Data: 2017-11-22 09:45:45

MEZZI PUBBLICITARI: non serve il titolo edilizio ma solo quello del CdS

MEZZI PUBBLICITARI: non serve il titolo edilizio ma solo quello del CdS

[color=red][b]CONSIGLIO DI STATO, SEZ. VI – sentenza 21 novembre 2017 n. 5394[/b][/color]


DIRITTO

Come esposto in fatto la s.r.l. Publiemme ha proposto molteplici motivi di appello.

In primo luogo censura la sentenza di prime cure nella parte in cui non ha accolto il motivo di ricorso di primo grado, con il quale era stata dedotta violazione degli artt. 3 del d.lgs. 15-11-1993, n. 507, 23 del d.lgs. 30-4-1992, n. 285, 53 del D.P.R. n. 495 del 1992 e dell’articolo 31 del D.P.R. 6-6-2001 n. 380.

Deduce che dalla corretta interpretazione della citata normativa deriva che il Comune, nel rilasciare l’autorizzazione alla installazione degli impianti pubblicitari deve necessariamente valutare tutti gli interessi coinvolti in tale attività, ivi compresi quelli di natura edilizia ed urbanistica.

Evidenzia che il d.lgs. n. 507/1993 ed il codice della strada contengono una disciplina completa della materia dell’installazione degli impianti pubblicitari, di carattere speciale rispetto a quella generale in materia edilizia, con la conseguenza che i titoli abilitativi previsti dalla disciplina speciale assolvono integralmente le esigenze proprie del settore e quelle territoriali affidate alla cura degli enti locali, sicchè non vi è spazio per l’applicazione della normativa edilizia contenuta nel D.P.R. 6-6-2001, n. 380.

Lamenta ancora che il giudice di primo grado avrebbe errato laddove: ha affermato che l’installazione degli impianti pubblicitari su suolo pubblico è subordinata, oltre che a un provvedimento di natura autorizzatoria anche ad uno di natura concessoria, essendo tale conclusione in contrasto con gli artt. 23 del d.lgs. n. 285/1992 e 53 del D.P.R. n. 495/1992, i quali per l’installazione su suolo pubblico prevedono il solo provvedimento autorizzatorio; ha ritenuto applicabile la disciplina antisismica in contrasto con la deliberazione 2-7-2011 n. 330 della Giunta Regionale della Calabria, che ha catalogato gli impianti pubblicitari come opere minori (art. 17 dell’allegato A), definitivamente chiarendo che essi sono sottratti alle leggi nazionali e regionali in materia di edilizia sismica.

Il motivo di appello è fondato.

Il Tribunale Amministrativo Regionale così motiva sul punto.

“….In tale ottica, si deve ritenere che non sussiste un rapporto di tipo derogatorio fra la normativa edilizia, oggi compendiata nel D.P.R. 6.6.2001 n. 380, e la normativa per le pubbliche affissioni di cui al d.lgs. 15 novembre 1993, n. 507, giacchè trattasi di discipline differenti, aventi differenti contenuti e finalità, che concorrono nella medesima fattispecie ai fini della tutela di interessi pubblici diversi nonché ai fini della definizione di differenti procedimenti amministrativi. Ed, invero, la normativa edilizia trova applicazione in tutte le ipotesi in cui si configura un mutamento del territorio nel suo contesto preesistente, sia sotto il profilo urbanistico che sotto quello edilizio, ed entro questi limiti, pertanto, assume rilevanza la violazione dei regolamenti edilizi. Conseguentemente, nelle ipotesi in cui la sistemazione di una insegna o di una tabella (cosiddetta tabellone) pubblicitaria o di ogni altro genere quando, per le sue consistenti dimensioni, comporti un rilevante mutamento territoriale, è richiesto l’assenso mediante “permesso di costruire” e mediante semplice s.c.i.a. negli altri casi, in coerenza con le previsioni della normativa edilizia di cui agli artt. 2, 6 e 7 del D.P.R. n. 380 del 2001 e succ. mod…..”.

