Data: 2012-04-05 19:40:20

Il regime della tutela dei terzi contro la s.c.i.a.


Il regime della tutela dei terzi contro la s.c.i.a. dopo la manovra di agosto 2011 ed il decreto correttivo del codice del processo amministrativo: un’ interpretazione costituzionalmente orientata per evitare il deficit di effettività.

1. Premessa; 2. Le novità in tema tutela dei terzi controinteressati alla s.c.i.a. contenute nella manovra di agosto 2011 e nel decreto correttivo del  codice del processo amministrativo: raffronto con i precedenti orientamenti giurisprudenziali e, in particolare, con la sentenza n. 15/2011 della Adunanza plenaria del Consiglio di Stato; 3. Limiti alla effettività delle forme di tutela del terzo derivanti dalla natura perentoria del termine per l’esercizio del potere inibitorio: dubbia compatibilità con l’art. 113 Cost.; 4. Tesi dottrinarie che escludono ogni relazione fra l’interesse dei terzi controinteressati e il potere inibitorio esercitabile a seguito della presentazione della s.c.i.a.: critica; 5. Tesi dottrinarie che riconoscono ai terzi la legittimazione a reagire contro il mancato esercizio del potere inibitorio entro il termine previsto ma riducono il tasso di effettività delle tutele da essi esperibili, con particolare riferimento a quella che limita la tutela dei terzi al risarcimento per equivalente: critica; 6. Possibilità di una interpretazione costituzionalmente orientata del comma 6 ter dell’art. 19 della L. 241 del 1990: non operatività del termine perentorio nel caso in cui il procedimento di controllo della s.c.i.a. venga attivato ad istanza di parte.

1.Il legislatore è tornato di recente ad occuparsi della dichiarazione di inizio attività (oggi denominata segnalazione certificata di inizio attività)[1], disciplinando per la prima volta i profili dell’istituto riguardanti le forme di tutela esperibili dai terzi.
In base al nuovo comma 6 ter dell’art. 19 della L. n. 241 del 1990, aggiunto dall’art. 6 del D.L. 138/2011 convertito in legge 148/2011  (la cosiddetta manovra anticrisi) la segnalazione certificata di inizio attività non può essere considerata un provvedimento tacito direttamente impugnabile; gli interessati possono esclusivamente sollecitare le verifiche spettanti all’amministrazione e, in caso di inerzia,  esperire l’azione avverso il silenzio prevista dai commi 1, 2  e 3 del codice del processo amministrativo.
La disposizione chiarisce alcune importanti questioni attinenti la natura della dichiarazione di inizio attività e le forme di tutela esperibili contro di essa dai terzi, questioni assai controverse ed ampiamente dibattute fin dalle origini dell’istituto.
Tuttavia,  l’intervento legislativo se da un lato precisa quali siano le azioni  esperibili dal terzo, dall’altro fa sorgere molti interrogativi in ordine alla attitudine delle stesse ad assicurare una protezione effettiva e completa delle sue ragioni.
Invero, rispetto all’evoluzione giurisprudenziale avutasi sul tema, il legislatore sembra aver compiuto un passo indietro, recependo le soluzioni che la giurisprudenza aveva abbandonato perché non rispondenti al principio di effettività della tutela, e non tenendo conto, invece, delle scelte più coraggiose ed innovative che il giudice amministrativo aveva operato onde assicurare agli interessi dei terzi  una protezione completa e satisfattiva.
Se l’intento del legislatore fosse stato davvero quello di limitare gli spazi di tutela giurisdizionale dei terzi, privilegiando altre categorie di interessi, la scelta si esporrebbe a seri sospetti di incostituzionalità.
Prima di pervenire a tale conclusione occorre, però, verificare se il quadro delle tutele introdotto dal comma 6 ter della L. 241 del 1990 possa, invece,  essere inteso in modo coerente con i principi costituzionali in materia di garanzia delle posizioni soggettive lese dall’illegittimo esercizio del potere amministrativo.
2. Come è noto il dibattito in ordine alle forme di tutela esperibili dal terzo contro la d.i.a. si  è sempre intrecciato alle diverse concezioni relative alla natura giuridica di tale istituto.
Si sono sul punto confrontate due principali correnti di pensiero.
Secondo un primo orientamento la mancata adozione da parte della p.a. delle misure inibitorie dell’attività oggetto della d.i.a. entro il termine di sessanta giorni previsto dalla legge equivarrebbe ad un atto autorizzativo tacito equiparabile al silenzio assenso[2].
In base ad una diversa impostazione, invece, la d.i.a. non potrebbe essere assimilata al silenzio assenso in quanto la sua peculiarità consisterebbe proprio nella liberalizzazione di determinate attività il cui inizio  costituirebbe un diritto del cittadino non più sottoposto ad un preventivo atto di assenso della p.a., ma solo ad un sistema di controlli successivi di tipo repressivo[3].
I fautori della predetta tesi avevano in un primo momento ritenuto che la tutela dei terzi avverso la d.i.a. dovesse esplicarsi attraverso le forme del silenzio inadempimento, postulando, con ciò, la sussistenza di un obbligo dell’amministrazione di adottare le misure inibitorie dell’attività intrapresa sulla base di una dichiarazione priva dei necessari requisiti[4].
Si era tuttavia obiettato che l’obbligo di intervento repressivo  della p.a. non potrebbe più ritenersi sussistente dopo la scadenza del termine perentorio  previsto dalla legge per l’esercizio potere inibitorio; sicchè lo strumento del silenzio inadempimento non avrebbe potuto fornire al terzo (normalmente ignaro della decorrenza del termine) alcuna effettiva tutela.
Una parte della giurisprudenza aveva, quindi, ritenuto che tale ostacolo potesse essere superato considerando esperibile da parte del terzo un’azione di accertamento della non conformità a legge della d.i.a., azione del tutto indipendente dall’obbligo della p.a. di adottare le eventuali  misure inibitorie entro il sessantesimo giorno dalla presentazione della dichiarazione, ma, al contempo, capace di produrre un effetto conformativo dell’azione amministrativa indipendente dalla scadenza del predetto termine[5].
Questa impostazione, non esente da pecche già all’origine, è entrata definitivamente in crisi dopo il varo del codice del processo amministrativo che, come è noto, non contempla l’azione di accertamento nel catalogo degli strumenti di tutela esperibili innanzi al giudice amministrativo[6]. 
La questione delle azioni esperibili dal terzo avverso la d.i.a. (nel frattempo divenuta s.c.i.a.) è stata, quindi rimessa alla Adunanza plenaria del Consiglio di Stato, la quale, pur rimanendo fedele alla concezione che vede nell’istituto uno strumento di liberalizzazione delle attività private, ha, nondimeno, ritenuto che l’azione ordinaria di cui egli può avvalersi per tutelare le proprie ragioni è quella di annullamento[7].
