bisogno, in definitiva, di essere oltre sottolineata.
5.3.2. - A fronte del sistema per sommi capi così ricordato, il diritto alla protezione dei dati personali - di cui al D.Lgs. 30 giugno 2003, n. 196, artt. 7 e 8 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea (cd. Carta di Nizza) del 7 dicembre 2000 e art. 8 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali - alla stregua dell'interpretazione resa, nella sua pronuncia pregiudiziale, dalla Corte di giustizia UE, non implica di per sè, in mancanza di un'apposita norma che lo preveda, anche quello di ottenere cancellazioni di iscrizioni o negazione della pubblicità commerciale, ove l'interessato invochi un proprio interesse a non rendere più conoscibili i dati che lo riguardano.
Del D.Lgs. n. 196 del 2003, artt. 18 e 19, prevedono che gli enti pubblici siano abilitati al trattamento di dati personali per lo svolgimento delle funzioni istituzionali, essendo il trattamento di dati diversi da quelli sensibili e giudiziari sia loro consentito anche in mancanza di una norma di legge o di regolamento che lo preveda espressamente.
Nè l'art. 11, lett. e), del citato D.Lgs. - il quale deriva dall'art. 6 della direttiva 95/46/Ce e secondo cui "i dati personali vengono conservati in una forma che consenta l'identificazione dell'interessato per un periodo di tempo non superiore a quello necessario agli scopi per i quali essi sono stati raccolti o successivamente trattati" - può fondare una diversa conclusione, come definitivamente chiarito dalla Corte di giustizia UE con la sentenza del 9 marzo 2017.
La stessa sentenza della Corte di giustizia UE del 13 maggio 2014, n. 131/12, Google Spain, ha puntualizzato che la cancellazione del dato risalente nel tempo (nella specie, un annuncio immobiliare di vendita all'asta pubblicato nelle pagine di un quotidiano) riguarda il motore di ricerca ed i link al sito che contiene il dato, e non certo la pagina del sito web: non, dunque, il sito cd. sorgente.
Quanto esposto rientra, del resto, perfettamente nella previsione dell'art. 8, comma 2, della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, che contempla come legittima l'ingerenza di una autorità pubblica nell'esercizio di tale diritto, ove "prevista dalla legge e costituisca una misura che, in una società democratica, è necessaria alla sicurezza nazionale, alla pubblica sicurezza, al benessere economico del paese, alla difesa dell'ordine e alla prevenzione dei reati, alla protezione della salute o della morale, o alla protezione dei diritti e delle libertà altrui".
I requisiti individuati dalla disposizione e puntualizzati dalla giurisprudenza della Corte europea - principio di legalità, tassatività dei fini, proporzionalità della restrizione in quanto necessaria in una società democratica - sono tutti presenti nella specie: posto che la legge impone l'iscrizione (cfr., in particolare, gli artt. 2383, 2475, 2487-bis c.c.), che ricorre lo scopo della tutela, nella società democratica, dei beni del benessere economico, della prevenzione dei reati e della protezione dei diritti e libertà altrui ed, infine, che le iscrizioni obbligatorie nel registro, peraltro limitate a taluni aspetti del soggetto collettivo, sono proporzionali certamente allo scopo.
[b]5.3.3. - Si ricorda inoltre, per completezza, come il nuovo Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016, concernente la protezione delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali e la libera circolazione di tali dati, e che abroga la direttiva 95/46/CE, si occupa del "diritto all'oblio" nei considerando n. 65-67 e nell'art. 17, intitolato al "Diritto alla cancellazione ("diritto all'oblio")".[/b]
Da tale disciplina risulta che la tendenza, anche a livello eurounitario, è nel senso (cfr. art. 17, comma 1, lett. a) di prescrivere la cancellazione se i "dati personali non sono più necessari rispetto alle finalità per le quali sono stati raccolti o altrimenti trattati": e, tuttavia, non si dà luogo a cancellazione, se la conservazione dei dati personali sia necessaria (accanto alle ipotesi dell'esercizio del diritto alla libertà di espressione ed ai motivi di interesse pubblico nel settore della sanità pubblica o finalità storiche, statistiche e di ricerca scientifica o per la difesa di un diritto in sede giudiziaria) "b) per l'adempimento di un obbligo legale che richieda il trattamento previsto dal diritto dell'Unione o dello Stato membro cui è soggetto il titolare del trattamento o per l'esecuzione di un compito svolto nel pubblico interesse oppure nell'esercizio di pubblici poteri di cui è investito il titolare del trattamento", o anche "d) a fini di archiviazione nel pubblico interesse (...), nella misura in cui il diritto di cui al par. 1 rischi di rendere impossibile o di pregiudicare gravemente il conseguimento degli obiettivi di tale trattamento".
Il considerando n. 73 chiarisce espressamente tale principio: il diritto dell'Unione o di uno Stato membro può imporre limitazioni al diritto di cancellazione dei propri dati "ove ciò sia necessario e proporzionato in una società democratica per la salvaguardia della sicurezza pubblica" e "per la tutela di altri importanti obiettivi di interesse pubblico generale dell'Unione o di uno Stato membro, tra cui un interesse economico o finanziario rilevante dell'Unione o di uno Stato membro, per la tenuta di registri pubblici per ragioni di interesse pubblico generale...".
Il nuovo regolamento, dunque, sancisce la limitazione per tali fini, cui concorre pure il registro delle imprese.
Il diritto degli interessati "all'oblio", ossia di impedire che le informazioni possano continuare a circolare (in particolare nel mondo online) dopo un determinato periodo di tempo, fa dunque sempre salve specifiche esigenze: fra cui quella di rispettare obblighi di legge a tutela di interessi generali e di ordine e sicurezza pubblica.
5.3.4. - Come ha osservato l'avvocato generale innanzi alla Corte di giustizia UE nel procedimento pregiudiziale, la circostanza che una società sia stata assoggettata a procedura concorsuale non rappresenta di per sè un dato lesivo della reputazione o dell'onorabilità dell'amministratore che l'ha rappresentata.
Infatti, il fallimento di una società può essere stato determinato da circostanze esterne, non direttamente riferibili ad una cattiva gestione di tale società, ad esempio a causa di una crisi economica o di un calo della domanda nel settore di cui trattasi (punto 86).
Mentre le riforme del diritto fallimentare dell'ultimo decennio valgono ad evidenziare che, anche nell'opinione comune, non necessariamente a tale evenienza si ricollega il discredito personale, ben potendo questo dipendere da situazioni oggettive di mercato o evenienze esterne, che niente abbiano a vedere non solo con la mala gestio, ma neppure con la capacità imprenditoriale dell'amministratore, quale diligente gestore della cosa altrui.
5.3.5. - L'assenza di una norma di eccezione di natura generale, la quale a richiesta possa escludere dopo un tempo dato la pubblicità dei dati sul registro delle imprese, è confermata da specifiche disposizioni al riguardo: quali l'art. 2496 c.c. (prima della riforma di cui al D.Lgs. n. 5 del 2003, l'art. 2457 c.c.), secondo cui, anche dopo la cessazione di ogni attività, i libri sociali (libro dei verbali delle deliberazioni assembleari o consiliari, libro dei soci) vanno depositati e conservati per dieci anni presso l'ufficio del registro delle imprese e chiunque può esaminarli, anticipando le spese. Si tratta di informazioni aggiuntive, perchè i libri sociali sono normalmente interni alla società (e regolati dall'art. 2422 c.c., quanto alla visione, riservata ai soci, al rappresentante degli obbligazionisti e dei titolari di strumenti finanziari) e la norma, di natura eccezionale, prevede che in aggiunta essi siano resi ostensibili per tale periodo di tempo; e il D.L. 18 ottobre 2012, n. 179, art. 31, convertito dalla L. 17 dicembre 2012, n. 221, recante Ulteriori misure urgenti per la crescita del Paese, il quale per le start-up innovative, prevede che, dopo dodici mesi dall'iscrizione nel registro delle imprese del decreto di apertura della liquidazione della società, l'accesso ai dati relativi ai soci è consentito esclusivamente all'autorità giudiziaria e alle autorità di vigilanza.
5.3.6. - In conclusione, se lo Stato è l'organizzazione della societas - è la società, in quanto necessariamente organizzata l'esigenza di assicurare la trasparenza al fine della sicurezza degli scambi economici dà ragione della funzione storica del registro delle imprese, nonchè del prezzo che a tal riguardo richiede a coloro che, desiderando partecipare a quegli scambi mediante una società commerciale, devono rendere pubbliche determinate e circoscritte informazioni (le conclusioni dell'avvocato generale presso la corte UE parlano, al riguardo, di "contropartita").
In epoche in cui l'accento, pur in sè corretto, posto sui "diritti" ha gradualmente indotto a guardare ai doveri come ad un puro e fastidioso accidente, l'eccesso d'individualismo (riscontrabile allorchè qualsiasi desiderio venga in modo automatico tradotto in pretesa) finisce per soffocare l'interesse comune della generalità, nella ricerca confusa ed esclusiva di una gratificazione personale che tuttavia nega, a lungo andare, la premessa: la tutela di ogni diritto fondamentale non può ignorare la dimensione collettiva del bene comune e l'esistenza di un correlativo obbligo.
Ciò si ricollega a quanto da questa Corte già è stato evidenziato circa la necessità di risalire al principio di solidarietà, di cui all'art. 2 Cost., anche in tema di danno non patrimoniale da violazione del diritto alla protezione dei dati personali (principio che richiede pur sempre la verifica della gravità della lesione e della serietà del danno: cfr. Cass. 15 luglio 2014, n. 16133; Corte europea dei diritti dell'uomo 1 luglio 2010, ricorso n. 25551/05, Korolev c. Russia).
Il principio di solidarietà, invero, opera "quel necessario contemperamento tra posizioni idiosincratiche e socialità, attraverso doveri che si impongono per la tutela e protezione di beni e valori della comunità nel suo complesso. Il principio di solidarietà costituisce allora il punto di mediazione che consente al sistema ordinamentale di salvaguardare il diritto del singolo nell'ambito della collettività" (così Cass. 15 luglio 2014, n. 16133).
E già la Corte costituzionale aveva discorso della "primigenia vocazione sociale dell'uomo, derivante dall'originaria identificazione del singolo con le formazioni sociali in cui si svolge la sua personalità e dal conseguente vincolo di appartenenza attiva che lega l'individuo alla comunità degli uomini" (Corte cost., 28 febbraio 1992, n. 75 e 17 dicembre 2013, n. 309; v. pure Cass., sez. un., ord. 1 ottobre 2014, n. 20661).
In sostanza, con l'istituzione del registro delle imprese e l'esclusione di una norma di eccezione, del tipo di quella richiesta dalla Corte UE, il legislatore italiano ha già operato - sulla base del menzionato principio - un bilanciamento tra le esigenze individuali e quelle della collettività, cosicchè la volontà del singolo di impedire la reperibilità dei dati afferenti la sua pregressa attività gestoria non finisca per contraddire gli interessi espressi dalla intera comunità di persone.
Va, dunque, affermato il seguente principio di diritto: "Alla stregua del quadro normativo e dei compiti istituzionalmente perseguiti dalle Camere di commercio con la tenuta del registro delle imprese, è legittima, rispondendo ad un obbligo legale, l'iscrizione e la conservazione nel registro stesso delle informazioni relative alla carica di amministratore e di liquidatore, ricoperta da un soggetto in una società, ove pure in seguito questa sia stata dapprima dichiarata fallita e, poi, cancellata dal registro delle imprese, prevalendo le esigenze della pubblicità commerciale sull'interesse del privato ad impedirla, in funzione delle ragioni di certezza nelle relazioni commerciali che l'istituzione del registro delle imprese soddisfa".
5.3.7. - Caso di specie.
Il ricorrente lamenta che il proprio nome venga ricollegato al dato della qualità di amministratore unico e liquidatore di una società fallita.
Tuttavia - a parte la considerazione secondo cui ciò è avvenuto non attraverso la consultazione del registro delle imprese, fondato sul criterio soggettivo relativo agli imprenditori ed alle loro vicende, ma perchè l'elaborazione e collegamento dei dati sono stati operati in un dossier dalla Cerved Business Information s.p.a. - per quanto sopra esposto l'iscrizione degli eventi nel registro delle imprese era dovuta, nè sussistevano i presupposti per la loro cancellazione, non essendo stata essa illegittimamente eseguita in violazione delle condizioni previste dalla legge; mentre il dato in questione corrisponde, incontestatamente, a verità e rappresenta l'adempimento di uno specifico dovere d'ufficio del Conservatore del registro.
6. - Ulteriori motivi.
Il sesto e settimo motivo sono assorbiti.
7. - Statuizione.
La sentenza impugnata va dunque cassata e, non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto, la causa può essere decisa nel merito, ai sensi dell'art. 384 c.p.c., con il rigetto delle domande proposte contro la Camera di Commercio di Lecce.
8. - Spese.
La novità della questione induce alla compensazione delle spese di lite.
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo motivo di ricorso, respinti i motivi secondo, terzo, quarto e quinto, assorbiti i motivi sesto e settimo;
cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta le domande proposte da M.S. contro la Camera di Commercio di Lecce; compensa tra le parti le spese di lite.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 14 giugno 2017.
Depositato in Cancelleria il 9 agosto 2017
La violazione della normativa in materia di riservatezza e di trattamento dei dati personali
Corte dei Conti-Sardegna, Sez. giurisdiz., sentenza 8 marzo-12 aprile 2018, n. 73
La violazione della legislazione in materia di dati personali da parte degli Enti pubblici costituisce condotta gravemente colposa fonte di responsabilità personale che comporta l'obbligo del risarcimento del danno erariale quantificato in misura pari alla sanzione amministrativa pecuniaria irrogata dal Garante, ai sensi degli artt. 161-166 del citato Codice.
http://www.quotidianopa.leggiditalia.it/quotidiano_home.html#news=PKQT0000194716
Va sanzionata la condotta di chi non fornisce le informazioni richieste dal Garante Privacy
Cassazione civile sez. II, ordinanza 12 giugno 2018, n. 15332
https://buff.ly/2Mtcyxw
[size=18pt]VIDEO colloqui privati - sottratti ad accesso civico generalizzato anche ex GDPR[/size]
[img width=300 height=150]https://disquisendo.files.wordpress.com/2017/12/colloquio-660x330.jpg?w=610[/img]
[color=red][b]CONSIGLIO DI STATO, SEZ. VI – sentenza 25 giugno 2018 n. 3907 [/b][/color]
FATTO e DIRITTO
1. È appellata la sentenza del TAR Lazio, sez. terza bis, n. 11628/2017, di reiezione del ricorso proposto dalla dott.ssa. xxxxx per l’accesso civico agli atti.
Segnatamente, la ricorrente, dipendente con qualifica di Tecnologo dell’Istituto Nazionale di Astrofisica (d’ora in poi INAF), in servizio presso l’Osservatorio Astrofisico di Catania, ha chiesto l’accesso civico sensi del d. l.vo n.97/2016 ai seguenti documenti:
1) Video in versione integrale del Collegio dei Direttori allargato del 23 Febbraio 2017, trasmesso in diretta in streaming e, successivamente, pubblicato mediante collegamento accessibile dal sito dell’INAF, ma dopo qualche giorno parzialmente “tagliato”, specificando che oggetto di
esplicita richiesta era anche la parte della registrazione – intercorrente tra le ore 4:10 circa e le ore 4:40 dall’inizio del video – in cui è ripreso, tra l’altro, un colloquio di circa dieci minuti tra il dott. yyyy, Direttore generale e responsabile prevenzione corruzione, e la dott.ssa Umana;
2) Provvedimento con il quale sarebbe stato disposto “il taglio” del video inizialmente pubblicato nella versione integrale.
2. Dopo un primo sostanziale diniego opposto dall’INAF, la ricorrente ha proposto formale ‘richiesta di riesame’ al responsabile della prevenzione della corruzione e della trasparenza dell’INAF.
3. Rimasta l’istanza senza esito, con il ricorso in esame, la ricorrente ha dedotto la violazione della normativa in materia di trasparenza e di accesso civico generalizzato nonché la mancata conclusione del procedimento volto all’accesso civico con provvedimento espresso e motivato nel termine previsto dall’art. 5, comma 7, d. l.vo n. 33/2013.
4. Costituitasi in giudizio l’INAF, oltre che per l’inesistenza materiale della registrazione streaming richiesta, il TAR ha respinto il ricorso sul rilievo che l’accessibilità della ripresa relativa alla pausa pranzo – e, in particolare, al colloquio di circa dieci minuti tra il dott. yyyy, Direttore generale e responsabile prevenzione corruzione, e la dott.ssa Umana – non fosse “strumentale al perseguimento delle funzioni istituzionali, all’utilizzo delle risorse pubbliche e alla promuovere la partecipazione al dibattito pubblico, quanto piuttosto a ragioni personali della ricorrente che si inseriscono nel quadro dei rapporti con la dott.ssa Umana”.
5. Appella la sentenza la dott.ssa. xxxxx.
7. Alla Camera di consiglio del 24.05.2018 la causa, su richiesta della parte, è stata trattenuta in decisione.
8. Con i motivi d’appello, la ricorrente lamenta gli errori di giudizio in cui sarebbero incorsi i giudici di prime cure nell’omettere di considerare il diritto della ricorrente all’accesso integrale del video della seduta del Collegio dei direttori allargato del 23.02.2017 ivi compresa la ripresa del colloquio tra il dott. yyyy e la dott.ssa Umana.
8.1 Ostensione estesa anche al provvedimento con il quale sarebbe stato disposto il taglio del video inizialmente pubblicato nella versione integrale.
[color=red][b]9. L’appello è infondato.[/b][/color]
[b]9.1 L’accesso ha ad oggetto le parti eliminate della ripresa streaming della riunione, tenutasi il 23 febbraio 2017 presso la sede centrale dell’INAF, in quanto relative ai colloqui tra i partecipanti alla riunione intrattenuti durante la sospensione dei lavori per la pausa pranzo, ed inavvertitamente filmati.[/b]
9.2 L’epurazione della registrazione non pertinente ai lavori della riunione dei Consigli rispettivamente d’amministrazione e scientifico, integrati dal Direttore generale e da quello scientifico, è avvenuta il 3 marzo 2017.
9.3 Di essa, ossia della parte di ripresa eliminata, il responsabile del procedimento ha dato formalmente atto di non conservarne la registrazione (cfr., prot. n. 349 del 7.04.2017).
Dichiarazione che, in quanto atto pubblico, ai sensi dell’art. 2700 c.c. fa piena prova fino a querela di falso dei fatti compiuti dal dichiarante.
9.4 Aggiungasi che alla materiale inesistenza della registrazione, ex se ostativa all’accesso ai “ dati e documenti” non (più) “detenuti” dall’amministrazione, fa riscontro sul piano giuridico un’ulteriore decisiva considerazione.
[color=red][b]10. L’accesso pubblico generalizzato di cui all’art. 5 d.lgs. n.33/2013, rivendicato dalla ricorrente, ha l’esclusiva finalità di “favorire forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull’utilizzo delle risorse pubbliche e di promuovere la partecipazione al dibattito pubblico”, non già di rendere pubblici colloqui privati – qual è quello svoltosi nella pausa pranza fra il Direttore generale e la dott.ssa Umana inavvertitamente fatti oggetto di registrazione – che esulano dall’esercizio di funzioni istituzionali.[/b][/color]
11. Inoltre l’accesso dell’accesso va bilanciato con il diritto alla protezione dei dati personali di cui è parola all’art.5 bis, comma 2 lett.c), d.lgs. n.33/2013.
11.1 In coerente continuità normativa, l’art.5, comma 5, d.lgv. cit., prescrive infatti che “fatti salvi i casi di pubblicazione obbligatoria, l’amministrazione cui è indirizzata la richiesta di accesso, se individua soggetti controinteressati, ai sensi dell’articolo 5-bis, comma 2,d.lgv. cit. è tenuta a dare comunicazione agli stessi, mediante invio di copia con raccomandata con avviso di ricevimento, o per via telematica per coloro che abbiano consentito tale forma di comunicazione” ai fini della eventuale opposizione.
[b]11.2 Nel caso in esame non è dato individuare a monte l’interesse pubblico costituente il presupposto ai sensi dell’art. 11 del d.lgs.196/2003 per il trattamento dei dati sensibili riguardanti manifestazioni di pensiero fra persone che (in quel particolare momento) non rivestono né esercitano funzioni pubbliche.[/b]
11.3 Come correttamente sottolineato dal TAR, [color=red][b]gli obblighi di tutela dei dati personali sono oggi ancor più pregnanti dopo l’entrata in vigore degli artt. 5, 6 e ss. Regolamento UE 2016/679[/b][/color], laddove ribadiscono l’inderogabilità – neppure in nome della trasparenza e del diritto di accesso – di essi per effetto di disposizioni normative interne di eventuale segno opposto.
12. Conclusivamente l’appello deve essere respinto.
13. La natura della controversia dedotta in giudizio giustifica la compensazione delle spese del presente grado di giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.
[size=18pt][b]Diritto di cronaca prevale sul diritto all'oblio - CEDU 28/6/2018[/b][/size]
[img width=300 height=114]https://hudoc.echr.coe.int/images/entete.png[/img]
[color=red][b]CEDU, sez. V, sent. del 28 giugno 2018, caso M.L. e W.W. c. Germania (ric. 60798 e 65599/10).[/b][/color]
https://hudoc.echr.coe.int/eng#{%22itemid%22:[%22001-184438%22]}
[i]Il testo ufficiale è in francese, la traduzione che segue è effettuata con Google traduttore[/i]
Questa sentenza diventerà definitiva alle condizioni definite nell'articolo 44 § 2 della Convenzione. Può subire ritocchi di forma.
Nel caso di ML e WW v. Germania
La Corte europea dei diritti dell'uomo (quinta sezione), seduta in una camera composta da:
Erik Møse, Presidente,
Angelika Nussberger,
Yonko Grozev,
Síofra O'Leary,
Martins Mits
Gabriele Kucsko-Stadlmayer,
Illuminati Hüseynov, giudici
e Milan Blaško, cancelliere aggiunto di sezione ,
Dopo aver deliberato nella camera di consiglio il 5 giugno 2018,
Prendi la seguente sentenza, adottata in questa data:
PROCEDURA
1. All'origine della causa sono due domande (nn . 60798/10 e 65599/10 ) contro la Repubblica federale di Germania, due dei quali sono cittadini di detto Stato, ML ("il primo richiedente") e WW ("il secondo ricorrente") ha portato la questione dinanzi alla Corte rispettivamente il 15 e il 29 ottobre 2010 ai sensi dell'articolo 34 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali ("la Convenzione").
2. I ricorrenti sono rappresentati da M e Geipel, un avvocato a Monaco di Baviera. Il governo tedesco ( "il Governo") è rappresentato da uno dei suoi agenti, M me K. Behr, Dipartimento federale di giustizia e la tutela dei consumatori.
3. I richiedenti presumevano una violazione dell'articolo 8 della Convenzione a causa della decisione della Corte federale di giustizia di non vietare la messa a disposizione su Internet, da vari media, vecchi rapporti - o la loro trascrizione - riguardo al processo penale contro di loro.
4. Le domande sono state comunicate al governo il 29 novembre 2012. Le osservazioni delle parti sono state ricevute nel corso del 2013.
5. I tre mezzi di comunicazione interessati dalle domande dei ricorrenti, Spiegel online , Deutschlandradio e Mannheimer Morgen , sono stati autorizzati ad intervenire nella procedura scritta sotto forma di un intervento congiunto (articolo 36 § 2 della Convenzione e regola 44 § 3 del Regolamento della Corte).