La determinazione del giudice di primo grado, la quale ritiene necessario lo specifico assenso edilizio del permesso di costruire ed assume l’applicabilità in materia del D.P.R. n. 380 del 2001, non può essere condivisa alla luce del recente orientamento espresso dalla giurisprudenza della Sezione (sentt. n. 316/2017 del 25-1-2017 e n. 230/2017 del 19-1-2017).

Con tali pronunzie è stato affermato che la ricostruzione del panorama legislativo vigente consente di ritenere che l’autorizzazione all’installazione degli impianti pubblicitari rilasciata dai Comuni in base alla disciplina speciale (segnatamente in base all’art. 23 del Codice della Strada), nel rispetto dei criteri e dei vincoli fissati nell’apposito regolamento comunale e nel piano generale degli impianti pubblicitari ( a loro volta previsti dall’art. 3 del d.lgs. n. 507/1993), abbia anche una valenza edilizia-urbanistica ed assolva, pertanto, alle esigenze di tutela sottesa al rilascio di un ulteriore titolo abilitativo rappresentato dal rilascio del titolo edilizio secondo la disciplina di cui al d.p.r. n. 380 del 2001.

La tesi della necessità dello specifico titolo edilizio viene, invero, ritenuta non condivisibile sulla base delle seguenti considerazioni.

“10.1 In primo luogo , essa non sembra tenere conto della “specialità” della disciplina di settore (codice della strada e decreto legislativo n. 507 del 1993) la quale, come riconosciuto anche dalla Corte Costituzionale prescrive regole e obblighi pianificatori specifici, volti a tutelare, anche, le esigenze “ dell’assetto del territorio e delle sue caratteristiche abitative, estetiche, ambientali e di viabilità”. Di conseguenza, prescrivere in aggiunta all’autorizzazione di settore, anche il rilascio del permesso di costruire si tradurrebbe in una duplicazione del sistema autorizzatorio e sanzionatorio che risulterebbe sproporzionata, perché non giustificata dall’esigenza, già salvaguardata in base alla disciplina speciale (cfr. art. 3 d.lgs. n. 507 del 1993), di tutelare l’assetto al corretto assetto del territorio.

10.2 L’inutile complicazione cui darebbe luogo la tesi della duplicazione dei titoli autorizzatori risulta, peraltro, in controtendenza rispetto all’esigenza, fortemente perseguita dal legislatore anche nei più recenti interventi legislativi (cfr., ad esempio, d.lgs. 30 giugno 2016, n. 126), di semplificare i procedimenti amministrativi, convogliando i titoli abilitativi necessari allo svolgimento di un’attività privata all’interno di un procedimento unitario. Gli interessi legati all’assetto urbanistico, pertanto, devono essere perseguiti dal Comune non attraverso la duplicazione dei titoli autorizzatori, ma vanno, al contrario, valutati, nel rispetto del principio di semplificazione ed unicità del procedimento amministrativo, all’interno del procedimento di rilascio dell’autorizzazione prevista dall’art. 23, comma 4, codice della strada, con la conseguenza che quest’ultima autorizzazione dovrà essere negata nel caso in cui l’installazione risulti incompatibile con le esigenze urbanistico-edilizie.

10.3 Ulteriori elementi interpretativi a sostegno di questa tesi si desumono poi dall’art. 168 d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42 (Codice dei beni culturali e del paesaggio), che testualmente dispone “Chiunque colloca cartelli o altri mezzi pubblicitari in violazione dell’art. 153 è punito con le sanzioni previste dal decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 e successive modificazioni”. In tal modo …la norma ha sottratto i cartelli pubblicitari alla disciplina generale prevista per le costruzioni e le opere in genere, assoggettandoli, ove sprovvisti del nulla osta paesaggistico, alle sanzioni previste dal codice della strada e non già alle sanzioni penali previste per le costruzioni abusive.

