Data: 2017-05-15 13:51:18

Chiusura per 5 giorni - legittima per occupazione abusiva suolo pubblico

Chiusura per 5 giorni - legittima per occupazione abusiva suolo pubblico

[color=red][b]CONSIGLIO DI STATO, SEZ. V – sentenza 11 maggio 2017 n. 2198[/b][/color]

Pubblicato il 11/05/2017
N. 02198/2017REG.PROV.COLL.
N. 05489/2016 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA

sul ricorso iscritto in appello al numero di registro generale 5489 del 2016, proposto da:

Il Boschetto Srl, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dagli avvocati Antonino Battiati e Edoardo Giardino, con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Edoardo Giardino in Roma, via Adelaide Ristori, n. 9;

contro

Roma Capitale, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dagli avvocati Alessandro Rizzo e Rosalda Rocchi, con i quali è domiciliata in Roma, via del Tempio di Giove, n. 21;

Roma Capitale – Municipio Roma I Centro Unità Organizzativa Amministrativa Ufficio Vigilanza ,non costituito in giudizio;

Corpo di Polizia Locale di Roma Capitale, non costituito in giudizio;

Corpo di Polizia Locale di Roma Capitale U.O. I Gruppo Trevi, non costituito in giudizio;

per la riforma

della sentenza breve del T.A.R. LAZIO – ROMA: SEZIONE II TER n. 05955/2016, resa tra le parti, concernente la rimozione dell’occupazione abusiva di suolo pubblico e ripristino dello stato dei luoghi – chiusura esercizio (attivita’ di laboratorio);

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio di Roma Capitale;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 2 marzo 2017 il Cons. Daniele Ravenna e uditi per le parti gli avvocati Edoardo Giardino e Rosalda Rocchi;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

1.Con determinazione dirigenziale n. 519 del 2 marzo 2016 Roma Capitale ha ordinato al legale rappresentante de Il Boschetto s.r.l. la rimozione dell’occupazione di suolo pubblico accertata dal Corpo di Polizia Locale con verbale del 12 novembre 2015, antistante l’esercizio sito in via del Boschetto n. 53-55, ingiungendo l’immediato ripristino dello stato dei luoghi e la chiusura per un periodo pari a cinque giorni dell’esercizio commerciale.

A fondamento di tale provvedimento è stato richiamato il verbale del Corpo di Polizia Locale di Roma Capitale U.O. I Gruppo Trevi che, in seguito a sopralluogo del 6 novembre 2015, ore 12,30, aveva accertato la violazione delle norme di cui all’art. 20 Codice della Strada e degli artt. 14 e 14 bis della delibera consiliare n. 119 del 2005 e s.m.i. e degli artt. 14 e 14 (in quanto la predetta società, autorizzata per attività di commercio alimentare e non in media struttura di vendita, occupava all’esterno dell’attività, nello spazio riservato al carico e scarico merci, il suolo pubblico con carrelli metallici e pedane, senza la necessaria autorizzazione amministrativa).

2. Il Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, con la sentenza segnata in epigrafe, nella resistenza dell’intimata amministrazione comunale, ha respinto il ricorso proposto da Il Boschetto s.r.l. avverso il predetto provvedimento, ritenendo infondate le censure sollevate.

3. La società interessata ha chiesto la riforma di tale sentenza, deducendone l’erroneità e l’ingiustizia alla stregua dei seguenti motivi di gravame: “Erroneità della sentenza impugnata in ordine al primo motivo di ricorso (recante i seguenti vizi di invalidità: violazione dell’art. 3 della legge 9472009; violazione dell’art. 20 del d. lgs. n. 285 del 1992; violazione dell’ordinanza sindacale n. 258/2012; violazione degli artt. 3 e 7 della legge n. 241/90. Eccesso di potere per ingiustizia manifesta, illogicità e contraddittorietà decisionale, errata acquisizione dei fatti, difetto di istruttoria, violazione dei principi di proporzionalità e ragionevolezza amministrativa)”; “Erroneità della sentenza impugnata in ordine al secondo motivo del ricorso (recante i seguenti vizi di invalidità: violazione dell’art. 1 della l. n. 241/1990. Violazione dei pr8incipi di imparzialità, buon andamento, proporzionalità e ragionevolezza. Violazione dell’art. 41 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea. Eccesso di potere per ingiustizia manifesta, errata valutazione dei fatti e travisamento dei fatti, disparità di trattamento, difetto di istruttoria, contraddittorietà e illogicità motivazionale e decisionale”; “Erroneità della sentenza in relazione alla condanna del ricorrente alle spese del giudizio”.

