Data: 2017-02-16 07:07:55

Legittimi i CONTINGENTI NUMERICI per esercizi commerciali in zone VINCOLATE

[size=14pt]Legittimi i CONTINGENTI NUMERICI per esercizi commerciali in zone VINCOLATE[/size]

[color=red][b]Cons. di Stato, Sez. V, 13 febbraio 2017, n. 603[/b][/color]

[b]COMMENTO[/b]: http://www.quotidianopa.leggiditalia.it/quotidiano_home.html#news=PKQT0000170990

[b]SENTENZA[/b]:

Pubblicato il 13/02/2017
N. 00603/2017REG.PROV.COLL.

N. 03004/2016 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 3004 del 2016, proposto da:
Pastamore s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Andrea Ippoliti e Giancarlo Mancini, con domicilio eletto presso lo studio quest’ultimo, in Roma, corso Trieste, n. 61;
contro
Roma Capitale, in persona del legale rappresentante in carica, rappresentata e difesa dall’avvocato Rosalda Rocchi, domiciliata in Roma via del Tempio di Giove, n. 21;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. LAZIO – ROMA, SEZIONE II TER, n. 11504/2015, resa tra le parti, concernente un diniego di licenza per la somministrazione al pubblico di alimenti e bevande;

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio di Roma Capitale;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 2 febbraio 2017 il consigliere Fabio Franconiero e uditi per le parti gli avvocati Mancini e Rocchi;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO
1. Con ricorso al Tribunale amministrativo regionale del Lazio la Pastamore s.r.l. impugnava il diniego di autorizzazione all’apertura di un esercizio di somministrazione al pubblico di alimenti e bevande in Roma, rione Trevi, in via Arcione n. 71/a-b, oppostole dall’amministrazione (diniego di cui alla nota di prot. 127257 del 16 settembre 2014).
[b]2. Il diniego era fondato sul divieto al rilascio di licenze vigente nel rione Trevi, classificato come “ambito 1 – zona urbanistica A1 – Centro storico”, ai sensi del locale regolamento per l’esercizio delle attività di somministrazione di alimenti e bevande (delibera del Consiglio comunale di Roma Capitale n. 35 del 16 marzo 2010). Infatti, ai sensi della zonizzazione fissata a livello regolamentare, l’ambito in cui l’esercizio è destinato ad essere aperto è contraddistinto da «condizioni di concentrazione delle attività commerciali e di elevati livelli di pressione antropica» ed inoltre dalla presenza di «vincoli di tutela ai sensi della normativa vigente in materia ambientale, monumentale, culturale, paesaggistico-territoriale e storico-artistica» (così nell’art. 10, comma 4, del regolamento).[/b]
Nel diniego era quindi richiamato un precedente di questa Sezione (sentenza 17 luglio 2014, n. 3802), in cui si è affermato che la regolamentazione di settore vigente in Roma è conforme ai principi comunitari e nazionali in materia di libertà economica e di impresa.
3. Nel proprio ricorso la Pastamore deduceva tuttavia l’illegittimità del diniego e del presupposto regolamento comunale sotto plurimi profili, ed in particolare per contrasto con le norme “liberalizzatrici” introdotte con i decreti cc.dd. Salva-Italia e Cresci-Italia (artt. 31 e 34 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito dalla legge 22 dicembre 2011, n.214 e 1, comma 1, del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1, convertito dalla legge 24 marzo 2012, n. 27) ed inoltre perché affetto da istruttoria e motivazione insufficienti, a causa della mancata ridefinizione delle aree interdette al commercio e delle conseguenti limitazioni all’insediamento di nuove attività ai sensi della presupposta pianificazione di settore.
4. Con la sentenza in epigrafe il Tribunale amministrativo adito respingeva il ricorso.
5. La Pastamore ha quindi proposto appello, in cui sono riproposte le censure già svolte in primo grado e sono appuntate critiche alla pronuncia appellata.
6. Roma Capitale si è costituita in resistenza.
DIRITTO