Oggetto della impugnativa, secondo il plenum del Consiglio di Stato, non sarebbe, tuttavia, un tacito atto di assenso della p.a., bensì un tacito atto di diniego dell’esercizio dei poteri inibitori che si perfezionerebbe una volta decorso il termine perentorio per la conclusione del procedimento di controllo sulla conformità della dichiarazione di inizio attività.
Solo eccezionalmente, a giudizio dell’Adunanza plenaria, il terzo potrebbe esperire un’azione di accertamento; ciò sarebbe consentito solo qualora egli abbia necessità di impedire al dichiarante di dare inizio all’attività ancora prima della scadenza del termine entro cui l’amministrazione può disporne la cessazione[8], per impedire il prodursi di un pregiudizio grave ed irreparabile.
Nel disegno dalla plenaria trova poi posto anche l’azione di adempimento che il terzo potrebbe esperire congiuntamente a quella di annullamento e di accertamento al fine di ottenere la condanna della p.a. al rilascio della richiesta misura inibitoria.
La ricostruzione del sistema delle tutele del terzo operata dalla Adunanza plenaria non è stata, tuttavia, recepita nelle modifiche apportate alla disciplina della s.c.i.a. dalla manovra di agosto del 2011.
Il comma 6 ter dell’art. 19 della L. 241/90 esclude, infatti, che il silenzio serbato dall’amministrazione dopo la scadenza del termine di sessanta giorni dalla presentazione della s.c.i.a. possa assumere la valenza di un provvedimento tacito.
In tal modo viene definitivamente superata la concezione che assimilava la segnalazione certificata di inizio attività al silenzio assenso[9].
Ma il significato della proposizione normativa va oltre ed implica anche il rifiuto dell’idea che la reazione giurisdizionale del terzo possa avere ad oggetto un provvedimento fittizio di diniego al quale non corrisponde un effettivo esercizio della funzione amministrativa di controllo della s.c.i.a.[10].
Il legislatore ha, così, voluto che la tutela del terzo debba essere necessariamente mediata da una pronuncia espressa dell’amministrazione ed ha ricondotto le forme di reazione giurisdizionale da egli esperibili alle canoniche azioni avverso silenzio e di annullamento, allineando così il sistema delle tutele previsto in materia di s.c.i.a. a quello del codice del processo amministrativo[11].
Tale scelta è stata confermata anche dal decreto correttivo del codice del processo amministrativo emanato pochi mesi dopo il D.L. 138 del 2011[12].
L’intervento correttivo ha, infatti, ridefinito l’ambito della giurisdizione esclusiva del g.a. in materia di s.c.i.a., precisando che appartengono ad essa le controversie relative al silenzio ed ai provvedimenti espressi adottati dall’amministrazione su sollecitazione del terzo ai sensi del comma 6 ter dell’art. 19 della L. 241/1990.
Il decreto correttivo si è altresì preoccupato di adattare l’azione sul silenzio all’esigenza del terzo di impedire che l’attività sia intrapresa da parte del dichiarante prima della scadenza del termine entro cui l’amministrazione può inibirne l’inizio o la prosecuzione. A tal fine l’art. 31 comma 1 del codice è stato modificato prevedendo che, ove consentito dalla legge, il giudizio sul silenzio possa essere intrapreso anche prima del decorso del termine per la conclusione del procedimento[13].
3. Come si è anticipato, la scelta di individuare esclusivamente nelle azioni sul silenzio e di impugnazione di provvedimenti espressi gli strumenti di tutela giurisdizionale a disposizione dei terzi controinteressati rispetto alla s.c.i.a., presenta profili di criticità con riguardo alla effettività della protezione che siffatti mezzi possono garantire.
Rimane, infatti, aperto il problema su come le predette forme di tutela possano conciliarsi con il termine perentorio stabilito dalla legge per l’adozione delle misure inibitorie.
Al riguardo si è osservato che la possibilità di esperire l’azione sul silenzio presuppone la sussistenza di un obbligo dell’amministrazione di adottare le misure  richieste dal terzo, obbligo che, tuttavia, non può più ritenersi esistente allorchè il potere di cui si invoca l’esercizio si  consumi per effetto del decorso del termine perentorio previsto dalla legge per il suo esercizio[14].
Se si accetta tale ordine di idee, i poteri sollecitatori che le nuove disposizioni riconoscono al terzo potrebbero essere efficacemente esercitati solamente nei casi in cui la legge consenta un intervento repressivo tardivo della p.a., e cioè laddove la s.c.i.a. sia basata su certificazioni o attestazioni mendaci oppure quando l’attività intrapresa senza i necessari requisiti metta in pericolo taluni beni sensibili puntualmente individuati[15].
Al di fuori delle predette ipotesi o il terzo riesce ad ottenere un provvedimento giurisdizionale che costringa la p.a. ad inibire l’attività prima della scadenza del termine, oppure rimane privo di tutela (o, almeno, come meglio vedremo,di tutela in forma specifica).
Tutto ciò, secondo una acuta prospettazione dottrinaria, non comporterebbe alcuna violazione del principio di effettività della tutela giurisdizionale sancito dall’art. 24 della Costituzione. Infatti, la tutela giurisdizionale dovrebbe modellarsi sulla disciplina sostanziale degli istituti da cui le posizioni soggettive traggono origine: sicchè, il fatto che la tutela dei terzi sia possibile nei limiti in cui l’amministrazione conservi il potere di adottare provvedimenti conformi al loro interesse, costituirebbe un evenienza del tutto fisiologica quando vengono in gioco posizioni di interesse legittimo[16].
La predetta tesi, ad una più attenta considerazione,  si rivela però insoddisfacente.
La mancata adozione delle misure inibitorie entro la scadenza del termine perentorio non può, infatti, considerarsi solo come una vicenda estintiva del potere[17].
L’amministrazione che lasci inutilmente scadere il termine per adottare le misure repressive contro l’attività intrapresa sulla base di una s.c.i.a. priva dei necessari requisiti viola un dovere ad essa imposto dalla legge[18]. E ove tale violazione incida su posizioni differenziate e qualificate di terzi deve esservi la possibilità per questi di agire in giudizio per far valere i propri interessi, venendo, altrimenti, meno la garanzia della giustiziabilità del potere amministrativo prevista dall’art. 113 della Costituzione[19] la quale, come oramai è pacificamente riconosciuto, si estende a tutti i moduli di  azione  delle amministrazioni pubbliche ricomprendendo a pieno titolo tutti i silenzi ed i meri comportamenti materiali[20].
