Data: 2012-02-25 08:46:38

Le Corti di ultima istanza e la giurisprudenza della Corte europea dei diritti


Relazione svolta in occasione della presentazione della Relazione al Parlamento sullo stato di esecuzione delle pronunce della  Corte europea dei diritti dell’uomo per l’anno 2010.  Sala Polifunzionale.  11 luglio 2011




Le Corti di ultima istanza e la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo





La sintesi, predisposta dal Presidente de Lise per questo incontro limita il mio intervento ad alcune osservazioni, stimolate dalla bella relazione al Parlamento per l’anno 2010, predisposta dall’Ufficio contenzioso e per la consulenza giuridica del Dipartimento per gli affari giuridici della Presidenza del Consiglio dei ministri (in seguito: la relazione), della quale va raccomandata la lettura[1].
Tali osservazioni riguardano:
1)    alcuni recenti provvedimenti del Consiglio di Stato di applicazione di norme della Convenzione europea dei diritti dell’uomo (in seguito: la Convenzione);
2)    la ragionevole durata del processo;
3)    il dialogo e la collaborazione fra le Corti, già evocati nella parte finale del contributo del presidente de Lise, con riferimento al “caso Agrati”;
4)    la questione dell’immediata applicabilità delle norme poste dalla Convenzione ( sentenza della Corte di cassazione penale a sezioni unite nel caso Polo Castro in data 8.05.1989 e sentenza della Corte costituzionale n. 39 del 2008;
5)    il giudice amministrativo e il diritto a un tribunale di piena giurisdizione di cui all’art. 6 della Convenzione;
6)    la “comunitarizzazione” o “trattatizzazione” della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea avvenuta con l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona l’1 dicembre del 2009.
Questo intervento non pretende di dare alcuna risposta, ma intenderebbe sottolineare il primato della domanda, e, quindi indurre qualche riflessione.

1) Per quanto concerne i provvedimenti del Consiglio di Stato. che hanno fatto riferimento alla Convenzione, aggiungerei a quelli indicati nel secondo capitolo della relazione (par. 1. 2.) i numerosi pareri (non riportati nella relazione perché adottati nel 2011), in sede di ricorso straordinario relativi alla giurisdizione degli Stati in materia di rifugiati.
Con tali pareri, il primo dei quali adottato all’adunanza della prima Sezione del 9 febbraio 2011, sono stati recepiti i principi indicati nella sentenza M.S.S. c. Belgio e Grecia adottata dalla Grande Camera della Corte europea dei diritti dell’uomo (in seguito: Corte EDU) del 21.1.2011.
Il Consiglio di Stato, in sede consultiva, con tali avvisi, sulla base della riconosciuta incompatibilità delle condizioni di detenzione e di soggiorno in territorio greco per i richiedenti asilo con l’art. 3 della Convenzione e, in considerazione della violazione dell’art. 13 per la ritenuta insufficienza delle garanzie, offerte dai ricorsi nell’ordinamento di quel Paese, ha espresso avviso favorevole in sede di ricorso straordinario all’annullamento del provvedimento impugnato.  Con tale provvedimento l’ufficio Unità Dublino del Dipartimento per le libertà civili e l’immigrazione del Ministero dell’interno aveva disposto il trasferimento alla Grecia, in quanto Paese di primo ingresso del richiedente nell’area Schengen, dell’esame  della richiesta di asilo.  All’annullamento dei provvedimenti di trasferimento è conseguito che compete alla Amministrazione italiana l’esame della domanda di asilo.  Ciò per la ritenuta esistenza dei particolari motivi di cui all’art. 3.2 reg. U.E “Dublino II”, che importano la deroga alla regola della competenza del Paese di primo ingresso.