1. Con il primo motivo d’appello la Pastamore ripropone l’assunto secondo cui la disciplina regolamentare di settore vigente in Roma Capitale, ed in particolare la zonizzazione e la correlativa disciplina tecnica, in virtù della quale nel rione Trevi non è consentito il rilascio di nuove licenze per la somministrazione di alimenti e bevande al pubblico (artt. 10 e 11 del regolamento di cui alla citata delibera consiliare n. 35 del 16 marzo 2010), si porrebbe in contrasto con la normativa primaria liberalizzatrice sopravvenuta. In particolare, secondo la società appellante, in virtù dell’art. 31, comma 2, del citato decreto-legge “salva Italia” n. 201 del 2011 l’amministrazione comunale avrebbe dovuto innanzitutto adeguare la propria disciplina di settore entro 90 giorni dall’entrata in vigore della legge di conversione del decreto-legge (legge n. 214 del 2011, parimenti citata) e nell’ambito di detto adeguamento avrebbe dovuto rimuovere i divieti generalizzati quale quello ricavabile dai citati artt. 10 e 11 del regolamento sulle attività di somministrazione al pubblico di alimenti e bevande. Inoltre – prosegue l’appellante - la stessa Roma Capitale non si sarebbe potuta limitare a motivare il diniego sulla base del presupposto regolamento, anche in considerazione dell’effetto abrogativo rispetto a norme che «pongono divieti e restrizioni alle attività economiche non adeguati o non proporzionati alle finalità pubbliche perseguite» previsto dall’art. 1, comma 1, lett. b), del decreto-legge n. 214 del 2011 (c.d. “cresci Italia”) e dell’obbligo di adeguamento imposto agli enti locali dal successivo comma 4 della medesima disposizione.
2. Con censura di analogo tenore, contenuta nel terzo motivo d’appello, la Pastamore contesta il diniego e il presupposto regolamento comunale sulla base dell’assunto che le norme primarie di liberalizzazione sopra richiamate imporrebbero all’amministrazione un’istruttoria specifica su ogni domanda di rilascio di nuova licenza al fine di bilanciare in concreto, e secondo il principio di proporzionalità, la libertà economica con le contrapposte esigenze di interesse pubblico valorizzate in sede di zonizzazione di settore. A questo riguardo, la società appellante sottolinea che alla luce di tali disposizioni di legge in tanto potrebbe giustificarsi la previsione a livello locale e regolamentare di divieti generalizzati di nuovi insediamenti commerciali per intere zone, in quanto ciò sia sorretta da una nuova istruttoria, condotta sulla base di dati ed analisi aggiornate in ordine alle ragioni di tutela originariamente individuate. Per contro, secondo la Pastamore sarebbe illegittimo il mero richiamo ad una regolamentazione ormai superata dalla sovraordinata normativa primaria.
[color=red][b]3. I motivi, che possono essere esaminati congiuntamente, sono infondati.[/b][/color]
[b]Secondo la costante giurisprudenza di questo Consiglio di Stato il processo interno di liberalizzazione delle attività economiche perseguito attraverso le sopra citate disposizioni di legge (cui vanno aggiunte quelle contenute nel decreto legislativo 26 marzo 2010, n. 59, di recepimento della direttiva 2006/123/CE relativa ai servizi nel mercato interno – c.d. ‘Direttiva Bolkestein’), sebbene muova nella direzione di un più ampio riconoscimento del diritto di iniziativa economica e della contestuale riduzione dei possibili limiti al suo esercizio, nondimeno legittima tuttora la previsione di limiti in funzione del perseguimento di ulteriori e diverse finalità di interesse generale, imponendo che le contrapposte esigenze siano bilanciate secondo i limiti della proporzionalità, della ragionevolezza e del minimo mezzo (da ultimo in questo senso, Cons. Stato, V, 17 novembre 2016, n. 4794, 13 settembre 2016, n. 3857, 22 ottobre 2015 n. 4856; cfr. anche Corte cost., 19 dicembre 2012, n. 291, 20 luglio 2012, n. 200).[/b]
Infatti:
- l’articolo 1, comma 1, lett. b) del citato decreto-legge n. 1 del 2012 ribadisce il generale principio secondo cui le restrizioni all’esercizio delle attività economiche devono essere adeguate e proporzionali rispetto alle finalità pubbliche perseguite;
- gli articoli 31 e 34 del decreto-legge n. 201 del 2011 consentono comunque, nel rispetto dei ripetuti principi di adeguatezza e proporzionalità, l’introduzione di vincoli e limitazioni all’esercizio delle attività economiche che siano tra l’altro finalizzate alla tutela «dell’ambiente, ivi incluso l’ambiente urbano, e dei beni culturali».
