La Consulta si pronuncia sui limiti agli interventi di nuova edificazione a destinazione produttiva, fuori dei centri abitati sprovvisti di strumenti urbanistici
[color=red][b]Corte cost., sentenza 13 aprile 2017, n. 84 – Pres. Grossi, Est. Modugno[/b][/color]
Edilizia e urbanistica – Interventi di nuova edificazione a destinazione produttiva in assenza di pianificazione urbanistica – Limiti – Questione infondata di costituzionalità
[b]Sono infondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 9, comma 1, lettera b), del decreto legislativo 6 giugno 2001, n. 378, recante «Disposizioni legislative in materia edilizia (Testo B)», trasfuso nell’art. 9, comma 1, lettera b), del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, recante il «Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia (Testo A)», sollevate, in riferimento agli artt. 3, 41, primo comma, 42, secondo e terzo comma, 76 e 117, terzo comma, della Costituzione nella parte in cui, nel prevedere limiti agli interventi di nuova edificazione fuori del perimetro dei centri abitati nei comuni sprovvisti di strumenti urbanistici: a) fanno salva l’applicabilità delle leggi regionali unicamente ove queste prevedano limiti «più restrittivi»; b) stabiliscono che, «comunque», nel caso di interventi a destinazione produttiva, si applica – in aggiunta al limite relativo alla superficie coperta (un decimo dell’area di proprietà) – anche il limite della densità massima fondiaria di 0,03 metri cubi per metro quadrato.[/b]
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(1) I.- Con la sentenza n. 84 del 2017, la Corte costituzionale ha ritenuto infondate, in riferimento agli artt. 3, 41, primo comma, 42, secondo e terzo comma, 76 e 117, terzo comma, della Costituzione, le questioni di legittimità costituzionale di cui alla massima.
La questione è sorta nell’ambito di un giudizio in cui la richiesta di rilascio del permesso di costruire un edificio, da adibire ad attività artigianali, era stata respinta dal Comune, con la motivazione che la volumetria prevista in progetto eccedeva largamente quella realizzabile su detto fondo in base alla norma denunciata. Il fondo in questione risultava, infatti, inserito dal vigente piano regolatore generale del Comune in «zona F1, Zone di uso pubblico». Essendo decorsi cinque anni dall’approvazione del piano, le relative prescrizioni avevano perso efficacia, con la conseguenza che la predetta zona F1 era divenuta “zona bianca”. Essa risultava, quindi, soggetta alle previsioni dell’art. 9, comma 1, lettera b), del d.P.R. n. 380 del 2001, ove si stabilisce che «Salvi i più restrittivi limiti fissati dalle leggi regionali e nel rispetto delle norme previste dal decreto legislativo 29 ottobre 1999, n. 490, nei comuni sprovvisti di strumenti urbanistici sono consentiti: […] b) fuori dal perimetro dei centri abitati, gli interventi di nuova edificazione nel limite della densità massima fondiaria di 0,03 metri cubi per metro quadro; in caso di interventi a destinazione produttiva, la superficie coperta non può comunque superare un decimo dell’area di proprietà».
Il Tar per la Campania, ritenendo di non poter superare il contrasto in via interpretativa, con ordinanza del 14 settembre 2015 ha sollevato questione di legittimità costituzionale della norma, sia nella parte in cui fa salvi i limiti stabiliti dalle leggi regionali solo se «più restrittivi», sia nella parte in cui sottopone gli interventi a destinazione produttiva al limite di densità fondiaria, in aggiunta a quello di copertura.
