Revoca illegittima di una concessione su aree pubbliche dopo un lungo periodo di precedenti autorizzazioni e dopo la formazione del silenzio assenso sull'istanza
[color=red][b]T.A.R. Lazio, Sez. II-ter, 22 gennaio 2018, n. 788[/b][/color]
[b]COMMENTO[/b]: http://www.quotidianopa.leggiditalia.it/quotidiano_home.html#news=PKQT0000189527
[b]SENTENZA[/b]
Pubblicato il 22/01/2018
N. 00788/2018 REG.PROV.COLL.
N. 03812/2012 REG.RIC.
logo
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Seconda Ter)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 3812 del 2012, proposto da:
Sergio xxxx, Paola xxxx (erede Ricorrente), rappresentati e difesi dall'avvocato Antonio Giuffrida, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via Gregorio VII, 396;
contro
Comune di Fiuggi non costituito in giudizio;
per
il risarcimento danni subiti a seguito di annullamento illegittimi atti di "diniego- revoca" della concessione di posteggio stagionale per l'esercizio del commercio su aree pubbliche, rimozione del banco e sequestro della merce (art. 30 c.p.a.).
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 7 novembre 2017 il dott. Salvatore Gatto Costantino e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Ricorre il sig. Sergio xxxx, titolare di autorizzazione all’esercizio del commercio su aree pubbliche rilasciata dal Comune di Roma su delega della Regione Lazio per le tabelle XII, XIII e XIV e regolarmente iscritto alla Camera di Commercio Industria ed Artigianato della Provincia di Roma per le corrispondenti attività.
Essendo nel possesso dei requisiti di legge per richiedere di essere autorizzato all’esercizio del commercio su aree pubbliche su tutto il territorio regionale, per oltre 25 anni, nel corso di ogni stagione estiva, collocava in Fiuggi, sul viale IV Giugno, a poche decine di metri dall’ingresso della Fonte Bonifacio, la propria bancarella, adibita all’esposizione ed alla vendita di libri.
Riferisce che con il passare degli anni la reiterata attività di esposizione e vendita diveniva uno degli appuntamenti culturali dell’estate fiuggina, tanto che la bancarella del sig. Sergio xxxx veniva definita ed unanimemente identificata dalla collettività con l’appellativo di “bancarella storica”.
A conferma di quanto consolidata fosse la collocazione della bancarella storica in quel preciso punto del viale IV Giugno, riferisce altresì che l’ENEL installò sul marciapiede una colonnina per la fornitura di energia elettrica.
In vista della stagione estiva del 1997, con raccomandata ricevuta il 20.01.1997 dal Comune, il sig. xxxx chiedeva al Sindaco di Fiuggi la concessione del posteggio stagionale per l’esercizio del commercio con posizionamento in viale IV Giugno, di fronte al box dell’Hotel Tripoli, per l’esposizione e la vendita di libri, indicando, anche in quest’occasione, le dimensioni del banco e del posteggio.
Nel mese di giugno 1997, il ricorrente riceveva una comunicazione dell’Ente, con cui il Sindaco, acquisito il parere contrario dell’apposita commissione, respingeva la richiesta indicando al xxxx la possibilità di ottenere un altro posteggio in Piazza Silone o in via Giolitti.
Il provvedimento veniva impugnato di fronte a questo Tribunale, ottenendo la sospensione degli effetti in via cautelare in ragione della sua avvenuta adozione dopo la formazione del silenzio assenso.
Notificata l’ordinanza cautelare di sospensione al Comune, il xxxx iniziava l’attività di vendita in viale IV Giugno, ricevendo dopo pochi giorni (in 12 agosto 1997) un nuovo provvedimento, col quale si disponevano la revoca della concessione, l’ordine di rimozione del banco ed il sequestro della merce.
Afferma il ricorrente che lo smantellamento della propria bancarella, eseguito dal ricorrente stesso, provocava molta risonanza negli ambienti culturali della cittadina di Fiuggi, come da stampa dei quotidiani dell’epoca (che produce).
Nel frattempo, il sig. xxxx impugnava il diniego e la revoca della concessione con altrettanti ricorsi che venivano accolti, previa riunione, con la sentenza nr. 10448/08 del 27 ottobre 2008, di questo Tribunale, depositata il 20 novembre 2008.
Intanto, dal 1997 al 2000, il xxxx, stante la indisponibilità della bancarella e della merce sottoposta a sequestro, non svolgeva alcuna attività nel territorio del Comune di Fiuggi, tornando a richiedere la nota autorizzazione solo nell’agosto del 2000; in quest’occasione e nelle seguenti, succedutesi con cadenza annuale sino al 2005, il xxxx chiedeva ed otteneva dal Comune di Fiuggi l’autorizzazione a collocare la propria bancarella lungo la via IV Giugno, ma ciò avveniva nell’ambito della manifestazione culturale patrocinata dalla stessa Amministrazione comunale denominata “il piacere di leggere” alla quale partecipavano altre bancarelle in aggiunta a quella del sig. Sergio xxxx.