4. Per il vero tale assunto non può dirsi del tutto pacifico in dottrina.
Si è, infatti, ritenuto che con il passaggio dal modulo della autorizzazione a quello della d.i.a. (ed ora della s.c.i.a.)  la lesione subita dal terzo per effetto dell’inizio della attività non potrebbe più essere imputata ad un’attività della p.a. ma solo ad una atto di iniziativa privata (quale è la d.i.a.) che trae la sua fonte di legittimazione direttamente dalla legge. Per cui il terzo dovrebbe far valere le proprie ragioni non più nei confronti dell’amministrazione ma solo nell’ambito dei rapporti interprivati[21].
Tale tesi è stata, tuttavia, superata nel dibattito più recente[22] nel quale è prevalsa la considerazione che la possibilità del terzo di agire sul piano dei rapporti interprivati non può escludere il diritto di esperire i rimedi avverso l’illegittimo esercizio del potere amministrativo che  nella d.i.a. non scompare ma assume le forme del controllo successivo di carattere repressivo  anziché quello preventivo, tipico dei procedimenti autorizzatori[23].
Una diversa teoria, pur ammettendo che la sottoposizione a d.i.a. di una determinata attività non farebbe venir meno una relazione giuridicamente qualificata fra i terzi e la pubblica amministrazione, ritiene, tuttavia, che il potere  che questi sono interessati ad attivare non sarebbe quello di controllo successivo sulla dichiarazione previsto dall’art. 19 della L. 241 del 1990, ma quello di repressione delle attività illecite previsto dalle singole normative di settore. Chi intraprende un’attività in base a d.i.a. lo farebbe, infatti,  sempre a suo rischio e sotto la sua responsabilità, rimanendo soggetto (anche dopo la scadenza del termine di sessanta giorni dalla sua presentazione) al potere sanzionatorio della p.a. del quale i terzi sarebbero sempre legittimati a chiedere l’attivazione[24].
Si è tuttavia osservato che le discipline di settore non sempre  colpiscono l’esercizio abusivo di determinate attività attraverso misure ripristinatorie o inibitorie, limitandosi, spesso, a prevedere solo sanzioni pecuniarie la cui comminazione non arreca al terzo alcun vantaggio[25].
Inoltre, la distinzione delle sanzioni ripristinatorie dalle misure inibitorie è in realtà del tutto artificiosa in quanto le prime, non avendo una funzione meramente punitiva, ma di tutela del pubblico interesse pregiudicato dall’esercizio abusivo della attività, finiscono col coincidere sul piano funzionale ed anche strutturale con gli ordini di ripristino e cessazione che la p.a. deve adottare ai sensi dell’art. 19 della L. 241 del 1990 nel verificare la conformità della s.c.i.a.[26]
5. Consapevole dei limiti delle suesposte tesi la dottrina più recente ha riconosciuto che la tutela dei terzi debba necessariamente correlarsi al potere di controllo successivo che l’amministrazione deve esercitare a seguito della presentazione della segnalazione certificata di inizio attività.
A tale riconoscimento non ha fatto, tuttavia, seguito l’individuazione di rimedi pienamente satisfattivi dell’interesse leso.
A giudizio di alcuni autori, infatti, il silenzio serbato dalla p.a. dopo la scadenza del termine di sessanta giorni dalla presentazione della d.i.a. non estinguerebbe il potere di inibire le attività intraprese in assenza dei necessari requisiti ma ne renderebbe l’esercizio discrezionale dovendo la p.a. valutare se  gli interessi pubblici lesi dall’attività non conforme siano prevalenti  rispetto all’affidamento ingenerato dal mancato esercizio nei termini del potere inibitorio ordinario[27]. La possibilità del terzo di sollecitare l’attivazione di un siffatto potere discrezionale, esperendo in caso di inerzia il giudizio sul silenzio, in base a questa impostazione,  metterebbe al riparo la previsione legislativa del termine decadenziale dalla possibile censura di incostituzionalità per violazione dell’articolo 113 Cost.[28]
La predetta tesi, elaborata in relazione al testo dell’art. 19 della L. 241 del 1990 precedente alla modifiche apportate dal D.L. 178 del 2010[29], non sembra, tuttavia, coerente con la attuale formulazione della norma che circoscrive le ipotesi in cui è possibile un intervento tardivo della p.a. ai soli casi in cui l’attività intrapresa sulla base di una s.c.i.a. non conforme a legge metta in pericolo alcuni  interessi sensibili  puntualmente individuati[30]. L’avverbio “solo”, contenuto nel quarto comma della disposizione, preclude, quindi, alla  p.a., di esercitare un potere di intervento tardivo in ipotesi diverse da quelle indicate dalla legge, con la conseguenza di lasciare, ove non sussista alcuna lesione di interessi sensibili,  l’interesse legittimo del terzo privo di ogni residua forma di tutela[31].
Ma anche a prescindere da tale rilievo, la tesi in discorso non è, comunque, idonea a garantire un’effettiva tutela dei terzi di fronte al  mancato esercizio del potere di controllo  sulla segnalazione certificata di inizio attività.
Infatti, la scadenza del termine perentorio, all’uopo stabilito, dà luogo ad una lesione autonoma che non trova adeguato rimedio nella possibilità di attivare il procedimento di riesame perchè il potere di autotutela (essendo connotato da discrezionalità) non garantisce all’interessato le stesse utilità che derivano dal tempestivo esercizio dell’ordinario potere di controllo (che ha carattere vincolato) la cui (illegittima) omissione mantiene, perciò, un’autonoma carica lesiva che rimane sfornita di ogni rimedio[32].
Di ciò sembra avvedersi  altra dottrina secondo cui l’omessa adozione  dei provvedimenti inibitori entro il termine perentorio arreca all’interesse legittimo dei terzi una lesione definitiva che, non potendo trovare rimedio attraverso il giudizio sul silenzio (posto che non può sussistere l’obbligo di esercitare un potere non più esistente), nè attraverso il giudizio di annullamento (non essendovi alcun atto da impugnare), potrebbe essere riparata solo mediante il risarcimento del danno[33].
La tenuta sul piano costituzionale di tale soluzione merita, tuttavia, qualche ulteriore riflessione.
Anche qualora si accetti l’idea secondo cui  rientrerebbe nella discrezionalità del legislatore escludere in determinati casi che la tutela degli interessi legittimi possa avvenire attraverso l’annullamento del provvedimento e  degli altri strumenti atti ad incidere sull’azione amministrativa[34], nondimeno, tali scelte, riguardando diritti costituzionalmente garantiti, devono essere operate secondo un criterio di ragionevolezza[35].