4. Nella medesima prospettiva si collocano le disposizioni del citato decreto con cui è stata recepita la direttiva europea sull’accesso ai servizi nel mercato interno. In particolare, nel fissare i requisiti vietati a questo accesso, l’art. 11 d.lgs. n. 59 del 2010 riconduce ad essi ogni valutazione legata al obiettivi di programmazione economica, ma esclude dagli stessi «i requisiti di programmazione che non perseguono obiettivi economici, ma che sono dettati da motivi imperativi d’interesse generale» (comma 1, lett. e).
La ricognizione della normativa primaria vigente può infine essere completata con l’art. 3 del decreto-legge n. 13 agosto 2011, n. 138 (recante Ulteriori misure urgenti per la stabilizzazione finanziaria e per lo sviluppo. Delega al Governo per la riorganizzazione della distribuzione sul territorio degli uffici giudiziari, convertito dalla legge 14 settembre 2011, n .148). Questa disposizione, nel sottoporre gli ordinamenti locali «al principio secondo cui l’iniziativa e l’attività economica privata sono libere ed è permesso tutto ciò che non è espressamente vietato» consente nondimeno di mantenere divieti giustificati dalla tutela di prevalenti interessi di carattere generale, ivi compresi quelli relativi alla la tutela dell’ambiente, del paesaggio e del patrimonio culturale (comma 1, lettera d).
5. Per completezza, si deve ancora sottolineare che queste limitazioni tuttora vigenti alla libera esplicazione dell’iniziativa economica hanno un sicuro fondamento costituzionale nei commi 2 e 3 dell’art. 41.
Nella citata sentenza del 20 luglio 2012, n. 200, la Corte costituzionale ha dichiarato la conformità alla Carta fondamentale del sopra richiamato art. 3 d.l. n. 138 del 2011, specificando che, pur avendo inteso stabilire alcuni principi in materia economica «orientati allo sviluppo della concorrenza», il legislatore si è mantenuto «all’interno della cornice delineata dai principi costituzionali», legittimando forme di regolazione dell’attività economica volte a garantire la «piena osservanza dei principi costituzionali legati alla tutela della salute, dell’ambiente, del patrimonio culturale e della finanza pubblica» e, in questa linea, «restrizioni e limitazioni alla libera iniziativa economica», purché giustificate dal perseguimento di «interessi di rango costituzionale» «§ 7.3 della parte in diritto).
6. Tutto ciò premesso, la tesi sostenuta nei due motivi d’appello in esame, secondo cui la normativa regolamentare vigente in Roma in materia di somministrazione al pubblico di alimenti e bevande sarebbe incompatibile con la legislazione primaria in materia di attività economiche (e finanche abrogata tacitamente da essa), si rivela infondata, alla luce del fondamento su cui riposa la zonizzazione attuata con la delibera n. 35 del 2010, ed in particolare il divieto assoluto vigente nel rione Trevi. A giustificazione di questo divieto sono infatti poste le sopra richiamate condizioni di concentrazione delle attività commerciali e gli elevati livelli di pressione antropica accertati da Roma Capitale, nonché la presenza di vincoli di interesse culturale e storico-artistico (così nell’art. 10, comma 4, del regolamento); il tutto come risulta dalle accurate analisi su cui tale divieto si fonda (allegato 2 alla delibera citata).
[color=red][b]Pertanto, la regolamentazione presupposta al divieto qui impugnato si fonda in modo del tutto legittimo sulle dichiarate esigenze di ordine generale, costituenti motivi imperativi sovraordinati alla libertà di impresa ex art. 41, comma 1, Cost., incentrate sulla tutela della vivibilità, sostenibilità ambientale e del pregio artistico e culturale di una delle zone di Roma, il rione Trevi, incontestabilmente contraddistinta dalla presenza di beni culturali di inestimabile valore e dal massiccio afflusso di turisti e di lavoratori, che si somma alla popolazione ivi residente.[/b][/color]
Il diniego risulta inoltre sufficientemente motivato sulla base della zonizzazione di settore fissata a livello regolamentare.