IN REALTA
I. LE CIRCOSTANZE DELLA SPECIE
6. La prima ricorrente e la seconda ricorrente sono nate rispettivamente nel 1953 e nel 1954 e vivono rispettivamente a Monaco e a Erding.
7. I candidati sono fratellastri. Il 21 maggio 1993, al termine di un processo penale basato su indizi, furono condannati all'ergastolo per l'omicidio del 1991 del popolare attore WS. Il loro ricorso a questioni di diritto era pubblicato nel 1994. il 1 ° marzo 2000 la Corte costituzionale federale ha deciso di non ammettere i loro ricorsi costituzionali (n ossa 2 BvR 2017/94 e 2039/94 ) contro le decisioni dei tribunali penali. La petizione presentata dai ricorrenti davanti alla Corte su questa procedura (n o 61180/00 ) è stato respinto il 7 novembre 2000 da una commissione di tre giudici in quanto i ricorrenti non avevano presentato le loro denunce costituzionali conformemente alle norme procedurali stabilite dalla legge sulla Corte costituzionale federale (decisione non pubblicata).
8. Le ricorrenti hanno depositato diverse domande di riesame ( Wiederaufnahme ) del procedimento, l'ultimo dei quali, introdotto nel 2004, è stato respinto nel 2005. Nel corso di quest'ultimo procedimento, i ricorrenti si sono rivolti alla stampa, fornendogli documenti relativi a con la procedura di revisione e altri documenti non specificati.
9. La prima ricorrente e la seconda ricorrente sono state rilasciate in libertà vigilata rispettivamente nell'agosto 2007 e nel gennaio 2008.
A. Il procedimento contestato
1. La prima procedura
a) Il rapporto contenzioso
10. Il 14 luglio 2000, la stazione radio Deutschlandradio - una persona giuridica di diritto pubblico - ha pubblicato un rapporto intitolato "WS assassinato dieci anni fa". Ha dichiarato, con i nomi completi dei candidati:
"Dopo un processo penale di sei mesi basato su indizi, il compagno di S., W. e il fratello di L., furono condannati all'ergastolo. Entrambi stanno ancora protestando contro la loro innocenza e sono stati respinti quest'anno dalla Corte costituzionale federale per la loro richiesta di riaprire il processo. "
11. La trascrizione di questa relazione rimane disponibile negli archivi del sito della stazione radio, nella sezione "Informazioni recenti meno" sotto Kalenderblatt , almeno fino al 2007.
(b) Decisioni del Tribunale regionale e della Corte d'appello
12. In una data non specificata nel 2007, i ricorrenti hanno citato in giudizio la stazione radio presso il tribunale regionale di Amburgo allo scopo di anonimizzare i dati personali in file ad essi relativi che erano comparsi sul sito web della Commissione. stazione.
13. Con due sentenze del 29 febbraio 2008, il tribunale regionale ha accolto le domande dei ricorrenti ai sensi degli articoli 823, § 1 e 1004 (per analogia) del codice civile (cfr. "Diritto nazionale", paragrafi 48-49 di seguito). ). Egli trovò, in particolare, che l'interesse dei ricorrenti a non essere più confrontati con il loro atto così a lungo dopo la loro condanna prevalse sull'interesse pubblico di essere informato del coinvolgimento delle ricorrenti in quell'atto.
14. Con due sentenze del 29 luglio 2008, la Corte d'appello di Amburgo ha confermato le sentenze. Conclude che la fornitura di questa vecchia informazione ha violato i diritti della personalità dei richiedenti. A tal riguardo, ha rilevato, tra l'altro, che nel 2007 i richiedenti, che stavano per essere rilasciati, potevano beneficiare di una protezione speciale in modo che non potessero più affrontare il loro atto criminale in vista del loro obiettivo di reinserimento. nella società. Affermò che non erano più obbligati ad accettare la messa a disposizione del pubblico di questi rapporti non appena erano stati processati e condannati per questo crimine, che erano stati quindi sanzionati dalla società e che il pubblico era stato sufficientemente informato sul caso.
15. La Court of Appeal ha affermato che il fatto che le informazioni su Internet siano state spesso rese disponibili agli utenti a lungo termine e che fosse visibilmente obsoleto non ha modificato tale conclusione. Ha osservato che, per la persona che richiede l'anonimato, il carattere recente o vecchio del rapporto in cui è stata divulgata la sua identità non ha fatto alcuna differenza. D'altra parte, secondo la Court of Appeal, ciò che è stato determinante per garantire il reinserimento dell'interessato nella società era la questione se l'informazione che menzionava il suo nome fosse ancora accessibile o meno, anche se le informazioni pubblicate sul suo Internet ha generalmente un grado di diffusione inferiore a quello trasmesso dalla televisione, dalla radio o dalla stampa. La Corte d'Appello ha anche preso atto del rischio che altre persone,
16. La Court of Appeal ha inoltre affermato che il fatto che i richiedenti si erano rivolti al pubblico durante l'ultima procedura di revisione nel 2005 - che avrebbe dato origine a relazioni su se stessi e su questo procedura - non ha modificato le sue conclusioni in quanto le persone interessate avevano agito in un contesto specifico che si era concluso con il completamento della procedura di revisione. Ha aggiunto che la stazione radio era anche responsabile dell'interferenza nel diritto dei richiedenti e che non poteva sostenere che le informazioni contestate fossero contenute solo negli archivi digitali. Secondo la Court of Appeal, le informazioni archiviate erano accessibili allo stesso modo di qualsiasi altra informazione disponibile sul sito web della stazione radio.
17. La corte d'appello ha accolto il ricorso per questioni di diritto.
(c) Le sentenze della Corte federale di giustizia
18. In due sentenze in linea di principio del 15 dicembre 2009, la Corte di Giustizia Federale ha permesso agli appelli su questioni di diritto portato dalla stazione radio (n ossa VI ZR 227/08 e 228/08 ), e ha rotto le decisioni del giudice appello e il tribunale regionale. In primo luogo ha osservato che la fornitura delle informazioni in questione costituiva un'interferenza con l'esercizio del diritto alla protezione della personalità ( Allgemeines Persönlichkeitsrecht) E il diritto al rispetto della vita privata dei candidati di cui agli articoli 1 § 1 e 2 § 1 della Legge fondamentale e l'articolo 8 dei diritti della Convenzione da pesare contro il diritto alla libertà espressione e la libertà di stampa come garantito dall'articolo 5 § 1 della legge fondamentale e l'articolo 10 della Convenzione (vedere "diritto interno", paragrafo 46). Ha precisato che, a causa della sua particolare natura, la portata del diritto alla tutela della personalità non è stato definito in anticipo, ma dovrebbe essere apprezzato mettendo il giusto equilibrio con i diversi interessi in gioco, e che, nel fare ciò, il giudice deve tenere conto delle circostanze particolari del caso e dei diritti e delle libertà tutelati dalla Convenzione.
19. Per la Corte di Giustizia Federale, il giudice d'appello non era sufficientemente preso in considerazione il diritto alla libertà di espressione e la stazione radio, che era all'interno della missione di questi ultimi, il interesse pubblico per essere informato. Facendo riferimento ai criteri stabiliti in materia dalla Corte costituzionale federale e la propria giurisprudenza, la Corte federale di giustizia, in particolare, ha ricordato che i rapporti che descrivono i fatti reali potrebbero influenzare il diritto della personalità quando il peso del male che ha causato era superiore l'interesse pubblico a conoscere la verità, come quando la diffusione era considerevole portata o quando il rapporto stigmatizzato la persona e che lui e l'effetto di isolamento sociale. Ha sottolineato che la segnalazione di reati penali, tuttavia, faceva parte della storia contemporanea, di cui i media sarebbero stati responsabili. A questo proposito, ha detto che più il caso è venuto fuori dal crimine ordinario, maggiore è l'interesse pubblico a essere informato. Ha aggiunto che, nel caso di notizie, l'interesse del pubblico a essere informato ha prevalso sul diritto della persona interessata a proteggere la propria personalità. Secondo la Corte Federale di Giustizia, chiunque abbia infranto la legge e ferito gli altri ha dovuto aspettarsi non solo sanzioni penali, ma anche segnalazioni su di loro nei media. i cui media sarebbero stati responsabili. A questo proposito, ha detto che più il caso è venuto fuori dal crimine ordinario, maggiore è l'interesse pubblico a essere informato. Ha aggiunto che, nel caso di notizie, l'interesse del pubblico a essere informato ha prevalso sul diritto della persona interessata a proteggere la propria personalità. Secondo la Corte Federale di Giustizia, chiunque abbia infranto la legge e ferito gli altri ha dovuto aspettarsi non solo sanzioni penali, ma anche segnalazioni su di loro nei media. i cui media sarebbero stati responsabili. A questo proposito, ha detto che più il caso è venuto fuori dal crimine ordinario, maggiore è l'interesse pubblico a essere informato. Ha aggiunto che, nel caso di notizie, l'interesse del pubblico a essere informato ha prevalso sul diritto della persona interessata a proteggere la propria personalità. Secondo la Corte Federale di Giustizia, chiunque abbia infranto la legge e ferito gli altri ha dovuto aspettarsi non solo sanzioni penali, ma anche segnalazioni su di loro nei media. nel caso di relazioni su eventi attuali, l'interesse pubblico ad essere informato ha prevalso sul diritto della persona interessata a proteggere la propria personalità. Secondo la Corte Federale di Giustizia, chiunque abbia infranto la legge e ferito gli altri ha dovuto aspettarsi non solo sanzioni penali, ma anche segnalazioni su di loro nei media. nel caso di relazioni su eventi attuali, l'interesse pubblico ad essere informato ha prevalso sul diritto della persona interessata a proteggere la propria personalità. Secondo la Corte Federale di Giustizia, chiunque abbia infranto la legge e ferito gli altri ha dovuto aspettarsi non solo sanzioni penali, ma anche segnalazioni su di loro nei media.
20. La Corte federale di giustizia ha poi affermato che, nel tempo, l'interesse della persona interessata a non essere più responsabile per la sua colpa ha acquisito più peso. Secondo la Corte Federale di Giustizia, una volta che l'autore di un crimine è stato condannato e il pubblico è stato sufficientemente informato, l'interferenza ripetuta con il diritto alla protezione personale non può più essere facilmente giustificata dalla legge. interesse della persona a reintegrarsi nella società. Riferendosi alla giurisprudenza della Corte costituzionale federale e la sentenza della Corte nel caso di Österreichischer Rundfunk v. Austria (n. Austria (n o 35841/02 , § 68, 7 dicembre 2006), la Corte federale di giustizia ha sottolineato che, anche se l'autore del reato aveva scontato la pena, non poteva avvalersi di un diritto assoluto di non essere più confrontato con colpa sua. Ha affermato che il giudice è stato chiamato a considerare la gravità della violazione del diritto della personalità e l'interesse del reo a risocializzare, e che a tale riguardo è stato necessario prendere in considerazione il il modo in cui l'interessato è stato ritratto nella relazione e, in particolare, il grado di diffusione della relazione.
21. Applicando questi principi al caso precedente, la Corte federale di giustizia ha ritenuto che il diritto dei ricorrenti alla protezione delle loro personalità dovesse lasciare il diritto alla libertà di espressione della stazione radio e agli interessi della pubblico per essere informato. Riconosceva che l'interesse dei richiedenti a non essere più riferito in relazione al loro crimine era elevato poiché era stato commesso molto tempo fa e che i richiedenti erano stati rilasciati dal carcere, il primo ricorrente nell'agosto 2007 e il secondo nel gennaio 2008. Tuttavia, secondo la Corte federale di giustizia, nelle circostanze del caso, il passaggio controverso nella relazione del 14 luglio 2000 non ha inciso in modo significativo sui diritti della personalità delle ricorrenti. ( erheblich), per il motivo che non era tale da mettere a dura prova i ricorrenti o trascinarli sotto i riflettori ( ins Licht der Öffentlichkeit zerren ) in un modo che li stigmatizzava. di nuovo come criminali.
22. La Corte federale di giustizia ha dapprima notato che il brano contestato rispecchiava sinceramente un omicidio - quello di un attore molto popolare - che aveva focalizzato l'attenzione del pubblico. Ha notato che il brano conteneva, con moderazione e obiettività, le circostanze del crimine, la condanna e il procedimento. Secondo la Corte di Giustizia Federale, il passaggio in questione non stigmatizzato candidati come gli autori o gli assassini, ma ha spiegato che i due fratelli sono stati condannati per omicidio dopo un processo penale di sei mesi che si era affidato interamente agli indizi e protestava sempre per la loro innocenza, che, agli occhi della Corte federale di giustizia, lasciava al lettore la possibilità di pensare di essere stati condannati ingiustamente.tutti i rimedi concepibili ).
23. La Corte federale di giustizia ha aggiunto che il modo in cui la trascrizione del rapporto era stata pubblicata sul portale Deutschlandradio aveva portato a una distribuzione limitata. Ai suoi occhi, a differenza della trasmissione servizio televisivo in prima serata, che era stato un giudizio principale della Corte costituzionale federale del 5 giugno 1973 (n o 1 BvR 536/72 - stop Lebach), la trascrizione contestata poteva essere trovata sul portale Internet solo dagli utenti di Internet che cercavano attivamente informazioni sull'argomento in questione: non sarebbe stata trovata sulle pagine Internet della stazione radio dedicata alle informazioni notizie probabilità di catturare l'attenzione di utenti, ma avrebbe dovuto essere cercato con le "informazioni vecchio" ( Altmeldungen ) ed è stato contrassegnato come tale, in modo chiaro e visibile.
24. La Corte federale di giustizia ha anche sottolineato che il pubblico aveva un interesse legittimo non solo a essere informato sugli eventi in corso, ma anche a ricercare eventi passati. Pertanto, secondo la Corte federale di giustizia, nell'esercizio della loro libertà di espressione, i media hanno adempiuto alla loro missione di informare il pubblico e partecipare alla formazione di un'opinione democratica anche quando hanno reso disponibili Internet vecchia informazione. Secondo il Tribunale federale, ciò era particolarmente vero nel caso della stazione radio - una persona giuridica di diritto pubblico - implicata, la missione di quest'ultimo, compresa la costituzione di archivi. La Corte federale di giustizia ha rilevato che un divieto generale di consultare o l'obbligo di cancellare qualsiasi segnalazione relativa a criminali nominati negli archivi di Internet cancellerebbe la storia e indurre in errore l'autore violazione dell'immunità totale in questo senso. Tuttavia, secondo il Tribunale federale, l'autore del reato non poteva avvalersi di tale diritto.
25. La Corte federale di giustizia ha infine constatato che un divieto come quello richiesto dalle ricorrenti avrebbe effetti deterrenti sulla libertà di espressione e sulla libertà di stampa: se fosse loro vietato mettere a disposizione Le trascrizioni degli utenti di Internet di vecchi programmi radiofonici la cui legalità non era stata messa in discussione, i media come Deutschlandradionon sarebbe più in grado di adempiere alla loro missione di informare il pubblico, anche se questa missione sarebbe stata loro affidata dalla legge costituzionale. Ha affermato che l'obbligo risultante per la radio, vale a dire la verifica periodica di tutti i suoi archivi, indebiterebbe indebitamente la sua libertà di espressione e la sua libertà di stampa. Considerando l'investimento in termini di tempo e personale che tale controllo richiederebbe, la Corte federale di giustizia ha rilevato che esisteva un rischio reale che Deutschlandradio avrebbe smesso di archiviare le sue relazioni o omettere di includere elementi - come il nome delle persone interessate - è probabile che queste relazioni illecite possano essere divulgate in un secondo momento, quando il pubblico ha un interesse degno di protezione per poterle accedere.
26. La Corte federale di giustizia ha aggiunto di aver raggiunto la stessa conclusione alla luce dei principi stabiliti dalla normativa sulla protezione dei dati. A tale proposito, ha osservato che la messa a disposizione delle informazioni in questione rientrava nel privilegio dei media sancito dall'articolo 5 § 1, seconda frase, della Legge fondamentale. Di conseguenza, la fornitura di informazioni sulla pagina Internet di una stazione radio non era subordinata all'ottenimento del consenso dell'interessato o ad un'autorizzazione esplicita per legge. La Corte federale di giustizia ha ricordato che, se fossero stati privati della possibilità di prendere, elaborare e utilizzare dati personali senza il consenso dell'interessato, né la stampa né le stazioni radio potrebbero rendere il loro lavoro giornalistico e quindi non sono stati in grado di assolvere i loro compiti, riconosciuti e garantiti dall'articolo 5 § 1 della Legge fondamentale, l'articolo 10 § 1 della Convenzione o dell'articolo 11 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, che sarebbe stato parte non solo on-line di una storia, ma anche la sostenibilità di provisioning che, nonostante il passare del tempo dal primo caricamento della trascrizione, cioè nove anni in questo caso. Ha aggiunto che la stazione radio aveva postato la trascrizione del rapporto esclusivamente a scopi giornalistici e che aveva quindi agito nella missione affidatale dalla legge costituzionale,
d) La decisione della Corte costituzionale federale
27. Il 6 luglio 2010, la Corte costituzionale federale ha deciso di non ammettere i reclami costituzionali presentati dalle ricorrenti, di non concedere loro il patrocinio legale e di non impegnarli in consulenze legali. Ha dichiarato che si è astenuta dal fornire le ragioni delle sue decisioni (nn . BvR 535/10 e 547/10 ).
2. La seconda procedura
(a) Gli articoli contestati
28. Sul portale Internet del settimanale Der Spiegel c'era un file intitolato "WS - A Hammer Murder". Questo file includeva cinque articoli apparsi tra il 1991 e il 1993 sia nella versione cartacea che online della rivista. L'accesso a questo file era soggetto al pagamento di una certa somma. Gli articoli contenuti in questo file hanno fornito un resoconto dettagliato dell'omicidio di WS, della vita del WS, delle indagini criminali e delle prove delle autorità di perseguimento penale, della detenzione del processo penale e, a tale riguardo, per quanto riguarda la questione della Spiegel n o49/1992 del 30 novembre 1992, alcuni dettagli delle vite dei ricorrenti, citando il nome completo delle ricorrenti. Così, è stato affermato che il secondo ricorrente proveniva da una famiglia disgregata ( zerrüttet ) di sei bambini di un villaggio bavarese di nome città, che era stato posto all'età di cinque anni in una casa, che aveva imparato cosa significa essere un omosessuale e, soprattutto, come vendersi al meglio. Allo stesso modo, l'articolo affermava che aveva lavorato come parrucchiere e tassista prima di essere assunto in una stazione di servizio il cui proprietario, la signora.W., una vedova ricca e senza figli che era anche un'amica della madre di WS, lo aveva adottato quando aveva 24 anni. Il primo ricorrente, secondo l'articolo, lavorava per una piccola tassa in un birrificio gestito dal fratellastro. L'articolo ha anche fornito alcuni dettagli, forniti dai testimoni durante la loro testimonianza, incluso il modo in cui il primo ricorrente è stato visto dal fratellastro.
29. Due articoli di questo numero (pubblicati nell'edizione n o 39/1992 del 21 settembre e n o 49/1992, del 30 novembre 1992) è stato accompagnato da fotografie che mostrano i due candidati in aula della Corte penale , poi il primo ricorrente con un ufficiale carcerario e infine il secondo ricorrente con WS
b) Le decisioni dei tribunali regionali e della corte d'appello
30. Nel 2007, in una data non specificata, i ricorrenti hanno depositato una domanda di gratuito patrocinio presso il tribunale regionale di Francoforte per portare in tribunale la rivista Der Spiegel . .
31. Il 4 giugno 2007 il tribunale regionale di Francoforte ha respinto il ricorso in quanto non avrebbe avuto successo.
32. I ricorrenti hanno quindi presentato una domanda analoga al tribunale regionale di Amburgo, che ha concesso il gratuito patrocinio.
33. Con due sentenze del 18 gennaio 2008, il Tribunale Regionale di Amburgo ha accolto la richiesta dei richiedenti e ha ordinato alla rivista di porre fine all'accesso del pubblico al contenzioso in quanto mostrava fotografie di richiedenti e indicato il loro nome.
34. Il 29 luglio 2008, la Corte d'appello di Amburgo ha confermato le sentenze del Tribunale regionale per gli stessi motivi di quelli esposti nelle sue sentenze dello stesso giorno (vedere paragrafi 14-16 sopra). Essa affermava che i ricorrenti avevano il diritto di assegnare la rivista al tribunale regionale dinanzi al quale la loro domanda avrebbe avuto più probabilità di successo.
(c) Le sentenze della Corte federale di giustizia
35. Il 9 febbraio 2010 la Corte federale di giustizia ha accolto i ricorsi in cassazione alla rivista Der Spiegel (n . VI 244/08 e 243/08 ) e ha respinto le domande dei ricorrenti.
i. Il ragionamento relativo agli articoli
36. Per quanto riguarda gli articoli di stampa contenuti nella causa in questione, la Corte federale di giustizia ha sostanzialmente adottato lo stesso ragionamento seguito nelle sue sentenze del 15 dicembre 2009 (cfr. Paragrafi 18-26 sopra). Riguardo al contenuto degli articoli in questione, ha affermato che, contrariamente a quanto sostenuto dai ricorrenti, non li hanno classificati come assassini in un modo altamente raccomandato, ma hanno indicato di essere stati accusati di omicidio e che erano stati condannati per quel conto; ha aggiunto che gli articoli in questione esponevano l'atteggiamento delle ricorrenti nei confronti dei fatti contestati e si riferivano a circostanze che non erano state chiarite, il che, secondo la Corte federale di giustizia, lasciò il lettore a pensare che i ricorrenti fossero stati condannati ingiustamente. Riguardo al grado di diffusione delle relazioni, ha sottolineato che la consultazione del fascicolo contenzioso è stata ripagata, il che ha ulteriormente limitato la sua accessibilità. Ha sottolineato che l'autore del reato non aveva diritto a un divieto generale di consultare un rapporto sui criminali per nome o l'obbligo di cancellare tali rapporti. Ha aggiunto che questo era particolarmente vero quando si trattava di un grave crimine capitale che aveva attirato l'attenzione pubblica speciale. Ha sottolineato che l'autore del reato non aveva diritto a un divieto generale di consultare un rapporto sui criminali per nome o l'obbligo di cancellare tali rapporti. Ha aggiunto che questo era particolarmente vero quando si trattava di un grave crimine capitale che aveva attirato l'attenzione pubblica speciale. Ha sottolineato che l'autore del reato non aveva diritto a un divieto generale di consultare un rapporto sui criminali per nome o l'obbligo di cancellare tali rapporti. Ha aggiunto che questo era particolarmente vero quando si trattava di un grave crimine capitale che aveva attirato l'attenzione pubblica speciale.
ii. Ragionando sulle foto
37. Per quanto riguarda le fotografie in questione, la Corte federale di giustizia ha ricordato di aver sviluppato un concetto di protezione scaglionata ( abgestuftes Schutzkonzept ) dagli articoli 22 e 23 del Copyright Act (cfr. Diritto nazionale ", paragrafo 50 infra), a cui aveva fornito chiarimenti a seguito della sentenza della Corte di Hannover c. Germania (n o 59320/00 , CEDU 2004-VI), in risposta alle riserve di principio che la Corte aveva espresso. Ha ricordato che, secondo questo concetto di protezione, la pubblicazione di immagini di una persona che, in ragione della sua importanza nella storia contemporanea, dovrebbe in teoria tollerare la distribuzione di foto che lo rappresentano (Articolo 23 § 1). o 1 del Copyright Act) è stato comunque illegale se gli interessi legittimi di quella persona sono stati colpiti (articolo 23 § 2 della stessa legge). Ha infine ricordato che non poteva esserci eccezione all'obbligo di ottenere l'accordo della persona solo quando si trattava di una relazione su un evento importante della storia contemporanea ( Von Hannover c . Germania (n o 2) [GC], n ossa 40660/08 e 60641/08 , §§ 29-35, CEDU 2012).
