Ai fini dell'applicabilità delle disposizioni previste dall'art. 7 della Legge n.383 del 2000, che comporta, per le associazioni di promozione sociale, una deroga relativa alla destinazione d'uso dei locali sede dell'attività (ossia le sedi ed i locali nei quali si svolgono le relative attività sono compatibili con tutte le destinazioni d’uso omogenee previste dal D.M. 2 aprile 1968, indipendentemente dalla destinazione urbanistica), qual'è la procedura esatta per ottenere il riconoscimento e per consentire l'avvio attività senza cambio di destinazione d'uso? Esiste un albo a livello nazionale? Il circolo che intendesse, nello specifico, avviare un'attività di somministrazione riservata ai soli soci in zona agricola deve ottenere DIRETTAMENTE il riconoscimento e l'iscrizione al registro nazionale o è sufficiente la semplice affiliazione all'associazione già riconosciuta?
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Ai fini dell'applicabilità delle disposizioni previste dall'art. 7 della Legge n.383 del 2000, che comporta, per le associazioni di promozione sociale, una deroga relativa alla destinazione d'uso dei locali sede dell'attività (ossia le sedi ed i locali nei quali si svolgono le relative attività sono compatibili con tutte le destinazioni d’uso omogenee previste dal D.M. 2 aprile 1968, indipendentemente dalla destinazione urbanistica), qual'è la procedura esatta per ottenere il riconoscimento e per consentire l'avvio attività senza cambio di destinazione d'uso? Esiste un albo a livello nazionale? Il circolo che intendesse, nello specifico, avviare un'attività di somministrazione riservata ai soli soci in zona agricola deve ottenere DIRETTAMENTE il riconoscimento e l'iscrizione al registro nazionale o è sufficiente la semplice affiliazione all'associazione già riconosciuta?
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CIAO,
IL PROBLEMA NON SI PONE PIU' PERCHE' CON LA RIFORMA DEL TERZO SETTORE LA NORMA LIMITATA ALLE APS E' STATA ESTESA A TUTTI I SOGGETTI DEL TERZO SETTORE, QUINDI NON OCCORRE PIU' VERIFICARE LE CARATTERISTICHE DEL SOGGETTO.
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L. 07/12/2000, n. 383
Disciplina delle associazioni di promozione sociale.
Pubblicata nella Gazz. Uff. 27 dicembre 2000, n. 300.
32. Strutture per lo svolgimento delle attività sociali.
[1. Lo Stato, le regioni, le province e i comuni possono concedere in comodato beni mobili ed immobili di loro proprietà, non utilizzati per fini istituzionali, alle associazioni di promozione sociale e alle organizzazioni di volontariato previste dalla legge 11 agosto 1991, n. 266, per lo svolgimento delle loro attività istituzionali.
2. ... (45).
3. All'articolo 32, comma 3, della legge 23 dicembre 1994, n. 724, dopo le parole: «senza fini di lucro,» sono inserite le seguenti: «nonché ad associazioni di promozione sociale iscritte nei registri nazionale e regionali,». Per gli oneri derivanti dall'attuazione del presente comma è autorizzata la spesa di lire 1.190 milioni annue a decorrere dall'anno 2000.
4. La sede delle associazioni di promozione sociale ed i locali nei quali si svolgono le relative attività sono compatibili con tutte le destinazioni d'uso omogenee previste dal decreto del Ministro per i lavori pubblici 2 aprile 1968, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 97 del 16 aprile 1968, indipendentemente dalla destinazione urbanistica.
5. Per concorrere al finanziamento di programmi di costruzione, di recupero, di restauro, di adattamento, di adeguamento alle norme di sicurezza e di straordinaria manutenzione di strutture o edifici da utilizzare per le finalità di cui al comma 1, per la dotazione delle relative attrezzature e per la loro gestione, le associazioni di promozione sociale sono ammesse ad usufruire, nei limiti delle risorse finanziarie disponibili, di tutte le facilitazioni o agevolazioni previste per i privati, in particolare per quanto attiene all'accesso al credito agevolato] (46).
(45) Aggiunge la lettera b-bis) al comma 1 dell'art. 1, L. 11 luglio 1986, n. 390.
(46) Articolo abrogato dall'art. 102, comma 1, lett. a), D.Lgs. 3 luglio 2017, n. 117, a decorrere dal 3 agosto 2017, ai sensi di quanto disposto dall'art. 104, comma 3, del medesimo D.Lgs. n. 117/2017. Vedi, anche, l'art. 5-sexies, comma 1, D.L. 16 ottobre 2017, n. 148, convertito, con modificazioni, dalla L. 4 dicembre 2017, n. 172.
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D.Lgs. 03/07/2017, n. 117
Codice del Terzo settore, a norma dell'articolo 1, comma 2, lettera b), della legge 6 giugno 2016, n. 106.[/b]
Art. 71. Locali utilizzati
In vigore dal 3 agosto 2017
1. Le sedi degli enti del Terzo settore e i locali in cui si svolgono le relative attività istituzionali, purché non di tipo produttivo, sono compatibili con tutte le destinazioni d'uso omogenee previste dal decreto del Ministero dei lavori pubblici 2 aprile 1968 n. 1444 e simili, indipendentemente dalla destinazione urbanistica.
