Data: 2012-04-10 18:20:43

Locazione di immobile ad uso commerciale e affitto di azienda.Regime di disdetta

Locazione di immobile ad uso commerciale e affitto di azienda. Regime di disdetta.
Massima
La fattispecie della locazione immobiliare ad uso commerciale si distingue da quella dell'affitto di azienda, in quanto nella prima l'immobile assume una posizione di assoluta ed autonoma centralità nell'economia contrattuale, con funzione prevalente ed assorbente rispetto agli altri elementi, mentre nella seconda lo stesso immobile è considerato come uno degli elementi costitutivi del complesso dei beni, mobili ed immobili, organizzati a fini produttivi.
La locazione di immobile ad uso commerciale è soggetta all'applicazione della disciplina vincolistica di cui alla L. n. 392/1978, 'Disciplina delle locazioni di immobili urbani', di cui è, invece, pacifica in giurisprudenza l'inapplicabilità  nell'ipotesi di affitto di azienda.
Nella locazione immobiliare, alla prima scadenza contrattuale, la disdetta può avvenire per le sole ipotesi e nei termini espressamente previsti dalla L. n. 392/1978; nell'affitto di azienda, invece, la durata è liberamente determinabile dalle parti, per le quali vale quanto pattuito in sede di regolamento negoziale.
In caso di eventuale contenzioso, l'accertamento del ricorrere dell'una o dell'altra fattispecie compete al giudice di merito, la cui indagine muove dalla comune intenzione delle parti e dalla effettiva consistenza dei beni dedotti in contratto.

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Funzionario istruttore VALERIA RATINI
0432/555359
VALERIA.RATINI@REGIONE.FVG.IT
Parere espresso da SERVIZIO PER GLI AFFARI ISTITUZIONALI E IL SISTEMA DELLE AUTONOMIE LOCALI
Testo completo del parere
L'Ente riferisce di aver stipulato nel 2006, con una società cooperativa, un contratto di locazione di un immobile da adibire a punto di ristoro e delle aree attrezzate adiacenti, per la durata di 6 anni, con espressa previsione della facoltà di accertare, a proprio insindacabile giudizio, almeno tre mesi prima della scadenza, la sussistenza di ragioni di convenienza e di interesse pubblico per il rinnovo del contratto, comunicandone, in tal caso, l'intenzione al locatario entro il predetto termine. L'ente riferisce, inoltre, di aver comunicato al locatario, entro il termine di cui sopra, la decisione di non rinnovare il contratto, motivando, tra l'altro, la sopravvenuta inadeguatezza del canone. Chiede dunque l'ente se il suo agire, in osservanza del contratto, sia conforme alla legge.

Una corretta impostazione del quesito in esame non può prescindere dall'accertamento della natura del contratto stipulato dall'Ente, in particolare se ricorra nel caso di specie la fattispecie della locazione di immobile o dell'affitto di azienda[1], precisando, sin da adesso, che nel caso di locazione di immobile troverà applicazione la disciplina vincolistica di cui alla L. n. 392/1978, 'Disciplina delle locazioni di immobili urbani', mentre nell'ipotesi di affitto di azienda, è pacifica in giurisprudenza la sua inapplicabilità[2].

Chiarisce la giurisprudenza che la locazione di immobile ad uso commerciale si differenzia dall'affitto di azienda perché la relativa convenzione negoziale ha per oggetto un bene - l'immobile concesso in godimento - che assume una posizione di assoluta ed autonoma centralità nell'economia contrattuale, secondo la sua consistenza effettiva e con funzione prevalente ed assorbente rispetto agli altri elementi che, legati materialmente o meno ad esso, assumono, comunque, carattere di accessorietà rimanendo ad esso collegati sul piano funzionale in una posizione di subordinazione e coordinazione, mentre nell'affitto di azienda, lo stesso immobile è considerato non nella sua individualità giuridica, ma come uno degli elementi costitutivi del complesso dei beni mobili ed immobili, legati tra di loro da un vincolo di interdipendenza e di complementarietà per il conseguimento di un determinato fine



produttivo, cosicché l'oggetto del contratto risulta proprio il complesso produttivo unitariamente considerato, secondo la definizione normativa di cui all'art. 2555, c.c.[3].

Cominciando con la disamina della disciplina delle locazioni di immobili urbani ad uso diverso da quello di abitazione (artt. 27 e ss. della L. n. 392/1978)[4], si esprimono, in particolare, per quanto qui di interesse, in ordine al regime della disdetta, le seguenti considerazioni.