38. L'applicazione di questi criteri al caso di specie, il Tribunale federale ha osservato che le foto mostravano i ricorrenti nel dock in aula del tribunale regionale e il primo ricorrente in compagnia di un ufficiale di prigione e la seconda ricorrente con WS Ha considerato di essere venuti per illustrare gli articoli e per sottolineare l'autenticità delle relazioni e che, poiché erano stati presi nel contesto dell'evento su cui si è riferito, cioè il procedimenti penali, una circostanza che in genere ha reso la loro pubblicazione lecita - non hanno influenzato i richiedenti più di una fotografia che mostra il loro profilo e presa in un contesto neutrale. Ha osservato che le fotografie in questione non presentavano le ricorrenti in modo sfavorevole, essi non toccano la sfera intima e che la loro diffusione non mettere le ricorrenti gogna per l'eternità ", o non li presentano agli occhi del pubblico in un modo che stigmatizzava come criminali di nuovo. Ha aggiunto che le foto - che risalivano al 1992 e che all'epoca presentavano solo l'aspetto delle ricorrenti - accompagnavano articoli chiaramente indicati come vecchi rapporti di portata limitata. Conclude che, viste tutte le circostanze del caso, i richiedenti non avevano alcun interesse legittimo, ai sensi dell'articolo 23 § 2 del Copyright Act, a vietare la pubblicazione foto polemiche
d) La decisione della Corte costituzionale federale
39. Il 6 luglio 2010, la Corte costituzionale federale ha deciso di non ammettere i reclami costituzionali presentati dai ricorrenti, di non concedere loro il patrocinio legale e di non impegnarli in consulenze legali. Affermò che si asteneva dal fornire le ragioni delle sue decisioni (nn . 1 BvR 924/10 e 923/10 ).
3. La terza procedura
40. Nel 2007, in una data non specificata, i ricorrenti assegnarono il quotidiano Mannheimer Morgen al tribunale regionale di Amburgo. Sul portale Internet del quotidiano (www.morgenweb.de), nella sezione "Informazioni meno recenti", c'era fino al 2007 un'informazione risalente al 22 maggio 2001. Questa sezione poteva essere raggiunta solo da persone con un diritti di accesso speciali come abbonati giornalieri e acquirenti di determinati altri supporti stampati. Tutti gli utenti di Internet, tuttavia, hanno avuto accesso a un teaser che indicava l'argomento dei testi disponibili nella sezione. Il tormentone che faceva riferimento al 22 maggio 2001, le informazioni contenevano i nomi completi delle ricorrenti ed era formulato come segue:
"Il procedimento contro i due assassini condannati del famosissimo attore WS non verrà riaperto per il momento. Il tribunale regionale di Augsburg ha respinto una richiesta di revisione dei fratelli WW e ML. Appellerebbe questa decisione alla Corte d'appello di Monaco. "
41. Con due sentenze del 16 novembre 2007, il tribunale regionale accolse la richiesta dei richiedenti.
42. Il 19 agosto 2008, la Corte d'appello di Amburgo ha confermato queste sentenze per gli stessi motivi di quelli esposti nelle sue sentenze del 29 luglio 2008 (vedere paragrafi 14-16 sopra).
43. Il 20 aprile 2010 la Corte di Giustizia Federale ha accolto i ricorsi presentati dal quotidiano (n ossa VI ZR 245/08 e 246/08 ) e ha respinto le richieste dei ricorrenti per gli stessi motivi indicati nella sua sentenze del 9 febbraio 2010 (vedere paragrafi 35-36 sopra).
44. Il 23 giugno 2010, la Corte costituzionale federale ha deciso di non ammettere i reclami costituzionali presentati dalle ricorrenti, di non concedere loro il patrocinio legale e di non impegnarli in consulenze legali. Ha dichiarato di astenersi dal fornire le ragioni delle sue decisioni (nn . 1 BvR 1316/10 e 1315/10 ).
4. Altri procedimenti avviati dai ricorrenti
45. La Corte di Giustizia Federale ha confermato la sua giurisprudenza in quanto in altri ricorsi proposti dai ricorrenti (n ossa VI ZR 345/09 e 347/09 , 1 ° febbraio 2011, n ossa VI ZR 114/09 e 115 / 09 , 22 febbraio 2011, e n o VI ZR 217/08 , 8 maggio 2012 sul secondo richiedente). In una sentenza del 22 febbraio 2011 riguardante il secondo ricorrente riguardante un articolo sul quotidiano Frankfurter Allgemeine ZeitungIl 14 gennaio 2005, la Corte federale di giustizia ha osservato che, secondo le conclusioni del tribunale regionale, nell'agosto e nel novembre 2004 aveva contattato il quotidiano Süddeutsche Zeitung e lo aveva invitato a continuare a riferire da lui Il giornale aveva risposto alla richiesta pubblicando un articolo (incluso testo e foto) sul secondo richiedente. La Corte federale di giustizia ha concluso che, alla luce di tali circostanze, l'interesse pubblico a essere pienamente informato ( umfendendil reato non si era indebolito o, almeno, era stato ripreso nell'estate del 2004, il che sarebbe stato dimostrato anche dalle numerose relazioni sulla persona interessata disponibili fino al giugno 2006 sul pagina web dell'avvocato criminale del secondo richiedente. Pertanto, secondo la Corte di Giustizia Federale, il ricorrente era a quel tempo un focus pubblico e non era stata ingiustamente trascinato verso la parte anteriore del palco con la pubblicazione di questo articolo (n o VI ZR 346/09 ).
II. DIRITTO NAZIONALE ATTINENTE E PRATICA
A. Legge nazionale
1. La Loi fondamentale
46. Le disposizioni pertinenti della Legge fondamentale recitano come segue:
Articolo 1 § 1
"La dignità dell'essere umano è intangibile. Tutte le autorità pubbliche hanno l'obbligo di rispettarlo e proteggerlo. "
Articolo 2 § 1
"Ogni individuo ha diritto al libero sviluppo della sua personalità, a condizione che non violi i diritti degli altri o violi l'ordine costituzionale o la legge morale ( Sittengesetz ). "
Articolo 5 §§ 1 e 2
"1. Ogni individuo ha il diritto di esprimere e diffondere liberamente la propria opinione con parole, scritte e immagini e di informarsi senza ostacoli per le fonti accessibili a tutti. La libertà di stampa e la libertà di informare tramite radio, televisione e cinema sono garantite. Non c'è censura.
2. Questi diritti sono limitati dalle disposizioni delle leggi generali, dalle disposizioni legali sulla protezione dei giovani e dal diritto al rispetto per l'onore personale ( Recht der persönlichen Ehre ). "
47. La Corte federale di giustizia, in una sentenza del 25 maggio 1954 (n o I ZR 311/53 ), ha riconosciuto un diritto generale alla tutela della privacy ai sensi dell'articolo 1 § 1 e 2 § 1 della legge fondamentale.
2. Le code civil
48. L'articolo 823 § 1 del codice civile ( Bürgerliches Gesetzbuch ) stabilisce che chiunque intenzionalmente o negligentemente violi i diritti alla vita, all'integrità fisica, alla salute, alla libertà, la proprietà o altri diritti simili degli altri è tenuta a riparare il danno che ne deriva.
49. Ai sensi dell'articolo 1004 § 1 del codice civile, se la proprietà viene violata in modo diverso dall'usurpazione o dal possesso illegale, il proprietario può richiedere al contraffattore di recedere dalla proprietà. . Se c'è motivo di temere un'ulteriore violazione, il proprietario può agire per ottenere divieti.
3. La legge sul copyright in campo artistico
50. L'articolo 22 § 1 del Copyright Act nelle arti ( Gesetz das betreffend Urheberrecht un Werken der bildende Künste und der Photographie - Kunsturhebergesetz ) dichiara che le immagini di una persona non possono essere svincolate che con l'espressa autorizzazione della persona interessata. Articolo 23 § 1, n o 1, la legge prevede eccezioni quando le immagini in questione caduta di storia contemporanea ( Bildnisse aus dem Bereich der Zeitgeschichte ), a condizione che la pubblicazione non viola un interesse legittimo dell'interessato (articolo 23, paragrafo 2).
51. In una sentenza del 30 novembre 2012 riguardante un caso simile alla presente denuncia, la Corte federale di giustizia ha confermato la propria giurisprudenza in materia, aggiungendo che le possibilità tecniche di Internet non giustificavano la limitazione dell'accesso alle segnalazione originale su eventi specifici della storia contemporanea per le persone con accesso o che cercano l'accesso agli archivi tradizionali (n o VI ZR 330/11 ). Il ricorso costituzionale che la persona che viene archiviata articoli proposti contro tale sentenza è pendente dinanzi alla Corte costituzionale federale (n o 1 BvR 16/13 ).
B. Testi adottati nel Consiglio d'Europa
1. Convenzione per la protezione delle persone rispetto al trattamento automatizzato di dati personali
52. I passaggi rilevanti per la presente causa della Convenzione per la protezione delle persone con riguardo al trattamento automatizzato di dati personali del 28 gennaio 1981 recitano come segue:
Articolo 1 st
"La presente convenzione ha lo scopo di garantire, nel territorio di ciascuna parte, a qualsiasi persona fisica, indipendentemente dalla nazionalità o residenza, il rispetto dei suoi diritti e delle sue libertà fondamentali, compreso il suo diritto a privacy, in relazione al trattamento automatizzato dei dati personali che lo riguardano ("protezione dei dati"). "
Articolo 3 - Champ d'application
"1. Le Parti si impegnano ad applicare la presente Convenzione a file di dati automatizzati e al trattamento di dati personali nei settori pubblico e privato.
(...) »
Articolo 5 - Qualità dei dati
"I dati personali oggetto di elaborazione automatizzata sono:
(a) ottenuto e trattato in modo equo e lecito;
(b) registrati per scopi determinati e legittimi e non utilizzati in modo incompatibile con tali scopi;
(c) adeguati, pertinenti e non eccedenti rispetto alle finalità per le quali sono registrati;
d) accurato e se necessario aggiornato;
e) tenuti in una forma che consenta l'identificazione delle persone interessate per un periodo non superiore a quello necessario agli scopi per i quali sono registrati. "
Articolo 6 - Categorie speciali di dati
"I dati personali che rivelano l'origine razziale, le opinioni politiche, le credenze religiose o altre credenze, così come i dati personali relativi alla salute o alla vita sessuale, non possono essere trattati automaticamente a meno che la legge non fornisce garanzie adeguate. Lo stesso vale per i dati personali relativi alle condanne penali. "
Articolo 9 - Eccezioni e restrizioni
« (...)
2. È possibile derogare alle disposizioni degli articoli 5, 6 e 8 della presente convenzione quando tale deroga, prevista dalla legge della parte, costituisce una misura necessaria in una società democratica:
(...)
(b) la tutela dell'interessato e i diritti e le libertà altrui. "
53. Il 18 maggio 2018, nella 128a sessione a Helsingør, il Comitato dei Ministri ha adottato una nuova versione di questa Convenzione. I passaggi rilevanti nella nuova sezione 9 sono i seguenti:
«1. Non è consentita alcuna eccezione alle disposizioni del presente capo, salvo alla luce delle disposizioni degli articoli 5.4, 7.2, 7bis, paragrafo 1 e articolo 8, qualora tale eccezione sia prevista dalla legge, che rispetta l'essenza dei diritti e delle libertà fondamentali ed è una misura necessaria e proporzionata in una società democratica.
a. la protezione della sicurezza nazionale (...) e altri obiettivi essenziali di interesse pubblico generale;
b. la protezione della persona interessata o i diritti e le libertà fondamentali di altri, compresa la libertà di espressione (...) "
2. Raccomandazione o R (2000) 13 del Comitato dei Ministri
54. I passaggi pertinenti nel caso di raccomandazione o R (2000) 13 del Comitato dei Ministri agli Stati membri su una politica europea in materia di accesso agli archivi, adottato il 13 luglio 2000 presso il 717 ° incontro Deputati dei ministri, leggi come segue:
« (...)
Considerando che gli archivi sono una parte essenziale e insostituibile del patrimonio culturale;
Considerando che preservano la longevità della memoria dell'umanità;
(...)
Data la complessità dei problemi legati alla comunicazione degli archivi, sia a livello nazionale che internazionale a causa della varietà delle situazioni costituzionali e legali, i vincoli contraddittori di trasparenza e segretezza, protezione della privacy e accesso alle conoscenze storiche, problemi percepiti in ogni paese in modo diverso dal pubblico;
Raccomanda che i governi degli Stati membri adottino le misure e le azioni necessarie per:
i. adottare una legislazione sulla comunicazione degli archivi basata sui principi esposti nella raccomandazione in appresso, o allineare la loro legislazione esistente con gli stessi principi;
(...)
Allegato alla Raccomandazione o R (2000) 13
(...)
III. Metodi di comunicazione degli archivi pubblici
5. L'accesso agli archivi pubblici è un diritto. (...)
7. La legislazione deve fornire:
a. l'apertura senza particolari restrizioni degli archivi pubblici;
b. un periodo generale di protezione.
7.1. Le eccezioni a questa regola generale, necessarie in una società democratica, possono, se del caso, essere fornite per la tutela di:
(...)
b. individui contro la divulgazione di dati relativi al loro privato.
10. Se, al fine di tutelare gli interessi di cui all'articolo 7.1, gli archivi richiesti non sono liberamente comunicati, l'autorizzazione eccezionale può essere data per una comunicazione estratta o parzialmente oscurata. L'utente sarà informato.
IV. Comunicazione di archivi privati
12. È necessario cercare di allineare, mutatis mutandis , ove possibile, le condizioni di comunicazione degli archivi privati con quelli degli archivi pubblici. "
3. Raccomandazione Rec (2003) 13 del Comitato dei Ministri
55. I passi rilevanti in questo caso della Raccomandazione Rec (2003) 13 del Comitato dei Ministri agli Stati membri sulla diffusione di informazioni attraverso i media in relazione a procedimenti penali, adottati il 10 luglio 2003, al 848 l' incontro dei delegati dei ministri, leggi come segue:
« (...)
Ricordando che i media hanno il diritto di informare il pubblico in merito al diritto del pubblico di ricevere informazioni, comprese le informazioni su questioni di interesse pubblico, ai sensi dell'articolo 10 della Convenzione, e hanno il dovere professionale di farlo;
(...)
Sottolineando l'importanza della comunicazione dei media sui procedimenti penali al fine di informare il pubblico, rendere visibile la funzione deterrente del diritto penale e consentire al pubblico di esercitare il controllo sul funzionamento del sistema giudiziario penale;
Considerando gli interessi potenzialmente contrastanti tutelati dagli articoli 6, 8 e 10 della Convenzione e la necessità di garantire un equilibrio tra questi diritti alla luce delle circostanze di ogni singolo caso, tenendo debitamente conto del ruolo di supervisione della Corte europea dei diritti dell'uomo; Diritti umani per garantire il rispetto degli impegni assunti nell'ambito della convenzione;
(...)
Raccomanda, pur riconoscendo la diversità dei sistemi giuridici nazionali in materia di procedimenti penali, ai governi degli Stati membri:
1. adottare o rafforzare, se del caso, le misure che ritengono necessarie per l'attuazione dei principi allegati alla presente raccomandazione, entro i limiti delle loro rispettive norme costituzionali,
(...)
Appendice alla Raccomandazione Rec (2003) 13
Principi relativi alla diffusione di informazioni da parte dei media in relazione a procedimenti penali
Principio 1 - Informazione pubblica da parte dei media
Il pubblico deve essere in grado di ricevere informazioni sulle attività delle autorità giudiziarie e dei servizi di polizia attraverso i media. I giornalisti devono quindi essere liberi di riferire e commentare il funzionamento del sistema di giustizia penale, fatte salve le limitazioni previste dai seguenti principi.
(...)
Principio 8 - Tutela della privacy nel contesto di un procedimento penale in corso
La fornitura di informazioni su indagati, imputati o condannati, nonché su altre parti di procedimenti penali, dovrebbe rispettare il loro diritto alla privacy in conformità con l'articolo 8 della Convenzione. Una protezione speciale dovrebbe essere offerta a coloro che sono minorenni o altre persone vulnerabili, a vittime, testimoni e famiglie di persone sospettate, accusate o condannate. In tutti i casi, dovrebbe essere prestata particolare attenzione all'effetto dannoso che la divulgazione di informazioni che consentono la loro identificazione possa avere nei confronti delle persone cui si fa riferimento in questo Principio. "
4. Raccomandazione Rec (2012) 3 del Comitato dei Ministri
56. Raccomandazione al comitato degli Stati membri dei Ministri in materia di protezione dei diritti umani nel contesto dei motori di ricerca, del 4 aprile 2012, alle 1139 el'incontro dei delegati dei ministri sottolinea l'importanza dei motori di ricerca che contribuiscono a facilitare l'accesso ai contenuti di Internet e rendono il web mondiale utile per il pubblico. Ritiene essenziale che i motori di ricerca siano liberi di esplorare e indicizzare le informazioni che sono apertamente accessibili su Internet e destinate a essere massicciamente diffuse. Rileva che l'azione del motore di ricerca può, tuttavia, influenzare la libertà di espressione e il diritto di cercare, ricevere e divulgare informazioni e ha anche un impatto sul diritto alla privacy e alla riservatezza. la protezione dei dati personali dovuta alla natura invasiva dei motori di ricerca o alla loro capacità di penetrare e indicizzare il contenuto che, sebbene di dominio pubblico,
C. La legge dell'Unione europea
1. Direttiva 95/46 / CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 24 ottobre 1995
57. La direttiva 95/46 / CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 24 ottobre 1995, relativa alla tutela delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali nonché alla libera circolazione di tali dati era volta a proteggere i diritti e le libertà fondamentali delle persone fisiche (compreso il loro diritto alla privacy) nel trattamento dei dati personali, eliminando nel contempo gli ostacoli alla libera circolazione di tali dati. Nell'articolo 9 della direttiva, gli Stati membri hanno previsto esenzioni e deroghe per il trattamento di dati personali al solo scopo di giornalismo o espressione artistica o letteraria.
2. Regolamento 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 27 aprile 2016
58. Articoli 17 e 85 del regolamento 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 27 aprile 2016 (applicabile dal 25 maggio 2018) sulla tutela delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali e La libera circolazione di questi dati, che ha abrogato la direttiva 95/46 / CE (regolamento generale sulla protezione dei dati), è la seguente:
Articolo 17 - Diritto alla cancellazione ("diritto all'oblio")
1. L'interessato ha il diritto di ottenere dal responsabile del trattamento la cancellazione, il più presto possibile, dei propri dati personali e il responsabile del trattamento è tenuto a cancellare tali dati personali quanto prima, quando si applica una delle seguenti ragioni:
(a) i dati personali non sono più necessari per gli scopi per i quali sono stati raccolti o altrimenti trattati;
(...)
2. Quando rendono pubblici i dati personali e devono essere soppressi ai sensi del paragrafo 1, il responsabile del trattamento, tenendo conto delle tecnologie disponibili e dei costi di attuazione, adotta misure ragionevoli comprese le informazioni tecniche, per informare i responsabili del trattamento che trattano tali dati personali che l'interessato ha chiesto la cancellazione da parte di coloro che sono responsabili del trattamento di qualsiasi collegamento a tali dati personali, o di qualsiasi loro copia, o riproduzione di questi.
3. I paragrafi 1 e 2 non si applicano nella misura in cui tale trattamento è necessario:
a) l'esercizio del diritto alla libertà di espressione e di informazione;
(...)
d) a fini di archiviazione nell'interesse pubblico, a fini di ricerca scientifica o storica oa fini statistici a norma dell'articolo 89, paragrafo 1, nella misura in cui il diritto di cui al paragrafo 1 rischia di rendere impossibile o seriamente compromettere il raggiungimento degli obiettivi di detto trattamento (...) "
Articolo 85 - Trattamento e libertà di espressione e informazione
1. Gli Stati membri conciliano, per legge, il diritto alla protezione dei dati personali ai sensi del presente regolamento e il diritto alla libertà di espressione e di informazione, compreso il trattamento a fini giornalistici e ai fini dell'espressione accademica, artistica o letteraria.
2. In caso di trattamento effettuato a fini giornalistici o ai fini dell'espressione accademica, artistica o letteraria, gli Stati membri prevedono deroghe o deroghe (...) se sono necessarie per conciliare il diritto di protezione dei dati personali e libertà di espressione e informazione. (...) »
3. La sentenza della Corte di giustizia dell'Unione europea del 13 maggio 2014 ( Google Spagna e Google )
59. Nella sentenza del 13 maggio 2014 (causa C-131/12, EU: C: 2014: 317, Google Spain SL e Google Inc. - di seguito " Google Spain "), la Corte di giustizia dell'Unione europea La Commissione europea (CGUE) è stata chiamata a definire la portata dei diritti e degli obblighi derivanti dalla direttiva 95/46 / CE. All'origine della sentenza è stata introdotta da un cittadino spagnolo una denuncia all'Agenzia spagnola per la protezione dei dati contro un quotidiano spagnolo e contro Google . Il cittadino lamentava che quando un utente inseriva il suo nome nel motore di ricerca di Google, la lista dei risultati mostrava collegamenti a due pagine del giornale che menzionavano il suo nome in relazione a un'asta a seguito di una voce. La persona interessata aveva chiesto al quotidiano di cancellare o modificare le pagine in questione per rimuovere i suoi dati personali, o di utilizzare alcuni strumenti forniti dai motori di ricerca per proteggere questi dati. Ha anche chiesto a Google di rimuovere o nascondere i suoi dati personali in modo che scompaiano dai risultati di ricerca e dai collegamenti giornalieri. Mentre l'agenzia spagnola aveva respinto la richiesta contro il quotidiano, aveva ospitato quella rivolta contro Google, che coglie la giustizia spagnola di un ricorso. È stato nell'ambito di questa disputa giudiziaria che il CJE è stato rinviato alla causa per una pronuncia pregiudiziale.
