ILLEGITTIMA la sospensione sine die di una attività commerciale
[color=red][b]TAR CAMPANIA – NAPOLI, SEZ. III – sentenza 3 maggio 2017 n. 2360[/b][/color]
Pubblicato il 03/05/2017
02360/2017 REG.PROV.COLL.
01110/2017 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania
(Sezione Terza)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
ex art. 60 cod. proc. amm.; sul ricorso numero di registro generale 1110 del 2017, proposto da: xxxx S.R.L., con sede legale in Piano di Sorrento, alla Via Cavone, n. 97, in persona del legale rappresentante, Cuccaro Luciano, rappresentata e difesa dagli Avv. ti Francesco Maddaloni ed Antonio Maria Di Leva, presso il secondo dei quali elettivamente domicilia in Napoli, alla Via Toledo, n. 156;
contro
COMUNE DI PIANO DI SORRENTO, in persona del legale rappresentante pro-tempore, rappresentato e difeso dall’Avv. Erik Furno, presso lo studio del quale elettivamente domicilia in Napoli, alla Via Cesario Console, n. 3;
per l’annullamento, previa sospensione:
a) dell’ordinanza n. 21 del 15.3.2017, notificata in data 16.3.2017, a firma digitale del Funzionario Responsabile del Settore2/Attività Produttive del Comune di Piano di Sorrento, che dispone la sospensione ad horas dell’attività produttiva della parte ricorrente;
b) di ogni altro atto precedente, susseguente e comunque connesso, tra cui: 1) la comunicazione di avvio del procedimento prot. n. 6427 del 15.3.2017; 2) la nota prot. n. 6195 del 14.3.2017 del Tecnico U.T.C. richiamata nel provvedimento impugnato sub a).
VISTO il ricorso con i relativi allegati;
VISTO l’atto di costituzione in giudizio dell’intimato Comune;
VISTE le memorie difensive prodotte dalle parti;
VISTI gli atti tutti della causa;
VISTO l’art. 60 cod. proc. amm.;
VISTA la domanda di sospensione dell’esecuzione del provvedimento impugnato;
UDITI alla Camera di Consiglio del 20 aprile 2017 la relazione del dott. Vincenzo Cernese;
RITENUTO in fatto e considerato in diritto quanto segue,
Con il ricorso in esame – notificato il 28.2.2017 e depositato il 5.4.2017 – la società xxxx a.r.l., in persona del legale rappresentante Cuccaro Luciano – nella dedotta qualità di intestataria di autorizzazione unica ambientale rubricata al numero 2 di Registro del 19.2.2015, ottenuta ai sensi del d.P.R. 13.3.2013, n. 59 per l’esercizio di attività di “Realizzazione e vendita di infissi in alluminio”, nei locali posti in Piano di Sorrento, alla Via Cavone n. 97 – ha impugnato, innanzi a questo Tribunale, l’ordinanza n. 21 del 15.3.2017 in epigrafe, con cui il Funzionario Responsabile del Settore 2/Attività Produttive del Comune di Piano di Sorrento, acquisita la nota prot. 6195 del 14.3.2017, recante l’esito di ulteriore sopralluogo congiunto dell’U.T.C. dei Carabinieri di Sorrento e dell’A.S.L. Na 3 Sud, presso l’immobile di cui trattasi in data 24 febbraio 2017, richiamato l’avvio del procedimento finalizzato alla revoca dell’autorizzazione unica ambientale n. 2/2015 rilasciata con prot. n. 3899 del 19.2.2015, ai sensi dell’art. 21 quinquies, vista la legge 7.8.1990, n. 241 e succ. modd. ed intt., con particolare riferimento all’art. 7, comma 2, il quale testualmente recita “Nelle ipotesi di cui al comma 1 resta salva la facoltà dell’Amministrazione di adottare, anche prima della effettuazione delle comunicazioni di cui al medesimo comma 1, provvedimenti cautelari”, ordinava alla società xxxx S.r.l. la sospensione ad horas dell’attività di realizzazione e vendita di infissi in alluminio sito alla Via Cavone, n. 97, “per profondo e sostanziale mutamento dello stato dei luoghi in cui l’attività viene attualmente esercitata rispetto a quanto rappresentato ed allegato all’autorizzazione unica ambientale n. 2/2015 del 19.2.2015 (………)”.
Si costituiva in giudizio l’intimato Comune chiedendo il rigetto del ricorso, si come inammissibile, improponibile e, nel merito, infondato.