Ciò premesso, il ricorrente riferisce di avere richiesto al Comune con nota del 23.11.10 un adeguato risarcimento del danno subito, in forza dell’annullamento degli atti conseguente alla pronuncia del TAR; nonostante alcuni incontri avuti tra le parti, la richiesta rimaneva senza esito.
Il ricorrente accedeva alla mediazione forense, con istanza del 6.10.2011, iscritta al n. 1623, anch’essa infruttuosa.
Con l’odierno ricorso domanda che il Comune di Fiuggi venga condannato: 1) al risarcimento del danno emergente da liquidarsi al sig. Sergio xxxx a mezzo di CTU ovvero da liquidarsi in via equitativa ex art. 1226, cod.civ. in misura non inferiore ad euro 60.000,00 od in quella diversa ritenuta giusta; 2) al risarcimento del danno da lucro cessante, da liquidarsi nella misura di euro 263.393,00 per le stagioni 1997, 1998, 1999, 2006, 2007 e 2008 od in quella diversa ritenuta giusta; si chiede altresì che per il periodo 2000/2005 il detto risarcimento venga liquidato su base equitativa; 3) al risarcimento del danno da lesione della immagine e della reputazione del sig. Sergio xxxx, nella misura di euro 50.000,00 od in quella ritenuta giusta; 4) al risarcimento del danno alla salute, da provarsi in corso di causa; il tutto con rivalutazione monetaria ed interessi di legge.
A fondamento della domanda, parte ricorrente produce, oltre alla documentazione amministrativa di riferimento, il processo verbale di sequestro datato 12.8.1997, l’attestazione di regolarità fiscale dei redditi 1999, articoli di stampa relativi al sequestro della bancarella; documentazione sanitaria (cartelle cliniche) datate 3/7/2011, 30/7/2011; chiede ammettersi prova testimoniale in ordine alla quantificazione del volume d’affari della bancarella nelle cinque stagioni che hanno preceduto il sequestro della merce nei quattro mesi di giugno, luglio, agosto e settembre (media giornaliera di euro 350-360,00 con un totale per stagione di 40/44.000 euro).
Con atto ritualmente notificato il 30 luglio 2015 al Comune di Fiuggi si è costituita in giudizio Paola xxxx, nella qualità di erede del sig. xxxx, deceduto nelle more del giudizio, che chiede la condanna del Comune di Fiuggi al risarcimento del danno nei termini già dedotti in ricorso, le cui deduzioni difensive, eccezioni e domande anche istruttorie richiama e fa proprie; con il medesimo atto produce ulteriori atti istruttori, chiede ammissione di prova per testi sul volume di affari della “Bancarella Storica” nelle cinque stagioni che hanno preceduto il sequestro della merce, il cui quantitativo ammontava a circa mille pezzi soggetti ad approvvigionamento quotidiano e costante disponibilità degli esemplari in vendita nel numero appena indicato; chiede altresì CTU in ordine al valore dei materiali oggetto di sequestro alla data del 18.8.1997, al valore attuale della merce stessa, ed al valore della produzione nel tempo di riferimento.
Più precisamente, quanto alla CTU, essa dovrebbe avere ad oggetto “il valore alla data del 18/8/1997 dei libri, delle stigliature, della bancarella, degli ombrelloni e degli altri arredi sequestrati”; il valore attuale della merce; “l’ammontare indicativo del volume d’affari prodotto dalla Bancarella Storica”, sulla base del “valore originario e del numero dei libri sequestrati, sulla base delle dimensioni della bancarella storica, con riferimento al periodo giugno/settembre, all’orario di apertura h. 10/24 al fatto che la bancarella fosse l’unico punto vendita di libri nella cittadina, nonché alle presenze nel territorio del Comune di Fiuggi per l’indicato quadrimestre ed in un periodo in cui i costi delle cure termali e le spese di alloggio venivano interamente rimborsati dal Servizio Sanitario Nazionale”; inoltre, chiede CTU medico legale sulla documentazione clinica della persona del ricorrente.
Con ordinanza nr.13524 del 1 dicembre 2015, successivamente reiterata con ordinanza nr. 8281 del 19 luglio 2016, venivano disposti chiarimenti istruttori.
In particolare, veniva ordinato all’Amministrazione comunale, intimata e non costituita, di produrre in giudizio: a) la copia dell’elenco dei libri oggetto del sequestro, richiamata nel verbale del 12 agosto 1997; b) la copia del verbale di dissequestro; c) eventuali richieste del ricorrente di dissequestro della merce (precisando altresì che l’Amministrazione intimata, ancorchè non costituita, è tenuta all’esecuzione dell’ordine istruttorio, con l’espressa avvertenza che, in difetto, il comportamento omissivo sarà valutato come argomento di prova ai fini della decisione sul giudizio ai sensi dell’art. 64, comma 4, c.p.a. e dell’art. 42 c.p.a.).