60. La CGUE ha ritenuto che le operazioni svolte dal gestore dei motori di ricerca dovessero essere qualificate come "trattamento dei dati" di cui era "responsabile" (articoli 2 ter e d), indipendentemente dal fatto che questi dati erano già stati pubblicati su Internet e non erano stati modificati dal motore di ricerca. Indicava che, poiché l'attività di un motore di ricerca era diversa e in aggiunta al trattamento effettuato dagli editori di siti Web, ciò influiva anche sui diritti fondamentali dell'interessato. , l'operatore di questo motore doveva garantire che le garanzie previste dalla direttiva potessero sviluppare pienamente il loro effetto. Inoltre, data la facilità con cui le informazioni pubblicate su un sito web potrebbero essere replicate su altri siti, non sarebbe possibile raggiungere efficacemente e in modo completo la protezione degli interessati, compreso il loro diritto alla privacy, se questi In primo luogo, o in parallelo, le persone dovevano cancellare le informazioni su di loro dagli editori di siti web. La CGUE ha concluso che l'operatore di un motore di ricerca era obbligato a rimuovere dall'elenco dei risultati, visualizzato come risultato di una ricerca effettuata dal nome di una persona, collegamenti a pagine Web pubblicate da terze parti e contenenti informazioni relative a tale persona, anche nel caso in cui questo nome o informazione non fosse stato cancellato in precedenza o simultaneamente da tali pagine Web, e
61. La CGUE ha aggiunto che persino un trattamento inizialmente legale di dati accurati potrebbe, nel tempo, divenire incompatibile con la direttiva quando tali dati non sarebbero più necessari in considerazione degli scopi per i quali sono stati raccolti o trattati. Ha affermato che questo era il caso, in particolare, in cui apparivano inadeguati, che non erano o erano più rilevanti o eccessivi in relazione a tali scopi e al tempo trascorso. La CGUE ha concluso che, ai sensi degli articoli 7 e 8 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, l'interessato aveva il diritto di far sì che le informazioni in questione relative a lui non fossero più collegate al suo nome da un elenco di risultati e se potesse quindi richiedere che le informazioni non siano più rese disponibili al pubblico in generale a causa della sua inclusione in un tale elenco di risultati, questi diritti hanno prevalso, in linea di principio, non solo sull'interesse economico del gestore dei motori di ricerca, ma anche sull'interesse del pubblico ad accedere a tali informazioni quando una ricerca per il nome di quella persona. Secondo la CGUE, tuttavia, non è stato così, se è apparso, per motivi particolari, come il ruolo svolto dalla persona interessata nella vita pubblica, che l'interferenza nei suoi diritti fondamentali era giustificata dall'interesse pubblico preponderante da avere,
62. Riguardo al diverso trattamento dell'editore di una pagina Web e dell'operatore di un motore di ricerca, la CGUE ha osservato quanto segue:
"85. Inoltre, il trattamento da parte dell'editore della pagina web, consistente nella pubblicazione di informazioni relative a una persona fisica, può, se del caso, essere effettuato" al solo scopo di giornalismo "e quindi beneficiare, ai sensi dell'articolo 9 della direttiva 95/46 , deroghe ai requisiti stabiliti da tale direttiva , mentre ciò non sembra essere il caso per il trattamento effettuato dal gestore di un motore di ricerca . Non si può quindi escludere che l'interessato possa in determinate circostanze poter esercitare i diritti di cui all'articolo 12, lettera b) e all'articolo 14, paragrafo 1, lettera a), della direttiva 95/46 / CE nei confronti di detto operatore, ma non contro l'editore di detta pagina web.
86 . Infine, è importante notare che non solo il motivo giustifica, ai sensi dell'articolo 7 della direttiva 95/46, la pubblicazione di un dato personale su un sito web non coincide necessariamente con quella che si applica all'attività dei motori di ricerca, ma che, anche dove questo sia il caso, il risultato del bilanciamento gli interessi da pagare ai sensi degli articoli 7, lettera f) e 14, paragrafo 1, lettera a), di detta direttiva possono differire a seconda che il ricerca o quella svolta dall'editore di questa pagina web, dal momento che, da un lato, gli interessi legittimi che giustificano questi trattamenti possono essere diversi e, dall'altro, le conseguenze di tali trattamenti per l'interessato. e soprattutto per la sua vita privata, non sono necessariamente uguali.
87. Infatti, nella misura in cui l'inclusione nell'elenco dei risultati, visualizzato a seguito di una ricerca effettuata dal nome di una persona, una pagina web e le informazioni ivi contenute relative a questa persona facilita significativamente l'accessibilità di queste informazioni a qualsiasi utente che svolga ricerche sulla persona interessata e possa svolgere un ruolo decisivo per la diffusione di tali informazioni, è probabile che costituisca una maggiore interferenza nel diritto fondamentale al rispetto della vita informazioni private dell'interessato rispetto alla pubblicazione da parte dell'editore di questa pagina web. "
4. Gli orientamenti del gruppo dell'articolo 29
63. Il 26 novembre 2014 le autorità europee di protezione dei dati riunite nell'ambito del gruppo di lavoro articolo 29 hanno adottato linee guida per garantire un'applicazione armonizzata della sentenza della CGUE del 13 maggio 2014. La seconda parte Le linee guida riguardano criteri comuni che le autorità per la protezione dei dati sono invitate ad applicare per trattare i reclami ricevuti in seguito a dinieghi di dereferenziazione da parte dei motori di ricerca. Il tredicesimo di questi criteri si legge come segue:
«13. I dati riguardano un reato?
Gli Stati membri dell'UE possono avere approcci diversi in merito alla disponibilità pubblica di informazioni sui trasgressori e sui loro reati. Possono esistere disposizioni giuridiche specifiche che hanno un impatto sulla disponibilità di tali informazioni nel tempo. Le autorità per la protezione dei dati gestiranno tali casi in conformità con i principi e gli approcci nazionali pertinenti. Di norma, le autorità per la protezione dei dati hanno maggiori probabilità di considerare la de-quotazione dei risultati di ricerca relativi a reati relativamente minori verificatisi molto tempo fa, pur essendo meno probabile che considerino la de-quotazione dei risultati relativi a quelli più gravi verificatisi di recente . Tuttavia, questi problemi richiedono un'attenta valutazione e saranno gestiti caso per caso. »
IN LEGGE
I. SULLE CONVENZIONI DELLE RICHIESTE
64. In considerazione della somiglianza delle presenti denunce riguardo ai fatti e alle questioni sostanziali che sollevano, la Corte considera appropriato unirsi a loro, secondo l'Articolo 42 § 1 dell'Ordinamento della Corte.
II. SULLA DEDOTTA VIOLAZIONE DELL'ARTICOLO 8 DELLA CONVENZIONE
65. I ricorrenti si sono lamentati del rifiuto della Corte federale di giustizia di vietare ai mezzi di comunicazione assegnati di conservare, sul loro portale Internet, a disposizione degli utenti di Internet, la trascrizione della trasmissione della stazione radio Deutschlandfunk trasmessa su I fatti e i rapporti pubblicati nelle vecchie edizioni di Spiegel o Mannheimer Morgen riguardano rispettivamente il processo penale dei ricorrenti e la loro condanna per omicidio alla fine di questo processo penale. Affermano una violazione del loro diritto al rispetto della vita privata come previsto dall'articolo 8 della Convenzione, la cui parte rilevante recita come segue:
"1. Ogni individuo ha diritto al rispetto della sua vita privata e familiare (...)
2. Nell'esercizio di questo diritto vi sarà l'interferenza di un'autorità pubblica nella misura in cui tale interferenza è prevista dalla legge e costituisce una misura che, in una società democratica, è necessaria (.. .) la tutela dei diritti e delle libertà altrui. "
66. Il governo sta combattendo questa tesi.
A. Ammissibilità
67. Constatando che le domande non sono manifestamente infondate ai sensi dell'articolo 35 § 3 (a) della Convenzione e che non si trovano ad affrontare nessun altro motivo di irricevibilità, la Corte le dichiara ricevibili.
B. Nel merito
1. Le osservazioni delle parti
a) I candidati
68. I ricorrenti si lamentarono di essere stati di nuovo confrontati con il loro crimine quando, a seguito della loro condanna risalente a più di 15 anni, avevano scontato la pena e preparato il loro reinserimento nella società. Ritengono che il fatto che gli utenti di Internet abbiano accesso ai loro archivi ha l'effetto di stigmatizzarli nuovamente. A questo proposito, ritengono che, finché un articolo sulla condanna di una persona, pronunciata anni fa, è disponibile su un portale Internet, verrà letto allo stesso modo da un vicino o da un datore di lavoro, è stato scritto di recente o al momento della condanna. In entrambi i casi, la persona interessata sarebbe contrassegnata con il sigillo dell'assassino.
69. Inoltre, i ricorrenti criticano la Corte di giustizia federale per non aver riconosciuto i pericoli specifici dell'era di Internet, come il loro riferimento alla sentenza Lebach del 1973 della Corte costituzionale federale. Esse denunciano il rapporto implicato nell'affare Lebachaveva indubbiamente raggiunto un importante grado di diffusione in quanto sarebbe stato presentato su uno dei tre canali pubblici esistenti in quel momento. Tuttavia, secondo le ricorrenti, un programma televisivo viene dimenticato dopo un certo periodo di tempo, mentre i motori di ricerca su Internet sarebbero in qualsiasi momento in grado di ottenere informazioni, gratuitamente, rapidamente e ovunque da qualsiasi parte del mondo. evento preciso. La diffusione su Internet sarebbe quindi considerata una violazione duratura del diritto al rispetto della vita privata.
70. I ricorrenti temono che non saranno mai in grado di cancellare il sigillo dell'assassino che sono stati contrassegnati e di vedere i nuovi legami sociali peggiorati dalle informazioni - relative al passato ma sempre accessibili - sulla loro condanna. Sottolineano che non si può, come avrebbe fatto la Corte federale di giustizia e il governo, sventolare lo straccio rosso della cancellazione della storia quando si tratta di nulla di più, secondo il richiedenti, per chiedere di anonimizzare le persone menzionate in un rapporto su un determinato evento. Aggiungono a questo proposito che non intendono specificamente far parte della storia contemporanea.
71. Inoltre, le ricorrenti confutano l'argomento della Corte federale di giustizia e del governo secondo cui l'obbligo di controllare regolarmente tutti i suoi archivi restringerebbe indebitamente la libertà di espressione della stampa. Ritengono che la loro richiesta non sia intesa a costringere i media a controllare sistematicamente tutti i loro archivi a intervalli regolari, ma a farlo solo in caso di richiesta esplicita di anonimato formulata dalla persona presa di mira da un rapporto. Essi sostengono che un tale obbligo di verifica esiste anche in altri settori e che i costi della domanda in questione potrebbero essere sostenuti dal ricorrente al fine di ridurre qualsiasi potenziale effetto dissuasivo sulla stampa. Inoltre, secondo le ricorrenti,
72. Inoltre, le ricorrenti ritengono che l'interesse dei media a trasmettere le relazioni in questione sia basso. Si chiedono se, vent'anni dopo la loro condanna, c'era ancora un particolare interesse pubblico a essere informati sull'evento in questione. Credono che questo interesse sarebbe soddisfatto allo stesso modo se fossero resi anonimi nelle relazioni, il che richiederebbe, nelle loro parole, solo un intervento tecnico minimo.
73. In risposta alle osservazioni del governo, i denuncianti sostengono che i motori di ricerca non fanno regolarmente copie del contenuto di Internet, il che manterrebbe illimitate tutte le informazioni, ma prevede solo meccanismi di caching che salva e mantieni certi contenuti per una certa durata. Infine, sottolineano che anche se l'anonimizzazione al 100% non è possibile, non si tratta di rinunciare a tutti i tipi di anonimizzazione. Ritengono che, al contrario, i media ora disponibili negli archivi di Internet dovrebbero essere obbligati a fare tutto ciò che è in loro potere per limitare la diffusione delle informazioni di cui è stata richiesta l'anonimizzazione.
74. I ricorrenti sostengono inoltre che l'esaurimento di tutti i rimedi disponibili dal diritto tedesco al fine di ottenere la riapertura dei loro procedimenti penali non li priva del diritto al rispetto della loro vita privata.
(b) Il governo
75. Il governo sottolinea l'importanza del ruolo degli archivi digitali per la memoria collettiva in quanto contribuirebbe a documentare la storia contemporanea preservando il loro materiale stampato e le informazioni pubblicate solo nelle versioni digitali. Ritiene che imporre un obbligo permanente ai media di controllare i propri archivi digitali per rendere anonimi i report sarebbe un'eccessiva interferenza. Essa afferma che, contrariamente a quanto sostenuto dalle ricorrenti, un tale obbligo imporrebbe ai mezzi di comunicazione di compiere sforzi considerevoli in termini sia di personale che di risorse tecniche, tanto più che la quantità di archivi digitali sarebbe in costante aumento.
76. A questo proposito, il governo afferma che l'introduzione di una cancellazione automatica o l'anonimizzazione delle segnalazioni dopo un certo periodo di tempo non risolverebbe il problema sollevato dalle presenti denunce. In effetti, egli ritiene che la risposta alla domanda se, in nome del diritto alla protezione della personalità, debba essere resa anonima una determinata relazione dipenda da un numero di circostanze specifiche specifiche per ciascuna relazione e l'intensità dell'interferenza nei diritti in gioco in gioco. Ha aggiunto che un tale esame può essere fatto solo da persone qualificate e competenti per effettuare il necessario equilibrio.
77. Il Governo sostiene inoltre che accettare tali richieste non solo comporterebbe una riscrittura della storia, come rilevato anche dall'avvocato generale nelle sue conclusioni nel caso Google Spain , ma includerebbe anche il rischio che, in vista del necessario investimento tecnico e umano, i media possano essere portati a limitare l'uso degli archivi digitali o addirittura ad abbandonarli, e la pubblicazione di rapporti individualizzati sul diritto alla protezione della personalità persone designate.
78. Il governo desidera inoltre richiamare l'attenzione sul fatto che gli Stati si trovano di fronte a rapidi sviluppi tecnici in tutti i settori di Internet e che, in assenza di una norma europea comune, godono di ampia discrezionalità per regolare le questioni legali sollevate. Un diritto all'oblio non sarebbe garantito in quanto tale. La direttiva 95/46 / CE e la legge federale sulla protezione dei dati (che ha trasformato la presente direttiva) prevedono unicamente le condizioni alle quali i dati personali devono essere cancellati.
79. In risposta alle osservazioni dei richiedenti, il governo afferma che, mentre la ricerca di informazioni o un nome nell'archivio digitale è molto facile e veloce, è principalmente dovuto all'esistenza di motori di ricerca. . Ha aggiunto che, senza di loro, la ricerca sarebbe noiosa quanto pensava la ricerca "classica" prima dell'era di Internet e che avrebbe posto meno problemi ai diritti fondamentali. Ha ricordato che, una volta pubblicato su Internet, le informazioni potevano sempre essere trovate anche se erano state cancellate dal sito Web che l'aveva originariamente messo online. Secondo il governo, a intervalli regolari, i motori di ricerca copiano il contenuto di Internet e lo salvano sui loro server. Di conseguenza,
80. Il governo ritiene che la Corte federale di giustizia abbia soppesato gli interessi in gioco in questione secondo i criteri stabiliti dalla giurisprudenza della Corte. Afferma che, pur riconoscendo l'interesse dei ricorrenti per il reinserimento sociale, la Corte federale di giustizia ha dichiarato che le relazioni in questione fornivano informazioni veritiere e obiettive su un evento capitale, vale a dire l'omicidio di un attore popolare. Sottolinea che, sempre per la Corte federale di giustizia, i rapporti, nonostante la loro posizione su Internet, hanno avuto una diffusione limitata. In effetti, le relazioni sarebbero state chiaramente contrassegnate visivamente come vecchie relazioni e sarebbero quindi state identificabili solo da persone che le cercavano in modo mirato, e nulla sarebbe stato fatto per attirare l'attenzione dei lettori su di loro. Inoltre, l'accesso agli articoli negli archivi diSpiegel online avrebbe pagato. Il governo aggiunge che i richiedenti non hanno addotto alcuna prova per valutare la facilità con cui le relazioni potrebbero essere trovate e in quale posizione sono apparse per esempio su un elenco di ricerca su Google.
81. Infine, il Governo ritiene che siano stati gli stessi ricorrenti che, tredici anni dopo il reato e dieci anni dopo la loro condanna, hanno suscitato un rinnovato interesse pubblico presentando istanze per la riapertura del loro processo penale. Soprattutto, prendendo l'iniziativa di inviare documenti alla stampa, in particolare per quanto riguarda le domande di riapertura del processo, fino al 2004. In particolare si afferma che, in una lettera del 31 agosto 2004 al Il settimanale Der Spiegel , il primo richiedente espressamente ha richiesto che la stampa informasse il pubblico. Per il governo, quindi, i media non avevano motivo di credere che i candidati volessero avere qualcosa a che fare con la stampa mentre si avvicinavano alla loro uscita.
82. Per quanto riguarda le foto, il governo ha sostenuto che l'esercizio di bilanciamento effettuato dalla Corte federale di giustizia era anche in linea con la convenzione e la giurisprudenza della Corte. A tale proposito, egli sostiene che le fotografie mostrassero i ricorrenti nell'aula del tribunale penale o in compagnia di WS o di un ufficiale carcerario e che avessero quindi un legame diretto con l'oggetto degli articoli contestati, vale a dire, il processo penale e, infine, che hanno portato la verità storica contemporanea in modo neutro e obiettivo.
2. Commenti di terze parti
83. I terzi indicano che il diritto di pubblicare interi nomi è parte integrante della libertà di espressione dei media e consente loro di adempiere al loro compito di informare il pubblico su qualsiasi questione di interesse. pubblico. Sottolineano inoltre l'importanza per la stampa di poter costruire archivi digitali, che avrebbero in gran parte sostituito gli archivi classici e sarebbero stati quasi l'unica fonte per la ricerca sulla storia contemporanea. Aggiungono che la precisione degli archivi è cruciale per la documentazione storica, la memoria collettiva e il dibattito pubblico.
84. I terzi affermano inoltre che sarebbe impossibile per loro esaminare in modo permanente il loro materiale archiviato per possibili contenuti illeciti o illeciti. L'obbligo di eseguire tale compito sarebbe al di sopra dei loro mezzi e sospeso sopra di loro come una spada di Damocle. Ad esempio, gli archivi online Spiegel contengono circa un milione di documenti e circa 1.500 nuovi documenti vengono aggiunti ogni settimana; gli archivi di Deutschlandradio , loro, crescono ogni giorno di 220 file audio e 85 file di testo.
85. Infine, i terzi osservano che le pubblicazioni di cui trattasi nelle presenti cause non possono più essere reperite su Internet utilizzando motori di ricerca. Esse specificano che, sebbene due articoli pubblicati da Spiegel online possano ancora essere trovati quando la ricerca è fatta dal nome dell'attore assassinato, i nomi dei candidati non appaiono tuttavia per intero. Aggiungono che, per la maggior parte, i risultati della ricerca ottenuti riguardano più aspetti procedurali che il crimine stesso, comprese le relazioni sulle richieste di anonimato degli articoli pubblicati. Infine, in considerazione della loro ricerca statistica, ritengono che l'interesse degli utenti di Internet per gli articoli contestati sia rimasto insignificante.
3. La valutazione della Corte
a) I principi generali
86. La Corte reitera che la nozione di "vita privata" è una nozione ampia, non suscettibile di definizione esaustiva, che copre l'integrità fisica e morale della persona e può quindi comprendere molteplici aspetti dell'identità della persona. un individuo, come l'identificazione e l'orientamento sessuale, il nome o gli elementi relativi al diritto all'immagine. Questo concetto include le informazioni personali di un individuo può ragionevolmente aspettarsi che non siano pubblicati senza il suo consenso ( Flinkkilä e altri c. Finlandia , n o 25576/04 , § 75, 6 aprile 2010, e Saaristo e altri c. Finlandia n o 184/06 , § 61, 12 ottobre 2010).
87. La Corte ricorda, inoltre, che le considerazioni di privacy entrano in gioco in situazioni in cui le informazioni sono state raccolte su una persona specifica, in cui i dati personali sono trattati o utilizzati e dove i prodotti in questione hanno avuto reso pubblico in un modo o in una misura che eccede ciò che le parti potrebbero ragionevolmente aspettarsi. Ha riconosciuto che la protezione dei dati personali gioca un ruolo fondamentale nell'esercizio del diritto al rispetto della vita privata e familiare ai sensi dell'articolo 8 della Convenzione ( Satakunnan Markkinapörssi Oy e Oy Satamedia v. La Finlandia [GC ] n o 931/13 , § 136, CEDU 2017 (estratti)). In tale sentenza, la Corte ha inoltre dichiarato che l'articolo 8 della Convenzione sancisce il diritto a una forma di autodeterminazione informativa, che autorizza le persone a invocare il loro diritto alla vita privata in relazione ai dati che, sebbene neutrali, sono raccolti, elaborati e divulgati alla comunità, secondo forme o modalità tali che i loro diritti ai sensi dell'articolo 8 possano essere in gioco ( ibid., § 137 ).
88. Tuttavia, affinché l'articolo 8 sia preso in considerazione, l'attacco alla reputazione personale deve raggiungere un certo livello di gravità e essere stato realizzato in modo tale da pregiudicare il godimento personale del diritto al rispetto privacy. Allo stesso modo, non si può avvalere di questa disposizione a lamentarsi di danni alla sua reputazione con conseguente prevedibile delle proprie azioni, come un reato penale ( Axel Springer AG c. Germania [GC], n o 39954/08 , § 83, 7 febbraio 2012).
89. La Corte rileva che le applicazioni come quelle in questo caso richiede un esame della giusto equilibrio tra il diritto al rispetto della vita privata dei ricorrenti come garantito dall'articolo 8 della Convenzione, la libertà di espressione della stazione radio e delle case editrici e la libertà di informazione del pubblico, garantita dall'articolo 10 della Convenzione. Durante questo esame, la Corte deve avere particolare riguardo agli obblighi positivi dello Stato ai sensi dell'articolo 8 della Convenzione ( X e Y c. Paesi Bassi , 26 marzo 1985, § 23, serie A n o 91, e Von Hannover (n o 2)[GC], supra, al paragrafo 98) e ai principi che ha stabilito nella sua coerente giurisprudenza che la stampa svolge un ruolo vitale in una società democratica e include la stesura di verbali e commenti sui procedimenti giudiziari. Non si può dire che le questioni davanti ai tribunali non possano, prima o contemporaneamente, essere discusse altrove, su riviste specializzate, sulla stampa o nel pubblico in generale. Il ruolo dei media nella comunicazione di tali informazioni e idee è integrato dal diritto del pubblico a riceverlo. In caso contrario, la stampa non potrebbe svolgere il suo ruolo indispensabile di "cane da guardia" ( Axel Springer AG, citata sopra, §§ 79-81). Inoltre, non spetta alla Corte, o addirittura i giudici nazionali, di sostituire per la stampa nella scelta delle modalità di rapporto di adottare in un caso particolare ( Jersild v. In Danimarca , 23 Settembre 1994 § 31, serie A n o 298, e Mosley c. Regno Unito, n o 48009/08 , § 113, il 10 maggio 2011).
90. Oltre a questo ruolo primario della stampa, esiste una funzione ancillare, ma comunque importante, di costruire archivi da informazioni già pubblicate e renderle disponibili al pubblico. A tale riguardo, la Corte ricorda che la fornitura di archivi su Internet contribuisce notevolmente alla conservazione e all'accessibilità di notizie e informazioni. archivi digitali sono davvero una fonte preziosa per l'istruzione e la ricerca storica, tanto più che sono immediatamente accessibili al pubblico e in genere libera ( tempi Newspapers Ltd c. Regno Unito (no ossa 1 e 2) , n osso 3002/03 e 23676/03 , §§ 27 e 45 2009 CEDU e Węgrzynowski e Smolczewski v. Polonia , n o 33846/07 , § 59, il 16 luglio 2013; si veda anche la Raccomandazione Rec (2000) 13 del Comitato dei Ministri - paragrafo 54 sopra).
91. La Corte ritiene inoltre utile ricordare in questo contesto che i siti web sono strumenti di informazione e comunicazione che sono particolarmente distinti dalla stampa scritta, in particolare per quanto riguarda la loro capacità di memorizzare e diffondere informazioni, e che le comunicazioni online e il loro contenuto sono molto più probabili rispetto alla stampa a compromettere l'esercizio e il godimento dei diritti e delle libertà fondamentali, in particolare il diritto al rispetto della vita privata ( Delfi AS v. Estonia [GC], n o 64569/09 , § 133, CEDU 2015 redazione Comitato Pravoye Delo e Shtekel v. Ucraina , n o 33014/05 , § 63, CEDU 2011 (estratti), e . CICAD v Svizzera N o 17676/09 , § 59 7 giugno 2016), e in particolare a causa del ruolo importante dei motori di ricerca.