7. Proseguendo nell’esame delle censure riproposte dalla Pastamore, con il quarto motivo d’appello la società contesta la decisione del Tribunale amministrativo laddove il giudice di primo grado ha statuito che l’analisi condotta dal consiglio comunale di Roma in sede di zonizzazione di cui alla delibera n. 35 del 2010 più volte citata sia adeguatamente motivata sulla base di studi di settore e dati statistici relativi alla diffusione degli esercizi di somministrazione di alimenti e bevande e di pressione antropica. Sul punto l’appellante sottolinea che i dati statistici relativi agli esercizi commerciali risalgono al periodo 1994 – 2004 e dunque ad un’epoca molto antecedente alle norme liberalizzatrici.
Gli stessi dati, secondo la Pastamore, sarebbero errati ed irrazionali, perché basati sulla sola popolazione residente e dunque senza tenere conto dei soggetti fluttuanti quali i domiciliati ed i turisti (quinto motivo d’appello), ed inoltre perché fondati sul concetto di “pressione antropica” correlato in modo arbitrario ai soli esercizi di somministrazione al pubblico di alimenti e bevande e non anche ad altre tipologie di attività commerciali (sesto motivo).
Inoltre – sempre secondo l’appellante - i dati in questione non sono mai stati aggiornati, così essendosi violata la clausola di revisione triennale contenuta nell’art. 11, comma 7, del regolamento comunale in materia (settimo motivo).
8. Anche questi motivi possono essere esaminati in modo congiunto per la loro connessione logica e devono essere respinti.
[b]9. Le censure relative alle analisi su cui si basa il divieto regolamentare qui contestato non tengono conto dell’apprezzabile grado di approfondimento tecnico svolto al riguardo. Da queste analisi si evince che il divieto previsto per il rione Trevi si giustifica non solo sulla base della rete di esercizi di somministrazione al pubblico di alimenti e bevande esistente (dati aggiornati al marzo 2007), ma anche su altre tipologie di attività commerciali ivi presenti (commercio fisso e artigiani: dati relativi al biennio 2008-2009). Del pari, le analisi demografiche non si limitano alla sola popolazione residente, ma riguardano anche quella «presente» nei vari municipi di Roma, e dunque i flussi «dovuti a spostamenti verso altre direzioni per ragioni di lavoro o di studio», In aggiunta a ciò, nello studio in esame si prende in considerazione anche l’estensione geografica dei municipi romani.[/b]
Sulla base di tutti questi dati l’allegato al regolamento in esame giunge quindi alla conclusione che nel municipio I, in cui è compreso il rione Trevi, «gravita normalmente una popolazione circa 3 volte superiore a quella residente». Tale conclusione è a sua volta supportata dagli indici di servizio e di densità per ciascun municipio, ricavati dal rapporto tra i dati di carattere statistico di cui sopra.
10. Tanto precisato, le analisi condotte da Roma Capitale e le relative conclusioni non sono contestate da Pastamore, se non in modo parziale e generico – come visto poc’anzi - così come non è contestata dall’appellante l’esistenza di vincoli a tutela di interessi culturali ed artistici nel medesimo rione (cfr. l’elenco delle strade sottoposte alle «disposizioni di tutela di cui al (…) Decreto Lgs. del 22 gennaio 2004, n. 42» contenuto a pag. 76 e 77 dell’allegato 2 alla delibera n. 35 del 2010).
[color=red][b]Alla luce di quanto finora rilevato deve dunque ritenersi che il divieto assoluto di rilascio di nuove licenze per l’esercizio dell’attività di somministrazione al pubblico di alimenti e bevande nel rione Trevi costituisce una restrizione alla libertà di iniziativa economica ragionevole e proporzionata, poiché fondata su criteri oggettivi e non discriminatori, espressi in modo chiaro ed intellegibile da Roma Capitale, che sono incontestabilmente legati alle caratteristiche territoriali, demografiche e paesaggistico-ambientali delle varie zone in cui si suddivide Roma.[/b][/color]
11. Quanto al mancato aggiornamento dei dati e delle conseguenti elaborazioni, va rilevato innanzitutto che nessuna violazione dell’art. 11, comma 7, della delibera consiliare n. 35 del 2010 è ravvisabile nel caso di specie, dal momento che tale norma regolamentare subordina la revisione della zonizzazione commerciale ivi prevista ad «eventuali mutamenti degli elementi fattuali sottesi alla loro individuazione», che tuttavia la società appellante nemmeno prospetta e che peraltro appare arduo anche solo ipotizzare, stante la notoria pressione turistica e in generale antropica cui è sottoposto il rione Trevi.