Non essendo pervenuto alcun riscontro, la parte ricorrente ha insistito nelle proprie richieste istruttorie e nell’accoglimento del ricorso.
Nella pubblica udienza del 7 novembre 2017 la causa è stata trattenuta in decisione.
DIRITTO
Nell’odierno giudizio, parte ricorrente chiede la condanna dell’Amministrazione intimata al risarcimento del danno ingiusto subito per effetto ed in conseguenza di provvedimenti illegittimi della PA di cui ha ottenuto il previo annullamento con la sentenza indicata in parte motiva, passata in cosa giudicata.
I) Preliminarmente va esaminata d’ufficio la tempestività della proposizione del gravame, che va ritenuta.
Si osserva che il giudizio è stato introdotto con ricorso notificato il 16 maggio 2012 e depositato il 18 maggio 2012; sia il fatto lesivo (ovvero l’incidenza dei provvedimenti illegittimi nella sfera giuridica del ricorrente) che l’annullamento dei provvedimenti impugnati sono avvenuti anteriormente all’entrata in vigore del codice del processo amministrativo.
Secondo la giurisprudenza, non trova applicazione alle domande di risarcimento del danno ad interessi legittimi la disciplina dei termini di cui all’art. 30 del c.p.a. allorquando la fattispecie dedotta come fonte di responsabilità aquiliana della p.a. si sia perfezionata prima dell'entrata in vigore dello stesso codice (T.A.R. Catania, sez. I 22 gennaio 2014 n. 211; T.A.R. Catanzaro, sez. I 23 maggio 2012 n. 510); ed in questi casi il termine di prescrizione quinquennale dell'azione di risarcimento del danno decorre dalla data dell'illecito e non da quella del passaggio in giudicato della sentenza di annullamento da parte del giudice amministrativo, poiché ai fini dell'ammissibilità e proponibilità della domanda di risarcimento del danno da attività illegittima della p.a. e da lesione di interessi legittimi non è necessario il previo annullamento, in via giurisdizionale o amministrativa, dell'atto amministrativo illegittimo da cui si lamenta essere derivato il pregiudizio (vedasi, più di recente, Consiglio di Stato sez. IV 04 giugno 2014 n. 2856, che ha del pari affermato che la domanda di annullamento dell'atto amministrativo, proposta al giudice amministrativo prima della concentrazione davanti allo stesso anche della tutela risarcitoria, pur non costituendo il prodromo necessario per conseguire il risarcimento dei danni, dimostra la volontà della parte di reagire all'azione amministrativa reputata illegittima ed è idonea ad interrompere per tutta la durata di quel processo il termine di prescrizione dell'azione risarcitoria proposta dinanzi al giudice ordinario, dovendosi al riguardo fare applicazione del principio, affermato da Corte cost. n. 77 del 2007, per cui la pluralità dei giudici ha la funzione di assicurare una più adeguata risposta alla domanda di giustizia, e non può risolversi in una minore effettività o addirittura in una vanificazione della tutela giurisdizionale).
Sotto altro profilo, la proposizione del gravame relativo alla domanda di risarcimento di danni ad interessi legittimi per fatti verificatisi anteriormente all’entrata in vigore del c.p.a. va considerata assoggettata alla regola del regime intertemporale di cui all’art. 2 dell’all. 3 al c.p.a., ai sensi del quale i termini in corso all’entrata in vigore del codice sono assoggettati al regime previgente; nel caso di specie, la proposizione della domanda di risarcimento anteriormente all’entrata in vigore del codice del processo amministrativo non era soggetta ai termini processuali di decadenza (oggetto della disciplina stabilita dall’art. 30 comma 3, ovvero centoventi giorni dal giorno in cui il fatto si è verificato ovvero dalla conoscenza del provvedimento se il danno deriva direttamente da questo), bensì a quelli ordinari della prescrizione (con ogni conseguenza in termini di disciplina, prima tra tutte la non rilevabilità d’ufficio della prescrizione, a differenza della decadenza, e la possibilità di interrompere o sospendere il decorso della prima, a differenza della seconda) che, nel caso di specie il Comune, non essendosi costituito, non ha eccepito.
[color=red][b]II) Nel merito, la domanda è fondata nei seguenti limiti.[/b][/color]
[b]II.1) Dall’esposizione in fatto risulta che l’Amministrazione comunale ha negato al ricorrente l’autorizzazione alla installazione della propria postazione di vendita di libri su area pubblica, dopo un lungo periodo di precedenti autorizzazioni e dopo l’avvenuta formazione del silenzio assenso sull’istanza.[/b]
[b]II.2) Inoltre, il diniego tardivo e la successiva revoca del provvedimento tacitamente assentito sono provvedimenti adottati nell’imminenza della stagione estiva e subito dopo l’installazione della bancarella.[/b]
II.3) L’assenza di ragioni di interesse pubblico, non denotate negli atti annullati, né desumibili comunque dal giudizio, si è tradotta in una carenza sostanziale e non solo formale dell’elemento essenziale degli atti, ovvero nell’assenza di una ragione effettiva che fosse ostativa all’avvio consueto dell’attività del ricorrente per la stagione considerata, con il che va ritenuto che il diniego o l’impedimento comunque frapposto dall’Autorità all’accesso al bene pubblico dalla cui utilizzazione dipendeva interamente l’attività economica del ricorrente è stato ingiusto, oltre che illegittimo.