92. La scelta delle misure per garantire il rispetto dell'articolo 8 della Convenzione nella sfera dei rapporti è in linea di principio del potere discrezionale degli Stati contraenti, che gli obblighi a carico dello stato positivo o negativo. Questo margine è in linea di principio lo stesso di quello disponibile per gli Stati ai sensi dell'articolo 10 della Convenzione nel valutare la necessità e la portata di un'interferenza con la libertà di espressione protetta da tale articolo ( Von Hannover (n o 2) , § 106, Axel Springer , supra, § 87, e Couderc e Hachette Filipacchi Associés c. Francia [GC], n o 40454/07 , § 91, CEDU 2015 (estratti)).
93. Tuttavia, il margine di discrezionalità va di pari passo con la vigilanza europea sia della legge che delle decisioni ad essa applicabili, anche quando provengono da un tribunale indipendente. Nell'esercizio il proprio controllo, la Corte non è il suo compito di sostituire i giudici nazionali, ma è tenuto a verificare, alla luce di tutto il caso, se le decisioni che consegnato alla loro potere di apprezzamento sia compatibile con le disposizioni citate della Convenzione ( Von Hannover (n o 2) , sopra citato, § 105, e Axel Springer AG , citato sopra, § 86).
94. Se il bilanciamento da parte delle autorità nazionali è stato effettuato in conformità con i criteri stabiliti dalla giurisprudenza della Corte, devono esservi motivi gravi per sostituire il proprio parere con quello dei tribunali nazionali ( MGN Limited / . Regno Unito , n o 39401/04 , §§ 150 e 155, 18 gennaio 2011, e Bedat c. Svizzera [GC], n o 56925/08 , § 54, CEDU 2016). In altre parole, la Corte riconosce generalmente che lo Stato ha un ampio margine di apprezzamento quando deve trovare un equilibrio tra interessi privati o diversi diritti protetti dalla Convenzione ( Delfi AS , citata sopra, § 139, Magyar Tartalomszolgáltatók Egyesülete e Index.hu Zrt v. Ungheria N o 22947/13 , § 59 2 febbraio 2016 e Fürst-Pfeifer v. Austria , nn . 33677/10 e 52340/10 , § 40, 17 maggio 2016).
95. La Corte ha già avuto l'opportunità di stabilire i principi rilevanti che dovrebbero guidare la sua valutazione - e, soprattutto, quella dei tribunali nazionali - di necessità. Ha quindi stabilito una serie di criteri nel contesto del bilanciamento dei diritti in gioco. I criteri pertinenti che sono stati definiti in questo modo sono il contributo a un dibattito di interesse generale, la notorietà dell'interessato, l'oggetto della relazione, il comportamento precedente della persona interessata, il contenuto, la forma e il le ripercussioni della pubblicazione, nonché, se del caso, le circostanze della presa delle fotografie ( Satakunnan Markkinapörssi Oy e Satamedia Oy , citata sopra, § 165, e i riferimenti ivi citati).
96. Il Tribunale ritiene che i criteri così definiti possono essere trasposta al caso di specie, anche se alcuni di essi possono richiedere più o meno rilevante nelle particolari circostanze del caso ( ibid. , § 166; Falzon c . Malta , n o 45791/13 , § 55, 20 marzo 2018, Axel Springer e RTL Television GmbH contro la Germania. , n o 51405/12 , § 42, 21 settembre 2017).
(b) Applicazione di questi principi a questo caso
97. La Corte osserva innanzitutto che è soprattutto grazie ai motori di ricerca che le informazioni sui richiedenti messe a disposizione dai media interessati possono essere facilmente identificate dagli utenti di Internet. Tuttavia, l'iniziale interferenza con l'esercizio da parte dei richiedenti del loro diritto al rispetto della vita privata deriva dalla decisione dei media interessati di pubblicare queste informazioni e, soprattutto, di tenerle disponibili sui loro siti web. anche se non è destinato ad attirare l'attenzione del pubblico, i motori di ricerca amplificano solo la portata dell'interferenza in questione. Ciò detto, a causa di questo effetto amplificatore sul grado di diffusione delle informazioni e sulla natura dell'attività in cui è effettuata la pubblicazione di informazioni sull'interessato, gli obblighi del motore di ricerca nei confronti della persona interessata dalle informazioni possono differire da quelli dell'editore alla fonte delle informazioni. Pertanto, il bilanciamento degli interessi in gioco può portare a risultati diversi a seconda che vi sia una richiesta di cancellazione diretta contro l'editore originale delle informazioni, la cui attività è generalmente al centro di ciò che la libertà di espressione intende proteggere o contro un motore di ricerca il cui principale interesse non è quello di pubblicare le informazioni iniziali sull'interessato, ma in particolare consentire, da un lato, di identificare qualsiasi informazione disponibile su questa persona e, d'altra parte, per stabilire un profilo di questa persona (a questo proposito vedi anche il giudizio della CGUE del 13 maggio 2014, n.o C-131/12, - punti 59-62 sopra).
i. Contributo a un dibattito di interesse generale
98. Riguardo alla questione dell'esistenza di un dibattito di interesse generale, la Corte osserva che la Corte federale di giustizia ha rilevato il notevole interesse che il crimine e il processo penale avevano suscitato in quel momento in la serietà dei fatti e la notorietà della vittima, e ha notato che i ricorrenti avevano tentato oltre il 2000 di ottenere la riapertura del loro processo. La High Court ha anche sottolineato la natura veritiera e obiettiva delle relazioni. La Corte può sottoscrivere questa analisi poiché il pubblico ha interesse a essere informato sui procedimenti penali e può essere informato a tale riguardo, specialmente quando si riferiscono a un caso giudiziario particolarmente grave notevole attenzione (vedi, ad esempio,Schweizerische Radio- und Fernsehgesellschaft SRG c. Svizzera , n o 34124/06 , § 56, 21 giugno 2012, e Egeland e Hanseid c. Norvegia , n o 34438/04 , § 58, il 16 aprile 2009). Ciò non riguarda solo le relazioni pubblicate durante il processo penale in questione, ma può anche includere, a seconda delle circostanze del caso, relazioni che riportano una richiesta di riapertura del processo pochi anni dopo la condanna.
99. La Corte osserva che le presenti denunce sono uniche in quanto non è la legittimità delle relazioni quando sono pubblicate per la prima volta o rese disponibili sui portali Internet dei mezzi di comunicazione interessati che le domande delle ricorrenti, ma la possibilità di accesso a questi rapporti molto tempo dopo e, in particolare, come la data prevista del loro rilascio dagli approcci penitenziari. Si deve quindi esaminare la questione se la messa a disposizione delle relazioni controverse abbia continuato a contribuire a un dibattito di interesse generale.
100. La Corte reitera che, trascorso un certo periodo di tempo e in particolare quando una persona condannata sta per lasciare il carcere, l'interesse di quella persona non deve essere affrontato con il suo atto. per il suo reinserimento nella società ( . Österreichischer Rundfunk v Austria , n o 35841/02 , § 68, 7 dicembre 2006, e Österreichischer Rundfunk , citata, vedi anche, mutatis mutandis , Segerstedt-Wiberg e altri contro la Svezia. , n o 62332/00 , §§ 90-91, CEDU 2006-VII). Questo potrebbe essere ancora più vero dopo il rilascio finale di una persona condannata. Allo stesso modo, l'estensione dell'interesse pubblico nei procedimenti penali varia, poiché può variare durante il procedimento a seconda, tra l'altro, delle circostanze del caso ( Axel Springer AG , citata sopra, § 96). .
101. Ritornando alla presente causa, la Corte osserva che la Corte Federale di Giustizia, pur riconoscendo l'alto interesse dei richiedenti a non più confrontarsi con la loro condanna, ha sottolineato che il pubblico aveva interesse non solo ad essere informato riguardo evento di notizie, ma anche per essere in grado di ricercare eventi passati. La High Court ha anche ricordato che la missione dei media era quella di partecipare alla formazione di un'opinione democratica mettendo a disposizione del pubblico le vecchie informazioni archiviate nei loro archivi.
102. La Corte concorda pienamente con questa conclusione. Essa ha infatti più volte sottolineato il ruolo essenziale svolto dalla stampa in una società democratica (Times Domenica c. Regno Unito (n o 1) , 26 Aprile 1979, § 65, serie A n o 30), e anche attraverso i suoi siti Internet e la creazione di archivi digitali che contribuiscono notevolmente a migliorare l'accesso pubblico alle informazioni e la loro diffusione ( Times Newspapers Ltd (nn . 1 e 2) , citata sopra, § 27 e Węgrzynowski e Smolczewski, citata sopra, § 65). Inoltre, secondo la giurisprudenza della Corte, l'interesse legittimo del pubblico all'accesso all'archivio pubblico della stampa elettronica è tutelato dall'articolo 10 della Convenzione ( ibid. ), E ogni misura che limiti l'accesso ai informazioni che il pubblico ha il diritto di ricevere deve essere giustificata da ragioni particolarmente convincenti (Timpul Info-Magazin e Anghel v. Moldova , n o 42864/05 , § 31, 27 novembre 2007, e tempi Giornali Ltd. (n os 1 e 2) , citata sopra, § 41).
103. In tale contesto, la Corte osserva che la Corte federale di giustizia ha sottolineato il rischio di un effetto deterrente sulla libertà di espressione della stampa in caso di ricevimento di domande come quella delle ricorrenti, in particolare il rischio di che i media, per mancanza di personale sufficiente e tempo per considerare tali richieste, siano portati a non includere più nelle loro relazioni elementi identificativi che potrebbero diventare successivamente illeciti.
104. La Corte nota che i richiedenti non chiedono che i media controllino sistematicamente e permanentemente i loro archivi, ma che effettuino tale verifica solo nel caso di una espressa richiesta individuale. Stando così le cose, non può escludere l'esistenza del rischio per la stampa a cui si riferisce la Corte federale di giustizia. Infatti, l'obbligo di esaminare in una fase successiva la legittimità di una relazione a seguito di una richiesta dell'interessato, il che implica, come giustamente rilevato dal governo, un bilanciamento del tutti gli interessi in gioco comporterebbero il rischio che la stampa si astenga dal tenere rapporti nei suoi archivi online o che ometti elementi individualizzati nelle relazioni che potrebbero essere oggetto di tale richiesta. Pur riconoscendo l'importanza dei diritti di una persona che è stata pubblicata su Internet, questi diritti devono essere valutati anche rispetto al diritto del pubblico di conoscere eventi passati e futuri. storia contemporanea, soprattutto con l'aiuto degli archivi digitali della stampa. A tale riguardo, la Corte ricorda che deve esercitare la massima cautela nell'esaminare, ai sensi dell'articolo 10 della Convenzione, le misure o le sanzioni imposte alla stampa che sono scoraggiarlo dal partecipare alla discussione di problemi di legittimo interesse pubblico (Bladet Tromsø questi diritti devono anche essere valutati rispetto al diritto del pubblico di conoscere gli eventi della storia passata e contemporanea, incluso l'uso dell'archivio della stampa digitale. A tale riguardo, la Corte ricorda che deve esercitare la massima cautela nell'esaminare, ai sensi dell'articolo 10 della Convenzione, le misure o le sanzioni imposte alla stampa che sono scoraggiarlo dal partecipare alla discussione di problemi di legittimo interesse pubblico (Bladet Tromsø questi diritti devono anche essere valutati rispetto al diritto del pubblico di conoscere gli eventi della storia passata e contemporanea, incluso l'uso dell'archivio della stampa digitale. A tale riguardo, la Corte ricorda che deve esercitare la massima cautela nell'esaminare, ai sensi dell'articolo 10 della Convenzione, le misure o le sanzioni imposte alla stampa che sono scoraggiarlo dal partecipare alla discussione di problemi di legittimo interesse pubblico (Bladet Tromsøe Stensaas c. Norvegia [GC], n o 21980/93 , § 64, CEDU 1999-III, e Tempi Newspapers Ltd (n ossa 1 e 2) , § 41).
105. Dal momento che i ricorrenti sottolineano non richiedere che i rapporti controversi vengono eliminate, ma solo che i loro nomi sono inclusi, inoltre, il Tribunale rileva che la trasformazione in forma anonima di una storia è certamente una misura meno intrusiva alla libertà espressione che l'eliminazione del rapporto del tutto (vedi, mutatis mutandis , tempi Newspapers Ltd (n os 1 e 2), sopra, § 47). Ricorda, tuttavia, che il modo di trattare un argomento è una questione di libertà giornalistica e che l'articolo 10 della Convenzione lascia ai giornalisti la decisione di pubblicare i dettagli per garantire la credibilità di una pubblicazione a condizione che le scelte essi operano a tale riguardo sulla base delle regole di etica e della condotta professionale della loro professione ( Satakunnan Markkinapörssi Oy e Satamedia Oy , citata sopra, § 186). La Corte concorda con i media di terze parti che l'inclusione in una relazione di elementi individualizzati, come il nome completo dell'interessato, è un aspetto importante del lavoro della stampa ( Fuchsmann c. Germania , n. o 71233/13 , § 37, 19 ottobre 2017), in particolare quando si tratta di rapporti su procedimenti penali che hanno suscitato un notevole interesse. Essa conclude che, nel caso di specie, la disponibilità delle relazioni controverse sui siti web dei media al momento della presentazione delle domande dei ricorrenti ha sempre contribuito a un dibattito di interesse generale che il passaggio di un periodo di tempo da alcuni anni non sono scomparsi.
ii. La notorietà della persona interessata e l'oggetto della relazione
106. Per quanto riguarda la notorietà dei ricorrenti, la Corte rileva che i giudici tedeschi non hanno preso una decisione esplicita in materia. Osserva, tuttavia, che la reputazione delle persone interessate era strettamente legata alla commissione da parte loro dell'omicidio e al successivo processo penale. Pertanto, anche se non vi è alcuna indicazione che i ricorrenti fossero noti al pubblico prima del loro crimine, essi hanno comunque acquisito una buona reputazione durante il processo, che, secondo le conclusioni dei tribunali civili, ha attirato una opinione pubblica a causa della natura e delle circostanze del crimine e della celebrità della vittima. Se, successivamente e con il passare del tempo, l'interesse pubblico per questo crimine e, di conseguenza, la notorietà delle ricorrenti diminuisse, la Corte osserva che i ricorrenti hanno aumentato la loro notorietà dopo diversi tentativi di ottenere la riapertura del loro processo penale e dopo aver indirizzato la stampa su questo argomento. La Corte conclude che i ricorrenti non erano mere persone private sconosciute al pubblico al momento dell'introduzione delle loro richieste di anonimato.
107. Per quanto riguarda l'oggetto delle relazioni, la Corte nota che queste si riferivano sia alla detenzione del processo penale all'epoca, sia a una delle richieste dei richiedenti per la riapertura del processo, tanto elementi che possono contribuire a un dibattito in una società democratica. A tale proposito, fa riferimento alle sue conclusioni (cfr. Paragrafo 111 di seguito).
iii. La precedente condotta della persona nei confronti dei media
108. Per quanto riguarda il comportamento dei ricorrenti dopo la loro condanna, la Corte osserva, come rilevato dalla Corte federale di giustizia, che i ricorrenti hanno portato tutti i rimedi giurisdizionali "possibili e immaginabili" per ottenere la riapertura dei loro procedimenti. criminale. Inoltre, come ha sottolineato il governo, durante la loro ultima richiesta di riesame nel 2004, vale a dire due anni e mezzo e tre anni rispettivamente prima del loro rilascio, le ricorrenti si sono rivolte al stampa, a cui hanno trasmesso un numero di documenti parzialmente collegati alla loro richiesta di revisione, invitandolo a tenere informato il pubblico. Inoltre, non è senza interesse notare che,
109. In questo contesto, mentre non si può affermare che una persona condannata - che peraltro protesta la sua innocenza - utilizzi i rimedi giurisdizionali disponibili in base al diritto interno per contestare la sua condanna, la Corte osserva che I richiedenti andarono ben oltre il semplice uso dei rimedi disponibili nella legge penale tedesca. In particolare, a causa del loro comportamento, in particolare per quanto riguarda la stampa, l'interesse dei richiedenti a non essere più confrontati con la loro convinzione mediante informazioni archiviate sui portali Internet di un certo numero di media era meno importante. importanza in questo caso. La Corte conclude che le ricorrenti, anche all'approssimarsi del loro rilascio, avevano quindi solo un legittimo affidamento limitato (si veda, mutatis mutandis, Axel Springer AG , citata sopra, § 101) per scontare l'anonimato delle segnalazioni, o anche il diritto all'oblio digitale.
iv. Il contenuto, la forma e l'impatto della pubblicazione
110. La Corte reitera che il modo in cui il rapporto o la foto è pubblicato e la cui persona è presentata ad esso può anche essere preso in considerazione. Allo stesso modo, l'estensione della distribuzione del rapporto o la foto può anche essere di importanza, in quanto è un quotidiano a diffusione nazionale o locale, alta o bassa ( Von Hannover (n o 2) , citata sopra, § 112, e i riferimenti ivi citati).
111. Per quanto riguarda lo scopo, il contenuto e la forma delle cause controverse, la Corte ritiene che il modo in cui la Corte federale di giustizia abbia goduto delle relazioni della Deutschlandradio e della Mannheimer Morgen non può essere oggetto di critiche. Si tratta di testi scritti dai media nell'esercizio della loro libertà di espressione, che oggettivamente riguardano una decisione giudiziaria e la cui veridicità e legittimità di origine non hanno sono stati sfidati (vedi, al contrario , Węgrzynowski e Smolczewski , citati sopra, § 60). Riguardo il file di Spiegel onlinela Corte riconosce che alcuni articoli, in particolare quelli pubblicati nell'edizione del 30 novembre 1992 (cfr. paragrafo 28 sopra), possono sollevare questioni a causa della natura delle informazioni fornite. Detto questo, osserva che i dettagli delle vite degli imputati riportati dall'autore fanno parte delle informazioni che un giudice criminale deve considerare regolarmente nel valutare le circostanze del crimine e gli elementi individuali di colpevolezza, e che, di norma, vengono discussi durante le udienze pubbliche. Inoltre, questi elementi non riflettono l'intenzione di presentare i candidati con un modo dispregiativo o danneggiare la loro reputazione ( Lillo-Stenberg e Sæther v. Norvegia , n o 13258/09 , § 41, 16 gennaio 2014, e Sihler-Jauch e Jauch c. Germania (dec.), Nn . 68273/10 e 34194/11 , § 38, 24 maggio 2016).
112. Per quanto riguarda il grado di diffusione delle pubblicazioni controverse, la Corte rileva che la Corte federale di giustizia ha dichiarato che, a differenza di una trasmissione televisiva in prima serata, le informazioni in questione erano circoscritte. a causa della loro limitata accessibilità e della loro posizione non sulle pagine dedicate alle notizie sui portali Internet dei media interessati, ma in sezioni che indicano chiaramente che si trattava di vecchi rapporti. Le ricorrenti contestano questo ragionamento e criticano la Corte federale di giustizia in particolare per aver ignorato la realtà dell'era di Internet e per aver sottovalutato i pericoli legati alla durabilità delle informazioni contenute in questo mezzo, in particolare a causa della esistenza di motori di ricerca potenti ed efficaci.
113. La Corte osserva che, a causa della loro ubicazione sui portali Internet, i rapporti contenziosi non erano suscettibili di attirare l'attenzione di quegli utenti di Internet che non erano alla ricerca di informazioni sui richiedenti ( vedere, viceversa e , mutatis mutandis , Movimento Raeliano v. Svizzera [GC], n o 16354/06 , § 69, CEDU 2012). Allo stesso modo, la Corte non vede alcuna prova del fatto che il continuo accesso a tali rapporti abbia avuto lo scopo di diffondere nuovamente le informazioni sulle ricorrenti. In tal senso, la Corte può seguire le constatazioni della Corte federale di giustizia secondo cui il grado di diffusione delle relazioni era limitato ( Fuchsmann , Sopra citato, § 52), tanto più che una parte delle informazioni è stata colpita con ulteriori restrizioni (a pagamento l'accesso in caso di Spiegel on-line o disponibili per gli abbonati in caso di Mannheimer Morgen ).
114. Nella misura in cui le ricorrenti sostengono che questo modo di misurare il grado di diffusione ignora dell'amplificatore e carattere ubiquitario di Internet e quindi la possibilità, indipendentemente dal grado di trasmissione iniziale, per trovare informazioni su la Corte, pur essendo a conoscenza dell'accessibilità sostenibile di qualsiasi informazione una volta pubblicata su Internet, rileva che i ricorrenti non hanno reso noti i tentativi che avrebbero fatto per affrontare gli operatori di motori di ricerca per ridurre la rilevabilità di informazioni sui loro popolo ( Fuchsmann , sopra citato, § 53, e Phil c. Svezia (dec.), n o 74742/14 , 7 febbraio 2017). Inoltre, la Corte considera che non è chiamato a pronunciarsi sulla possibilità, per i tribunali nazionali, di ordinare misure meno dannose per la libertà di espressione dei media in questione che non l'hanno fatto. oggetto di un'udienza dinanzi a loro durante il procedimento interno o, inoltre, durante il procedimento dinanzi alla Corte.
v. Le circostanze di scattare foto
115. Infine, per quanto riguarda le immagini in questione (paragrafi 37-38 sopra), la Corte osserva che né le ricorrenti né i tribunali civili hanno governato dalle circostanze della loro decisione. Lo fa però vedere in queste foto alcun elemento compromessi e osserva anche, come la Corte federale di giustizia ha giustamente rilevato, le immagini hanno mostrato i ricorrenti nella aspetto che la loro è stato nel 1994, quasi tredici anni prima della loro uscita, che diminuisce la probabilità di essere riconosciuti da terzi sulla base di foto.
c) Conclusion
116. Dato il margine di apprezzamento delle autorità nazionali a tale riguardo nel bilanciare gli interessi in conflitto, l'importanza di tenere a disposizione le relazioni la cui legittimità al momento della pubblicazione non è contestata e il comportamento I candidati alla stampa, la Corte ritiene che non vi siano gravi motivi per cui dovrebbe sostituire il suo parere a quello della Corte federale di giustizia. Non si può quindi affermare che, rifiutandosi di soddisfare la domanda dei ricorrenti, la Corte federale di giustizia abbia violato gli obblighi positivi dello Stato tedesco di proteggere il diritto dei ricorrenti al rispetto della loro vita privata ai sensi del Articolo 8 della Convenzione. Di conseguenza, non vi è stata violazione di questa disposizione.
PER QUESTE RAGIONI, LA CORTE UNANIMAMENTE
1. Decide di unirsi alle applicazioni;
2. Dichiarare le richieste ammissibili;
3. Sostiene che non c'è stata nessuna violazione dell 'Articolo 8 della Convenzione.
Fatto in francese, quindi comunicato per iscritto il 28 giugno 2018, ai sensi dell'articolo 77 §§ 2 e 3 del Regolamento della Corte.