In sintesi, secondo l’appellante, il tribunale avrebbe erroneamente ritenuto come vincolato un potere che il legislatore (art. 3, comma 16, legge 94/2009) qualifica discrezionale; non avrebbe valutato la rilevanza dell’utilizzo, assolutamente temporaneo, del piccolo spazio, autorizzato per il carico e scarico merci, e comunque l’immediato e completo ripristino dello stato dei luoghi (e il pagamento della sanzione pecuniaria), tanto più che il provvedimento impugnato era stata adottato a distanza di ben 117 giorni dopo l’accertamento, disponendo la chiusura dell’esercizio per 5 giorni lavorativi, quando ormai l’abuso era stato rimosso e non era più nulla da ripristinare.

Sotto altro concorrente profilo, l’appellante ha sostenuto che sarebbe stato violato anche il Regolamento OSP del Comune di Roma, che prevede la notifica del provvedimento entro 7 giorni. Oltre a non essere mai stato comunicato l’avvio del procedimento, sarebbe stato violato nel caso di specie anche l’art. 41 della Carta dei diritti dell’Unione europea, art. 41, che impone il vincolo dell’equità all’agire amministrativo, a sua volta richiamata dalla legge n. 241 del 1990.

Ha resistito al gravame Roma Capitale che ne ha chiesto il rigetto, deducendone l’inammissibilità e l’infondatezza.

3. Nell’imminenza dell’udienza di trattazione le parti hanno illustrato con apposite memorie le proprie rispettive tesi difensive.

4. All’udienza del 2 marzo 2017, dopo la rituale discussione, la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

5. I motivi di gravame, che per la loro intima connessione possono essere esaminati congiuntamente, sono infondati.

5.1. Occorre innanzitutto rilevare in punto di fatto che non è stato neppure contestato da parte dell’appellante l’utilizzo, senza alcun titolo autorizzativo, dell’area antistante il locale, riservata al carico e allo scarico delle merci, con carrelli metallici e pedane.

Ciò è sufficiente ad integrare la violazione contestata, non rilevando per contro la asserita, ma indimostrata temporaneità dell’utilizzo di quell’area con carrelli metallici e pedane, temporaneità o occasionalità smentita dalla documentazione indiziaria prodotta dall’amministrazione appellata.

[b]5.2. Quanto alla natura del potere esercitato con il provvedimento impugnato e circa la legittimità dell’ordinanza sindacale n. 258 del 27 novembre 2012, le conclusioni raggiunte dai primi giudici non meritano di essere sconfessate, essendo stata riconosciuta “…la legittimità dell’ordinanza sindacale n. 258 del 27 novembre 2012, (…) che ha disposto da parte dei dirigenti degli uffici dell’amministrazione capitolina, nei casi di occupazione di suolo pubblico totalmente abusiva effettuata, per fini di commercio, su strade urbane ricadenti nel territorio capitolino, delimitato dal perimetro del sito Unesco, l’applicazione delle disposizioni previste dall’art. 20 del Codice della Strada e dall’art. 3, comma 16, della legge n. 94 del 2009, e, per altro verso, la natura vincolata del potere esercitabile dai predetti dirigenti” (Sez. V, sentenza n. 5066 del 14 ottobre 2014).[/b]