[b]II.4) Va chiarito, a questo proposito, che quando la P.A. è titolare di un potere discrezionale il suo esercizio va condotto in maniera proporzionata e coerente con i diversi interessi contrapposti e con le ragioni di interesse generale che determinano l’ufficio all’adozione di uno specifico provvedimento.[/b]
In questo senso, il tradizionale requisito sostanziale della motivazione del provvedimento persegue lo scopo di rendere trasparente l’azione amministrativa e consentire il controllo e la verifica di coerenza tra la misura disposta ed i suoi antefatti o presupposti di fatto e di diritto variamente costituiti dall’ufficio agente a fondamento della propria decisione.
[b]II.5) Nel caso di specie, poiché nessuna ragione sostanziale (espressa o comunque evincibile dall’assetto di interessi) ha giustificato il diniego opposto all’istanza del ricorrente, l’attività provvedimentale della PA è stata del tutto ingiustificata ed ha costituito, come tale, un comportamento impeditivo dell’attività del ricorrente, che, sul piano eziologico, rappresenta una condotta causativa di un danno ingiusto, costituito dalla perdita della possibilità di guadagno correlata all’esercizio della vendita dei prodotti librari.[/b]
II.6) La fattispecie considerata non presenta particolari complessità di tipo fattuale o di disciplina, né, del resto, sono state invocate esimenti o scusanti da parte dell’Ente non costituito dovendosi per ciò ritenere che l’adozione di atti impeditivi illegittimi è stata negligente.
Ne deriva che il comportamento dell’Ente, lesivo dell’interesse legittimo di tipo pretensivo del ricorrente, non è solo ingiusto e causativo di un danno, ma anche rimproverabile all’Amministrazione quale frutto di una condotta colposa.
Per queste ragioni sussistono tutti gli estremi per affermare la sussistenza di una responsabilità di tipo aquiliano della P.A. per la lesione dell’interesse legittimo del ricorrente.
III) In ordine alla misura del danno risarcibile, si osserva quanto segue.
Deve premettersi che, secondo il risalente, ma sempre valido, insegnamento della giurisprudenza, a norma dell’art. 2697 c.c., chiunque chiede l’attuazione della volontà della legge in relazione ad un diritto che faccia valere in via di azione o di eccezione deve provare il fatto giuridico da cui fa discendere il preteso diritto, e quindi tutti gli elementi o requisiti per legge necessari alla nascita dello stesso, che costituiscono le condizioni positive della pretesa, principi pienamente recepiti nel codice del processo amministrativo ex art. 63 c.p.a. (cfr., per applicazioni in varie fattispecie, TAR Lazio, Roma, II ter, 8 maggio 2017, nr. 5497; TAR Lazio, Roma, II ter, 12 agosto 2014, nr. 8928; TAR Reggio Calabria 6 giugno 2014, nr. 238).
Nel caso all’esame dell’odierno giudizio, parte ricorrente, che prospetta un danno che descrive in maniera puntuale e circostanziata, offre al giudizio elementi di prova affidati in parte a documentazione ed in parte ad una richiesta di ammissione di prova per testi ed una richiesta di CTU.
A giudizio del collegio, la documentazione prodotta, da esaminarsi con ricorso alle nozioni di comune esperienza ed alle presunzioni semplici ex art. 2727 e 2729 e da valutarsi secondo prudente apprezzamento, consente di risolvere il giudizio senza necessità degli ulteriori indugi derivanti dall’esperimento delle prove per testi o della CTU che parte attrice ha proposto, per motivi che saranno meglio esplicitati nel prosieguo.
III.1) In base a quanto sin qui esposto, si osserva che a titolo di danno emergente il sig. Sergio xxxx chiede liquidarsi a mezzo di CTU ovvero in via equitativa ex art. 1226, cod.civ. in misura non inferiore ad euro 60.000,00 od in quella diversa ritenuta giusta, il controvalore delle merci presenti al momento del sequestro della bancarella, prospettando che tali merci, a distanza di oltre quindici anni dal sequestro (con riferimento alla proposizione della domanda) non sarebbero più utilizzabili.
Non risulta da atti o elementi certi ed univoci né l’entità, né le condizioni della merce e delle attrezzature; né risulta se sia intervenuto o meno il dissequestro.