Milan BlaškoErik Møse
Deputatopresidente
Un commento: https://www.laleggepertutti.it/218249_diritto-alloblio-o-diritto-di-cronaca-quale-prevale
Diffusione di dati sensibili del minore disabile: anche la famiglia è parte lesa
[color=red][b]Corte di Cassazione, Terza sez. civile, sent. n. 16816 del 26 giugno 2018[/b][/color]
https://www.self-entilocali.it/2018/06/29/diffusione-di-dati-sensibili-del-minore-disabile-anche-la-famiglia-e-parte-lesa/
PRIVACY e invio di newsletter per scopi commerciali: GARANTE
[color=red][b]Cassazione - sentenza 17278/2018[/b][/color]
È dunque senz'altro da escludere che il consenso possa dirsi specificamente, e dunque anche liberamente, prestato in un'ipptesi in cui, ove gli effetti del consenso non siano indicati con completezza accanto ad una specifica «spunta» apposta sulla relativa casella di una pagina Web, ma siano invece descritti in altra pagina Web linkata alla prima, non vi sia contezza che l'interessato abbia consultato detta altra pagina, apponendo nuovamente una diversa «spunta» finalizzata a manifestare il suo consenso.
http://www.italgiure.giustizia.it/xway/application/nif/clean/hc.dll?verbo=attach&db=snciv&id=./20180702/snciv@s10@a2018@n17278@tS.clean.pdf
Commento: https://www.linkedin.com/pulse/privacy-la-cassazione-sul-consenso-al-trattamento-dei-comellini/?lipi=urn%3Ali%3Apage%3Ad_flagship3_profile_view_base_recent_activity_details_shares%3Bw14FLGlPQaK4CIGq4Gvw6w%3D%3D
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[color=red][b]Cassazione civile, Sez. II, sentenza 2 luglio 2018, n. 17278 [/b][/color]
COMMENTO: http://www.quotidianogiuridico.it/documents/2018/07/12/newsletter-promozionali-garante-e-cassazione-d-accordo-necessario-consenso-chiaramente-espresso
SENTENZA: http://www.italgiure.giustizia.it/xway/application/nif/clean/hc.dll?verbo=attach&db=snciv&id=./20180702/snciv@s10@a2018@n17278@tS.clean.pdf
Può dunque dirsi che il consenso in questione debba essere ricondotto
alla nozione di «consenso informato», nozione ampiamente impiegata
in taluni settori — basti menzionare il campo delle prestazioni
sanitarie — in cui è particolarmente avvertita l'esigenza di tutelare la
pienezza del consenso, in vista dell'esplicazione del diritto di
autodeterminazione dell'interessato, attraverso la previsione di
obblighi di informazione contemplati in favore della parte ritenuta più
debole.
Tale lettura trova conferma nel rinvio al già citato articolo 13, l quale
enumera le informazioni che devono essere fornite all'inte -essato
prima che questi esprima il suo consenso, ed altresì nella previsione
dell'articolo 11, comma 1, lett. b e d, del Codice della privacy, I quale
consente l'utilizzo dei dati solo per gli scopi per cui sono stati raccolti
e che devono essere comunicati all'interessato prima che egli
manifesti il suo consenso.
Più in specifico, con riguardo all'aspetto della libertà, occorre
esaminare, in relazione al caso in esame, la questione se il
condizionamento di cui si è detto, tale da far sì che il consenso non
sia conforme al dettato normativo, possa essere ravvisato nell'ipotesi
in cui l'offerta di un determinato servizio da parte del gestore di un
sito Internet sia — per l'appunto — condizionato al Nasi° del
consenso all'utilizzo dei dati personali per il successivo invio, d3 parte
di terzi, di messaggi pubblicitari: quesito al quale si riferisce, oggi, il
comma 4 dell'articolo 7 del Regolamento (UE) 2016/679 del
Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016, secondo cui:
«Nel valutare se il consenso sia stato liberamente prestato, tiene
nella massima considerazione l'eventualità, tra le altre, che
l'esecuzione di un contratto, compresa la prestazione di un servizio,
sia condizionata alla prestazione del consenso al trattamento di dati
personali non necessario all'esecuzione di tale contratto».
Ritiene la Corte, nel quadro di applicazione del citato articolo 23, che
la risposta al quesito non possa essere univoca e, cioè, che il
condizionamento non possa sempre e comunque essere dato per
scontato e debba invece essere tanto più ritenuto sussistente, quanto
più la prestazione offerta dal gestore del sito Internet sia ad un
tempo infungibile ed irrinunciabile per l'interessato, il che non può
certo dirsi accada nell'ipotesi di offerta di un generico 3ervizio
informativo del tipo di quello in discorso, giacché all'evidenza sl tratta
di informazioni agevolmente acquisibili per altra via, eventuEllmente
attraverso siti a pagamento, se non attraverso il ricorso all'editoria
cartacea, con la conseguenza che ben può rinunciarsi a detto s;ervizio
senza gravoso sacrificio.
Invece di spedire il notiziario alla casella della vittima, diamogli una volta per tutte una chiave d'accesso per leggerlo sul web (pull anziché push)
riferimento id:44850[size=18pt]CORTE DI GIUSTIZIA U.E., SEZ. IV – sentenza 11 dicembre 2014 (causa C‑212/13)[/size]
[color=red][b]L’articolo 3, paragrafo 2, secondo trattino, della direttiva 95/46/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 24 ottobre 1995, relativa alla tutela delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali, nonché alla libera circolazione di tali dati, dev’essere interpretato nel senso che l’utilizzo di un sistema di videocamera, che porta a una registrazione video delle persone immagazzinata in un dispositivo di registrazione continua quale un disco duro, installato da una persona fisica sulla sua abitazione familiare per proteggere i beni, la salute e la vita dei proprietari dell’abitazione, sistema che sorveglia parimenti lo spazio pubblico, non costituisce un trattamento dei dati effettuato per l’esercizio di attività a carattere esclusivamente personale o domestico, ai sensi di tale disposizione.[/b][/color]
SENTENZA DELLA CORTE (Quarta Sezione)
11 dicembre 2014 (*)
«Rinvio pregiudiziale – Direttiva 95/46/CE – Tutela delle persone fisiche – Trattamento dei dati personali – Nozione di “esercizio di attività a carattere esclusivamente personale o domestico”»
Nella causa C‑212/13,
avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi dell’articolo 267 TFUE, dal Nejvyšší správní soud (Repubblica ceca), con decisione del 20 marzo 2013, pervenuta in cancelleria il 19 aprile 2013, nel procedimento
František Ryneš
contro
Úřad pro ochranu osobních údajů,
LA CORTE (Quarta Sezione),
composta da L. Bay Larsen, presidente di sezione, K. Jürimäe, J. Malenovský, M. Safjan (relatore) e A. Prechal, giudici,
avvocato generale: N. Jääskinen
cancelliere: I. Illéssy, amministratore
vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza del 20 marzo 2014,
considerate le osservazioni presentate:
– per F. Ryneš, da M. Šalomoun, advokát;
– per l’Úřad pro ochranu osobních údajů, da I. Němec, advokát, e J. Prokeš;
– per il governo ceco, da M. Smolek e J. Vláčil, in qualità di agenti;
– per il governo spagnolo, da A. Rubio González, in qualità di agente;
– per il governo italiano, da G. Palmieri, in qualità di agente, assistita da P. Gentili, avvocato dello Stato;
– per il governo austriaco, da A. Posch e G. Kunnert, in qualità di agenti;
– per il governo polacco, da B. Majczyna, J. Fałdyga e M. Kamejsza, in qualità di agenti;
– per il governo portoghese, da L. Inez Fernandes e C. Vieira Guerra, in qualità di agenti;
– per il governo del Regno Unito, da L. Christie, in qualità di agente, assistito da J. Holmes, barrister;
– per la Commissione europea, da B. Martenczuk, P. Němečková e Z. Malůšková, in qualità di agenti,
sentite le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza del 10 luglio 2014,
ha pronunciato la seguente
Sentenza
1 La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione dell’articolo 3, paragrafo 2, della direttiva 95/46/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 24 ottobre 1995, relativa alla tutela delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali, nonché alla libera circolazione di tali dati (GU L 281, pag. 31).
2 Questa domanda è stata presentata nel quadro di una controversia tra il sig. Ryneš e l’Úřad pro ochranu osobních údajů (Ufficio per la tutela dei dati personali; in prosieguo: l’«Úřad»), in merito alla decisione con la quale quest’ultimo ha constatato che il sig. Ryneš aveva commesso diverse infrazioni in materia di tutela dei dati personali.
Contesto normativo
Diritto dell’Unione
3 I considerando 10, 12, 14, 15 e 16 della direttiva 95/46 enunciano quanto segue:
«(10) (…) Le legislazioni nazionali relative al trattamento dei dati personali hanno lo scopo di garantire il rispetto dei diritti e delle libertà fondamentali, in particolare del diritto alla vita privata, riconosciuto anche dall’articolo 8 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali e dai principi generali del diritto comunitario; (…) pertanto il ravvicinamento di dette legislazioni non deve avere per effetto un indebolimento della tutela da esse assicurata ma deve anzi mirare a garantire un elevato grado di tutela nella Comunità;
(…)
(12) (…) deve essere escluso il trattamento di dati effettuato da una persona fisica nell’esercizio di attività a carattere esclusivamente personale o domestico quali la corrispondenza e la compilazione di elenchi di indirizzi;
(…)
(14) (…) la presente direttiva dovrebbe applicarsi al trattamento dei dati in forma di suoni e immagini relativi a persone fisiche, vista la notevole evoluzione in corso nella società dell’informazione delle tecniche per captare, trasmettere, manipolare, registrare, conservare o comunicare siffatti dati;
(15) (…) il trattamento dei suddetti dati rientra nella presente direttiva soltanto se è automatizzato o se riguarda dati contenuti, o destinati ad essere contenuti, in un archivio strutturato secondo criteri specifici relativi alle persone, in modo da consentire un facile accesso ai dati personali di cui trattasi;
(16) (…) nel campo d’applicazione della presente direttiva non rientra il trattamento di dati in forma di suoni e immagini, quali i dati di controllo video, finalizzato alla pubblica sicurezza, alla difesa, alla sicurezza dello Stato o all’esercizio di attività dello Stato nella sfera del diritto penale o di altre attività che esulano dal campo d’applicazione del diritto comunitario».
4 Ai sensi dell’articolo 2 di tale direttiva:
«Ai fini della presente direttiva si intende per:
a) “dati personali”: qualsiasi informazione concernente una persona fisica identificata o identificabile (“persona interessata”); si considera identificabile la persona che può essere identificata, direttamente o indirettamente, in particolare mediante riferimento (…) ad uno o più elementi specifici caratteristici della sua identità fisica (…)
b) “trattamento di dati personali” (“trattamento”): qualsiasi operazione o insieme di operazioni compiute con o senza l’ausilio di processi automatizzati e applicate a dati personali, come la raccolta, la registrazione, l’organizzazione, la conservazione, l’elaborazione o la modifica, l’estrazione, la consultazione, l’impiego, la comunicazione mediante trasmissione, diffusione o qualsiasi altra forma di messa a disposizione, il raffronto o l’interconnessione, nonché il congelamento, la cancellazione o la distruzione;
c) “archivio di dati personali” (“archivio”): qualsiasi insieme strutturato di dati personali accessibili, secondo criteri determinati, indipendentemente dal fatto che tale insieme sia centralizzato, decentralizzato o ripartito in modo funzionale o geografico;
d) “responsabile del trattamento”: la persona fisica (…) che, da sol[a] o insieme ad altri, determina le finalità e gli strumenti del trattamento di dati personali (…)».
5 L’articolo 3 della direttiva così dispone:
«1. Le disposizioni della presente direttiva si applicano al trattamento di dati personali interamente o parzialmente automatizzato nonché al trattamento non automatizzato di dati personali contenuti o destinati a figurare negli archivi.
2. Le disposizioni della presente direttiva non si applicano ai trattamenti di dati personali:
– effettuati per l’esercizio di attività che non rientrano nel campo di applicazione del diritto comunitario, come quelle previste dai titoli V e VI del trattato sull’Unione europea e comunque ai trattamenti aventi come oggetto la pubblica sicurezza, la difesa, la sicurezza dello Stato (compreso il benessere economico dello Stato, laddove tali trattamenti siano connessi a questioni di sicurezza dello Stato) e le attività dello Stato in materia di diritto penale;
– effettuati da una persona fisica per l’esercizio di attività a carattere esclusivamente personale o domestico».
6 L’articolo 7 della stessa direttiva è formulato nel modo seguente:
«Gli Stati membri dispongono che il trattamento di dati personali può essere effettuato soltanto quando:
a) la persona interessata ha manifestato il proprio consenso in maniera inequivocabile, oppure
(…)
f) è necessario per il perseguimento dell’interesse legittimo del responsabile del trattamento oppure del o dei terzi cui vengono comunicati i dati, a condizione che non prevalgano l’interesse o i diritti e le libertà fondamentali della persona interessata, che richiedono tutela ai sensi dell’articolo 1, paragrafo 1».
7 L’articolo 11 della direttiva 95/46 prevede quanto segue:
«1. In caso di dati non raccolti presso la persona interessata, gli Stati membri dispongono che, al momento della registrazione dei dati (…), il responsabile del trattamento o il suo rappresentante debba fornire alla persona interessata almeno le informazioni elencate qui di seguito, a meno che tale persona ne sia già informata:
a) l’identità del responsabile del trattamento (…)
b) le finalità del trattamento;
c) eventuali informazioni supplementari quali:
– le categorie di dati interessate,
– i destinatari o le categorie di destinatari dei dati,
– se esiste un diritto di accesso ai dati e di rettifica in merito ai dati che la riguardano,
nella misura in cui tali informazioni supplementari siano necessarie, considerate le circostanze specifiche della raccolta dei dati, per garantire un corretto trattamento dei dati dell’interessato.
2. Le disposizioni del paragrafo 1 non si applicano quando, in particolare nel trattamento di dati a scopi statistici, o di ricerca storica o scientifica, l’informazione della persona interessata si rivela impossibile o richiede sforzi sproporzionati o la registrazione o la comunicazione è prescritta per legge. In questi casi gli Stati membri prevedono garanzie appropriate».
8 L’articolo 13, paragrafo 1, della citata direttiva stabilisce quanto segue:
«Gli Stati membri possono adottare disposizioni legislative intese a limitare la portata degli obblighi e dei diritti previsti dalle disposizioni dell’articolo (…) 11, paragrafo 1 (…), qualora tale restrizione costituisca una misura necessaria alla salvaguardia:
(…)
d) della prevenzione, della ricerca, dell’accertamento e del perseguimento di infrazioni penali o di violazioni della deontologia delle professioni regolamentate;
(…)
g) della protezione (…) dei diritti e delle libertà altrui».
9 Ai sensi dell’articolo 18, paragrafo 1, di detta direttiva:
«Gli Stati membri prevedono un obbligo di notificazione a carico del responsabile del trattamento (…) presso l’autorità di controllo (…) prima di procedere alla realizzazione di un trattamento, o di un insieme di trattamenti, interamente o parzialmente automatizzato, destinato al conseguimento di una o più finalità correlate».
Il diritto ceco
10 L’articolo 3, paragrafo 3, della legge n. 101/2000 Sb., relativa alla tutela dei dati personali e alla modifica di determinate leggi (in prosieguo: la «legge n. 101/2000»), prevede quanto segue:
«La presente legge non è applicabile al trattamento di dati personali che una persona fisica effettua esclusivamente per le necessità personali».
11 L’articolo 44, paragrafo 2, di detta legge disciplina la responsabilità della persona incaricata del trattamento dei dati personali, la quale commetta un’infrazione quando tratta tali dati senza il consenso dell’interessato, quando non fornisce a quest’ultimo le informazioni rilevanti e quando non soddisfa l’obbligo di notificazione all’autorità competente.
12 Conformemente all’articolo 5, paragrafo 2, di detta legge, il trattamento dei dati personali è possibile, in linea di principio, solo con il consenso dell’interessato. In mancanza di un siffatto consenso, detto trattamento può essere realizzato se si riveli necessario alla tutela dei diritti e degli interessi legalmente rilevanti del responsabile del trattamento, del destinatario o di un altro interessato. Tuttavia, questo trattamento non deve ledere il diritto dell’interessato al rispetto della sua vita privata e personale.
Procedimento principale e questione pregiudiziale
13 Nel periodo compreso tra il 5 ottobre 2007 e l’11 aprile 2008, il sig. Ryneš ha installato e utilizzato un sistema di telecamera situato sotto la cornice del tetto della casa della sua famiglia. Questa telecamera era fissa, senza possibilità di rotazione, e filmava l’ingresso di tale casa, la strada pubblica nonché l’ingresso della casa situata di fronte. Il sistema consentiva unicamente una registrazione video, che veniva immagazzinata in un dispositivo di registrazione continua, ossia il disco duro. Una volta esaurita la sua capacità, questo dispositivo cancellava l’esistente registrazione con una nuova. Detto dispositivo di registrazione non comportava monitor, cosicché non era possibile visualizzare le immagini in tempo reale. Solo il sig. Ryneš aveva accesso diretto al sistema e ai dati.
14 Il giudice del rinvio rileva che la sola ragione per lo sfruttamento di tale telecamera da parte del sig. Ryneš era la protezione dei beni, della salute e della vita di lui stesso nonché della sua famiglia. Infatti, tanto lui che la sua famiglia sono stati oggetto di attacchi per diversi anni da parte di uno sconosciuto che non è stato smascherato. Inoltre, nella casa della sua famiglia le finestre sono state infrante diverse volte tra il 2005 e il 2007.
15 Nella notte tra il 6 e il 7 ottobre 2007, è avvenuto un altro attacco. Una finestra della casa in questione è stata infranta dal tiro di un proiettile lanciato con una fionda. Grazie al sistema di videocamera è stato possibile identificare due persone sospette. Le registrazioni sono state consegnate alla polizia e in seguito sono state invocate nell’ambito del procedimento penale che è stato avviato.
16 Poiché una di queste persone sospette ha chiesto la verifica della legalità del sistema di sorveglianza del sig. Ryneš, l’Úřad, con decisione del 4 agosto 2008, ha constatato che quest’ultimo aveva commesso alcune violazioni della legge n. 101/2000, in quanto:
– in qualità di responsabile del trattamento aveva raccolto, mediante un sistema di videocamera, dati personali di coloro che circolavano sulla strada o che entravano nella casa dall’altra parte della strada, e ciò senza il loro consenso;
– gli interessati non erano stati informati del trattamento di questi dati personali, della portata e degli obiettivi di tale trattamento, della persona che effettuava il trattamento e del modo in cui tale trattamento era compiuto, né delle persone che avrebbero potuto avere accesso ai dati in questione, e,
– in qualità di responsabile del trattamento, il sig. Ryneš non aveva osservato l’obbligo di notificazione del trattamenti in questione all’Úřad.
17 Investito di un ricorso proposto dal sig. Ryneš avverso tale decisione, il Městský soud v Praze (Corte municipale di Praga) l’ha respinto con sentenza del 25 aprile 2012. Il sig. Ryneš ha proposto ricorso per cassazione avverso tale sentenza dinanzi al giudice del rinvio.
18 Alla luce di queste considerazioni, il Nejvyšší správní soud (Corte amministrativa suprema) ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte la seguente questione pregiudiziale:
«Se il fatto di tenere in funzione un sistema di videocamera installato su un’abitazione familiare allo scopo di proteggere la proprietà, la salute e la vita dei proprietari possa essere classificato come trattamento di dati personali “effettuato da una persona fisica per l’esercizio di attività a carattere esclusivamente personale o domestico” ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 2, della direttiva 95/46 (…), sebbene detto sistema riprenda anche spazi pubblici».
Sulla questione pregiudiziale
19 Con la sua questione, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se l’articolo 3, paragrafo 2, secondo trattino, della direttiva 95/46 debba essere interpretato nel senso che l’utilizzo di un sistema di videocamera, che porta a una registrazione video delle persone immagazzinata in un dispositivo di registrazione continua quale un disco duro, installato da una persona fisica sulla sua abitazione familiare per proteggere i beni, la salute e la vita dei proprietari dell’abitazione, sistema che sorveglia parimenti lo spazio pubblico, costituisca un trattamento dei dati effettuato per l’esercizio di attività a carattere esclusivamente personale o domestico, ai sensi di tale disposizione.
20 Occorre ricordare che, conformemente all’articolo 3, paragrafo 1, di tale direttiva, quest’ultima si applica «al trattamento di dati personali interamente o parzialmente automatizzato nonché al trattamento non automatizzato di dati personali contenuti o destinati a figurare negli archivi».
21 La nozione di «dati personali» che compare in questa disposizione comprende, conformemente alla definizione che figura nell’articolo 2, lettera a), della direttiva 95/46, «qualsiasi informazione concernente una persona fisica identificata o identificabile». È considerata identificabile «la persona che può essere identificata, direttamente o indirettamente, in particolare mediante riferimento (…) ad uno o più elementi specifici caratteristici della sua identità fisica».
22 Di conseguenza, l’immagine di una persona registrata da una telecamera costituisce un dato personale ai sensi della disposizione menzionata nel punto precedente se e in quanto essa consente di identificare la persona interessata.
23 Per quanto concerne la nozione di «trattamento di dati personali», occorre rilevare che essa è definita dall’articolo 2, lettera b), della direttiva 95/46 come «qualsiasi operazione o insieme di operazioni (…) applicate a dati personali, come la raccolta, la registrazione, (…) la conservazione».
24 Come si ricava segnatamente dai considerando 15 e 16 della direttiva 95/46, la videosorveglianza rientra, in linea di principio, nella sfera d’applicazione di tale direttiva se e in quanto costituisce un trattamento automatizzato.
25 Ebbene, una sorveglianza effettuata mediante una registrazione video delle persone, come nel procedimento principale, immagazzinata in un dispositivo di registrazione continua, ossia in un disco duro, costituisce, conformemente all’articolo 3, paragrafo 1, della direttiva 95/46, un trattamento di dati personali automatizzato.
26 Il giudice del rinvio si chiede se un siffatto trattamento, in circostanze come quelle di cui al procedimento principale, non sia nondimeno sottratto all’applicazione di tale direttiva in quanto sarebbe effettuato «per l’esercizio di attività a carattere esclusivamente personale o domestico», ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 2, secondo trattino, di detta direttiva.
27 Come si ricava dall’articolo 1 e dal considerando 10 della direttiva 95/46, quest’ultima mira a garantire un livello elevato di tutela dei diritti e delle libertà fondamentali delle persone fisiche, particolarmente del loro diritto alla vita privata, riguardo al trattamento dei dati personali (v. sentenza Google Spain e Google, C‑131/12, EU:C:2014:317, punto 66).
28 A questo proposito è importante rilevare che, conformemente ad una giurisprudenza consolidata, la tutela del diritto fondamentale alla vita privata, garantito dall’articolo 7 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, impone che le deroghe alla tutela dei dati personali e le limitazioni di queste ultime devono avvenire nei limiti dello stretto necessario (v. sentenze IPI, C‑473/12, EU:C:2013:715, punto 39, nonché Digital Rights Ireland e a., C‑293/12 e C‑594/12, EU:C:2014:238, punto 52).
29 Posto che le disposizioni della direttiva 95/46, in quanto disciplinano il trattamento di dati personali suscettibile di ledere le libertà fondamentali e, in particolare, il diritto alla vita privata, devono necessariamente essere interpretate alla luce dei diritti fondamentali sanciti da detta Carta (v. sentenza Google Spain e Google, EU:C:2014:317, punto 68), la deroga prevista dall’articolo 3, paragrafo 2, secondo trattino, di tale direttiva dev’essere interpretata in senso restrittivo.