L'art. 27, comma 1, L. n. 392/1978, dispone che la durata delle locazioni di immobili urbani ad uso (tra gli altri) commerciale non può essere inferiore a sei anni; il successivo art. 28 prevede, al comma 1, il rinnovo delle predette locazioni (ad uso commerciale), tacitamente, di sei anni in sei anni, salvo disdetta da comunicarsi all'altra parte, a mezzo di lettera raccomandata, almeno 12 mesi prima della scadenza e al comma 2 che, alla prima scadenza contrattuale, il locatore può esercitare la facoltà di diniego della rinnovazione soltanto per i motivi indicati dal successivo art. 29, con le modalità e termini ivi previsti.

Dalla lettura combinata delle norme richiamate risulta, alla prima scadenza contrattuale, la rinnovazione del contratto per altri 6 anni, salvo disdetta per le ipotesi e nei termini espressamente previsti. In questo caso, la protrazione del rapporto non costituisce l'effetto di una tacita manifestazione di volontà (incompatibile con il principio secondo cui la volontà dell'Amministrazione deve essere necessariamente manifestata in forma scritta[5]), ma deriva direttamente dalla legge, che rende irrilevante la disdetta quando non sia basata su una delle giuste cause specificatamente indicate dalla norma[6].

Venendo alle ipotesi tassative di disdetta, alla prima scadenza contrattuale, l'art. 29, comma 1, L. n. 392/1978, prevede alla lett. b), nel caso specifico di locatori Pubbliche amministrazioni, enti pubblici o di diritto pubblico, l'intenzione di adibire l'immobile all'esercizio di attività tendenti al conseguimento delle loro finalità istituzionali[7], e alle successive lett. c) e d), rispettivamente, la demolizione dell'immobile per ricostruirlo ovvero procedere alla sua











integrale ristrutturazione o completo restauro e la ristrutturazione dell'immobile per adeguarlo ai piani comunali di commercio[8].

Sempre l'art. 29 richiamato prevede i termini e le modalità dell'esercizio della disdetta: il locatore, a pena di decadenza, deve comunicare la propria volontà di conseguire, alla scadenza del contratto, la disponibilità dell'immobile locato, almeno 12 mesi prima (trattandosi di locazione ad uso commerciale) della scadenza, con lettera raccomandata, specificando, a pena di nullità, il motivo, tra quelli tassativamente indicati, sul quale la disdetta è fondata. Se il locatore non adempie alle indicate prescrizioni, il contratto si intende rinnovato nei termini di legge (per ulteriori 6 anni).

Inoltre, ai sensi dell'art. 79, L. n. 392/1978, è nulla ogni pattuizione diretta a limitare la durata legale del contratto, nonché a superare i limiti di indicizzazione del canone, o ad attribuire al locatore altri vantaggi, in contrasto con la legge medesima, e per effetto della regola generale di cui agli artt. 1339 e 1419, comma 2, c.c.,[9] le norme imperative (sulla durata del rapporto, come sui limiti di indicizzazione del canone, etc.) sostituiscono le clausole difformi eventualmente pattuite tra le parti.

E dunque, venendo al caso di specie e ragionando all'interno della locazione di immobile ad uso commerciale, si osserva che la comunicazione di disdetta risulta fatta dall'Ente con un preavviso, rispetto alla scadenza contrattuale, inferiore a quello di legge (3 mesi, anziché almeno 12) e, d'altro canto, i motivi addotti non sembrano potersi ricondurre a quelli tassativamente indicati dalla legge[10]. Sembra, dunque, conseguirne, il rinnovo per ulteriori 6 anni[11].

Il discorso cambia se la natura del contratto posto in essere è quella dell'affitto di azienda[12] .

L'art. 2562, c.c., dispone, per la regolamentazione del contratto di affitto di azienda, un mero rinvio alla disciplina dettata dall'art. 2561, c.c., in materia di usufrutto di azienda[13]. La giurisprudenza ha esteso all'affitto di azienda l'applicazione delle norme del codice civile in materia di locazione e di affitto[14].

Ciò nonostante, come sopra chiarito, nell'ipotesi di affitto di azienda, è pacifica in giurisprudenza l'inapplicabilità della disciplina vincolistica di cui alla L. n. 392/1978.

In particolare, per quanto qui di interesse, la durata dell'affitto di azienda non è regolata dalla L. n. 392/1978, ma è liberamente determinabile dalle parti[15], in sede di formulazione del regolamento contrattuale, sotto ogni profilo: il periodo, il recesso di entrambe le parti; la sorte del contratto alla scadenza fissata.