Essendo stata tale circostanza oggetto dell’istruttoria disposta nel presente giudizio e non avendo il Comune riferito alcuna indicazione in proposito, deve ritenersi che la merce sequestrata risulti ancora nel possesso dell’Amministrazione (circostanza che il difensore della parte ha confermato, come indicato nell’ordinanza nr. 08281/2016 ) e che sia del tutto verosimile che si tratti di merce che ha perso ogni interesse per il ricorrente, a prescindere dallo stato d’uso; è dunque sussistente il presupposto della condanna dell’Ente al risarcimento del relativo valore.
Dalla copia del processo verbale di sequestro datato 12 agosto 1997 risulta che sono stati sottoposti a sequestro i seguenti beni: “n. 8 tavoli pieghevoli in legno; n. 8 contenitori in legno; n. 5 buste in plastica bianche; n. 1 cassetta contenente attrezzi da lavoro (chiodi, martello, viti); n. 1 telo in plastica dimensioni m. 7x6; n. 1 ombrellone con base in ferri; n. 1 scala a due gradini; libri come da allegato elenco che fa parte integrante del presente verbale”.
Il verbale precisa che le cose sequestrate “non deperibili, presentano il seguente stato d’uso: usate”.
Non risulta prodotto agli atti dell’odierno giudizio il separato elenco dei libri oggetto di sequestro, nonostante il reiterato ordine e sollecito istruttorio, che il Comune ha disatteso.
Attese tali circostanze, per la valutazione del valore della merce non potrà che essere utilizzato un criterio equitativo ex art. 1226 cod.civ. anche tenendo conto del comportamento non collaborativo dell’Ente e considerando a tale proposito le indicazioni quantitative e di valore che la parte ricorrente ha allegato, sebbene entro i limiti della comune esperienza e secondo presunzioni semplici, che consentono di non dover ricorrente alla CTU richiesta dal ricorrente sul punto, vertendosi in ordine a fatti che non richiedono conoscenze specialistiche.
III.2) Nella memoria di costituzione dell’erede del ricorrente, la difesa di quest’ultima parte indica in 1.000 volumi il quantitativo costante della disponibilità giornaliera della bancarella, senza specificare il genere dei libri (narrativa, saggistica, cultura generale e così via); rapportato alla quantificazione del danno emergente pari a 60.000,00 euro, ne deriverebbe un prezzo medio a volume pari ad euro 60,00 ovvero 120.000 lire dell’epoca di riferimento.
Ritenendo che il genere di libri venduti possa ricondursi alla narrativa ed alla saggistica, come può evincersi dalla ponderosa produzione documentale di articoli di stampa sull’attività del ricorrente che la difesa di quest’ultima ha prodotto in allegato al ricorso, la quantificazione del relativo valore (ancorchè media) che la parte prospetta risulta eccessiva rispetto alla comune esperienza, in base alla quale non può ritenersi verosimile un prezzo medio per volumi di tale genere - in relazione al periodo storico di riferimento - superiore a 30.000 lire/15,00 euro (con arrotondamento), che – ai fini del risarcimento del danno, deve essere limitato al prezzo di costo della merce (essendo la differenza rientrante nella più ampia nozione di lucro cessante di cui al punto successivo) che può essere ottenuta da una decurtazione ulteriore pari al 20% del prezzo e quindi per euro 12,00 a volume (su tale aspetto, il Collegio rinvia a quanto oltre meglio specificato in ordine al lucro cessante).
Attesa poi la dimensione del banco di vendita come risultante dalle documentazioni in atti (vedasi all 2, 3 e 4 del ricorso, dai quali risulta una superficie occupata complessiva di mq 32 ed una dimensione del banco di vendita pari a mt. 9x3), non può inoltre ritenersi attendibile una dotazione di 1.000 volumi al momento del sequestro (indicazione che sembra corrispondere a quella di un esercizio permanente di vicinato); mancando in proposito una specifica ed attendibile allegazione quantitativa da parte del ricorrente e dei suoi eredi, il Collegio può sopperire con il ricorso ad un giudizio di stima fondato, ancora una volta, sulla comune esperienza, ritenendo plausibile una giacenza di libri, al momento del sequestro, non superiore a 500 pezzi; che, ad un prezzo medio di euro 12,00 per ciascuno equivale ad un valore della merce pari ad euro 6.000,00, da elevarsi all’importo di euro 8.000,00 in relazione ai beni strumentali ed al quale andranno aggiunti interessi e rivalutazione, come per legge e secondo la domanda, a far data dal sequestro e sino al soddisfo (trattandosi di debito di valore).
III.3) Quanto al risarcimento del danno da lucro cessante, si osserva quanto segue.
Parte ricorrente chiede liquidarsi la voce di danno in esame nella misura di euro 263.393,00 per le stagioni 1997, 1998, 1999, 2006, 2007 e 2008 od in quella diversa ritenuta giusta; chiede altresì che per il periodo 2000/2005 il detto risarcimento venga liquidato su base equitativa.