Preliminarmente rileva il Collegio che sussistono i presupposti per l’emanazione di una sentenza in forma semplificata ai sensi dell’art. 60 cod. proc. amm., in quanto il contraddittorio è integro, non si ravvisano ragioni per accertamenti istruttori ed i difensori presenti alla Camera di Consiglio del 20 aprile 2017 sono stati interpellati in proposito e non hanno opposto alcuna obiezione; tanto perché il ricorso è fondato nei termini di cui appresso.
Al riguardo, rilievo preminente, rispetto alle altre, assumono, per i profili considerati, la prima censura inerente alla violazione di legge (artt. 3, 19 e 21 quater della L. 7.8.1990, n. 41; art. 64, co. 6, D.L. vo 26.3.2010, n. 599 e la seconda censura, relativa alla violazione di legge (L. 7.8.1990, n. 241, artt. 3, 19 e 21 quinquies; d.P.R. 13.3.2013, n. 59), oltre alla mancata comparazione dei pubblici e privati interessi.
Nel merito, con la prima censura, premesso che la disposta sospensione avveniva a scopo cautelare, ma a tempo indeterminato, tenuto conto della mancata indicazione di un termine certo di durata della disposta sospensione, si deduce che:
– nella specie risulta violato il principio generalmente espresso secondo il quale un provvedimento di sospensione dell’efficacia di un precedente atto amministrativo, che nella fattispecie è costituito dal titolo già conseguito dalla ricorrente di svolgimento dell’attività (autorizzazione unica ambientale n.2 di Registro del 19.2.2015, rilasciata ai senso del d.P.R., 13.3.2013, n. 59), deve avere natura temporanea ed indicare un termine certo di durata;
– un provvedimento di siffatta natura, nella piena osservanza del dovere generale di motivazione prevista dall’art. 3, L. n. 241/1990 deve specificare al suo interno, la finalità cautelare che si intende proseguire, nell’ottica di un equo bilanciamento dei pubblici e provati interessi, ma ciò deve avvenire unitamente all’indicazione di un termine certo di durata, altrimenti vanificandosi in ogni diversa ipotesi la pur asserita finalità cautelare;
– altrimenti detto – come in effetti avvenuto nella specie – la stessa manifestata finalità cautelare, si traduce in un provvedimento concretamente inibitorio dell’attività produttiva.
La censura è fondata.
[b]Nota il Collegio, che il carattere continuativo ed inesauribile del potere esercitato dall’Amministrazione per la cura dell’interesse pubblico trae seco il dovere istituzionale di dare immediata esecuzione ai provvedimenti in precedenza adottati, altrimenti venendosi a concretare una illegittima disapplicazione dell’atto (o, addirittura dell’attività) sospeso, essendo insito alla doverosità della funzione istituzionale dell’Autorità Amministrativa non solo l’adozione dei provvedimenti amministrativi di propria competenza, ma anche il mandarli ad esecuzione.[/b]
L’ordinamento, per venire incontro ad esigenze eccezionali che possono consigliare un certo rallentamento dell’azione amministrativa, con l’art. 21 quater della legge 7.8.1990, n. 241, introdotto dall’art. 14, comma 1 della legge 11 febbraio 2005, n. 15 ha previsto che: “L’efficacia ovvero l’esecuzione del provvedimento amministrativo può essere sospesa per gravi ragioni e per il tempo strettamente necessario, dallo stesso organo che lo ha emanato ovvero da altro organo previsto dalla legge. Il termine della sospensione è esplicitamente indicato nell’atto che la dispone e può essere prorogato o differito una sola volta nonché ridotto per sopravvenute esigenze”.
[color=red][b]Dal tenore della norma sopra riferita, si rileva che, pur circondato dai necessari presupposti delle “gravi ragioni” necessarie per la sua emanazione e del “tempo strettamente necessario” entro il quale può essere disposta, nel nostro ordinamento, la sospensione di precedenti provvedimenti riveste pur sempre un carattere eccezionale (atteso che un potere generalizzato di sospensione dell’efficacia degli atti amministrativi compete – ovviamente in presenza di altri presupposti – unicamente al giudice amministrativo in sede di tutela cautelare), con la conseguenza che l’esercizio del relativo potere deve essere, comunque, circondato dalle garanzie del procedimento amministrativo previste dalla legge 7.8.1990, n. 241, dalla fissazione di un termine finale certo e dall’obbligo di motivazione del provvedimento che dispone la sospensione di cui all’art. 3.[/b][/color]
Né, nel caso di specie, è possibile farsi luogo ad una qualificazione dell’atto impugnato e ritenerlo sostanzialmente assimilabile ad una revoca, atteso la dichiarata finalità cautelare da essa assolta (sul punto, avvertendosi in fine dell’ordinanza impugnata che ”la presente sospensione ha scopo cautelare, onde evitare il protrarsi di un’attività rilevante ai fini ambientali e non supportata da idoneo titolo autorizzativo, stante sopravvenute e rilevanti verifiche – espletate in loco da parte di organi tecnici – U.T.C. e di Polizia Giudicarla – Carabinieri A.S.L. – che alterano completamente le risultanze istruttorie preordinate al rilascio del titolo di che trattasi” e nonostante l’Ufficio con la nota prot. n. 6427 del 15.3.2017 abbia comunicato l’avvio del procedimento finalizzata alla revoca dell’autorizzazione unica ambientale n. 2/2015, rilasciata con prot. n. 3899 del 19.2.2015, ai sensi dell’art. 21 quinquies della legge 241/1990.