30 Quest’interpretazione restrittiva trova il suo fondamento anche nel dettato stesso di tale disposizione, che sottrae all’applicazione della direttiva 95/46 il trattamento dei dati effettuato per l’esercizio di attività non semplicemente personali o domestiche, bensì «esclusivamente» personali o domestiche.
31 Alla luce delle precedenti considerazioni, occorre constatare, come rilevato dall’avvocato generale nel paragrafo 53 delle sue conclusioni, che un trattamento di dati personali rientra nella deroga prevista dall’articolo 3, paragrafo 2, secondo trattino, della direttiva 95/46 unicamente quando è effettuato nella sfera esclusivamente personale o domestica della persona che procede a tale trattamento.
32 Pertanto, per quanto concerne le persone fisiche, la corrispondenza e la compilazione di elenchi di indirizzi costituiscono, alla luce del considerando 12 della direttiva 95/46, «attività a carattere esclusivamente personale o domestico» persino qualora, incidentalmente, esse riguardino o possano riguardare la vita privata di terzi.
33 Posto che una videosorveglianza quale quella in questione nel procedimento principale si estende, anche se solo parzialmente, allo spazio pubblico, e pertanto è diretta verso l’esterno della sfera privata della persona che procede al trattamento dei dati con tale modalità, essa non può essere considerata un’attività esclusivamente «personale o domestica» ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 2, secondo trattino, della direttiva 95/46.
34 Nel contempo, l’applicazione delle disposizioni di questa direttiva consente eventualmente di tener conto, conformemente in particolare agli articoli 7, lettera f), 11, paragrafo 2, nonché 13, paragrafo 1, lettere d) e g), di detta direttiva, degli interessi legittimi del responsabile del trattamento, consistenti segnatamente, come nel procedimento principale, nella tutela dei beni, della salute e della vita di detto responsabile nonché della sua famiglia.
35 Di conseguenza, occorre risolvere la questione proposta dichiarando che l’articolo 3, paragrafo 2, secondo trattino, della direttiva 95/46 dev’essere interpretato nel senso che l’utilizzo di un sistema di videocamera, che porta a una registrazione video delle persone immagazzinata in un dispositivo di registrazione continua quale un disco duro, installato da una persona fisica sulla sua abitazione familiare per proteggere i beni, la salute e la vita dei proprietari dell’abitazione, sistema che sorveglia parimenti lo spazio pubblico, non costituisce un trattamento dei dati effettuato per l’esercizio di attività a carattere esclusivamente personale o domestico, ai sensi di tale disposizione.
Sulle spese
36 Nei confronti delle parti nel procedimento principale la presente causa costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione.
Per questi motivi, la Corte (Quarta Sezione) dichiara:
[color=red][b]L’articolo 3, paragrafo 2, secondo trattino, della direttiva 95/46/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 24 ottobre 1995, relativa alla tutela delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali, nonché alla libera circolazione di tali dati, dev’essere interpretato nel senso che l’utilizzo di un sistema di videocamera, che porta a una registrazione video delle persone immagazzinata in un dispositivo di registrazione continua quale un disco duro, installato da una persona fisica sulla sua abitazione familiare per proteggere i beni, la salute e la vita dei proprietari dell’abitazione, sistema che sorveglia parimenti lo spazio pubblico, non costituisce un trattamento dei dati effettuato per l’esercizio di attività a carattere esclusivamente personale o domestico, ai sensi di tale disposizione.[/b][/color]
Firme
Il trattamento dei dati personali per finalità giornalistiche può essere effettuato anche senza il consenso dell'interessato ( art. 137, comma 2, D.Lgs. n. 196/2003), ma pur sempre con modalità che garantiscano il rispetto dei diritti e delle libertà fondamentali, della dignità dell'interessato e del diritto all'identità personal nonché il rispetto del "Codice di deontologia relativo al trattamento dei dati personali nell'esercizio dell'attività giornalistica" al quale è stato riconosciuto valore di fonte normativa e dal cui rispetto gli iscritti all'Ordine non possono prescindere, perché la relativa violazione non solo li esporrebbe all'applicazione di sanzioni disciplinari da parte del Consiglio dell'Ordine competente, ma potrebbe essere anche fonte di responsabilità civile sia per l'autore che per la sua testata.
La presenza delle condizioni legittimanti l'esercizio del diritto di cronaca non implica, di per sè, la legittimità della pubblicazione o diffusione anche dell'immagine delle persone coinvolte, la cui liceità è subordinata, oltre che al rispetto delle prescrizioni contenute negli artt. 10 c.c. , 96 e 97 della l. n. 633 del 1941 , nonché dell' art. 137 del d.lgs. n. 196 del 2003 e dell'art. 8 del codice deontologico dei giornalisti, anche alla verifica in concreto della sussistenza di uno specifico ed autonomo interesse pubblico alla conoscenza delle fattezze dei protagonisti della vicenda narrata, nell'ottica della essenzialità di tale divulgazione ai fini della completezza e correttezza della informazione fornita. (Rigetta, TRIBUNALE ROMA, 14/09/2016)
[color=red][b]Cass. civ. Sez. I Ord., 09-07-2018, n. 18006[/b][/color]
La nozione di "dato personale" contempla qualsiasi informazione che consenta di identificare, anche indirettamente, una determinata persona fisica e ricomprende pure i "dati identificativi", quali il nome, il cognome e l'indirizzo di posta elettronica, i quali sono dati personali che permettono la detta identificazione direttamente. Da ciò consegue che anche per utilizzare questi ultimi dati è prescritta la previa informativa di cui all' art. 13 del d.lgs. n. 196 del 2003 (cd. "codice della privacy") ai fini dell'acquisizione del consenso degli interessati all'impiego dei dati di loro pertinenza. (Rigetta, TRIBUNALE PAVIA, 13/08/2015)
[color=red][b]Cass. civ. Sez. II Ord., 05/07/2018, n. 17665 (rv. 649454-01)[/b][/color]
In tema di consenso al trattamento dei dati personali, la previsione dell'art. 23 del Codice della privacy ( D.Lgs. n. 196 del 2003 ), nello stabilire che il consenso è validamente prestato solo se espresso liberamente e specificamente in riferimento ad un trattamento chiaramente individuato, consente al gestore di un sito Internet, il quale somministri un servizio fungibile, cui l'utente possa rinunciare senza gravoso sacrificio (nella specie servizio di newsletter su tematiche legate alla finanza, al fisco, al diritto e al lavoro), di condizionare la fornitura del servizio al trattamento dei dati per finalità pubblicitarie, sempre che il consenso sia singolarmente ed inequivocabilmente prestato in riferimento a tale effetto, il che comporta altresì la necessità, almeno, dell'indicazione dei settori merceologici o dei servizi cui i messaggi pubblicitari saranno riferiti.
[color=red][b]Cass. civ. Sez. I, 02-07-2018, n. 17278[/b][/color]
In materia di diritto di accesso ai dati concernenti persone decedute debba farsi riferimento alle disposizioni dell'art. 9, n. 3, del D.Lgs. 30 giugno 2003, n. 196 , c.d. codice per la tutela dei dati personali, ancorché venga in considerazione la richiesta di accesso a una cartella clinica. Trattandosi di dati relativi a un soggetto deceduto, non può trovare applicazione la disciplina specificamente prevista in materia dall'articolo 92 del medesimo codice, la quale consente l'accesso alle cartelle cliniche solo a persone diverse dall'interessato che possono far valere un diritto della personalità o altro diritto di pari rango.
[color=red][b]T.A.R. Basilicata Potenza Sez. I, 02-07-2018, n. 429[/b][/color]
Un generico consenso a ricevere newsletter promozionali è considerato insufficiente e comporta una violazione della privacy, poiché il consumatore non riesce a conoscere preventivamente l'oggetto. Il consenso è validamente prestato solo se è espresso liberamente e specificamente in riferimento ad un trattamento chiaramente individuato, se è documentato per iscritto, e se è stata resa all'interessato apposita informativa privacy.
[color=red][b]Cass. civ. Sez. I, 02-07-2018, n. 17278[/b][/color]
[size=18pt]Procedura scelta DPO: la ISO/IEC/27001 non può essere requisito di ammissione[/size]
[color=red][b]TAR Friuli Venezia Giulia, sent. 13/9/2018 n. 287[/b][/color]
[color=red][b]1. Viene impugnato l’avviso pubblico prot. n. 16546 del 5.4.2018, per l’affidamento di un incarico di collaborazione professionale per l’impostazione e lo svolgimento dei compiti di responsabile della protezione dei dati, unitamente al decreto n. 73 del 2018, a firma del Direttore Generale dell’Azienda resistente, con il quale ne è stata disposta la pubblicazione.[/b][/color]
Il ricorrente espone che, con tale ultimo decreto,[b] rilevata l’assenza tra i dipendenti di una figura professionale corrispondente al profilo richiesto[/b], era stata prevista la selezione, per titoli ed eventuale colloquio, di un esperto di normativa e prassi in materia di protezione dei dati.
A tale soggetto si sarebbe dovuto conferire l’incarico di collaborazione professionale da parte dell’Azienda resistente, congiuntamente all’Azienda Sanitaria Universitaria Integrata di Udine, ai sensi degli artt. 37 e seguenti del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016 (Regolamento generale sulla protezione dei dati, comunemente abbreviato in GDPR).
Nello specifico, l’incarico in questione avrebbe contemplato l’impostazione e lo svolgimento dei compiti indicati nell’art. 39 del GDPR, nella fase della sua prima applicazione.
All’interno dell’avviso (all. 2 del ricorso), veniva inoltre precisato che[b] “si considerano complementari rispetto ai compiti previsti dall’art. 39 GDPR e costituiscono oggetto dell’incarico, anche le seguenti funzioni da svolgere in raccordo con le con le competenti strutture aziendali:
f) aggiornamento giuridico e impostazione organizzativo-metodologica per la gestione aziendale della privacy, per la redazione del registro dei trattamenti, per lo svolgimento di valutazioni di impatto sulla protezione dei dati (DPIA) secondo le linee guida del gruppo dei Garanti Privacy UE(WP29);
g) ricognizione ed assessment aziendale in termini di sicurezza informatica e privacy, in particolare:
- conformità rispetto a GDPR;
- conformità rispetto a quanto stabilito dalla Circolare dell’Agenzia per l’Italia Digitale del 18 aprile 2017, n. 2/2017 “Misure minime di sicurezza ICT per le Pubbliche Amministrazioni” DPCM 1 agosto 2015;
- compliance audit e impostazione attività di adeguamento:
- rispetto alle criticità emerse attraverso il ricorso al best practice, regolamenti/policy/procedure di sicurezza, linee guida, piani operativi;
- rispetto alla contrattualistica nei rapporti con i fornitori con finalità di compliance alla normativa privacy e alle misure minime di sicurezza;
- rispetto agli applicativi esistenti e alle valutazioni di acquisizione di nuovi prodotti secondo il paradigma della privacy by design;
h) partecipazione alle attività di formazione interna continua e specifica sulle tematiche della protezione dei dati, anche tramite corsi in aula a favore dei dipendenti, al fine di responsabilizzare il management aziendale, i dirigenti di struttura e il personale addetto in ordine alle responsabilità connesse alla sicurezza e alla protezione dei dati”.[/b]
Infine, riguardo ai requisiti di partecipazione alla selezione, l’avviso (paragrafo 3) richiedeva il possesso, in capo a ciascun candidato, del diploma di laurea in Informatica o Ingegneria Informatica, ovvero in Giurisprudenza o equipollenti, nonché la certificazione di Auditor/Lead Auditor per i Sistemi di Gestione per la Sicurezza delle Informazioni secondo la norma ISO/IEC/27001.
2. Il ricorrente, con messaggio di posta elettronica certificata del 16 aprile 2018 (all. 8), chiedeva di partecipare alla selezione, producendo, a corredo, cospicui titoli curriculari; egli aveva peraltro cura di precisare in relazione ai requisiti di ammissione, di essere laureato in Giurisprudenza e di non possedere “la certificazione Auditor/Lead Auditor per i Sistemi di Gestione per la Sicurezza delle Informazioni secondo la norma ISO/IEC/27001, indicata in via alternativa dall'avviso. Si precisa, comunque, che la certificazione indicata quale requisito non appare pertinente, sia perché l'ASUIUD e l'AAS3 non possiedono la certificazione ISO/IEC/27001, sia perché la norma è antecedente rispetto all'emanazione del GDPR e, quindi, il diploma di Auditor/Lead Auditor non può essere una certificazione rilevante per un esperto di normativa e prassi da nominare quale DPO”.
Egli, inoltre, senza attendere le determinazioni dell’Amministrazione relativamente alla propria domanda, proponeva l’immediata impugnazione dell’avviso e del decreto, poc’anzi richiamati, proponendo i seguenti motivi:
- (1) Violazione degli artt. 37 e 39 del Reg. UE n. 679/2016; eccesso di potere per violazione di atti di regolazione; eccesso di potere per violazione di atto presupposto; eccesso di potere per manifesta illogicità ed irrazionalità dei requisiti di partecipazione alla selezione; eccesso di potere per sviamento; viene in particolare contestata:
- - sotto un primo profilo, (1.1) la pertinenza rispetto al ruolo da ricoprire della “certificazione Auditor/Lead Auditor ISO/IEC/27001”, richiesta dall’avviso, ritenendo che tale titolo, oltre a risultare privo di attinenza riguardo alle mansioni specificamente richieste dal GDPR e agli stessi compiti enunciati nell’avviso (e, in particolar modo, a quei compiti complementari ivi testualmente indicati), determinerebbe un’indebita sperequazione ai danni dei soggetti titolari della laurea in Giurisprudenza, i quali, ove ne fossero sprovvisti, non potrebbero partecipare alla selezione per difetto dei requisiti richiesti. Sotto tale aspetto, il ricorrente contesta la congruità della previsione del requisito, sia, secondo l’interpretazione che egli ritiene preferibile, per il caso in cui la suddetta certificazione debba essere considerata equipollente alla laurea, sia nella diversa e avversata ipotesi in cui l’avviso vada invece interpretato nel senso che entrambi i titoli debbano coesistere in capo a ciascun candidato (opzione interpretativa, quest’ultima, che avrebbe poi comportato l’esclusione del ricorrente, proprio perché privo della certificazione);
- - sotto un secondo profilo, (1.2) la riconducibilità delle competenze, necessarie per lo svolgimento dell’incarico, alla laurea in Informatica o in Ingegneria informatica, ritenendo che il profilo professionale oggetto della selezione possa essere ricoperto soltanto da un laureato in giurisprudenza;
- (2) Violazione dell’art. 7 del d.lgs. 165/2001; i requisiti di partecipazione consentirebbero, in violazione della norma richiamata, il conferimento dell’incarico individuale, mediante contratti di lavoro autonomo, ad un soggetto privo di “particolare e comprovata specializzazione” e comunque in possesso di una qualifica potenzialmente inferiore a quella del personale di ruolo.
Si costituiva l’Amministrazione, resistendo nel merito.
3. Con motivi aggiunti, depositati il 5 luglio 2018, il ricorrente impugnava il successivo verbale prot. n. 21288 del 4 maggio 2018, relativo alla selezione in esame, nonché il decreto del Direttore Generale n. 112 del 22 maggio 2018 avente ad oggetto la designazione del responsabile per la protezione dei dati.
Nel predetto verbale, in particolare, la commissione costituita ai fini della selezione del soggetto cui affidare l’incarico, riteneva non ammissibile la domanda presentata dal ricorrente, non possedendo quest’ultimo la certificazione ISO/IEC/27001; nel contempo, veniva espressa una valutazione positiva in favore del curriculum dell’unico candidato restante, l’odierno controinteressato, dott. WWWW.
Nel secondo provvedimento (decreto n. 112 del 2018), l’Azienda faceva proprio l’esito della selezione, preferendo tuttavia assegnare provvisoriamente l’incarico, stante la pendenza del presente giudizio, al dott. Stefano XXXX, proprio dipendente di ruolo, considerato che quest’ultimo, “dirigente responsabile della ZZZZ Direzione amministrativa delle funzioni ospedaliere di questa Azienda, possiede adeguato curriculum professionale e formativo e non presenta profili di incompatibilità ai fini dell’espletamento dell’incarico di DPO”. Si proponeva pertanto di “di affidare al dipendente dr. Stefano XXXX, in via provvisoria e per il solo periodo di tempo necessario alla definitiva individuazione di idoneo professionista al quale affidare l’incarico, le funzioni di DPO (Data Protection Officer – Responsabile trattamento dati) per la AAS 3, secondo quanto previsto dal regolamento generale sulla protezione dei dati - Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016”.
Analogo decreto veniva adottato dall’Azienda Sanitaria Universitaria Integrata di Udine (che non è però parte del giudizio), la quale nominava a titolo provvisorio l’Ing. YYYY.
Nei motivi aggiunti sono proposte le seguenti ulteriori censure:
- (1) Violazione dell’art. 7, co. 6, del d.lgs. 165/2001e degli artt. 46, 71 e 75 del D.P.R. 445/2000; eccesso di potere per violazione dell’avviso pubblico del 5.4.2018; eccesso di potere per carenza di istruttoria e sviamento; il ricorrente contesta l’esistenza e il contenuto dei titoli curriculari esposti dal controinteressato (laureato in Informatica e titolare della certificazione ISO/IEC/27001), rilevando come nessuna valutazione o verifica sarebbe stata condotta in proposito dalla commissione;
- (2) Eccesso di potere per violazione dell’avviso pubblico del 5.4.2018; eccesso di potere per violazione dei principi di non discriminazione, ragionevalezza e favor partecipationis; la mancanza della certificazione ISO/IEC/27001 non avrebbe potuto determinare l’esclusione del ricorrente, dal momento che tale requisito doveva essere ritenuto alternativo rispetto al possesso della laurea, e ciò in ragione di un’interpretazione dell’avviso maggiormente adesiva rispetto al principio del favor partecipationis;
- (3) Violazione degli artt. 37 e 39 del Reg. UE n. 679/2016; eccesso di potere per violazione di atti di regolazione; eccesso di potere per violazione di atto presupposto; eccesso di potere per manifesta illogicità ed irrazionalità dei requisiti di partecipazione alla selezione; eccesso di potere per violazione del canone di proporzionalità; sviamento; sostanzialmente riproducendo il motivo 1.1 del ricorso introduttivo, viene contestata l’attinenza della certificazione ISO/IEC/27001 rispetto al profilo oggetto dell’incarico, sicché il possesso di tale titolo non potrebbe assurgere a requisito di ammissione.
L’Azienda resisteva ai motivi aggiunti nel merito, contestando inoltre il difetto di giurisdizione dell’adito Tribunale nonché la carenza di interesse in capo al ricorrente, in mancanza dell’atto conclusivo del procedimento (l’affidamento definitivo al soggetto dichiarato vincitore) e, in ogni caso, considerata la sopravvenuta indisponibilità ad assumere l’incarico da parte del controinteressato.
4. Ritiene il Collegio che sussistano i presupposti per definire il giudizio nella presente sede cautelare, con sentenza in forma semplificata ai sensi dell’art. 60 del cod. proc. amm., eventualità di cui le parti sono state ritualmente informate nel corso dell’udienza, come attestato nel relativo verbale.
4.1 In via preliminare, vanno rigettate entrambe le eccezioni in rito, così come formulate dall’Azienda resistente.
4.1.1 In merito al dedotto profilo di inammissibilità dell’impugnativa, per difetto di giurisdizione, deve essere innanzitutto osservato che l’oggetto della controversia attiene all’assegnazione di un incarico, mediante l’espletamento di una selezione comparativa, direttamente riconducibile ad esigenze proprie dell’Amministrazione, connesse all’esercizio di funzioni istituzionali (tra le quali devono essere incluse le competenze e le responsabilità in tema di protezione dei dati, introdotte e regolate dal GDPR), cui non può farsi fronte, secondo quanto esplicitamente dichiarato nell’impugnato decreto n. 73 del 2018, con il personale in servizio.
Sul punto, deve essere così richiamato il prevalente insegnamento delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, secondo cui “appartiene alla giurisdizione del giudice amministrativo la controversia relativa ad una procedura concorsuale volta al conferimento di incarichi ex art. 7, comma 6, d.lg. n. 165 cit., assegnati ad esperti, mediante contratti di lavoro autonomo di natura occasionale o coordinata e continuativa, per far fronte alle medesime esigenze cui ordinariamente sono preordinati i lavoratori subordinati della p.a.” (Cass. S.U. n. 13531 del 2016).
Tale indirizzo risulta ampiamente confermato e sviluppato negli arresti della più recente giurisprudenza amministrativa, cui il Collegio intende dare seguito, la quale ha precisato che “vale un'interpretazione estensiva della nozione di «assunzione dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni» fatta propria dall'art. 63 co. 4 del d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165, nella quale debbono ritenersi incluse non soltanto le procedure concorsuali volte all'assunzione di lavoratori subordinati, ma anche quelle aventi specificamente ad oggetto il conferimento di incarichi ex art. 7 co. 6 del medesimo d.lgs. n. 165/2001, assegnati a esperti mediante contratti di lavoro autonomo di natura occasionale, o coordinata e continuativa, per far fronte alle medesime esigenze cui ordinariamente sono preordinati i lavoratori subordinati della pubblica amministrazione. La giurisdizione amministrativa va affermata, pertanto, ogniqualvolta la controversia riguardi una procedura concorsuale indetta da un'amministrazione pubblica, quale che sia la tipologia dell'instaurando rapporto lavorativo. Il requisito della concorsualità sussiste in forza della natura comparativa della selezione, ancorché l'avviso di indizione si limiti a rinviare ad un atto di scelta motivata” (da ultimo, T.A.R. Toscana, Sez. I, n. 557 del 2018; vd. inoltre, Cons. Stato, Sez. IV, 1176 del 2017).
Alla luce delle considerazioni anzidette e dei richiami giurisprudenziali, si deve pertanto osservare che l’attinenza dell’incarico alle esigenze proprie dell’Azienda e la procedimentalizzazione della fase di individuazione del soggetto incaricato, mediante l’espletamento di una procedura selettiva di tipo comparativo, costituiscono chiaro indice della manifestazione del potere organizzatorio dell’Amministrazione e del corrispondente insorgere della giurisdizione amministrativa.
Non appare invece pertinente il richiamo, rivolto dall’Amministrazione ad una precedente pronuncia di questo Tribunale (n. 130 del 2018), con la quale era stata declinata la giurisdizione in relazione ad altra fattispecie, nella quale risultava invero assente, a differenza di quanto si è poc’anzi osservato, “il pre-requisito della funzionalità dell’incarico conferito alle esigenze proprie dell’Amministrazione”.
Nella vicenda di cui è causa, all’opposto, l’incarico attiene infatti a compiti di protezione dei dati intestati all’Azienda sanitaria, funzionalmente connessi ai servizi da questa espletati, in tutto e per tutto omogenei rispetto alle mansioni cui è di norma preposto il personale, come risulta confermato, in linea fattuale, dall’attribuzione dell’incarico, ancorché in via temporanea e nelle more del giudizio, ad un dirigente in servizio, ciò che è avvenuto ad opera dell’impugnato decreto n. 112 del 2018 e del parallelo provvedimento n. 500 del 2018, adottato dall’Azienda sanitaria di Udine.
4.1.2 Quanto al secondo profilo di inammissibilità (originaria carenza di interesse del ricorso e dei motivi aggiunti), va osservato che il ricorrente, in quanto soggetto partecipante alla procedura, risulta portatore di un interesse sufficientemente differenziato inteso a conseguire la corretta interpretazione ed applicazione della disciplina regolatrice della selezione nei propri confronti.