III.4) In primo luogo, non può convenirsi con le tesi del ricorrente, secondo le quali sarebbero imputabili ai provvedimenti lesivi le mancate attività degli anni fino al 2008 (data di pubblicazione della sentenza di annullamento degli atti illegittimi causativi del danno).
Secondo il ricorrente, la mancata attività dal 1997 al 2000 sarebbe derivata dalla “indisponibilità della bancarella e della merce sottoposte a sequestro” che gli avrebbero impedito di esercitare la vendita, mentre tornava a richiedere l’autorizzazione solo nell’agosto del 2000 in occasione della manifestazione culturale “il piacere di leggere”.
A giudizio del Collegio, è imputabile al diniego ed al sequestro poi annullati solamente il mancato esercizio dell’attività per il periodo compreso tra il 1997 (anno di richiesta dell’autorizzazione negata) ed il 1998 compreso, quando è ancora verosimile che il ricorrente possa non essere stato in grado di richiedere una nuova autorizzazione, anche in una diversa localizzazione; ma, a decorrere dalle stagioni successive, non è più imputabile all’illegittimità del diniego dell’Ente il mancato esercizio dell’attività, non avendo il ricorrente richiesto di esercitarla, così come invece ha ripreso a condurla dalla stagione del 2000 in avanti, sia pure in occasione della più ampia manifestazione organizzata dal Comune.
Analogamente, è da respingersi il danno per il periodo di tempo relativo all’esercizio dell’attività in concorrenza con altri, in quanto non sussisteva alcun diritto della parte ricorrente di operare in regime di esclusiva nella zona della localizzazione (su area pubblica) della propria bancarella.
Ne deriva che il danno risarcibile va limitato al periodo temporale immediatamente conseguente all’adozione dei provvedimenti illegittimi e dunque alla stagione del 1997 e del 1998, per quattro mesi ciascuna.
III.5) Quanto al valore del lucro cessante, esso viene calcolato dal ricorrente secondo i risultati degli incassi giornalieri medi che parte ricorrente ha prospettato e che vorrebbe fossero dimostrati per testi e tramite CTU.
Osserva il Collegio che la domanda di risarcimento, per come formulata, è riferita ad una situazione di mancato guadagno, che parte ricorrente stima riferendosi al fatturato pregresso utilizzandolo, in sostanza, quale parametro di commisurazione del risultato sperato o comunque plausibile.
III.6) Trattandosi di un danno derivante dal mancato guadagno, esso non potrà che essere liquidato in via equitativa ex art. 1226 cod.civ., mentre non v’è luogo a disporsi né la CTU, né la prova testimoniale richiesta per la quantificazione del volume di affari degli anni precedenti.
In primo luogo, quest’ultima è generica quanto al suo oggetto e non sono qualificate le conoscenze specifiche dei testimoni, indicati solo nominativamente.
Inoltre, essa attiene non all’elemento oggettivo della lamentata violazione, bensì ad un fattore solo indirettamente rivelativo delle perdute possibilità di guadagno, ovvero ad un mero parametro di riferimento per la valutazione (necessariamente equitativa) del lucro cessante, non essendo in alcun modo certo che il fatturato del biennio in considerazione sarebbe stato pari a quello della media del quinquennio precedente. La testimonianza avrebbe quindi ad oggetto un parametro di giudizio, non un elemento della fattispecie.
Conferma tale preclusione l’ulteriore circostanza che l’oggetto della prova (il volume del fatturato) dipende da elementi di tipo contabile ed economico la cui documentazione è soggetta ai precisi rigori formali (si vedano gli artt. 2195, 2214 e ss. ed ai fini della prova gli artt. 2709 e 2710 cod.civ.); depone per l’esclusione, pertanto, il principio di cui all’art. 2724 e 2725 cod.civ., secondo cui quando, per legge o per volontà delle parti, un contratto deve essere provato per iscritto, la testimonianza è ammessa solo nel caso di smarrimento incolpevole del documento (nel caso odierno neppure invocato).
Rileva a tale proposito il Collegio che, secondo la giurisprudenza, l’inammissibilità della prova testimoniale ex art. 2725 cod.civ. è rilevabile d’ufficio quando la forma scritta è richiesta ad substantiam (a differenza di quando è richiesta ad probationem, laddove deve essere eccepita), venendo in rilievo in tali casi ragioni di ordine pubblico (v. Cass. Civile III, 12 maggio 1999, n. 4690 e II, 24 novembre 2015, n. 23934).
Sebbene la previsione indicata sia riferita alla documentazione negoziale, essa appare espressiva di un principio generale che non può che disciplinare anche i casi in cui, ai fini del risarcimento del danno, si controverta in relazione ad elementi di fatto che si sostanziano in una forma documentale necessaria come quella in esame.