Quando si affronta l’argomento della tutela del terzo nell’ambito della d.i.a. si è soliti affermare che i suoi  limiti dipenderebbero dall’esigenza  di garantire certezza e stabilità all’assetto di interessi prefigurato nella dichiarazione che non potrebbe restare in perenne balia di un intervento repressivo dell’amministrazione[36].
A tale osservazione si può, tuttavia, agevolmente  replicare che le esigenze di certezza e stabilità dei rapporti di diritto pubblico non impongono la riduzione della garanzia giurisdizionale delle posizioni soggettive, ma vengono normalmente con essa contemperate.
Questo, di regola, avviene attraverso i meccanismi che disciplinano l’impugnabilità del provvedimenti amministrativi i quali prevedono che l’azione di annullamento debba essere esperita entro un breve termine decadenziale trascorso il quale gli effetti del provvedimento si consolidano a dispetto anche della sua eventuale illegittimità.
E’ vero che tali meccanismi non sono automaticamente trasponibili nella fattispecie della s.c.i.a. in quanto  essa non contempla un atto impugnabile dal terzo. Tuttavia, non sarebbe difficile individuare strumenti di coordinamento adatti alla struttura dell’istituto: ad esempio, prevedendo un termine entro il quale il controinteressato che sia venuto a conoscenza della dichiarazione di inizio attività sia legittimato a chiedere  alla p.a. di esercitare il potere inibitorio o repressivo.
Nè sarebbe lecito argomentare che l’assenza di strumenti di coordinamento fra le esigenze di consolidamento della s.c.i.a. e quelle di tutele dei terzi costituirebbe una scelta voluta dal legislatore nel quadro della complessiva operazione di semplificazione delle procedure e liberalizzazione delle attività economiche per far si che queste, una volta decorso il termine per l’esecuzione del controllo, possano dispiegarsi senza  essere ostacolate da contenziosi amministrativi.
Una concezione della liberalizzazione che includa anche la funzione giurisdizionale nell’ambito dei vincoli statali da cui le attività economiche devono essere affrancate appare, invero, eccessiva e palesemente squilibrata.
Non che manchino recenti esempi in cui il legislatore ha privilegiato la tutela risarcitoria rispetto a quella in forma specifica al fine di non intralciare lo svolgimento di determinate attività[37]. Ma tali interventi hanno riguardato un particolare settore di cruciale rilevanza strategica per il Paese, come quello degli appalti pubblici, e, inoltre, hanno di volta in volta bilanciato, attraverso specifici criteri, i casi in cui l’esigenza di far proseguire l’appalto prevalga sull’interesse  leso dalla sua illegittima aggiudicazione.
Una indiscriminata esclusione della tutela specifica dei terzi per tutte le attività sottoposte al regime della s.c.i.a. non  appare, invece, come una scelta altrettanto razionale e bilanciata, in quanto la garanzia della tutela giurisdizionale delle posizioni soggettive viene in tal modo ad essere ridotta a prescindere da ogni considerazione di interesse pubblico che non sia quello generico alla liberalizzazione. Senza contare poi che        l’adozione del modello della s.c.i.a. – con le conseguenti ricadute in ordine alla tutela dei terzi -  può dipendere da scelte dei legislatori regionali (che non dovrebbero incidere sui livelli di tutela giurisdizionale) o addirittura da opzioni  degli stessi soggetti che intendono dare inizio alla attività[38].
6. Delle difficoltà sopra evidenziate si era, peraltro, fatta carico quella parte della giurisprudenza amministrativa che, pur attraverso forzature del dato normativo, aveva attribuito al silenzio serbato dalla p.a. dopo la presentazione della s.c.i.a. natura provvedimentale, o, comunque, aveva riconosciuto ai terzi lesi la possibilità di esperire un’azione di accertamento.
Oggi che tali possibilità sono state definitivamente escluse da parte del legislatore ci si deve interrogare sul fatto se residuino ancora opzioni ermeneutiche che consentano di attribuire alla nuova disciplina un significato conforme ai precetti costituzionali (e tale, per le ragioni già viste, non potrebbe essere una soluzione che individui gli strumenti di tutela del terzo nell’istanza di attivazione dei poteri di intervento tardivo della p.a. oppure nella sola azione risarcitoria).
A tale domanda sembra potersi dare una risposta affermativa.
Il comma 6 ter dell’art. 19 della L. 241 del 1990, come si è detto, pone a carico della p.a. un obbligo di provvedere sulle istanze tese a provocare l’esercizio delle verifiche sulla segnalazione certificata di inizio attività.
Si tratta di un obbligo diverso rispetto al dovere officioso di controllo previsto dal terzo comma del predetto articolo in quanto non trae origine dalla presentazione della s.c.i.a. ma da una istanza  formulata da chi abbia interesse alla adozione  delle misure inibitorie dell’attività[39].
L’istanza obbliga, quindi,  l’amministrazione ad aprire un nuovo procedimento di controllo[40] ed a concluderlo, questa volta, con un provvedimento espresso il quale, diversamente dal silenzio non attizio con cui si chiude il procedimento officioso, potrà essere impugnato dall’interessato.
Nulla impone di ritenere che il procedimento che la p.a. deve aprire ad istanza del controinteressato possa avere ad oggetto solo i suoi poteri di intervento tardivo.
Tale conclusione si fa normalmente discendere dal fatto che dopo il decorso del termine di sessanta giorni dalla presentazione della s.c.i.a. il potere ordinario di verifica si consumerebbe e non potrebbe, quindi, essere più esercitato né d’ufficio né ad istanza di parte.
La riproposizione di tale assunto nell’attuale quadro normativo non tiene però nella giusta considerazione gli elementi di novità introdotti dal D.L. n. 38 del 2011.
Il legislatore ha inteso, infatti, affiancare al tradizionale procedimento officioso della s.c.i.a. un nuovo ed autonomo procedimento ad istanza di parte che segue regole sue proprie, ed ha fatto ciò allo specifico fine  di rimediare alle insufficienze del precedente modello che non offriva ai terzi idonei mezzi di tutela in caso di inerzia della p.a. nell’esercizio dell’ordinario potere di controllo sulla conformità della dichiarazione.
Sicchè, il tradizionale modulo  basato sulla previsione di un termine decadenziale per l’esecuzione delle verifiche e sulla conclusione del procedimento mediante semplice archiviazione[41] nel caso di esito positivo del controllo, convive ora in parallelo con un diverso schema che si basa, invece, sulla necessità di concludere il procedimento ad istanza di parte con un atto espresso (anche di contenuto negativo) e con la natura di silenzio inadempimento della mancata adozione del provvedimento richiesto entro il termine previsto[42].