10.4 Ancora, in tale direzione depone l’orientamento delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione le quali, pronunciando in tema di riparto della giurisdizione in materia di rimozione di impianti pubblicitari (in questo processo sulla giurisdizione si è formato il giudicato implicito), hanno in più occasioni escluso che il provvedimento con il quale il Comune intima la rimozione coattiva di un impianto pubblicitario rientri nella categoria degli “atti e provvedimenti” in materia di urbanistica ed edilizia – la cui cognizione, come è noto, è devoluta alla giurisdizione del giudice amministrativo, affermando espressamente che non si verte “in tema di uso del territorio, ma di godimento abusivo di beni demaniali, con riferimento al quale il legislatore detta una disciplina specifica” (cfr. Cass. Sez. Un. 14-1-2009, n. 563; 18-11-2008, n. 27334, 6-6-2007 n. 13230, 17-7-2006 n. 16129 e 19-11-1998 n. 11721)”.

[color=red][b]Ciò posto, osserva la Sezione che dalla regola della ricomprensione della valutazione urbanistico-edilizia in tema di installazione di impianti pubblicitari all’interno dello specifico procedimento autorizzatorio previsto dal Codice della Strada consegua l’inapplicabilità nella specie delle disposizioni contenute dal D.P.R. n. 380/2001 in materia edilizia, sia di tipo abilitativo che di tipo sanzionatorio.[/b][/color]

Da tanto deriva che – contrariamente a quanto ritenuto dal giudice di prime cure- non è possibile richiedere, per l’installazione di un impianto pubblicitario, il “permesso di costruire” e, di conseguenza, ove questo manchi, comminare la sanzione demolitoria prevista dal D.P.R. n. 380/2001.

[b]Da quanto sopra consegue l’illegittimità dell’ordinanza impugnata in primo grado, la quale ha fondato l’ordine demolitorio sulla circostanza della assenza del permesso di costruire ed ha esercitato espressamente il potere sanzionatorio previsto per tale carenza dall’articolo 31 del D.P.R. n. 380/2001.[/b]

L’ordinanza n. 3 del 24-1-2011, adottata dal Comune di Catanzaro, espressamente così dispone: “PRATICA ABUSO EDILIZIO n. 1103 ORDINANZA n. 3

Visto il rapporto informativo prot. n. 113048 del 13-12-2010 trasmesso dal Corpo di Polizia Municipale – Servizio Vigilanza Edilizia, con il quale viene segnalato che da parte della SOC. PUBLIEMME S.R.L…..sono stati abusivamente installati in Via L. Della Valle (di fronte entrata ristorante il Girasole) in assenza di titolo edificatorio, di autorizzazione del Genio Civile ed in contrasto con il Piano generale degli impianti pubblicitari ed affissionistici, approvato con delibera di G.C. n. 82 del 2-3-2004, quanto segue: “Installazione abusiva di due impianti pubblicitari monofacciali dalle dimensioni di mt. 6,00 per 3,00, sostenuti da profilati in ferro con struttura metallica a cornice ed applicate le targhette identificative n. 247 e n. 281”; ……Considerato che le opere realizzate risultano eseguite in assenza di permesso di costruire, in assenza di autorizzazione del Genio Civile ai sensi della L.R. n. 35/09 ed in contrasto con il Piano Generale degli Impianti Pubblicitari ed Affissionistici, approvato con delibera di G.C. n. 82 del 2-3-2004; Visto che nel caso in esame per gli interventi sopraccitati trova applicazione il secondo comma dell’art. 31 del DPR n. 380 del 6-6-2001 e successive modificazioni ed integrazioni; Ritenuto, pertanto, che ricorrono i presupposti di fatto e di diritto per la demolizione dell’opera e per il ripristino dell’originario stato dei luoghi;…Visto l’art. 31 del D.P.R. n. 380 del 6-6-2001; ORDINA alle ditte sottoindicate:….entro 90 giorni dalla notifica della presente di demolire le opere abusivamente realizzate, dette in narrativa, e di ripristinare lo stato dei luoghi, senza pregiudizio per l’azione penale; AVVERTE che in mancanza dell’adempimento di quanto sopra intimato, successivamente l’opera sarà demolita a spese dei responsabili ai sensi del comma 5 dell’articolo di legge di cui sopra……”.