Infatti, l’attore non si riferisce al fatturato come mero “fatto storico” (che prescinde dai limiti di cui all’art. 2725, riferiti solo alla prova del contratto come fonte di diritti ed obblighi tra le parti, v. Cass. civ. Sez. lavoro, 06-11-2002, n. 15591), dato che è non controverso che un fatturato, negli anni precedenti, ci sia stato: come già rilevato, il “fatturato” diviene rilevante, ai fini della odierna domanda di risarcimento e sia pure entro i limiti di un mero parametro di riferimento, in relazione alla sua quantificazione esatta, ovvero ad un dato strettamente contabile; che come tale non può essere a conoscenza diretta di testi non qualificati, dovendo essere esposto nelle scritture aziendali o altri documenti inerenti tale attività (come la dichiarazione dei redditi).
Per le medesime ragioni non può trovare accoglimento l’istanza istruttoria di CTU, in quanto il perito dovrebbe svolgere il proprio giudizio su elementi di fatto non allegati dalla parte ricorrente.
III.7) La quantificazione del danno patito può, invece, essere apprezzata avvalendosi di nozioni di comune esperienza (vertendosi in ordine a questioni che non richiedono conoscenze specialistiche) e tenendo conto dei dati offerti al giudizio da parte ricorrente che il Comune non ha contestato.
Va solo precisato, a tale ultimo riguardo, che, in linea di principio ed a stretto rigore, il principio di non contestazione (che integra una tecnica di semplificazione della prova dei fatti dedotti avente dignità di regola generale, Cass. Civile I, 28 febbraio 2017, nr. 5067), operante anche nel giudizio amministrativo (con i limiti delle risultanze degli atti pubblici acquisiti al giudizio, Consiglio di Stato, III, 26 febbraio 2016, nr. 799), stante il chiaro tenore dell’art. 115 c.p.c. può valere solo a condizione che la parte che ha interesse a contraddire sia costituita, presupponendo un comportamento concludente di quest’ultima (Cassazione civile sez. lav. 14 gennaio 2015 n. 461; vedasi anche Tribunale Bari sez. II 22 marzo 2017 n. 1595; Tribunale Bari sez. lav. 21 aprile 2016 n. 2103; Tribunale Varese sez. I 19 gennaio 2010); dunque non può riconoscersi al mero silenzio o inerzia della parte intimata e non costituita un valore confessorio o di conferma implicita delle circostanze che l’attrice pone a fondamento della propria domanda (contra, T.A.R. Firenze, Toscana, sez. III 21 luglio 2017 n. 940).
Tuttavia, nel caso di specie, quanto allegato dalla parte attrice in ordine alla quantificazione del volume di affari e del valore degli incassi nel periodo precedente a quello in contestazione possiede un proprio rilievo quale parametro di riferimento da tenere in conto per la valutazione necessariamente equitativa del lucro cessante, che resta liberamente apprezzabile dal giudice, posto che non è possibile prevedere quale sarebbe stato il guadagno dell’attività del ricorrente se l’autorizzazione fosse stata rilasciata, trattandosi di attività commerciale soggetta alle incertezze proprie del mercato di riferimento.
A tal fine, la mancata costituzione in giudizio dell’Ente e l’inerzia che il Comune stesso ha mantenuto nonostante la reiterata e sollecitata richiesta di chiarimenti disposti dal Collegio, costituiscono presupposti di valutazione, a carico della parte intimata, che concorrono a rendere verosimili i dati di fatto prospettati dalla parte ricorrente dagli elementi di stima della “chance” di guadagno che il ricorrente stesso ha perduto.
III.8) Si osserva, in proposito, che l’autorizzazione stagionale aveva una durata media di quattro mesi; che quindi il valore della produzione, nell’importo prospettato da parte ricorrente, equivarrebbe ad incassi pari ad euro 10.750 euro al mese e 358,00 euro al giorno (sulla base del già prospettato valore medio di euro 15,00 a volume, quanto lamentato dal ricorrente, in termini di lucro cessante, corrisponderebbe ad una vendita costante nel trimestre di circa 24 volumi al giorno).
Tuttavia, il dato indicato dalla parte si riferisce ad un volume di fatturato, ovvero di vendite; ai fini del danno esse vanno quindi considerate nei soli limiti del guadagno che il fatturato avrebbe generato e dunque con riferimento al valore della produzione al netto dei costi di approvvigionamento; il che equivale a considerare quale conseguenza patrimoniale della lesione subita solamente il mancato utile nei termini della percentuale di ricarico sui libri.
Quest’ultima, può essere stimata in via equitativa in una media del 20% sul prezzo di copertina e dunque nella corrispondente percentuale del fatturato allegato dalla parte per il periodo di riferimento (percentuale stimata tenendo in considerazione le indicazioni sugli sconti sui prodotti librari contenute nella disciplina sulla determinazione dei prezzi dei libri di cui all’art. 11 della legge del 7 marzo 2001, n. 62, intitolata “Nuove norme sull’editoria e sui prodotti editoriali e modifiche alla Legge del 5 agosto 1981, n. 416”).