Ne consegue che la decorrenza del termine previsto dal terzo comma dell’art. 19 non determina affatto la consumazione del potere della p.a. di verificare di conformità della s.c.i.a. ma, più semplicemente, segna la conclusione (non attizia) del procedimento officioso[43] di controllo ordinario che ne costituisce solo una delle possibili manifestazioni.
L’esaurirsi del  modulo procedimentale previsto dal terzo comma della norma rimane, invece, del tutto ininfluente ai fini della tutela dei terzi che potranno sempre  chiedere che l’amministrazione si pronunci espressamente in ordine alla conformità o meno a legge della segnalazione certificata.
Certamente, non avendo il legislatore previsto alcun termine per la proposizione della istanza di intervento inibitorio da parte del terzo, l’interpretazione della norma sopra proposta lascia esposto il dichiarante alla perenne possibilità che soggetti controinteressati possano promuovere siffatte iniziative.
Ciò, tuttavia, non costituisce una novità tale da snaturare il modello il quale ha come suo epicentro la possibilità di dare inizio ad una determinata attività senza la necessità di un previo atto di assenso – sostituito dalla semplice segnalazione - ma non anche la certezza che, trascorso un certo lasso di tempo, anche l’attività illecitamente intrapresa possa proseguire indisturbata. Prova ne è che mentre la mancanza di un provvedimento di assenso ha costituito una nota costante nella evoluzione legislativa dell’istituto, la disciplina delle conseguenze della scadenza del termine per l’adozione delle misure inibitorie è stata modificata tutte le volte in cui il legislatore è intervenuto per riformarlo, nel tentativo di raggiungere un equilibrio accettabile fra la tutela degli interessi pubblici e le esigenze di stabilità e certezza nello svolgimento della attività privata non più garantite dalla presenza di un provvedimento[44].
Non deve apparire, perciò, strano che, con l’irrompere della figura dei terzi nella regolamentazione legislativa della s.c.i.a., la valenza del termine per l’esecuzione della verifica di conformità subisca ulteriori e consequenziali adattamenti.
Piuttosto occorre chiedersi se la mancata previsione di un termine per la proposizione della istanza di intervento inibitorio da parte dei terzi non vada a sua volta ad incidere su posizioni costituzionalmente garantite.
In realtà non pare che la stessa regola della impugnabilità dei provvedimenti amministrativi entro un breve termine decadenziale, seppure ricorrente nella legislazione, possa considerarsi costituzionalmente necessitata[45].
A maggior ragione, quindi, non sembra potersi assegnare copertura costituzionale all’obiettivo di stabilizzare l’assetto di interessi prefigurato dalla s.c.i.a. che non trova fondamento in un provvedimento della autorità amministrativa, ma deriva da un atto di iniziativa autocertificata del privato, inidoneo – da solo - a generare affidamenti meritevoli di considerazione[46].


[1] E’ in tal modo che l’istituto è stato ribattezzato ad opera del D.L. n. 78 del 2010.
[2] In dottrina, a favore di tale tesi si vedano, M. FILIPPI, La nuova d.i.a. e gli incerti confini con il silenzio assenso in Riv. Giur. Urb. 2006, p. 378; per la giurisprudenza, Cons. Stato, VI, 5/04/2007 n. 1550 in Urb. E App. 2007, 1265).
[3]  Per liberalizzazione, secondo la dottrina, deve intendersi il superamento per l’accesso ad un determinato mercato o lo svolgimento di una certa attività del regime amministrativo incentrato sulla previa acquisizione di un titolo abilitativo autorizzatorio o concessorio (A. TRAVI, La liberalizzazione, in Riv. trim. dir. pubbl., 1998, p. 645). La liberalizzazione si distingue tuttavia dalla deregolamentazione perché non comporta la totale scomparsa di una disciplina pubblicistica relativa ai presupposti ed alla conformazione della attività, né esclude il permanere di un controllo pubblico il quale, tuttavia, non condiziona il diritto di intraprenderla, ma si svolge in un momento successivo in forma di potestà di conformazione  e repressione.
[4] Cons. Stato, VI, 4/09/2002 n. 4453; Consiglio Stato. IV, 22 luglio 2005  n. 3916 che opera una distinzione fra potere inibitorio previsto dalla disciplina sulla dia e ordinario  potere sanzionatorio. La tutela del terzo sarebbe correlata all’esercizio obbligatorio di quest’ultimo potere esercitabile dalla p.a. senza limiti di tempo.
[5] Si tratta della nota sentenza Cons. St., Sez. VI, 9.3.2009 n. 717 commentata, fra gli altri da G. MANNUCCI, La necessità di una prospettiva obbligatoria per la tutela del terzo nel modello della d.i.a., in Giorn. dir. amm., 2009, 1079 ss.;
[6] Anche se una parte della dottrina ritiene che le azioni previste dal codice del processo amministrativo non esaurirebbero il novero di quelle possibili in quanto lo stesso codice sarebbe ispirato al principio della atipicità delle forme di tutela. In tal senso M. CLARICH, Le azioni nel processo amministrativo fra reticenze del codice e apertura a nuove tutele, in www.giustizia-amministrativa.it;  L. TORCHIA, Le nuove pronunce e l’ambito di decisione del giudice, intervento al 56° Convegno di studi amministrativi di  Varenna, 23-25 settembre 2010, secondo cui “il codice consente al giudice di pronunciare sentenze di condanna…indipendentemente dal tipo di situazione soggettiva fatta valere in giudizio” i cui “possibili contenuti.. sono indefiniti, e, quindi, non circoscritti a specifiche misure..”.  Per una panoramica del dibattito si consenta di rinviare a R. GISONDI, Nuovi strumenti di tutela nel codice del processo amministrativo in www.giustizia-amministrativa.it.
[7] Si tratta della nota sentenza n. 15 del 29/07/2011 edita nelle principali riviste di settore e commentata, fra gli altri, da C. LAMBERTI, L’Adunanza plenaria si pronuncia sulla DIA in Urbanistica ed Appalti n. 10 del 2011, A. TRAVI, La tutela del terzo nei confronti della dia (o della s.c.i.a.): il codice del processo amministrativo e la quadratura del cerchio in Foro It., 2011, III, 517 e ss., E. ZAMPETTI, D.i.a. e s.c.i.a. dopo l’Adunanza Plenaria n. 15/2011: la difficile composizione del modello sostanziale con il modello processuale in Dir. Amm. 2011; A.M. SANDULLI, Brevi considerazioni a prima lettura della Adunanza plenaria n. 15 del 2011, C.E. GALLO L’articolo 6 della manovra d’estate e l’Adunanza plenaria n. 15 del 2011: un contrasto solo apparente.
[8] Come è ora possibile a seguito della nuova disciplina dell’istituto introdotta dal comma 4 bis dell’art. 49 del D.L. 78 del 2010 che ha sancito la trasformazione della d.i.a. in s.c.i.a. .