Dalla lettura della sopra riportata ordinanza emerge chiaramente che il Comune, nell’ingiungere la demolizione, ha esercitato lo specifico potere di repressione edilizia previsto dall’articolo 31 del citato D.P.R. n. 380/2001 sulla base della assenza del titolo edificatorio “permesso di costruire”.

Orbene, in base alle considerazioni in precedenza svolte, tale determinazione risulta illegittima, giacchè la verifica della conformità edilizio-urbanistica del manufatto andava eseguita in seno al procedimento di autorizzazione previsto dal Codice della Strada per l’installazione di cartelli pubblicitari, applicando, in ipotesi di assenza di autorizzazione, i poteri repressivi e sanzionatori dello specifico settore e non anche quelli in generale previsti per la materia edilizia.

Analoghe considerazioni devono svolgersi in ordine alla assunta esistenza del “contrasto con il Piano Generale degli Impianti Pubblicitari ed Affissionistici, approvato con delibera di G.C. n. 82 del 2-3-2004”.

Invero, la lettura del provvedimento e degli atti del procedimento in esso richiamati per relationem consente di ritenere, quale unica esternata (sia pure in maniera non chiaramente espressa) ragione di contrasto con il Suddetto Piano, l’assenza dell’autorizzazione all’installazione dell’impianto pubblicitario.

Tanto risulta evincibile dal “rapporto informativo prot. n.113048 del 13-12-2010 trasmesso dal Corpo di Polizia Municipale- Servizio Vigilanza Edilizia” richiamato nel provvedimento impugnato, laddove lo stesso indica (ed allega in copia) verbali di contravvenzione alla società per installazione dell’impianto in assenza dell’autorizzazione prevista dall’art. 23 del Codice della Strada.

Di poi, la nota prot. n. 107778 del 24-11-2010 del Settore Edilizia Privata e SUAP, indirizzata al Comando di Polizia Municipale, “comunica che gli impianti pubblicitari …risultano privi di atti autorizzativi e di autorizzazione del Genio Civile”.

Ciò posto, l’assenza di autorizzazione ex art. 23 del Codice della Strada costituisce certamente ragione di contrasto con il Piano degli Impianti, atteso che l’articolo 11 dello stesso prevede che, ai fini dell’installazione degli impianti pubblicitari, è necessaria la previa autorizzazione comunale.

Purtuttavia, trattandosi di violazione attinente allo specifico settore della pubblicità, tale illecito avrebbe dovuto essere perseguito attraverso l’esercizio dei poteri sanzionatori a ciò deputati e non anche attraverso l’esercizio del potere repressivo edilizio di cui all’articolo 31 del D.P.R. n. 380/2001.

Pertanto, sotto tale profilo il motivo di appello si rivela fondato ed illegittimo l’atto impugnato, atteso che un illecito in materia di impianti pubblicitari è stato perseguito attraverso l’esercizio del potere repressivo proprio dell’edilizia, in tal modo determinandosi un evidente eccesso di potere nella figura sintomatica dello sviamento dalla causa tipica.

La ritenuta carenza di autorizzazione cd. “pubblicitaria”, ove sussistente, avrebbe potuto essere sanzionata, ma attivando gli specifici strumenti sanzionatori predisposti dall’ordinamento nella specifica materia.

Invero, la normativa di settore prevede espressamente, con specifiche disposizioni, il potere di rimozione delle installazioni pubblicitarie non regolari.

L’articolo 13 bis dell’articolo 23 del Codice della Strada prevede che “In caso di collocazione di cartelli, insegne di esercizio o altri mezzi pubblicitari privi di autorizzazione o comunque in contrasto con quanto disposto dal comma 1, l’ente proprietario della strada diffida l’autore della violazione e il proprietario o il possessore del suolo privato, nei modi di legge, a rimuovere il mezzo pubblicitario a loro spese e non oltre dieci giorni dalla data di comunicazione dell’atto. Decorso il suddetto termine, l’ente proprietario provvede ad effettuare la rimozione del mezzo pubblicitario e alla sua custodia ponendo i relativi oneri a carico dell’autore della violazione….”.