2) Per quanto riguarda la regola della ragionevole durata del processo, di cui all’art. 6 della Convenzione, costituzionalizzata nell’art. 111 Cost. come novellato dalla legge costituzionale n. 2/99, mi limito a due rilievi:
a)  vorrei sottolineare, come già rilevato nella relazione, che tale regola costituzionale è norma cardine dell’ordinamento; ad essa vanno rapportati gli istituti processuali e le prassi organizzative anche degli Organi di autogoverno delle magistrature, in  particolare in materia di determinazione dei carichi esigibili di lavoro;
b) le recenti ”Disposizioni e l’efficienza del sistema giudiziario e la celere definizione delle controversie” di cui all’art. 37 del decreto legge 6 novembre 2011, n. 155, costituiscono un’ulteriore importante previsione normativa per l’accelerazione dei giudizi.  Tali disposizioni potrebbero avere una accresciuta efficacia se accompagnate da una attribuzione di autonomia finanziaria ai singoli  uffici; si potrebbe valutare di parametrare in qualche misura l’entità dei fondi alla efficienza degli uffici.  Può ricordarsi, in proposito, che, nell’ambito della giustizia amministrativa, l’abbattimento dell’arretrato è iniziato dopo l’introduzione di un premio di produttività al personale amministrativo, in parte proporzionale al numero dei ricorsi definiti.