[9] Con ciò il legislatore ha inteso ribadire il forte legame esistente fra la segnalazione certificata di inizio attività e i processi di liberalizzazione di determinate attività economiche, rifiutando definitivamente l’idea che il loro esercizio possa ancora essere subordinato ad un preventivo atto di assenso, ancorchè tacito, della pubblica amministrazione.
[10] Rilevano che nella ricostruzione proposta dalla Adunanza plenaria del Consiglio di Stato la qualificazione della mancata attivazione dei poteri inibitori entro il termine previsto dal terzo comma dell’art. 19 della L. 241/90 alla stregua di un  silenzio diniego costituisce un mero espediente volto a creare un presupposto processuale che consenta al terzo di chiedere al g.a. la verifica di conformità della s.c.i.a. non effettuata dalla p.a. anche A. TRAVI, La tutela del terzo nei confronti della dia cit. e E. ZAMPETTI, D.i.a. e s.c.i.a. dopo l’Adunanza Plenaria, cit.
[11] Secondo il quale, come è noto, la reazione del cittadino contro l’illegittimo esercizio del potere amministrativo deve ricollegarsi alle due  patologie tipiche dell’attività amministrativa autoritativa quali il provvedimento illegittimo (che, salvo i casi di silenzio assenso, deve essere espresso) ed il silenzio inadempimento.
[12] Si tratta del D.Lgs. n. 195 del 2011.
[13] A differenza di quanto affermato dalla sentenza n. 15/2011 della Adunanza plenaria l’esigenza di un immediato intervento repressivo della p.a. non è soddisfatta ammettendo l’esperibilità di un’azione di accertamento, ma adattando opportunamente la disciplina di quella sul silenzio. La diversità delle due impostazioni non è solo teorica ma anche pratica in quanto il terzo, anche qualora voglia ottenere l’intervento anticipato della p.a., avrà comunque l’onere di sollecitare una pronuncia della stessa da adottarsi nell’arco di un termine breve da egli all’uopo fissato in base alle circostanze e potrà esperire il giudizio sul silenzio solo in caso di inerzia della p.a.
[14] A TRAVI, La DIA e la tutela del terzo fra pronunce del GA e riforme legislative del 2005 in Urb, e App, 2005, p. 1325 e ss. Anche qualora la sollecitazione dell’intervento inibitorio ordinario intervenisse prima della scadenza del termine perentorio che ne determina la consumazione il mancato intervento della p.a. non potrebbe essere  sanzionato attraverso l’azione sul silenzio atteso il fatto che né l’istanza né l’introduzione del giudizio possono avere l’effetto di sospendere il decorso del predetto termine. Sul punto. E. BOSCOLO, Diritti soggettivi a regime amministrativo. L’art. 19 della L. 241/1990 ed altri modelli di liberalizzazione, Padova, 2001, p. 243.
[15] Come prevedono i commi 3° e 4° dell’art. 19 della L. 241 del 1990.
[16] E’ questa la critica che A. TRAVI in La tutela del terzo nei confronti della dia, cit.  rivolge agli orientamenti giurisprudenziali che, partendo apoditticamente dall’assunto secondo cui il terzo dovrebbe sempre e comunque disporre di un’azione idonea ad assicurare la piena soddisfazione del suo interesse alla repressione della attività intrapresa in base ad una s.c.i.a.  priva dei necessari requisiti, hanno ritenuto di attribuirgli la possibilità di esperire prima l’azione di accertamento e poi quella di annullamento di un provvedimento tacito di diniego. L’autore osserva che tale impostazione anziché costruire le azioni esperibili dal terzo in aderenza alla disciplina sostanziale del potere finisce per forzare il dato sostanziale asservendolo alle forme di tutela prescelte: se è vero che la scadenza del termine perentorio determina l’estinzione del potere e, quindi, dell’obbligo dell’amministrazione di provvedere, l’eventuale accertamento postumo della mancanza dei requisiti per dare inizio alla attività, ancorchè compiuto in via giurisdizionale, non può creare un obbligo di provvedere che, in base alla legge, l’amministrazione non ha più. E, del pari, per consentire al terzo di esperire un’azione di annullamento che gli consenta di provocare “ora per allora” l’attivazione del potere inibitorio non tempestivamente esercitato, non è possibile fingere (senza alcuna base legale) che il silenzio tenuto dall’amministrazione dopo la scadenza del sessantesimo giorno dalla presentazione della segnalazione certificata costituisca una forma tacita di esercizio negativo del potere inibitorio.
[17] A. TRAVI, Silenzio assenso, denuncia di inizio attività e tutela dei terzi controinteressati, in Dir. Proc. Amm., 2002, p. 16 e ss. secondo cui la scadenza del termine perentorio non estingue l’interesse legittimo, ma estingue il potere.
[18] E’ assolutamente prevalente in dottrina l’opinione che il potere amministrativo di controllo della dichiarazione  ha carattere doveroso, non essendovi alcuna discrezionalità dell’amministrazione né in ordine all’an né al quomodo del suo esercizio (che dipende dal mero riscontro di difformità della attività dalla legge). In tale senso E. BOSCOLO, Diritti soggettivi a regime amministrativo cit. p. 134 e ss. Ne trae le dovute conseguenze  W. GIULIETTI, Attività privata e potere amministrativo, il modello della dichiarazione di inizio attività, Torino, 2008, p. 182 secondo cui il comportamento inerte della p.a. in caso di non conformità della segnalazione deve ritenersi un modo illegittimo di esercizio del potere inibitorio.
[19] W. GIULIETTI, Attività privata e potere amministrativo, cit.. p. 217. L’Autore richiama il pensiero di  E. CANNADA BARTOLI, Principio soggettivo nel processo amministrativo ed interesse a ricorrere, in Foro Amm. 1963; I p. 334,  secondo cui “il limite negativo della costruzione dell’interesse  legittimo è dato dall’azione popolare, il limite positivo è dato dal principio costituzionale dell’impugnabilità di ogni atto amministrativo” .
[20] In tal senso N. SAITTA, commento all’art. 113 in Commentario alla Costituzione diretto da Raffaele Bifulco, Alfonso Celotto e Marco Olivetti, Torino, 2008
[21] A. DE ROBERTO, Silenzio Assenso e legittimazione ex lege nella legge Nicolazzi, in Dir. Soc., 1983, p. 163 e ss. Ma, ancora di recente si è affermato che la d.i.a. (o la s.c.i.a.) è strumento di «liberalizzazione», in forza del quale la posizione giuridica del privato che avvia l’attività si qualifica essenzialmente come diritto soggettivo; nei confronti dell’esercizio di un tale diritto, la tutela del terzo inerisce a un rapporto fra privati ed è, quindi,  demandata al giudice ordinario (A. TRAVI, La tutela del terzo nei confronti della d.i.a. cit. L’Autore, comunque, ammette che “tutto ciò non esclude che, in talune ipotesi, possa porsi un problema (non di lesione del diritto alla tutela giurisdizionale, ma) di irragionevolezza grave, tale da determinare dubbi di legittimità costituzionale”).