Analoghe previsioni di potere di rimozione sono, poi, contemplate dai successivi commi 13 ter e 13 quater.

Di poi, l’articolo 24 (rubricato “Sanzioni amministrative”) del d.lgs. n. 507/1993 in materia di pubblicità e pubbliche affissioni stabilisce, al comma 2, che “Per le violazioni delle norme regolamentari stabilite dal Comune in esecuzione del presente capo nonché di quelle contenute nei provvedimenti relativi alla installazione degli impianti, si applica la sanzione da euro 206 a euro 1549…”, aggiungendo che “Il Comune dispone, altresì, la rimozione degli impianti pubblicitari abusivi facendone menzione nel suddetto verbale; in caso di inottemperanza all’ordine di rimozione entro il termine stabilito, il comune provvede di ufficio, addebitando ai responsabili le spese sostenute”.

Va, inoltre, evidenziato che, in caso di esistenza di una autorizzazione che sia in contrasto con le prescrizioni del Codice della Strada, del relativo regolamento di Attuazione, del Regolamento Comunale sulla pubblicità ovvero delle prescrizioni del Piano Generale degli Impianti Pubblicitari e di Pubblica Affissione, ci si trova di fronte ad un provvedimento illegittimo, con conseguente possibilità per l’Ente di attivare il potere di autotutela, presupposto indispensabile per l’applicazione della sanzione.

Per le ragioni sopra esposte ed in relazione ai profili evidenziati, pertanto, l’ordinanza impugnata è illegittima e, in accoglimento dell’appello e del ricorso di primo grado, essa deve essere annullata.

Né può valere, a fondare la legittimità della stessa il riferimento in essa operato alla assenza della autorizzazione del Genio Civile.

Il giudice di primo grado ha in proposito affermato quanto segue.

“Analogamente, la violazione della normativa antisismica di cui alla legge 2 febbraio 1974 n. 64, posta a tutela della pubblica incolumità nelle zone dichiarate sismiche, non può essere derogata dalla normativa speciale di cui al d.lgs. 15 novembre 1993, n. 507 e trova applicazione , omnicomprensivamente, ai sensi dell’art. 3, comma 1, a “tutte le costruzioni la cui sicurezza possa comunque interessare la pubblica incolumità”, a nulla rilevando la natura dei materiali impiegati e delle relative strutture: anzi, proprio l’impiego, come nel caso di specie, di elementi meno solidi e duraturi di quelli in cemento e assimilati, rende vieppiù necessari i controlli e le cautele prescritte ai fini preventivi in questione”.

Osserva la Sezione, a prescindere da ogni rilievo in ordine alla questione della applicabilità alla struttura in esame della autorizzazione antisismica in relazione al carattere “minore” dell’opera, che il difetto della richiamata autorizzazione non è utile a fondare l’impugnato provvedimento di demolizione.

Invero, in disparte la circostanza che la determinazione demolitoria non richiama alcuna norma di legge a tutela delle zone sismiche quale fondamento della stessa, deve essere evidenziato che né la legge n. 64/1974 ( oggi recepita nella parte II del DPR n. 380/2001) né la legge regionale della Calabria n. 35/2009 prevedono, in assenza della autorizzazione del Genio Civile, un potere comunale di demolizione dell’opera.

Il sistema normativo di cui alla citata legge n. 64/1974 stabilisce che l’ingegnere capo dell’ufficio tecnico della Regione o dell’ufficio del genio civile dispongano la sospensione dei lavori (art. 22). Prevede, poi, all’articolo 23, comma 3, che “Con il decreto o con la sentenza di condanna il pretore ordina la demolizione delle opere o delle parti di esse costruite in difformità alle norme della presente legge o dei decreti interministeriali di cui agli articoli 1 e 3 , ovvero impartisce le prescrizioni necessarie per rendere le opere conformi alle norme stesse, fissando il relativo termine”. Il successivo articolo 24 dispone che “Qualora il condannato non ottemperi all’ordine o alle prescrizioni dell’articolo precedente, dati con sentenza irrevocabile o con decreto esecutivo, l’ufficio tecnico della regione o l’ufficio del genio civile secondo le competenze vigenti provvedono, se del caso con l’assistenza della forza pubblica, a spese del condannato”.