Pertanto, la soluzione al quesito posto dipende dalla concreta qualificazione del contratto come locazione di immobile ad uso commerciale, ed in tal caso troverà applicazione la disciplina vincolistica di cui alla L. n. 392/1978, con le conseguenze sopra rappresentate, o come affitto di azienda, sottratto all'applicazione della predetta disciplina, e per il quale varrà quanto definito dalle parti in sede di regolamento negoziale.

In caso di eventuale contenzioso, l'accertamento del ricorrere dell'una o dell'altra fattispecie compete al giudice di merito, la cui indagine muove dalla comune intenzione delle parti e dalla effettiva consistenza dei beni dedotti in contratto[16].





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[1] In generale, la locazione è il contratto col quale una parte (locatore) si obbliga a far godere all'altra (conduttore) una cosa mobile o immobile per un dato tempo verso un determinato corrispettivo (art. 1571, c.c.), mentre si parla di affitto quando il contratto ha per oggetto il godimento di una cosa produttiva (art. 1615, c.c.).

[2] C. Cass., n. 2138/1989, motiva l'inapplicabilità della L. n. 392/1978 all'affitto di azienda, in quanto normativa speciale prevista espressamente per le locazioni di immobili, e giustificandosi la difformità di trattamento con il rilievo che l'azienda costituisce un'entità complessa di beni destinati all'esercizio di un'impresa, con caratteristiche ed esigenze di natura economica, sociale e giuridica tali da distinguerla nettamente da un immobile destinato ad una attività commerciale. Nello stesso senso, C. Cass., n. 6591/1995.

[3] C. Cass., n. 7361/1997. Nello stesso senso, C. Cass., n. 5989/2007; C. Cass., n. 8076/2007; C. Cass., n. 5488/1986; C. Cass., n. 5787/1995.

[4] Il contratto stipulato dall'Ente è denominato contratto di locazione dell'immobile da adibire a punto di ristoro e delle aree attrezzate adiacenti.

[5] Cfr. ex multis, C. Cass., Sez. Un., n. 12769/1991 e C. Cass., n. 9165/2002, secondo cui, in materia di contratti stipulati dalla Pubblica Amministrazione, prevale 'l'esigenza di individuare esattamente l'obbligazione assunta ed il contenuto negoziale dell'atto, agevolando la funzione di controllo e della concreta osservanza dei principi di imparzialità e buon andamento; conseguentemente deve escludersi che si possa ipotizzare la possibilità di tacito rinnovo del contratto per facta concludentia'. Allo stesso modo, nei confronti dei contratti stipulati dalla Pubblica Amministrazione, la giurisprudenza amministrativa afferma il divieto di rinnovo tacito oltre la scadenza convenuta, atteso che non è ammessa la proroga tacita del contratto stipulato con l'Amministrazione, anche quando il contratto alla scadenza non sia stato disdettato (CdS., sez. V, sent. n. 7147/2005).

[6] Corte dei Conti, sezione del controllo per la Regione Sardegna, n. 4/2008. Nello stesso senso, in dottrina: Andrea Altieri, I soggetti pubblici e la legittimità del rinnovo tacito nei contratti di locazione e nella concessione in uso di beni immobili, all'indirizzo web: www.contabilità-pubblica.it.

[7] Al fine di evitare che il generico rinvio ai fini istituzionali dell'ente possa dar luogo ad abusi, la giurisprudenza ha precisato che qualora una pubblica amministrazione intenda adibire l'immobile all'esercizio delle proprie attività istituzionali, non può limitarsi ad un generico rinvio alle attività istituzionali dell'ente, ma deve specificare, pena la nullità del diniego, la concreta attività da svolgere nell'immobile, al fine di consentire al conduttore e all'autorità giudiziaria di verificare la serietà e l'attuabilità dell'intenzione del locatore, nonché in sede contenziosa, la sussistenza delle condizioni per il riconoscimento del diritto di diniego di rinnovo (C.C. 4 maggio 1993/5150).

[8] Per la Suprema Corte, la ricostruzione dell'edificio previa demolizione, comporta la cessazione dell'oggetto del rapporto, generato dal contratto di locazione, che è sostituito da un bene diverso, ancorché riproduca la struttura di quello demolito; l'integrale ristrutturazione comporta, come risultato, la modificazione della struttura dell'edificio che viene ad assumere un diverso modo di essere e, perciò, il sorgere di un quid novi; il completo restauro comporta il ripristino dell'edificio nel suo modo di essere originario, attraverso il quasi integrale rifacimento delle parti distrutte o deteriorate e la eliminazione di aggiunzioni sovrapposte.