Tenuto conto del biennio di riferimento, del particolare afflusso di pubblico derivante dalla importanza turistica di Fiuggi e dal tipo di servizi termali di notoria rilevanza offerti dalle Terme di Bonifacio (nei pressi del cui ingresso era posizionata la Bancarella Storica del ricorrente), può dunque ritenersi congruo un ricavo di euro 2.150,00 per mese (al lordo della tassazione).
Ne deriva che il Comune di Fiuggi andrà condannato al risarcimento del danno per il mancato guadagno derivante dall’impedimento all’esercizio dell’attività di vendita del ricorrente nei termini complessivi di euro 17.200,00, al lordo di tasse ed oneri (che restano a carico del creditore), e con rivalutazione ed interessi a far data dalla scadenza ordinaria delle autorizzazioni in precedenza concesse (quindici settembre, rispettivamente, del 1997 e del 1998) sino al soddisfo.
3) Quanto alle altre voci di danno di cui si chiede il ristoro (danno alla salute e danno morale e di immagine), si osserva quanto segue.
Quanto al risarcimento del danno da lesione della immagine e della reputazione del sig. Sergio xxxx, richiesto nella misura di euro 50.000,00 od in quella ritenuta giusta, va ritenuto che, in forza della particolare rinomanza dell’attività del ricorrente, documentata dall’ampia produzione di articoli di stampa inerenti le manifestazioni dallo stesso patrocinate e promosse, nonché della risonanza che la rimozione della bancarella ha prodotto nel contesto di riferimento (mercato locale) denotata dagli articoli di stampa che sono depositati in giudizio in allegato al ricorso, il gravame è fondato e la domanda può essere accolta nei termini di una percentuale del lucro cessante pari al 20% di quanto liquidato al punto precedente (nell’importo risultante al momento del soddisfo, al lordo della tassazione).
4) Quanto al risarcimento del danno alla salute, il ricorso invece va respinto.
Tenendo presente che il danno imputabile all’Ente è riferito a sole due annualità dell’esercizio di vendita, difetta una prova certa del collegamento eziologico tra il mancato compimento delle attività inibite dai provvedimenti illegittimi ed il prodursi di condizioni di patologia e sofferenza fisica ascrivibili alla responsabilità dell’Amministrazione, anche se in termini di concause.
La difesa di parte ricorrente si limita a prospettare la lesione biologica come conseguenza immediata e diretta del diniego illegittimo ed ingiusto, mentre le certificazioni mediche prodotte descrivono sintomatologie non univocamente ricollegabili alla sofferenza psichica o morale derivante dall’inibizione dell’attività lavorativa.
Nei termini sin qui esposti, pertanto, il ricorso è fondato e merita accoglimento, con la condanna dell’Ente al risarcimento nei confronti della parte ricorrente dei danni subiti in conseguenza dei provvedimenti illegittimi di cui in narrativa, che si liquidano in euro 8.000,00 per danno emergente, in euro 17.200,00, al lordo di tasse ed oneri, per lucro cessante, oltre al 20% di quanto liquidato a titolo di lucro cessante al momento del soddisfo per danno di immagine ed oltre accessori come per legge, con le decorrenze indicate in precedenza e fino al soddisfo.
Le spese di lite seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.
A cura della Segreteria giurisdizionale, la presente sentenza sarà trasmessa alla Procura Regionale della Corte dei Conti ai fini dell’accertamento della sussistenza di eventuali responsabilità di amministratori e funzionari dell’ente soccombente in ordine ai fatti esposti.
P.Q.M.
[color=red][b]Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Seconda Ter), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l’effetto, condanna il Comune di Fiuggi al risarcimento del danno nei confronti della parte ricorrente in conseguenza dei provvedimenti illegittimi di cui in narrativa, che si liquidano in euro 8.000,00 per danno emergente, in euro 17.200,00, al lordo di tasse ed oneri, per lucro cessante, oltre al 20% di quanto liquidato a titolo di lucro cessante al momento del soddisfo per danno di immagine ed oltre accessori come per legge, con le decorrenze indicate in precedenza e fino al soddisfo.[/b][/color]
Condanna il Comune di Fiuggi alle spese di lite del presente giudizio in favore della parte ricorrente, che liquida in euro 3.000,00 oltre accessori come per legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa e manda alla Segreteria giurisdizionale di trasmetterne copia alla Procura Regionale della Corte dei Conti ai fini dell’accertamento della sussistenza di eventuali responsabilità di amministratori e funzionari dell’ente soccombente.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 7 novembre 2017 con l'intervento dei magistrati:
Pietro Morabito, Presidente
Giuseppe Rotondo, Consigliere
Salvatore Gatto Costantino, Consigliere, Estensore
L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
Salvatore Gatto Costantino Pietro Morabito