Analoghe disposizioni sono contenute nel DPR n. 380/2001 e nella legge regionale n. 35/2009, prevedendosi un intervento sospensivo da parte della Regione e una competenza demolitoria in capo all’autorità giudiziaria.

Al Comune competono funzioni di vigilanza e di comunicazione, ma non anche poteri repressivi o sanzionatori.

Di conseguenza, l’impugnata ordinanza non può essere assolutamente interpretata nel senso che la determinazione demolitoria si fondi sulla mancata autorizzazione del Genio Civile.

Tale lettura deriva dalle norme sopra indicate e trova conferma nella circostanza che non vi è richiamo ad alcuna norma di settore a fondamento della disposta rimozione delle opere.

Con altro motivo di appello la gravata sentenza viene censurata nella parte in cui ha rigettato il motivo proposto in primo grado, con il quale era stata dedotta violazione degli artt. 3, 6 e 10 della legge n. 241/1990, nonché eccesso di potere per difetto di istruttoria, insufficienza, incongruità della motivazione e travisamento dei fatti.

L’appellante deduce che il Tribunale non ha verificato se il provvedimento sia stato preceduto da una istruttoria adeguata, limitandosi ad affermare che siccome “ esso non può essere considerato privo dei suoi presupposti legittimanti” si deve escludere che “non vi sia stata un’indagine, la cui dedotta inappropriatezza non pare supportata da alcuna contraria allegazione” ed ha ritenuto sufficiente una motivazione, che si è limitata ad affermare l’abusività dell’impianto per mancanza del permesso di costruire senza altra aggiunta o specificazione.

Rileva, invero, che nel provvedimento impugnato non vi è alcuna considerazione in ordine alla necessità del permesso di costruire in relazione alle sue dimensioni ed alle caratteristiche costruttive, al tempo decorso dalla sua installazione, alla circostanza che per lo stesso era stata avanzata regolare domanda di autorizzazione e che era stato regolarmente dichiarato con conseguente pagamento dell’imposta comunale sulla pubblicità.

Il motivo di appello è fondato nella parte in cui lamenta che la sentenza del Tribunale non ha accolto il motivo del ricorso di primo grado con il quale era stato dedotto il difetto di motivazione della ordinanza impugnata.

La pronunzia di primo grado così si esprime sul punto.

“ Quanto al …motivo, con cui parte ricorrente deduce deficit motivazionale ed istruttorio, osserva il Collegio che , alla luce di tutti i principi esposti in sede di disamina dei vari profili sostanziali di gravame, il provvedimento impugnato, pur nella sua scarna e sintetica motivazione, non può, comunque, essere considerato privo dei presupposti legittimanti: il che consente di escludere che non vi sia stata un’indagine, la cui dedotta non appropriatezza non pare supportata da alcuna contraria allegazione”.

La determinazione reiettiva del Tribunale non è condivisa dal Collegio con riferimento alla parte dell’ordinanza impugnata nella quale si afferma che l’opera risulta realizzata “in contrasto con il Piano Generale degli Impianti Pubblicitari ed affissionistici, approvato con delibera di G.C. n. 82 del 2-3-2004”.

E tanto sulla base delle considerazioni che di seguito si svolgono.

La motivazione del provvedimento, ai sensi dell’articolo 3 della legge n. 241/1990, deve indicare i presupposti di fatto e di diritto su cui la determinazione dell’Amministrazione si fonda, così rendendo palese al destinatario del provvedimento l’iter logico giuridico seguito dal soggetto pubblico.

Orbene, in disparte la considerazione che la disposizione demolitoria è fondata esclusivamente sulla violazione dell’articolo 31 del D.P.R. n. 380/2001, e, dunque, sulla assenza del permesso di costruire, non può non essere rimarcata la assoluta genericità del riferimento al contrasto col Piano Generale degli Impianti, la quale ridonda in assoluta insufficienza della motivazione.