In particolare ha dedotto quanto segue:
a) la violazione dell’art. 76 Cost., sotto il profilo dell’eccesso di delega per avere il legislatore delegato introdotto una disposizione innovativa rispetto a quella dell’art. 4, ultimo comma, della legge 28 gennaio 1977, n. 10 (che poneva le due condizioni in via alternativa, riferendo la prima all’edilizia residenziale, e la seconda alla edificazione a fini produttivi) laddove l’art. 7 della legge 8 marzo 1999, n. 50 (Delegificazione e testi unici di norme concernenti procedimenti amministrativi – Legge di semplificazione 1998) ha affidato al Governo la redazione di testi unici delle norme legislative e regolamentari in una serie di materie – tra cui l’edilizia – con la finalità di coordinare le disposizioni vigenti, apportando eventuali modifiche solo se strettamente necessarie a garantire la coerenza logica e sistematica della normativa. Anche il tenore della clausola di cedevolezza sarebbe stato modificato dall’art. 9 del d.P.R. n. 380 del 2001, il quale fa salva, non qualsiasi diversa normativa regionale (come previsto dall’art. 4, ultimo comma, della legge n. 10 del 1977), ma solo i limiti più restrittivi da questa previsti;
b) la clausola di cedevolezza si porrebbe in contrasto anche con l’art. 117, terzo comma, Cost., comprimendo la potestà legislativa delle Regioni in ordine al «governo del territorio», materia di competenza concorrente nella quale la legislazione dello Stato deve limitarsi alla determinazione dei principi fondamentali, ciò in quanto la regola del doppio limite, posta dal legislatore statale, sarebbe norma di dettaglio;
c) la disposizione impugnata violerebbe il principio di ragionevolezza (art. 3 Cost.) e quello di libera iniziativa economica privata di cui all’art. 41 Cost. in quanto l’applicazione congiunta dei limiti di cubatura e di superficie penalizzerebbe oltre misura l’attività di produzione e di scambio di beni e servizi, richiedendo la disponibilità di un’area molto estesa per la costruzione di edifici utili ai fini dello svolgimento di una qualsiasi attività economica;
d) sussisterebbe infine la violazione dell’art. 42, secondo e terzo comma, Cost., a fronte della significativa limitazione posta dal doppio limite all’edificabilità, introdotto dal legislatore statale con la norma in questione, in luogo della meno gravosa applicazione degli standard relativi alle “zone bianche” contemplati dall’art. 4, ultimo comma, della legge n. 10 del 1977.
II.- La Corte costituzionale - dopo aver condiviso l’interpretazione prospettata dal giudice remittente nel senso della necessaria applicazione cumulativa dei due limiti in questione (superficiario e volumetrico per gli interventi a destinazione produttiva), in linea con il diritto vivente (in particolare Cons. Stato, sez. IV, 12 marzo 2010, n. 1461, in Riv. giur. edilizia, 2010, I, 449, con nota di INVERNIZZI, secondo cui <<è legittimo il diniego del permesso di costruire, richiesto per la realizzazione di un insediamento produttivo ricadente in «zona bianca» e fuori dal perimetro del centro abitato, che non rispetti il doppio limite previsto dall’art. 9, 1º comma, lett. b), d.p.r. 6 giugno 2001 n. 380, riferito sia alla soglia di cubatura consentita, sia alla misura massima della superficie coperta realizzabile>>; 5 febbraio 2009, n. 679 in Giurisdiz. amm., 2009, IV, 205, con nota di STELLATO, secondo cui <<l’art. 9, 1º comma, lett. b) d.p.r. 6 giugno 2001 n. 380, recante la disciplina degli interventi edilizi a destinazione produttiva al di fuori dei centri abitati in caso di assenza di pianificazione urbanistica, deve essere interpretato nel senso della necessità e concorrenza di entrambi i limiti (superficie coperta e densità massima fondiaria) previsti dalla norma; pertanto, è legittimo il diniego di permesso di costruire qualora l’intervento edilizio a scopi produttivi ricadente in zona bianca non rispetti sia il limite della densità fondiaria massima di zero virgola zero tre mc su metro quadrato, sia il limite di un decimo della superficie coperta rispetto all’area di proprietà del richiedente il titolo edilizio>> - ha ritenuto le questioni non fondate sulla scorta delle seguenti considerazioni:
e) l’inequivoca estensione ai complessi produttivi del limite volumetrico, operata dal legislatore delegato, trova giustificazione nell’esigenza di garantire la «coerenza logica e sistematica» della normativa considerata, in accordo con la direttiva del legislatore delegante, considerato che l’applicazione del solo limite di superficie coperta risultava incoerente con la ratio della previsione di standard di edificabilità nelle “zone bianche” (quella cioè di assicurare una edificabilità significativamente ridotta per non svuotare del tutto lo ius aedificandi senza pregiudicare al contempo i valori – di rilievo costituzionale – coinvolti dalla regolamentazione urbanistica), in quanto si risolveva, nel consentire un’attività edificatoria sostanzialmente senza limiti, tramite lo sviluppo in verticale dei fabbricati;