[color=red][b]In sostanza, l’atto impugnato con la quale viene sospesa sine die, ossia a tempo indeterminato, l’attività commerciale svolta dalla società ricorrente, snaturando la propria funzione ed in evidente violazione del principio di tipicità degli atti amministrativi, finisce con il produrre i medesimi effetti di un vero e proprio atto di ritiro definitivo, senza, però, la garanzia del procedimento previsto in tema di revoca dall’art. 21 quinques della legge 7 agosto 1990, n. 241, come introdotto dall’art. 14, comma 1 della legge 11 febbraio 2005, n. 15.[/b][/color]
Sul punto si afferma in giurisprudenza che: “In mancanza del termine finale, il provvedimento cautelare svolge surrettiziamente le funzioni dell’atto definitivo, il termine finale salvaguardando l’esigenza della certezza delle posizioni giuridiche dell’interessato” (Cfr: T.A.R. Lazio, Roma, sez. III; 9 luglio 2006, n. 6050), con la conseguenza che: “Va ritenuta illegittima, ai sensi dell’art. 21 quater della L. n. 241/1990, la sospensione dell’efficacia di un atto amministrativo priva del termine finale, in quanto viola la funzione cautelare che il provvedimento di sospensione deve soddisfare e la reversibilità del provvedimento stesso” (T.A.R. Puglia Lecce, Sez. I, 25.3.2009, n. 528) e, pertanto: “Non è legittima la sospensione a tempo indeterminato della efficacia di un provvedimento amministrativo, sia perché l’esecutività è la conseguenza ineliminabile della validità dell’atto, sia perché il potere cautelare di sospensione, salvo che non sia diversamente previsto in modo espresso dalla legge, può essere esercitato soltanto con la prefissione di un termine, essendo tipica della sospensione stessa la sua durata temporale” (T.A.R. Lazio, Sez. II ter, 18.6.2007, n. 5521).
Tali principi sono stati anche di recente ribaditi da pacifica giurisprudenza (cfr., per tutte, Cons. St. sez. IV, 13/6/2013 n. 3276), rilevandosi che: “L’ordinamento riconosce infatti alla p.a. un generale potere – desumibile dall’ art. 7, comma 2, L. 7 agosto 1990, n. 241, e ora espressamente disciplinato dall’art. 21-quater della medesima L. 7 agosto 1990, n. 241 – di natura cautelare e durata temporanea, consistente nella sospensione degli effetti dell’atto amministrativo precedentemente adottato. Deve tuttavia essere rimarcata la necessità della prefissione di un termine che salvaguardi l’esigenza di certezza della posizione giuridica della parte, restando così scongiurato il rischio di una illegittima sospensione sine die (cfr., in termini, Cons. St. V, 4.3.2008, n. 904, Cons. St. sez. VI, 11.2.2011, n. 905)”.