Si è più sopra evidenziato che l’unico profilo di contrasto che potrebbe ritenersi essere stato espresso dal provvedimento impugnato (attraverso la lettura del rapporto informativo del Comando Vigili Urbani dallo stesso richiamato) è la carenza di autorizzazione ex art. 23 del Codice della Strada.

Della fondatezza in proposito dell’appello e della illegittimità sul punto della gravata ordinanza si è già detto in precedenza.

Ove, poi, il Comune avesse inteso rilevare ulteriori profili di contrasto, in relazione a questi sussiste certamente la lamentata carenza motivazionale.

Vi è, invero, che non viene specificato in concreto alcun profilo del suddetto contrasto, né vengono indicate disposizioni del Piano che sarebbero state nello specifico violate.

La sufficienza della motivazione va valutata sulla base dei contenuti del provvedimento e degli atti procedimentali in esso richiamati, i quali possono integrare una motivazione per relationem.

Non è possibile, peraltro, per pacifica acquisizione giurisprudenziale, che la motivazione del provvedimento venga integrata in corso di giudizio, attraverso le deduzioni difensive dell’Amministrazione.

Ciò posto, va rilevato che l’esame degli atti che hanno preceduto l’adozione dell’ordinanza impugnata non recano riferimento alcuno alle disposizioni del Piano Generale che risulterebbero in concreto violate (a parte la possibilità di dedurre una carenza di autorizzazione alla installazione dell’impianto ex art. 23 del Codice della Strada).

Invero, il “rapporto informativo….trasmesso dal Corpo di Polizia Municipale- Servizio di Vigilanza edilizia”, dopo aver dato descrizione delle opere, si limita ad affermare che “la ditta non risulta in possesso di alcun titolo autorizzativo urbanistico/edilizio”.

Lo stesso atto di avviso di avvio del procedimento si riferisce ad un presunto “illecito edilizio”, ma non contiene riferimento alcuno a norme o disposizioni del Piano che risulterebbero violate.

Sulla base delle considerazione sopra svolte, dunque, risulta fondato il motivo di appello, attesa l’esistenza del vizio motivazionale e la conseguente illegittimità dell’ordinanza emessa dal Comune di Catanzaro.

La fondatezza dei motivi di appello sopra esaminati risulta sufficiente all’accoglimento del gravame, evidenziando l’esistenza nell’ordinanza impugnata di profili di illegittimità – non positivamente scrutinati dal giudice di primo grado – sufficienti a determinarne l’annullamento in sede giurisdizionale.

Può, di conseguenza, essere assorbito l’esame degli ulteriori motivi di appello, in particolare:

-quello con cui la Publiemme censura la sentenza impugnata nella parte in cui non ha accolto il motivo di ricorso di primo grado con il quale era stata dedotta la violazione dell’articolo 12 del Piano Generale degli impianti pubblicitari ed eccesso di potere per contraddittorietà e contrasto con precedenti manifestazioni di volontà, avendo escluso l’operatività, in materia di installazione di impianti pubblicitari dell’istituto del silenzio-assenso;

-quello con cui la gravata sentenza viene impugnata nella parte in cui ha respinto la doglianza di violazione degli articoli 7 e 8 della legge n. 241/1990, assumendo l’applicabilità nella specie dell’articolo 21 octies, comma 2, della legge n. 241/1990.

In conclusione, dunque, l’appello deve essere accolto, con conseguente riforma della sentenza del Tribunale, accoglimento del ricorso di primo grado ed annullamento del provvedimento impugnato.

Restano comunque salvi gli ulteriori provvedimenti dell’Amministrazione, da adottarsi comunque mediante l’esercizio dei poteri “tipici” apprestati dall’ordinamento e nelle corrette forme di legge.

Le spese del doppio grado del giudizio possono essere integralmente compensate tra le parti costituite, attesa la novità dell’orientamento giurisprudenziale della Sezione sopra richiamato e sul quale trova fondamento la presente decisione di accoglimento.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l’effetto, in riforma della sentenza appellata, accoglie il ricorso di primo grado ed annulla l’ordinanza impugnata, fatti salvi gli ulteriori provvedimenti dell’Amministrazione.

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