La manutenzione straordinaria, viceversa, non consente il diniego di rinnovazione del contratto il quale, alla prima scadenza, è configurabile, ai sensi dell'art. 29, lett. c), soltanto nel caso in cui, a seguito di attività edilizia, l'edificio si presenti ontologicamente o qualitativamente diverso da quello precedente e non pure nell'ipotesi di manutenzione straordinaria, che al pari di quella ordinaria (dalla quale differisce in relazione alla normalità dei lavori, nel senso di ordinaria e periodica ricorrenza, e all'entità della spesa), comporta attività edilizia di conservazione senza creare quel quid novi che è sotteso alla ratio della richiamata disposizione (C. Cass., 19 ottobre 1982, n. 5452).

[9] Si riporta il testo degli artt. 1339 e 1419, comma 2, c.c.:

'Art. 1339. Le clausole, i prezzi di beni o di servizi, imposti dalla legge [o da norme c corporative], sono di diritto inseriti nel contratto, anche in sostituzione delle clausole difformi apposte dalle parti [c.c. 1419, 1679, 1815, 1932, 2066, 2077, 2554, 2936];

'Art. 1419. Comma 2. La nullità di singole clausole non importa la nullità del contratto, quando le clausole nulle sono sostituite di diritto da norme imperative [c.c. 1339, 1500, 1501, 1679, 1815, 1932, 1972, 2066, 2077, 2115]'.

[10] Specificamente, la manutenzione straordinaria non consente, per la Suprema Corte (C. Cass., 19 ottobre 1982, n. 5452), il diniego di rinnovazione del contratto, alla prima scadenza (cfr.: nota 8).

[11] La Cassazione è intervenuta anche in materia di disdetta intimata dal locatore al conduttore alla prima scadenza contrattuale senza l'osservanza dei termini e non motivata a norma dell'art. 29, L. n. 392/1978, quindi 'inidonea di per sé sola a produrre gli effetti suoi propri (il mancato rinnovo della locazione) ': tale disdetta 'determina tuttavia, in caso di adesione del conduttore, la cessazione del rapporto locativo alla data bilateralmente concordata' (C. Cass., n. 11232/2004, che richiama C. Cass. n. 8262/1996).

[12] Alcune clausole contrattuali sembrerebbero, invero, poter anche ricondurre all'affitto di azienda, tenuto conto di alcuni pronunciamenti giurisprudenziali al riguardo. La Corte di Cassazione precisa che trattasi di locazione ad uso commerciale e non di affitto di azienda quando il locatore cede in godimento al conduttore i locali ove esercitare l'attività commerciale e non anche i beni strumentali per detto esercizio (C. Cass., n. 13689/2001) e, da questo punto di vista, il contratto prevede l'assegnazione in locazione degli immobili completi degli arredi, impianti e attrezzature di proprietà del Comune, che il locatario si impegna a mantenere in buono stato e pienamente funzionanti.

Chiarisce, ancora, il Giudice di legittimità che l'affitto di azienda non è condizionato dalla produttività del complesso organizzato dei beni, al momento della conclusione del contratto, essendo sufficiente la potenziale attitudine produttiva, quale prevista e considerata dalle parti contraenti, attitudine da valutarsi peraltro anche in relazione al luogo o alla particolarità del contesto ove si esercita l'impresa (C. Cass., n. 3950/1997) e che l'affitto di azienda può ricorrere anche quando il complesso organizzato dei beni non fosse in grado di funzionare, al momento della conclusione del contratto, per la necessità dell'apporto di altri beni (C. Cass., n. 8076/2007).

[13] L'accostamento codicistico non è ingiustificato in quanto entrambe le fattispecie non comportano il venir meno della proprietà sul complesso aziendale, cfr. C. Cass., n. 2574/1973.

[14] C. Cass., n. 2240/2004, secondo cui nel codice civile tra le norme sulla locazione e quelle sull'affitto, compreso l'affitto di azienda, corre il rapporto tra norme generali e norme speciali, per cui se la fattispecie non è regolata da una norma specificamente prevista per l'affitto dovrà farsi ricorso alla disciplina generale sulla locazione di cose, salva l'incompatibilità con la relativa normazione speciale. Nello stesso senso, C. Cass., n. 993/2002.

[15] La disciplina codicistica sulla locazione e sull'affitto prevede l'autonomia contrattuale delle parti nella determinazione della durata, salva la durata massima di trenta anni (artt. 1571, 1573, 1574, 1616, c.c.).

[16] C. Cass. n. 5787/1995; C. Cass., n. 8076/2007; C. Cass., n. 5488/1986.

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