[22] E’ dubbio, altresì, che interessi che non assurgono al grado di diritti soggettivi, come spesso sono quelli dei terzi controinteressati, possano trovare adeguata tutela attraverso i rimedi del diritto privato. Anche a volerne ammettere la risarcibilità sul piano della responsabilità civile (a seguito della sentenza n. 500 del 1999 delle Sezioni Unite della Cassazione che dispiega i suoi riflessi anche nei rapporti interprivati), difficilmente si potrebbero estendere anche ad essi le forme di tutela specifiche previste a protezione dei diritti soggettivi.
[23] V. CERULLI IRELLI, Modelli procedimentali alternativi in tema di autorizzazione, in Dir. Amm., 1993, 55 e ss. Del resto è pacifico che la titolarità di un diritto soggettivo ben può assumere il rango di “posizione legittimante” ai fini della tutela innanzi al giudice amministrativo  allorchè il diritto si relazioni con l’esercizio di un potere amministrativo (E. CANNADA BARTOLI, Il diritto soggettivo come presupposto dell’interesse legittimo, in Riv. Trim Dir. Pubbl., 1953, III, p. 334 e ss)  E, del pari, anche la tesi che individua il connotato peculiare dell’interesse legittimo nella strumentalità rispetto ad un bene finale (che resta esterno alla posizione  soggettiva), ammette che il bene finale intorno al quale ruota quello strumentale ben può avere la consistenza di un diritto soggettivo (F.G. SCOCA, Il Silenzio della Pubblica Amministrazione, Milano, 1970, p. 128). Anche il Consiglio di Stato nella recente sentenza della Adunanza plenaria n. 15 del 2011 ha chiarito che la cognizione del g.a. sulle controversie relative alla d.i.a. non riguarda un rapporto meramente privatistico, ossia il conflitto tra il denunciante che intenda svolgere l’attività oggetto della dichiarazione ed il terzo che lamenti l’indebita ingerenza nella sua sfera giuridica, ma si appunta su un rapporto amministrativo che ha come fulcro il corretto e tempestivo esercizio del potere amministrativo di controllo circa la conformità dell’attività dichiarata al paradigma normativo.
[24] E. BOSCOLO, Diritti Soggettivi cit.. La tesi è stata seguita soprattutto dalla giurisprudenza e sviluppata nella sentenza  della IV Sezione n. 3916 del  22 luglio 2005 edita in Riv. giur. edilizia 2005, 6, I, 1952 .
[25] A. TRAVI,  Dichiarazione di inizio attività, in Enc. Dir., Annali, II-2, 2008.
[26] Si è osservato a tale proposito che appare  difficile accettare che la legge ammetta la coesistenza, in una stessa situazione, di due poteri con identico contenuto e tuttavia diversi, perché l'uno soggetto a un termine perentorio e l'altro invece no (A. TRAVI La DIA e la tutela del terzo fra pronunce del GA e riforme legislative del 2005 cit. ). Si vedano sul punto anche  L. FERRARA, Diritti Soggettivi, cit. p. 133; W. GIULIETTI, Attività privata e potere amministrativo, cit. p. 152 e ss.
[27] La teoria i discorso è stata accolta anche in alcun pronunce del Consiglio di Stato. Si veda ad es. Cons. Stato, V, 19 giugno 2006 n. 3586 in Foro amm. CDS 2006, 2, 639, secondo cui l’interesse legittimo del terzo si correlerebbe al  potere di autotutela, sia pure sui generis, della p.a. in quanto caratterizzato dal fatto di non implicare un'attività di secondo grado su di un precedente provvedimento amministrativo, ma consistente nella possibilità di adottare, successivamente alla scadenza del termine di trenta giorni dalla comunicazione di avvio dell'attività, provvedimenti di divieto di prosecuzione della stessa e di rimozione dei suoi effetti, condizionati, però, dalla sussistenza di un interesse pubblico attuale e concreto, ulteriore e diverso rispetto a quello volto al mero ripristino della legalità violata.
[28] W. GIULIETTI, Attività privata e potere amministrativo, cit. p. 220 e ss.
[29] Nella versione dell’art. 19 precedente alle modifiche apportate da tale decreto la norma non specificava in quali casi l’amministrazione potesse intervenire dopo la scadenza del termine di sessanta giorni dalla presentazione della d.i.a. L’unico aggancio normativo che consentisse di ipotizzare la sussistenza di un potere inibitorio tardivo della p.a. era, quindi, il riferimento all’esercizio del potere di autotutela da intendersi, tuttavia alla stregua di un’ autotutela sui generis in quanto non consistente in un potere di riesame di atti. Si tratta, peraltro, di una prospettiva teorica che non è stata unanimemente condivisa in dottrina, essendovi autori che hanno sostenuto che il potere di autotutela contemplato dall’art. 19 possa avere ad oggetto solo l’annullamento successivo dei provvedimento inibitori, allorchè la p.a. ne rilevi l’illegittimità (L. FERRARA, Dia (e silenzio assenso) fra auto amministrazione esemplificazione, in Dir. Amm., 2006, p. 759.
[30] Si tratta di un potere non riconducibile ai canoni della autotutela in quanto non comportante una comparazione di interessi ma  una valutazione di tipo precauzionale rispetto alla quale l’amministrazione esercita una discrezionalità che è soltanto tecnica.
[31] Il richiamo al potere di autotutela ancora contenuto nel terzo comma dell’art. 19 deve, pertanto, essere ora riferito ai casi in cui l’amministrazione intenda riesaminare i provvedimenti espressi da essa adottati in ordine alla s.c.i.a. Del resto, l’introduzione nella disciplina della d.i.a. del richiamo al potere di autotutela, operato dalla  L. 80 del 2005, risale ad un’ epoca in cui era ancora incerto e dibattuto se la d.i.a. costituisse una forma di semplificazione procedimentale assimilabile al silenzio assenso o la conseguenza della liberalizzazione di determinate attività economiche. La trasformazione della d.i.a. in s.c.i.a. ha comportato un definitivo chiarimento sulla natura non provvedimentale dell’istituto. A ciò si aggiunga che il potere di intervento tardivo il cui esercizio viene ora ad essere completamente sganciato da ogni valutazione circa l’affidamento e si basa esclusivamente sulla esigenza di protezione di determinati interessi pubblici sensibili.