f) la previsione di limiti invalicabili all’edificazione nelle “zone bianche”, per la finalità ad essa sottesa, ha le caratteristiche intrinseche del principio fondamentale della legislazione statale in materia di governo del territorio, coinvolgendo anche valori di rilievo costituzionale quali il paesaggio, l’ambiente e i beni culturali ed è coerente con la direttrice di delega del promovimento della coerenza logico-sistematica della disciplina, non pienamente evincibile dalla previgente disciplina che affermava la cedevolezza della più rigorosa disciplina statale rispetto a norme regionali più favorevoli alla tutela delle facoltà edificatorie ma suscettibili di recare pregiudizio a primari interessi costituzionali;
g) la norma censurata – nonostante la puntuale quantificazione dei limiti di cubatura e di superficie in essa contenuta – non può qualificarsi come norma di dettaglio, esprimendo piuttosto un principio fondamentale della materia in quanto finalizzata ad impedire, tramite l’applicazione di standard legali, una incontrollata espansione edilizia in caso di “vuoti urbanistici”, suscettibile di compromettere l’ordinato (futuro) governo del territorio e di determinare la totale consumazione del suolo nazionale, a garanzia di valori di chiaro rilievo costituzionale; in quanto norma di principio deve ritenersi legittimamente posta dal legislatore statale nella materia di legislazione concorrente del governo del territorio cui afferiscono l’urbanistica e l’edilizia;
h) quanto alla pretesa irragionevolezza degli effetti derivanti dall’applicazione congiunta dei limiti di cubatura e di superficie che penalizzerebbero oltre misura le attività produttive occorrendo allo scopo la disponibilità di aree molto estese, l’inconveniente che il giudice a quo lamenta rientra nella logica della disciplina di cui si discute, che è quella di riconoscere al privato – fin tanto che non intervenga la pianificazione dell’area – facoltà edificatorie significativamente compresse, proprio per non compromettere l’esercizio di quella funzione;
i) la disciplina dei limiti di edificabilità nelle “zone bianche” non incide affatto sulla libertà di iniziativa economica privata, la quale non deve essere necessariamente garantita – per imperativo costituzionale – consentendo al privato di realizzare opifici su terreni non coperti dalla pianificazione urbanistica;
j) quanto, infine, alla denunciata violazione della garanzia costituzionale del diritto di proprietà, la Corte reputa inconferente, rispetto al petitum, il richiamo alla propria giurisprudenza operato dall’ordinanza di rimessione in materia di vincoli di inedificabilità preordinati all’espropriazione o a contenuto sostanzialmente espropriativo, non venendo nel caso di specie in rilievo un problema di termine massimo di durata del regime delle “zone bianche” e di conseguente necessità di prevedere un indennizzo.
III.- Tutte le q.l.c. esaminate dalla Corte nella sentenza in commento erano state nella sostanza esaminate e dichiarate manifestamente infondate da Cons. Stato, sez. IV n. 1461 del 2010 cit., con argomenti che sono stati, in alcuni casi, testualmente ripresi dalla Consulta.
Per completezza si segnala:
k) sulla natura del t.u. edilizia, sull’eccesso di delega da cui sarebbe affetto, sui rapporti Stato e Regioni in materia di governo del territorio, nonché sulla individuazione dei principi fondamentali all’interno del t.u. ed. (oltre ai precedenti citati nella sentenza in commento), cfr.:
I) Cons. Stato, Ad. plen., 7 aprile 2008, n. 2, in Urbanistica e appalti, 2008, 745, con nota di BASSANI, e Giust. amm., 2008, fasc. 2, 181 (m), con nota di ARDANESE;
II) Corte cost., 9 marzo 2016, n. 49 in Riv. giur. edilizia, 2016, I, 8, n. STRAZZA e Giur. it., 2016, 2233 (m), con nota di VIPIANA PERPETUA;
III) Corte cost., 15 luglio 2016, n. 178 (oggetto della NEWS US in data 18 luglio 2016 cui si rinvia per ogni ulteriore approfondimento);
IV) A. RUSSO; e S. AMOROSINO, in Testo unico dell’edilizia, a cura di M.A. SANDULLI, Giuffrè, Milano, 2015, 3 ss. e 25 ss.;
l) sull’art. 9 t.u. edil., v. R. INVERNIZZI, in Testo unico dell’edilizia, a cura di M.A. SANDULLI, Giuffrè, Milano, 2015, 259 ss., ivi ogni ulteriore riferimento di dottrina e giurisprudenza;
m) sulla mancata pianificazione attuativa in caso di decadenza di precedenti vincoli, cfr. Cons. Stato, sez. IV, 10 giugno 2010, n. 3699 in Foro it., 2010, III, 484 con nota di CARLOTTI.
https://www.giustizia-amministrativa.it/cdsintra/cdsintra/Notiziasingola/index.html?p=NSIGA_4355546