Ma fondata è anche la seconda censura, atteso che, a fronte delle rilevate difformità di carattere urbanistico, riferite in via principale ai corpi di fabbrica oggetto dell’accertamento prot. 6195 del 14.3.2017 (locale stalla ed annessi locali deposito), non risulta giustificata, né motivata, per l’insussistenza dell’altro elemento, costituito dalle “gravi ragioni” per disporre chiusura dell’intera attività, sul punto rilevandosi che:
– tali ulteriori eccedenze, sì come già oggetto dell’ordinanza di demolizione n. 126 del 30.10.2014 (quanto ai locali segreteria ufficio e tettoie annesse alla locale stalla), erano già state considerate nella fase istruttoria del rilascio dell’Autorizzazione Unica Ambientale, per cui, sotto tale aspetto, il provvedimento è illegittimo, in mancanza di nuovi elementi non prevedibili al momento del suo stesso rilascio (art. 21 quinquies l. n. 241/1990); parimenti è a dirsi quanto al locale oggetto del condono edilizio ex L. 47/85, con la conseguenza che non risulta affatto giustificato l’asserito presupposto della ritenuta illegittimità urbanistica dell’intera struttura in quanto:
a) la pendenza del condono edilizio ex L. 47/85, la cui istanza è tuttora pendente, era stata inoltrata dal proprietario ed era già stata oggetto di valutazione istruttoria al momento del rilascio del titolo abilitativo unico ambientale (parere U.T.C. prot. n. 25735 del 10.11.2014, richiamato nel provvedimento impugnato sub a.);
b) l’ingiunzione a demolire n. 126 del 3010.2014, oggetto di ricorso al Presidente della Repubblica, risulta riferita ai due ambienti addizionati alla parte nord del fabbricato (ufficio – segreteria – ingresso), aventi una superficie complessiva di mq. 9,20 + mq. 9,71, altezza media pari ad mt. 2,25 ca e volume mc. 42,5 (…); la stessa ingiunzione, non includendo il locale stalla, è inoltre riferita alle tettoie presenti nelle zone ad esso antistanti e retrostanti;
c) anche per il fabbricato principale, pendendo istanza di condono edilizio ex L. 47/85, prot. 361, prot. 6590 del 30.4.1986, non risulta che l’asserita carenza della legittimità urbanistica dell’intera struttura, posta (seppure in via non prevalente) ai fini dell’adozione del provvedimento, non trova riscontro in provvedimenti formali che infliggano le pertinenti sanzioni edilizie, restando, quindi decisiva la non avvenuta emanazione di un ordine di demolizione da parte dell’U.T.C. per le asserite difformità edilizie dell’immobile come sopra descritte, che restano collocate ancora nell’ambito di una mera ipotesi mai confluita in un provvedimento definitivo;
– consegue il logico corollario secondo il quale, la sola ingiunzione n. 126/2004, sì come emessa per i soli ambienti nn. 1 e 2 come sopra descritti – utilizzati quali segreteria – ufficio ed ingresso, non vale a giustificare la sospensione dell’intera attività;
– parimenti è a dirsi quanto all’asserita mancanza dei requisiti igienico-funzionale del locale servizio igienico, la quale non costituisce di per sé elemento sufficiente a giustificare la sospensione dell’intera attività produttiva.
La prospettazione di parte ricorrente merita condivisione, nei termini di cui appresso.
Anzitutto quale presupposto di partenza l’Amministrazione ipotizza “un profondo e sostanziale mutamento dello stato dei luoghi in cui l’attività viene attualmente esercitata rispetto a quanto rappresentato ed allegato all’autorizzazione unica ambientale” ma poi in sostanza individua unicamente tre situazioni in cui difetta il presupposto urbanistico-ambientale.
Tuttavia il predetto stravolgimento dello stato dei luoghi che renderebbe l’autorizzazione unica ambientale in precedenza rilasciata superata o, comunque, non più attuale viene fatta derivare da situazioni ben precise e circostanziate, ricondotte nell’impugnata ordinanza alla circostanza che la società Inf. Al. S.r.l. esercita l’attività di realizzazione e vendita di infissi in alluminio su due immobili contigui, ossia un immobile fronte-strada, oggetto di condono edilizio ai sensi della legge 47/85 (che è pacificamente contemplato nella documentazione tecnico-grafica allegata all’istanza di A.U.A. poi rilasciata con decreto n. 2/2005 e che comunque si giova del regime di paralisi repressiva previsto dall’art. 38 della medesima L. n. 47/85) da un’ulteriore porzione immobiliare indicati in grafica quali “Ufficio-segreteria-Ingresso” che, per essere stati realizzati abusivamente sono già stati oggetto di ordinanza di demolizione, impugnata con ricorso straordinario, un ulteriore locale indicato nella suddetta ordinanza come “stalla” che effettivamente non risulta rappresentato agli atti tecnici della pratica di A.U.A nell’istanza di A.U.A. e non sono è oggetto dell’autorizzazione unica ambientale rilasciata dal S.u.a.p., in quanto escluso dall’attività di lavorazione degli infissi; ed infine il locale servizio igienico funzionale all’attività (per il quale non si pone ovviamente alcun problema di autorizzazione), cha ha un’altezza minima non conforme ai fini del conseguimento dell’agibilità e dell’igienicità stante le attuali disposizioni normative di settore.