Da un lato, infatti, l’azione proposta mira (come si desume dal complesso delle censure contenute nel ricorso introduttivo) a delimitare il perimetro dei soggetti ammessi e a depotenziare i titoli curriculari da questi eventualmente allegati, con ciò ampliando le possibilità di assegnazione dell’incarico.
Dall’altro lato (come si deduce essenzialmente dal contesto dei motivi aggiunti), l’impugnativa coglie gli effetti escludenti derivanti dall’applicazione (e dall’avversata interpretazione) dell’avviso, nella parte in cui esige il conseguimento, da parte dei candidati, della certificazione ISO/IEC/27001, effetti che risultano cristallizzati nel verbale prot. n. 21288 del 2018 (che sancisce l’inammissibilità della domanda dell’avv. Balducci Romano) e nel decreto n. 112 del 2018 (quest’ultimo, infatti, nel recepire integralmente il verbale, individua il controinteressato quale soggetto vincitore, confermando l’esclusione del ricorrente), dando così luogo a puntuali arresti procedimentali come tali immediatamente lesivi e suscettibili di impugnazione.
Ne consegue che, qualora tali esiti escludenti fossero rimossi, a prescindere dalla sopravvenuta rinuncia del soggetto risultato vincitore, verrebbero conseguentemente meno le ragioni preclusive alla valutazione nel merito della posizione del ricorrente e, in caso di giudizio favorevole, all’auspicato affidamento dell’incarico.
[b]5. Venendo al merito dell’impugnazione, ritiene il Collegio che essa sia manifestamente fondata in relazione alla contestata individuazione della certificazione di Auditor/Lead Auditor ISO/IEC/27001 quale requisito di ammissione alla procedura selettiva (censura n. 1.1, introdotta nel ricorso, reiterata nei motivi aggiunti al n. 3).[/b]
Sul punto va rilevato che[b] la predetta certificazione non costituisce, come eccepito dal ricorrente, un titolo abilitante ai fini dell’assunzione e dello svolgimento delle funzioni di responsabile della sicurezza dei dati[/b], nell’alveo della disciplina introdotta dal GDPR, dovendosi considerare che: da un lato, la norma ISO 27001 trova prevalente applicazione nell’ambito dell’attività di impresa (basti rilevare che i riferimenti rivolti ad essa, dal legislatore nazionale e dall’ordinamento euro-unitario, attengono essenzialmente ai requisiti degli operatori economici, come ad esempio avviene nel caso dell’art. 93, comma 7, D. Lgs. n. 50 del 2016, in tema di garanzie per la partecipazione alle procedure di affidamento nei settori ordinari); dall’altro lato, la medesima norma, per quanto potenzialmente estensibile all’attività delle pubbliche amministrazioni, fa pur sempre salva l’applicazione delle disposizioni speciali (euro-unitarie e nazionali) in materia di tutela dei dati personali e della riservatezza (punto 18 “conformità” della citata norma ISO; cfr. in particolare: 18.1.1 e 18.1.4), sicché la minuziosa conoscenza e l’applicazione della disciplina di settore restano, indipendentemente dal possesso o meno della certificazione in parola, il nucleo essenziale ed irriducibile della figura professionale ricercata mediante la procedura selettiva intrapresa dall’Azienda, il cui profilo, per le considerazioni anzidette, non può che qualificarsi come eminentemente giuridico.
[color=red][b]Ne consegue che la certificazione, indicata nell’avviso, di per sé non può costituire requisito di ammissione alla selezione in esame (né tanto meno assurgere a titolo equipollente al richiesto diploma di laurea), proprio perché essa non coglie (o non coglie appieno) la specifica funzione di garanzia insita nell’incarico conferito, il cui precipuo oggetto non è costituito dalla predisposizione dei meccanismi volti ad incrementare i livelli di efficienza e di sicurezza nella gestione delle informazioni ma attiene semmai, come rilevato nel ricorso, alla tutela del diritto fondamentale dell’individuo alla protezione dei dati personali indipendentemente dalle modalità della loro propagazione e dalle forme, ancorché lecite, di utilizzo.[/b][/color]
Tali conclusioni sono ulteriormente rafforzate dall’esame dei programmi dei corsi finalizzati all’acquisizione della certificazione ISO/IEC/27001 (prodotti dal ricorrente sub all. 22 – lead auditor e all. 23 – internal auditor), caratterizzati da una durata particolarmente contenuta (2/5 giorni), per un massimo di 40 ore, dalla netta prevalenza delle tematiche attinenti all’organizzazione aziendale (e ciò a discapito dei profili giuridici) e dall’assenza di contenuti riferibili all’attività e alla struttura delle pubbliche amministrazioni.
Siffatti rilievi consentono di escludere, una volta di più, che dal possesso della certificazione, conseguita nel contesto di tali corsi, possa essere fatta dipendere l’ammissione alla procedura selettiva, trattandosi, a ben vedere, di un mero titolo curriculare (certamente valutabile in sede di giudizio sulle posizioni dei singoli candidati) ma non anche di un titolo formativo o abilitante, come tale idoneo ad assurgere a requisito di accesso.
[b]Il che appare tanto più vero quando solo si consideri che entrambi i dirigenti incaricati dalle due Aziende dello svolgimento, nelle more del giudizio, dei compiti di responsabile della protezione dei dati, risultano in effetti carenti (come si desume agevolmente dall’esame dei rispettivi curricula - all. 2 e 3 depositati il 30 agosto 2018) proprio della certificazione ISO/IEC/27001, la cui mancanza ha però contraddittoriamente determinato l’avversato giudizio di non ammissione, formulato nei confronti del ricorrente.[/b]
In conclusione, per le considerazioni anzidette, devono essere annullati gli atti impugnati nel presente giudizio, in relazione al primo motivo di ricorso (punto 1.1) e alla corrispondente terza censura esposta nei motivi aggiunti, potendosi prescindere dall’esame delle restanti doglianze, stante il carattere integralmente satisfattivo della pronuncia di accoglimento.
6. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Friuli Venezia Giulia (Sezione Prima), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie nei sensi e per gli effetti di cui in motivazione.
Condanna l’Azienda per l'Assistenza Sanitaria n. 3 Alto Friuli Collinare Medio Friuli a rifondere al ricorrente le spese di giudizio, che liquida nella misura di euro 1.500,00, oltre ad imposte e ad oneri se dovuti.
Affidamento del servizio di responsabile della protezione dei dati personali
[color=red][b] Tar Friuli Venezia Giulia 18 luglio 2018, n. 252 – Pres. Settesoldi, Est. Bardino[/b][/color]
[b]Contratti della Pubblica amministrazione – Appalto servizi - Servizio di “responsabile della protezione dei dati personali” - Fase preliminare di esplorazione del mercato – Omessa pubblicità – Illegittimità.[/b]
[color=red][b] E’ illegittimo il provvedimento con il quale la stazione appaltante (nella fattispecie, un’azienda sanitaria) ha avviato la procedura per l’affidamento, mediante procedura negoziata, del servizio di “responsabile della protezione dei dati personali” (D.P.O., Data Protection Officer) previsto dall’art. 37 del Regolamento UE 2016/679 (G.D.P.R.), allorché, in contrasto con le indicazioni contenute nel par. 5.1.4 delle Linee Guida ANAC n. 4 (deliberazione n. 206 del 2018), non sia stata data pubblicità alla fase preliminare di esplorazione del mercato, con conseguente violazione dell’art. di cui all’art. art. 36, comma 2, lett. b), d.lgs. n. 50 del 2016, così da precludere la più ampia partecipazione degli operatori e la selezione di soggetti titolari di effettiva conoscenza specialistica della normativa e delle prassi in materia di protezione dei dati (1).[/b][/color]
(1) Ha chiarito il Tar che non sussistono, nel caso di specie, i presupposti per dare corso all’affidamento diretto, ai sensi dell’art. 63, d.lgs. n. 50 del 2016 né l’Amministrazione ha indicato quelle ragioni di “estrema urgenza derivante da eventi imprevedibili dall'amministrazione aggiudicatrice” che, se sussistenti, avrebbero consentito di derogare agli adempimenti previsti dalla procedura adottata. Ha aggiunto che la deroga appare del tutto incompatibile con la prevista facoltà di proroga annuale dell’affidamento, dovendosi considerare che l’esenzione dall’obbligo di pubblicazione appare consentita solo “nella misura strettamente necessaria” ad affrontare la specifica situazione emergenziale, la quale costituisce la causa ovvero l’occasione dell’affidamento, ciò che precluderebbe la possibilità di disporre un eventuale rinnovo a favore dell’aggiudicatario, allorché le condizioni di urgenza siano inevitabilmente venute meno.
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Pubblicato il 18/07/2018
N. 00252/2018 REG.PROV.COLL.
N. 00172/2018 REG.RIC.
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REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Friuli Venezia Giulia
(Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
ex art. 60 cod. proc. amm.;
sul ricorso numero di registro generale 172 del 2018, proposto da
l’avvocato Fabio Balducci Romano, in proprio, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro
Azienda per L'Assistenza Sanitaria n.5 Friuli Occidentale, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Vittorina Colò, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
nei confronti
Dott.Ssa Filomena Polito non costituito in giudizio;
per l'annullamento
- del decreto del Direttore Generale n. 342 del 30.40.2018, di avvio della procedura per l’affidamento del servizio di Data Protection Officer, e dei relativi allegati, ivi compresa la lettera di invito;
- della determinazione dirigenziale n. 983 del 23.5.2018, di approvazione degli atti di gara e aggiudicazione definitiva del servizio di Data Protection Officer alla controinteressata;
- del decreto del Direttore Generale n. 413 del 24.5.2018, recante in oggetto “Designazione del Responsabile della Protezione dei Dati Personali ai sensi dell’art. 37 del Regolamento UE 2016/679”;
- di ogni altro atto presupposto, connesso e conseguente, anche non cognito.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Azienda per L'Assistenza Sanitaria n.5 Friuli Occidentale;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nella camera di consiglio del giorno 4 luglio 2018 il dott. Nicola Bardino e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Sentite le stesse parti ai sensi dell'art. 60 cod. proc. amm.;
Considerato che:
- il ricorrente impugna il decreto del Direttore generale n. 342 del 30 aprile 2018, di avvio della procedura per l’affidamento del servizio di Data Protection Officer, e dei relativi allegati, ivi compresa la lettera di invito, la determinazione di approvazione degli atti di gara e l’aggiudicazione definitiva del servizio di Data Protection Officer alla controinteressata, nonché il decreto avente ad oggetto la “designazione del Responsabile della Protezione dei Dati Personali ai sensi dell’art. 37 del Regolamento UE 2016/679”;
- a fondamento dell’impugnazione proposta, espone che l’Azienda per l’Assistenza Sanitaria n. 5 Friuli Occidentale avviava la procedura selettiva per l’affidamento del servizio di Responsabile per la Protezione dei Dati, con il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, per il prezzo base di euro 100.000,00 oltre IVA;
- precisa che l’Amministrazione si sarebbe determinata ad instaurare la procedura, dopo avere ritenuto necessario “reclutare le necessarie professionalità”, avendo “appurato che il servizio in esame non rientra in gare centralizzate regionali e non è presente nel mercato elettronico della Pubblica Amministrazione”;
- sulla base di tale premessa è stata quindi attivata la procedura negoziata “ai sensi dell’art. 36 comma 2 lettera b) del D.L.vo 50/2016, mediante la preventiva consultazione, di almeno 5 operatori economici” (all. 1) in possesso di significativa esperienza nel settore oggetto dell’affidamento;
- evidenzia che, nello schema di lettera di invito (all. 2), l’Amministrazione individuava, oltre alle specifiche caratteristiche del servizio richiesto, i seguenti requisiti di partecipazione (art. 3):
-- “documentata formazione consistente nella partecipazione ad almeno n. 1 corso in tema di Regolamento Europeo Privacy”;
-- “comprovata esperienza di 3 anni in materia di privacy in ambito sanitario consistente nello svolgimento di funzioni di consulenza e/o verifica/controllo in materia di privacy in ambito sanitario con puntuale indicazione dell’oggetto dell’attività svolta, delle date (inizio e fine) e dei destinatari. Qualora l’esperienza sia riferita ad una ditta, il DPO deve aver ricoperto il ruolo di responsabile/referente dell’attività”;
- segnala che sarebbe pervenuta un'unica offerta, inoltrata dalla ditta individuale Compliance officer e data protection, condotta dalla controinteressata, dott.ssa Filomena Polito, in Cascina (PI), alla quale, con determinazione del 23 maggio 2018, veniva aggiudicato il servizio per il corrispettivo di euro 98.000,00 (IVA esclusa) per dodici mesi, eventualmente prorogabili per ulteriori dodici mesi (all. 3);
- si costituiva l’Amministrazione, contestando, oltre alle censure proposte, la sussistenza, in capo al ricorrente, dell’interesse a proporre l’impugnativa.
Rilevato che:
- tale eccezione è senz’altro infondata, in quanto il ricorrente ha correttamente impugnato l’atto di avvio della procedura di affidamento, censurando la scelta della procedura anche nella parte in cui, specie in ragione delle modalità con le quali è stata posta in essere, gli ha di fatto precluso ogni possibilità di partecipazione;
- in ogni caso, il medesimo ricorrente ha ampiamente dimostrato il possesso dei requisiti necessari per poter prendere parte alla selezione, avendo documentato rilevanti titoli formativi (consistenti, in particolare, nella partecipazione a numerosi corsi in qualità di docente) e lo svolgimento di incarichi professionali, taluni conferiti da un’azienda sanitaria, nel settore pertinente all’affidamento (all. 2 e 3, deposito del 2 luglio 2018).
Rilevato, inoltre, che:
- il ricorso è manifestamente fondato in relazione al primo motivo con il quale viene dedotto: violazione dell’art. 36, co. 2, lett. b) del d.lgs. 50/2016; violazione delle Linee Guida dell’ANAC n. 4; violazione degli artt. 4 e 30 del d.lgs. 50/2016 e dei principi di libera concorrenza, non discriminazione, trasparenza, proporzionalità e pubblicità delle procedure di affidamento;
- l’art. 36, comma 2, lett. b), D. Lgs. n. 50 del 2016 consente alle stazioni appaltanti la facoltà di dare corso alla procedura semplificata nel caso di affidamento di contratti di importo pari o superiore a € 40.000,00 e inferiore a € 150.000,00;
- come testualmente previsto dalla disposizione richiamata, detta procedura negoziata deve essere preceduta dalla “consultazione, ove esistenti, di almeno dieci operatori economici per i lavori, e, per i servizi e le forniture di almeno cinque operatori economici individuati sulla base di indagini di mercato o tramite elenchi di operatori economici, nel rispetto di un criterio di rotazione degli inviti”;
- in relazione allo svolgimento di tale attività di consultazione degli operatori economici le Linee Guida ANAC n. 4, approvate con deliberazione 1° marzo 2018, n. 206, precisano che “la stazione appaltante assicura l'opportuna pubblicità dell’attività di esplorazione del mercato, scegliendo gli strumenti più idonei in ragione della rilevanza del contratto per il settore merceologico di riferimento e della sua contendibilità, da valutare sulla base di parametri non solo economici. A tal fine la stazione appaltante pubblica un avviso sul profilo di committente, nella sezione «amministrazione trasparente» sotto la sezione «bandi e contratti», o ricorre ad altre forme di pubblicità. La durata della pubblicazione è stabilita in ragione della rilevanza del contratto, per un periodo minimo identificabile in quindici giorni, salva la riduzione del suddetto termine per motivate ragioni di urgenza a non meno di cinque giorni” (punto 5.1.4);
- nel caso di specie, l’Amministrazione ha omesso di dare corso alla prescritta pubblicazione dell’avviso, adempimento del quale (al di là di un generico cenno all’interno della memoria di costituzione - p. 11) non viene fornita prova alcuna;
- come correttamente evidenziato dal ricorrente, neppure sussistono nel caso di specie i presupposti (al di là del laconico riferimento all’urgenza di affidare il servizio) per dare corso all’affidamento diretto, ai sensi dell’art. 63, D. Lgs. n. 50 del 2016;
- l’Amministrazione non ha neppure indicato quelle ragioni di “estrema urgenza derivante da eventi imprevedibili dall'amministrazione aggiudicatrice” che, se sussistenti, avrebbero consentito di derogare agli adempimenti previsti dalla procedura adottata ((art. 63, comma 2, lett. c);
- la deroga, peraltro, appare del tutto incompatibile con la prevista facoltà di proroga annuale dell’affidamento, dovendosi considerare che l’esenzione dall’obbligo di pubblicazione appare consentita solo “nella misura strettamente necessaria” ad affrontare la specifica situazione emergenziale, la quale costituisce la causa ovvero l’occasione dell’affidamento, ciò che precluderebbe la possibilità di disporre un eventuale rinnovo a favore dell’aggiudicatario, allorché le condizioni di urgenza siano inevitabilmente venute meno;
- in conclusione, la rilevata carenza della prescritta pubblicità dell’avviso rende del tutto inattendibile la procedura di selezione del contraente posta in essere dall’Amministrazione e, nel contempo, si dimostra direttamente lesiva della posizione del ricorrente, avendone illegittimamente precluso la partecipazione, nonostante egli risultasse in possesso dei titoli prescritti;
- per le considerazioni anzidette, devono dunque essere annullati gli atti di gara oggetto del presente giudizio, potendosi prescindere dall’esame dei restanti motivi, da dichiararsi assorbiti, in ragione dell’accoglimento del primo profilo di censura;
- le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Friuli Venezia Giulia (Sezione Prima), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie ai sensi e per gli effetti di cui in motivazione.
Condanna l’Azienda per L'Assistenza Sanitaria n.5 Friuli Occidentale a rifondere al ricorrente le spese di giudizio, che liquida nella misura di euro 3.000,00, oltre ad imposte e ad oneri se dovuti.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Trieste nella camera di consiglio del giorno 4 luglio 2018 con l'intervento dei magistrati:
Oria Settesoldi, Presidente
Manuela Sinigoi, Consigliere
Nicola Bardino, Referendario, Estensore
L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
Nicola Bardino Oria Settesoldi
IL SEGRETARIO
ACCESSO CIVICO e AGLI ATTI e riservatezza (GDPR): sentenza 1/10/2018
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https://buff.ly/2ID60La
Segnaliamo questa sentenza che affronta la differenza fra accesso agli atti ed accesso civico e si sofferma poi sulle limitazioni introdotte dal GDPR con particolare riferimenti ai dati personali relativi ai conti correnti bancari.
[size=18pt]Trattamento illecito dati personali: reato pubblicare in chat il numero di un presunto molestatore[/size]
[img width=300 height=300]https://icon-icons.com/icons2/806/PNG/512/chat-43_icon-icons.com_65949.png[/img]
[color=red][b]Cassazione penale, Sez. III, sentenza 4 settembre 2018, n. 39682 [/b][/color]
[b]COMMENTO[/b]: http://www.quotidianogiuridico.it/documents/2018/10/02/trattamento-illecito-dati-personali-reato-pubblicare-in-chat-il-numero-di-un-presunto-molestatore
[b]SENTENZA[/b]: http://www.italgiure.giustizia.it/xway/application/nif/clean/hc.dll?verbo=attach&db=snpen&id=./20180904/snpen@s30@a2018@n39682@tS.clean.pdf
ANONIMIZZAZIONE SENTENZE - Con GDPR e codice aggiornato le sentenze potranno essere oscurate nei riferimenti ai dati personali
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Nella foto/immagine un esempio di dicitura in calce alle "nuove sentenze" ove sia stata presentata richiesta di anonimizzazione
[color=red][b]Dlgs 196/2003 (testo coordinato)[/b][/color]
[b]Art. 51. Principi generali[/b]
1. Fermo restando quanto previsto dalle disposizioni processuali concernenti la visione e il rilascio di estratti e di copie di atti e documenti, i dati identificativi delle questioni pendenti dinanzi all'autorità giudiziaria di ogni ordine e grado sono resi accessibili a chi vi abbia interesse anche mediante reti di comunicazione elettronica, ivi compreso il sito istituzionale della medesima autorità nella rete Internet.
2. Le sentenze e le altre decisioni dell'autorità giudiziaria di ogni ordine e grado depositate in cancelleria o segreteria sono rese accessibili anche attraverso il sistema informativo e il sito istituzionale della medesima autorità nella rete Internet, osservando le cautele previste dal presente capo.
[b]Art. 52. Dati identificativi degli interessati[/b]
1. Fermo restando quanto previsto dalle disposizioni concernenti la redazione e il contenuto di sentenze e di altri provvedimenti giurisdizionali dell'autorità giudiziaria di ogni ordine e grado, [color=red][b]l'interessato può chiedere per motivi legittimi[/b][/color], con richiesta depositata nella cancelleria o segreteria dell'ufficio che procede prima che sia definito il relativo grado di giudizio, che sia apposta a cura della medesima cancelleria o segreteria, sull'originale della sentenza o del provvedimento, un'annotazione volta a precludere, in caso di riproduzione della sentenza o provvedimento in qualsiasi forma, l'indicazione delle generalità e di altri dati identificativi del medesimo interessato riportati sulla sentenza o provvedimento.
2. Sulla richiesta di cui al comma 1 provvede in calce con decreto, senza ulteriori formalità, l'autorità che pronuncia la sentenza o adotta il provvedimento. La medesima autorità può disporre d'ufficio che sia apposta l'annotazione di cui al comma 1, a tutela dei diritti o della dignità degli interessati.
3. Nei casi di cui ai commi 1 e 2, all'atto del deposito della sentenza o provvedimento, la cancelleria o segreteria vi appone e sottoscrive anche con timbro la seguente annotazione, recante l'indicazione degli estremi del presente articolo:[color=red][b] 'In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi di.....”.[/b][/color]
4. In caso di diffusione anche da parte di terzi di sentenze o di altri provvedimenti recanti l'annotazione di cui al comma 2, o delle relative massime giuridiche, è omessa l'indicazione delle generalità e degli altri dati identificativi dell'interessato.
5. Fermo restando quanto previsto dall'articolo 734-bis del codice penale relativamente alle persone offese da atti di violenza sessuale, chiunque diffonde sentenze o altri provvedimenti giurisdizionali dell'autorità giudiziaria di ogni ordine e grado è tenuto ad omettere in ogni caso, anche in mancanza dell'annotazione di cui al comma 2, le generalità, altri dati identificativi o altri dati anche relativi a terzi dai quali può desumersi anche indirettamente l'identità di minori, oppure delle parti nei procedimenti in materia di rapporti di famiglia e di stato delle persone.
6. Le disposizioni di cui al presente articolo si applicano anche in caso di deposito di lodo ai sensi dell'articolo 825 del codice di procedura civile. La parte può formulare agli arbitri la richiesta di cui al comma 1 prima della pronuncia del lodo e gli arbitri appongono sul lodo l'annotazione di cui al comma 3, anche ai sensi del comma 2. Il collegio arbitrale costituito presso la camera arbitrale per i lavori pubblici ai sensi dell’articolo 209 del Codice dei contratti pubblici di cui al decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50, provvede in modo analogo in caso di richiesta di una parte.
[b]7. Fuori dei casi indicati nel presente articolo è ammessa la diffusione in ogni forma del contenuto anche integrale di sentenze e di altri provvedimenti giurisdizionali.[/b]
Privacy: è illecito installare videocamere al lavoro con il solo consenso dei lavoratori
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[color=red][b]Cassazione penale, Sez. III, sentenza 24 agosto 2018, n. 38882 [/b][/color]
http://www.omniavis.it/web/forum/index.php?topic=46932.0