2. Lo Stato, le Regioni e Province autonome e gli Enti locali possono concedere in comodato beni mobili ed immobili di loro proprietà, non utilizzati per fini istituzionali, agli enti del Terzo settore, ad eccezione delle imprese sociali, per lo svolgimento delle loro attività istituzionali. La cessione in comodato ha una durata massima di trent'anni, nel corso dei quali l'ente concessionario ha l'onere di effettuare sull'immobile, a proprie cura e spese, gli interventi di manutenzione e gli altri interventi necessari a mantenere la funzionalità dell'immobile.
3. I beni culturali immobili di proprietà dello Stato, delle regioni, degli enti locali e degli altri enti pubblici, per l'uso dei quali attualmente non è corrisposto alcun canone e che richiedono interventi di restauro, possono essere dati in concessione a enti del terzo settore, che svolgono le attività indicate all'articolo 5, comma 1, lettere f), i), k), o z) con pagamento di un canone agevolato, determinato dalle amministrazioni interessate, ai fini della riqualificazione e riconversione dei medesimi beni tramite interventi di recupero, restauro, ristrutturazione a spese del concessionario, anche con l'introduzione di nuove destinazioni d'uso finalizzate allo svolgimento delle attività indicate, ferme restando le disposizioni contenute nel decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42. La concessione d'uso è finalizzata alla realizzazione di un progetto di gestione del bene che ne assicuri la corretta conservazione, nonché l'apertura alla pubblica fruizione e la migliore valorizzazione. Dal canone di concessione vengono detratte le spese sostenute dal concessionario per gli interventi indicati nel primo periodo entro il limite massimo del canone stesso. L'individuazione del concessionario avviene mediante le procedure semplificate di cui all'articolo 151, comma 3, del decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50. Le concessioni di cui al presente comma sono assegnate per un periodo di tempo commisurato al raggiungimento dell'equilibrio economico-finanziario dell'iniziativa e comunque non eccedente i 50 anni.
4. Per concorrere al finanziamento di programmi di costruzione, di recupero, di restauro, di adattamento, di adeguamento alle norme di sicurezza e di straordinaria manutenzione di strutture o edifici da utilizzare per le finalità di cui al comma 1, per la dotazione delle relative attrezzature e per la loro gestione, gli enti del Terzo settore sono ammessi ad usufruire, nei limiti delle risorse finanziarie disponibili, al ricorrere dei presupposti e in condizioni di parità con gli altri aspiranti, di tutte le facilitazioni o agevolazioni previste per i privati, in particolare per quanto attiene all'accesso al credito agevolato.
Art. 4. Enti del Terzo settore
In vigore dal 3 agosto 2017
1. Sono enti del Terzo settore le organizzazioni di volontariato, le associazioni di promozione sociale, gli enti filantropici, le imprese sociali, incluse le cooperative sociali, le reti associative, le società di mutuo soccorso, le associazioni, riconosciute o non riconosciute, le fondazioni e gli altri enti di carattere privato diversi dalle società costituiti per il perseguimento, senza scopo di lucro, di finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale mediante lo svolgimento di una o più attività di interesse generale in forma di azione volontaria o di erogazione gratuita di denaro, beni o servizi, o di mutualità o di produzione o scambio di beni o servizi, ed iscritti nel registro unico nazionale del Terzo settore.
2. Non sono enti del Terzo settore le amministrazioni pubbliche di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, le formazioni e le associazioni politiche, i sindacati, le associazioni professionali e di rappresentanza di categorie economiche, le associazioni di datori di lavoro, nonché gli enti sottoposti a direzione e coordinamento o controllati dai suddetti enti, ad esclusione dei soggetti operanti nel settore della protezione civile alla cui disciplina si provvede ai sensi dell'articolo 32, comma 4. Sono esclusi dall'ambito di applicazione del presente comma i corpi volontari dei vigili del fuoco delle Province autonome di Trento e di Bolzano e della Regione autonoma della Valle d'Aosta.
3. Agli enti religiosi civilmente riconosciuti le norme del presente decreto si applicano limitatamente allo svolgimento delle attività di cui all'articolo 5, a condizione che per tali attività adottino un regolamento, in forma di atto pubblico o scrittura privata autenticata, che, ove non diversamente previsto ed in ogni caso nel rispetto della struttura e della finalità di tali enti, recepisca le norme del presente Codice e sia depositato nel Registro unico nazionale del Terzo settore. Per lo svolgimento di tali attività deve essere costituito un patrimonio destinato e devono essere tenute separatamente le scritture contabili di cui all'articolo 13.