12. Con l’ottavo motivo d’appello, nel premettere di svolgere già nei locali oggetto di istanza l’attività di laboratorio di gastronomia calda da asporto e vendita di prodotti alimentari, la Pastamore contesta che l’apertura ivi di un esercizio di somministrazione al pubblico di alimenti e bevande possa arrecare un pregiudizio agli interessi pubblici posti a base del diniego impugnato.
13. La censura non è fondata.
La circostanza dedotta al riguardo dalla società appellante non tiene conto che la tipologia di attività commerciale per la quale la stessa ha chiesto il rilascio della licenza, poi denegato, è diversa da quella attualmente svolta, tant’è vero che per essa è richiesto un nuovo titolo autorizzativo, al pari di quanto richiesto per nuovi operatori economici. Il rilievo ora svolto consente dunque di ritenere pienamente valide le ragioni poste a base del provvedimento qui impugnato.
14. Si può passare ad esaminare il secondo motivo d’appello, contenente una censura di ordine formale nei confronti del diniego impugnato ed incentrato sulla relativa motivazione. La Pastamore lamenta che quest’ultima sia meramente riproduttiva del preavviso di diniego ex art. 10-bis l. 7 agosto 1990, n. 241 nota di prot. n. 116980 del 20 agosto 2014).
15. Il motivo è infondato.
La motivazione del diniego conclusivo è conforme all’obbligo sancito dall’art. 3 della legge generale sul procedimento amministrativo ora richiamata, dal momento che, sebbene riproduttiva del preavviso di diniego, essa richiama le controdeduzioni della società istante (nota in data 9 settembre 2014) ed afferma che le stesse sono «non idonee ad interrompere l’avvio del procedimento di diniego (sic)», così rendendo chiaro che tali difese sono state esaminate in sede procedimentale e ritenute tali da non mutare avviso rispetto alla comunicazione preventiva.
Le stesse controdeduzioni, infatti, incentrate sulla prospettazione di una portata liberalizzatrice delle norme di legge introdotte a cavallo tra il 2011 e il 2012, sono confutate in modo adeguato con la riaffermazione dei limiti alla libertà economica a tutela di interessi imperativi di ordine generale ribaditi nel diniego qui impugnato previsti dalla medesima legislazione.
16. Residua quindi l’esame del nono motivo d’appello, con cui la Pastamore censura il diniego impugnato perché recante la richiesta di «una serie di documenti» che, a suo dire, il Comune non aveva la competenza a richiedere e che pertanto sarebbe «invasiva della concorrenza», materia attribuita in via esclusiva al legislatore statale.
17. La censura è generica e dunque inammissibile ed in ogni caso è infondata.
Nel diniego si fa riferimento all’elaborato tecnico relativo al nuovo esercizio non firmato da un tecnico abilitato in ordine agli aspetti urbanistico-edilizi e da un tecnico abilitato in materia di impatto acustico-ambientale per questa parte.
Se queste sono le richieste censurate – ma dall’esposizione del motivo non è chiaro e ciò può solo essere ipotizzato – le stesse non possono ritenersi illegittime, perché rientrano nella competenza comunale sull’istanza di rilascio del titolo commerciale. Inconferente è poi il richiamo alla competenza legislativa statale sulla concorrenza, dal momento che nel presente giudizio si controverte sul legittimo esercizio di una funzione amministrativa.
18. Per tutte queste ragioni l’appello deve essere respinto, ma le spese del presente grado di giudizio possono essere compensate in ragione della complessità delle questioni controverse.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge e compensa le spese.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 2 febbraio 2017 con l’intervento dei magistrati:
Carlo Saltelli, Presidente
Paolo Troiano, Consigliere
Roberto Giovagnoli, Consigliere
Fabio Franconiero, Consigliere, Estensore
Stefano Fantini, Consigliere


L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
Fabio Franconiero Carlo Saltelli

IL SEGRETARIO

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