E’ da aggiungere che la norma primaria posta alla base del provvedimento impugnato (art. 3, comma 16, della legge 15 luglio 2009, n. 94 “Disposizioni in materia di sicurezza pubblica”: “16. Fatti salvi i provvedimenti dell’autorità per motivi di ordine pubblico, nei casi di indebita occupazione di suolo pubblico previsti dall’articolo 633 del codice penale e dall’articolo 20 del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, e successive modificazioni, il sindaco, per le strade urbane, e il prefetto, per quelle extraurbane o, quando ricorrono motivi di sicurezza pubblica, per ogni luogo, possono ordinare l’immediato ripristino dello stato dei luoghi a spese degli occupanti e, se si tratta di occupazione a fine di commercio, la chiusura dell’esercizio fino al pieno adempimento dell’ordine e del pagamento delle spese o della prestazione di idonea garanzia e, comunque, per un periodo non inferiore a cinque giorni.”), disponendo che “il sindaco …e il prefetto…possono…”, non è idonea a qualificare il potere esercitato come discrezionale, ma è essa stessa attributiva ai predetti organi di quel potere di ripristino dello stato dei luoghi e di chiusura dell’esercizio cui è imputabile l’abuso.

Non può poi condividersi l’assunto dell’appellante , secondo cui la cessazione dell’illegittima occupazione, il ripristino dei luoghi e il pagamento delle sanzioni irrogate da parte del contravventore facciano venir meno gli “indefettibili presupposti” per l’adozione del provvedimento di chiusura dell’esercizio, dal momento che quei fatti sopravvenuti all’accertato abuso non possono avere natura di eliminazione dell’abuso stesso, laddove il provvedimento di chiusura ha natura sanzionatoria e va “comunque” adottato, la chiusura dell’esercizio per un periodo di cinque giorni rappresentando la misura minima della sanzione in caso di occupazione indebita di suolo pubblico per fini commerciali (sul punto, nuovamente, ex multis la citata sentenza n. 5066 del 2014).

Né può condividersi l’altra argomentazione dell’appellante secondo cui il termine di 7 giorni fissato dall’art. 14, comma 2, del Regolamento OSP sarebbe riferito al tempo concesso all’Amministrazione per notificare al trasgressore l’ordine di provvedere al ripristino dello stato dei luoghi, laddove esso è il tempo concesso al trasgressore per provvedere al suddetto ripristino.

[color=red][b]5.3. Per le ragioni esposte in precedenza e stante la natura sanzionatoria dell’abuso (che nel caso di specie non è stato neppure contestato nella sua concreta ed effettiva dimensione fattuale) risultano prive di rilevanza le dedotte violazione del principio di equità, tanto più in considerazione della sua natura di atto vincolato, del tutto conforme e coerente alle disposizioni in esso richiamate (e violate, Codice della strada, legge n. 94 del 2009, Regolamento comunale OSP), le quali hanno effettuato in via generale il dovuto bilanciamento fra la pluralità di interessi e valori in gioco fra loro confliggenti, taluni dei quali di rango costituzionale.[/b][/color]

5.4. Quanto al capo della sentenza impugnata che ha regolato le spese di giudizio, la Sezione osserva che, secondo un consolidato indirizzo giurisprudenziale, dal quale non vi è motivo per discostarsi, la decisione del giudicante rientra nella sua piena ed esclusiva potestas iudicandi e non è sindacabile, salvo i casi in cui essa risulti aberrante, come nell’ipotesi in cui sia condannata al pagamento delle spese una parte vincitrice, circostanza che non si rinviene nel caso di specie.

6. In definitiva l’appello deve essere respinto.

Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Condanna l’appellante alle spese di giudizio a favore di Roma Capitale nella misura di euro 2.000 (duemila), oltre accessori di legge.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 2 marzo 2017 con l’intervento dei magistrati:

Carlo Saltelli, Presidente

Roberto Giovagnoli, Consigliere

Claudio Contessa, Consigliere

Fabio Franconiero, Consigliere

Daniele Ravenna, Consigliere, Estensore

L’ESTENSORE IL PRESIDENTE

Daniele Ravenna Carlo Saltelli

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