Grazie,
ho visto che il comma 1 dell'articolo 4, che fornisce una definizione di enti del terzo settore, prevede l'iscrizione nel registro unico nazionale, occorre la verifica di tale requisito? L'ipotesi prospettata era relativa all'esercizio di un'attività agrituristica che intende cessare e avviare l'attività di circolo privato, vi sono eventuali limitazioni in relazione alla preparazione di pasti assimilabili al servizio di ristorazione a favore degli associati? Mi sembra di ricordare una disposizione di natura fiscale che assimila l'organizzazione e l'erogazione di pasti completi tipici del servizio di ristorazione ( esempio, pranzo cena) quali possibili indici riconducibli ad un'attività organizzata in forma imprenditoriale e quindi incompatibile con l'attività associativa di circolo. In tale ipotesi è da intendersi superata alla luce dei principi di liberalizzazione delle attività (ad esempio: recenti richiami dell'autorità Antitrust nei confronti della disciplina del B&B prevista dalla nostra legge regionale Sardegna, ritenuta eccessivamente limitativa e restrittiva del principio costituzionale della libertà di impresa) o potrebbe di fatto comportare inconvenienti per il responsabile del circolo in tema di possibili fenomeni di evasione?
ho visto che il comma 1 dell'articolo 4, che fornisce una definizione di enti del terzo settore, prevede l'iscrizione nel registro unico nazionale, occorre la verifica di tale requisito?
[color=red]Il registro unico ancora non è stato attuato, basta verificare la effettiva natura del soggetto giuridico.[/color]
L'ipotesi prospettata era relativa all'esercizio di un'attività agrituristica che intende cessare e avviare l'attività di circolo privato, vi sono eventuali limitazioni in relazione alla preparazione di pasti assimilabili al servizio di ristorazione a favore degli associati?
[color=red]I problemi sono sempre quelli che afferiscono al caso generico dei circoli. La somm.ne deve servire per il ristoro dei soci che, sono tali, non perché voglio mangiare ma perché condividono lo scopo associativo e fanno vita sociale all’interno del circolo. Se le tessere associative sono fatte sul momento non sono che un mero espediente per eludere la normativa pubblicistica. Le sentenze in proposito sono molteplici. Non si può fare il processo alle intenzioni ma certamente è una fattispecie molto rischiosa: associati per quale finalità? I soci si riuniscono solo per mangiare? Il libro soci è aggiornato e dà conto delle assemblee?[/color]
Mi sembra di ricordare una disposizione di natura fiscale che assimila l'organizzazione e l'erogazione di pasti completi tipici del servizio di ristorazione ( esempio, pranzo cena) quali possibili indici riconducibli ad un'attività organizzata in forma imprenditoriale e quindi incompatibile con l'attività associativa di circolo.
[color=red]Puoi vede l’art. 79, comma 6 del CTS[/color]
[color=red][i]6. Si considera non commerciale l'attività svolta dalle associazioni del Terzo settore nei confronti dei propri associati, familiari e conviventi degli stessi in conformità alle finalità istituzionali dell'ente. Non concorrono alla formazione del reddito delle associazioni del Terzo settore le somme versate dagli associati a titolo di quote o contributi associativi. S[b]i considerano, tuttavia, attività di natura commerciale le cessioni di beni e le prestazioni di servizi effettuate nei confronti degli associati, familiari o conviventi degli stessi verso pagamento di corrispettivi specifici, compresi i contributi e le quote supplementari determinati in funzione delle maggiori o diverse prestazioni alle quali danno diritto. Detti corrispettivi concorrono alla formazione del reddito complessivo come componenti del reddito di impresa o come redditi diversi a seconda che le relative operazioni abbiano carattere di abitualità o di occasionalità[/b].[/i][/color]
[color=red][i]E poi l’art. 85, comma 4 che riguarda [b]solo le APS[/b]
Per le associazioni di promozione sociale ricomprese tra gli enti di cui all'articolo 3, comma 6, lettera e), della legge 25 agosto 1991, n. 287, iscritte nell'apposito registro, le cui finalità assistenziali siano riconosciute dal Ministero dell'interno,[b] non si considera in ogni caso commerciale, anche se effettuata a fronte del pagamento di corrispettivi specifici, la somministrazione di alimenti o bevande effettuata presso le sedi in cui viene svolta l'attività istituzionale da bar e esercizi similari, nonché l'organizzazione di viaggi e soggiorni turistici, sempre che vengano soddisfatte le seguenti condizioni[/b]:
a) tale attività sia strettamente complementare a quelle svolte in diretta attuazione degli scopi istituzionali e sia effettuata nei confronti degli associati e dei familiari conviventi degli stessi;
b) per lo svolgimento di tale attività non ci si avvalga di alcuno strumento pubblicitario o comunque di diffusione di informazioni a soggetti terzi, diversi dagli associati.[/i][/color]
In tale ipotesi è da intendersi superata alla luce dei principi di liberalizzazione delle attività (ad esempio: recenti richiami dell'autorità Antitrust nei confronti della disciplina del B&B prevista dalla nostra legge regionale Sardegna, ritenuta eccessivamente limitativa e restrittiva del principio costituzionale della libertà di impresa) o potrebbe di fatto comportare inconvenienti per il responsabile del circolo in tema di possibili fenomeni di evasione?
[color=red]La liberalizzazione riguarda l'esercizio dell'attività di impresa o la libertà economica in generale. I problemi legati all'elusione fiscale e amministrativa restano.[/color]