Ad avviso del Collegio si impone allora una considerazione analitica degli abusi tenendo conto che la mancanza del presupposto costituito dalla legittimità urbanistica ed ambientale dei locali può venire in rilievo unicamente in relazione alle strutture abusive, sì come non presidiate dall’autorizzazione unica ambientale, nelle quali viene ospitata l’attività produttiva alla quale soltanto quindi le predetta strutture possono ritenersi “inerenti”, ma non quale sanzione atipica e generalizzata e spoporzionata per colpire indiscriminatamente qualsivoglia attività svolta anche nella parte della struttura conforme alla normativa urbanistica ed edilizia.
In proposito la diffusività e la pervasività degli abusi nelle quali si dilunga il Comune nella memoria difensiva depositata il 14.4.2017 richiamando una serie di circostanziati sopralluoghi con i quali sono stati riscontrati abusi edilizi (della cui descrizione, però, non v’è traccia nel provvedimento impugnato) rappresenta, all’evidenza, un inammissibile tentativo di integrare in giudizio la motivazione del provvedimento.
Quanto all’interconnessione esistente tra i profili edilizio-urbanistico (ai quali è riconducibile la problematica agitata in questa sede, inerente alla inadeguatezza della autorizzazione unica ambientale in precedenza rilasciata) e commerciale, questa Sezione con sentenza n. 1698 del 06/04/2016 ha già avuto modo di rilevare che, per giurisprudenza costante e condivisa, il titolo abilitativo all’esercizio di un’attività commerciale presuppone la regolarità urbanistico-edilizia dei locali interessati (tra le altre, cfr. Cons. Stato – Sez. VI, 23/10/2015 n. 4880), ma ciò nondimeno la sospensione o chiusura di un esercizio commerciale in attività non può essere considerata come una sanzione per gli abusi edilizi contestati (i quali hanno per converso un sistema repressivo specifico che regola, per ciascuna tipologia di illecito, i presupposti, le modalità applicative, i destinatari, gli effetti ed anche eventualmente le possibilità di sanatoria) ovvero – come nel caso di specie – per l’autorizzazione unica ambientale successivamente rivelatasi carente o inadeguata.
Va infatti considerato che, in base all’art. 7 della CEDU, prima ancora dell’art. 1 della legge n. 689 del 1981, tutte le misure di carattere punitivo sono dominate dal principio di legalità, che comporta come corollario anche la tassatività delle conseguenze afflittive che devono essere preventivamente previste dalla legge a fronte della commissione di illeciti.
Diversamente, la sospensione o chiusura dell’esercizio conseguente alla realizzazione di abusi edilizi potrebbe colpire unicamente soggetti diversi dai destinatari della pertinente sanzione edilizia ovvero potrebbe comportare effetti palesemente sproporzionati qualora la pertinente sanzione fosse di carattere meramente pecuniario.
Vero è invece che la chiusura dell’esercizio rappresenta una conseguenza necessitata non tanto rispetto all’abuso edilizio di per sé, quanto piuttosto all’applicazione ed alla esecuzione di una sanzione edilizia (quale la demolizione o il ripristino dello stato dei luoghi) che sia incompatibile con la continuazione dell’attività aziendale ed in generale con l’utilizzo, abitativo o produttivo, delle opere abusive.
Nella specie, non risulta che gli eventuali abusi menzionati dall’amministrazione resistente hanno formato oggetto di una preventiva misura repressiva, eccezion fatta per i due ambienti addizionali alla parte nord del fabbricato (ufficio – segreteria – ingresso), sanzionati con l’ingiunzione a demolire n. 126 del 3010.2014, oggetto di ricorso al Presidente della Repubblica, che tuttavia assumono un carattere minimale nella formulazione della sospensione dell’attività.
In definitiva, assorbita ogni altra censura, e fermo restando l’inibitoria dello svolgimento di attività per le quali è necessaria l’AUA nei locali che non risultano presidiati da autorizzazione unica ambientale o che risultano già colpiti da ordinanza di demolizione, il ricorso è fondato e deve essere accolto, con il conseguente annullamento degli atti impugnati.
Le spese di giudizio, come di regola, seguono la soccombenza e vengono liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania, Sez. III, definitivamente pronunciando sul ricorso in epigrafe (n. 1110/2017 Reg. Gen., proposto da xxxx S.r.l., così dispone:
a) lo accoglie e, per l’effetto, annulla gli atti impugnati;
b) condanna il resistente Comune al pagamento delle spese giudiziali, complessivamente quantificate in euro 1.500 (millecinquecento/00), oltre ad oneri accessori ed al rimborso del contributo unificato, se effettivamente assolto.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Napoli nella camera di consiglio del giorno 20 aprile 2017 con l’intervento dei magistrati:
Fabio Donadono, Presidente
Vincenzo Cernese, Consigliere, Estensore
Giuseppe Esposito, Consigliere
IL SEGRETARIO