[32] In tal senso G. GRECO, S.c.i.a. e tutela dei terzi cit, p. 367, secondo cui “una volta che la lesione sia ascrivibile alla mancata adozione dei provvedimenti repressivi, non si vede perché la tutela debba riguardare l’esercizio del diverso (ancorchè collegato) potere di autotutela”
[33] Si tratta della nota tesi espressa da A. TRAVI da ultimo in La tutela del terzo nei confronti della dia, cit.
[34] In tal senso si veda ancora  A. TRAVI, Lezioni di giustizia amministrativa., Torino, 2010, p. 106 secondo cui  l’art. 113 della Costituzione garantirebbe al cittadino solo la facoltà di promuovere il  sindacato del giudice amministrativo sull’illegittimo esercizio del potere, ma non anche che tale sindacato debba risolversi  nell’annullamento del provvedimento o, comunque, in una tutela in forma specifica
[35] CAVALLO PERIN, Il contenuto dell’art. 113 Costituzione fra riserva di legge e riserva di giurisdizione in Dir. Proc. Amm. 1988, p. 517 e ss.
[36] A TRAVI, Silenzio assenso, denuncia di inizio attività e tutela dei terzi controinteressati, cit.
[37] Il riferimento è alle regole speciali che disciplinano il processo in materia di appalti pubblici che sono ora contenute negli artt. da 120 a 125 del codice del processo amministrativo.
[38] Ciò avviene nel campo della s.c.i.a. edilizia essendo in facoltà delle regioni di ampliare il novero delle attività che vi sono sottoposte rispetto a quelle soggette a permesso di costruire (art. 10 del D.P.R. 380 del 2001). Sempre nella s.c.i.a.  edilizia è in facoltà del privato ricorrere ad essa anziché al permesso di costruire con riguardo agli interventi di cui al comma 3 dell’art. 22 del D.P.R. 380 del 2001.
[39] Come dimostra il fatto che  la lesione contro cui questi può reagire attraverso il giudizio sul silenzio non avviene per effetto della  scadenza del termine di sessanta giorni previsto dal terzo comma dell’art. 19 della legge sul procedimento ma in quello in cui si forma il silenzio inadempimento sulla sua istanza.
[40] L’istanza del terzo non sembra, quindi, inquadrabile nell’ambito delle cd. “denunce qualificate” (sulle quali L. DE LUCIA, Denunce qualificate e preistruttoria amministrativa in Dir. Amm. 2002, 717) in quanto non si tratta di atto volto a sollecitare l’esercizio di un potere officioso della p.a. Nel caso della s.c.i.a., infatti, il procedimento officioso di controllo si apre già con la presentazione della segnalazione e non prevede, quindi, una fase di istruttoria preliminare  nella quale possano inserirsi le denunce dei terzi. Nella logica in cui si muove il comma 6 ter dell’art. 19 della L. 241/90 (almeno nella ricostruzione che della predetta norma viene effettuata nel presente lavoro) l’istanza del terzo, è, invece, atto che determina l’apertura di un vero e proprio procedimento ad istanza di parte volto a soddisfare l’interesse del terzo a che l’amministrazione si pronunci in modo espresso e giustiziabile in ordine alla conformità a legge della attività segnalata.
[41] CERULLI IRELLI, Modelli procedimentali alternativi cit.
[42] Che i due procedimenti siano fra loro indipendenti lo dimostra anche il fatto che l’obbligo di concludere il procedimento di controllo ad istanza di parte può insorgere anche prima della scadenza di quello di controllo di natura officiosa si distingue da quello attivato  su istanza del terzo anche nella fase che precede la scadenza del termine di sessanta giorni dalla presentazione della s.c.i.a.: infatti, in assenza di un istanza del terzo, la p.a. non ha alcun dovere di concludere il procedimento di controllo  prima della scadenza del predetto termine, mentre, a fronte di un’istanza motivata del terzo,  l’obbligo di provvedere sussiste anche prima che sia decorso il termine per la conclusione del procedimento officioso, come prevede ora l’art. 31 comma 1 del c.p.a. a seguito delle modifiche apportate dal decreto correttivo del 2011.
[43] Del resto gli studi della dottrina hanno evidenziato che la previsione di un  termine decadenziale può inserirsi esclusivamente nell’ambito di procedimenti che hanno natura officiosa, mentre nei  procedimenti ad istanza di parte lo scadere del termine produce solo gli effetti di un inadempimento (M. CLARICH, Termine del procedimento e potere amministrativo, Torino, 1995).
[44] Nella versione originale della norma la previsione del termine per l’esercizio della attività di controllo non sembrava posta in termini di perentorietà; tant’è che la stessa Adunanza generale del Consiglio di Stato nel rendere il parere sul regolamento attuativo (D.P.R. n. 300 del 1992) si era espressa contro l’introduzione di un termine il cui decorso consumasse il potere di controllo dell’amministrazione (parere n. 27 del 1992).    La natura perentoria del termine per l’adozione delle misure inibitorie fu, poi,  sancita nell’ambito delle modifiche apportate all’art. 19 della L. 241 del 1990 dall’art. 2 della L. 537 del 1993. Nella successiva riscrittura dell’articolo operata dalla D.L. 35 del 2005 la perentorietà del termine – secondo una tesi non pacifica – fu attenuata dalla previsione che consentiva alla p.a. di esercitare i propri poteri di autotutela anche dopo la sua scadenza. Con la trasformazione della d.i.a. in s.c.i.a., dopo la L. 78 del 2010, la valenza perentoria del termine è stata nuovamente irrigidita prevedendosi che la p.a. debba agire solo in caso di pericolo di danno per determinati interessi sensibili.
[45] Del resto lo stesso potere di disapplicazione del provvedimento che il giudice ordinario può adottare senza limiti di tempo quando decida in ordine alla lesione da esso inferta ad un diritto soggettivo, pur equivalendo ad un annullamento con efficacia limitata al caso deciso (P. STELLA RICHTER, L’inoppugnabilità, Milano, 1970, p. 69), non ha mai generato dubbi di costituzionalità.
[46] L. FERRARA,  Dia e silenzio assenso, cit. La tesi che vedeva nella d.i.a. un atto di  “autoamministrazione”  del privato che produrrebbe i medesimi effetti del provvedimento autorizzativo (elaborata da P. DURET, Sussidiarietà ed autoamministrazione dei privati, Padova, 2004)  sembra oggi definitivamente esclusa dallo stesso legislatore che ne ha escluso l’impugnabilità.
http://www.giustizia-amministrativa.it/documentazione/studi_contributi/Nuova_DIA_e_terzo.htm

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