3) Il dialogo fra gli ordinamenti e la collaborazione fra le Corti sono un portato della storia. Con l’irrompere dei diritti fondamentali della persona a seguito delle abiezioni intervenute nel corso della II guerra  mondiale con la conseguente costituzione di ordinamenti sopranazionali (Comunità europee e Consiglio d’Europa) si è chiuso il periodo delle codificazioni.
In questa nuova realtà gli ordinamenti statali sono divenuti ordinamenti giuridici aperti, da intendere, secondo la definizione di Gino Gorla, come “quelli in cui per i casi omessi o dubbi nel diritto locale, ma anche per concetti o principi generali si ricorre invece che alla logica astratta e opinabile dell’art. 12 disp. prel. c.c. all’esperienza concreta del diritto di un paese o di paesi facenti parte di una stessa civiltà o comunità giuridica (orbis), la communis opinio totius orbis, la quale rappresenta anche un valore di diritto naturale”. (F.I., marzo 1983, p.V, 111).
Sono sorte e fiorite una serie di Corti sopranazionali, internazionali e globali: il Project  on “International Courts and Tribunals” (PICT), creato nel 1997 dal “Center on International Cooperation” (CIC) ha individuato circa 125 istituzioni internazionali che si possono definire di carattere giurisdizionale in cui autorità indipendenti raggiungono decisioni definitive su controversie in cui sono parti anche soggetti privati.
Si è passati da una giurisprudenza concettuale fondata sul sillogismo tipica del giuspositivismo ad una giurisprudenza in cui l’esito del sillogismo è verificato alla luce dei valori di  eguaglianza e giustizia.
Tale cambiamento, anche culturale, è ben rappresentato dalla parabola dell’esistenza di Gustav Radbruch (1878 – 1949), che da esponente del giuspositivismo è divenuto sostenitore  della giurisprudenza dei valori, e dal suo scritto del 1945 “5 minuti di diritto e filosofia”.
Sul cambiamento, determinato dagli inaccettabili orrori della II guerra mondiale, ha anche influito l’approccio culturale casistico della giurisprudenza di common law.
Tale giurisprudenza certo fa uso di princìpi generali, ma il contenuto di essi è riferito a una serie di casi piuttosto che definito mediante un concetto.
Si è, quindi, venuto formando un nucleo giurisprudenziale di un diritto globale costituito da clausole generali e da princìpi generali comuni, tendenzialmente applicati, con un margine di apprezzamento da tutte le Corti, che fanno parte di una stessa civiltà giuridica.  In via esemplificativa si possono indicare i princìpi di buona fede, di eguaglianza, di legalità, di rispetto della dignità, di rispetto dei patti conclusi.
In questo nucleo di diritto globale la contrapposizione o differenza civil law - common law, che è prevalentemente di metodo, si attenua e i princìpi generali vengono definiti sia attraverso la serie di casi che attraverso l’enunciazione astratta.
I due metodi tendono ad armonizzarsi e a completarsi. Quindi una giurisprudenza circolare che fa riferimento a clausole generali e allo stesso tempo è fortemente casistica, cioè dà rilievo agli elementi del caso e pone in primo piano i fatti di causa.
Talvolta è la differenza di metodo a determinare posizioni diverse su questioni analoghe e di questo si deve avere consapevolezza per superare i contrasti.
La formazione di questa giurisprudenza globale è il risultato del dialogo e collaborazione fra le Corti.
Astenersi da questi dialogo vuol dire emarginarsi.
Le considerazioni svolte possono contribuire a dare una chiave di lettura del contrasto emerso di recente sul “caso Agrati” fra la sentenza della Corte costituzionale italiana n. 311 del 2009 e la sentenza adottata il 7 giugno 2011 dalla II Sezione della Corte EDU (Affaire Agrati et autres c. Italie).[2]
Entrambe le sentenze hanno valutato se l’art. 1, comma 218, della legge 23 dicembre  2005, n. 266, che ha interpretato la disposizione di cui all’art. 8, comma 2, della legge 3 maggio 1999, n. 124, mentre erano pendenti giudizi innanzi all’autorità giudiziaria ordinaria, avesse violato le norme, di cui all’art. 6, comma 1, della Convenzione e all’art. 1 del Protocollo 1 alla Convenzione.
Entrambe le sentenze hanno fatto riferimento alla giurisprudenza della Corte EDU in materia di leggi interpretative o retroattive che intervengono in corso di giudizio; entrambe le sentenze hanno inteso seguire tale giurisprudenza senza operare tecniche di distinzione (distinguishing) fra il caso all’esame e quelli oggetto delle precedenti sentenze della Corte EDU.
La Corte EDU, a differenza della Corte costituzionale italiana, ha ritenuto sussistere le violazioni.
La Corte EDU ha ritenuto che:
1) non vi fosse alcuna lacuna da riempire o incertezza da chiarire da parte della legge interpretativa, perché la giurisprudenza della Corte di cassazione italiana si era consolidata in senso favorevole ai ricorrenti (Cass., Sez. lavoro, n.18829, 27 settembre 2005); quindi, i ricorrenti stessi, prima dell’intervento della legge interpretativa, avevano, se non un credito, la speranza legittima di poter ottenere il pagamento delle somme controverse;
2) non sussisteva una “imperiosa esigenza di interesse generale”[3] che potesse giustificare l’ingerenza della legge retroattiva sui giudizi in corso, tale non potendosi considerare il solo interesse finanziario, il quale, di per sé, non può giustificare l’intervento retroattivo di una legge che intende convalidare un atto amministrativo oggetto di giudizio (lois de validation).
Il contrasto fra le due pronunce si riduce alle due seguenti questioni, che definirei di fatto:
a) se prima dell’intervento della legge retroattiva la giurisprudenza della Corte di cassazione fosse giunta ad una posizione ferma, come ritenuto dalla Corte EDU;
b) se la legge interpretata avesse comportato un potenziale vulnus al principio di parità di trattamento come affermato dalla Corte costituzionale italiana.
La Corte costituzionale ha risposto negativamente alla prima questione e positivamente alla seconda; la Corte EDU positivamente alla prima e negativamente alla seconda.
L’approccio della Corte costituzionale italiana è stato più astratto; la Corte EDU ha richiesto una maggior luce su fatti (consolidazione di un orientamento giurisprudenziale; esistenza di una ingiustificata disparità di trattamento o di un “potenziale vulnus al principio di parità di trattamento” che la legge retroattiva avrebbe eliminato), che sono rimasti in ombra.
In conclusione la Corte EDU è giunta a conclusioni contrarie rispetto a quelle cui era pervenuto il giudice delle leggi perché ha ritenuto  che nella sentenza della Corte costituzionale non emergesse con chiarezza in cosa concretamente consistesse il “potenziale vulnus al principio di parità di trattamento”, che la legge retroattiva avrebbe eliminato e che tale sentenza non fosse convincente nella parte in cui affermava che sulla questione il dibattito giurisprudenziale era irrisolto e “il diritto vivente nel 2005 non poteva ritenersi formato”.
Riterrei che il contrasto non sia su princìpi, ma su fatti e che i diversi metodi di approccio alla questione abbiano avuto influenza determinante sulle conclusioni

4) L’immediata applicabilità delle norme poste dalla Convenzione.
Il valore e l’efficacia delle norme poste dalla Convenzione, qualificate dalla giurisprudenza costituzionale ( sentenze nn. 348 e 349 del 2007, 317 del 2009, 93 del 2010) norme interposte, che integrano il parametro di cui all’art. 117, primo comma, appare questione non coincidente con quella della diretta applicabilità delle norme della Convenzione.
Su tale questione si è pronunciata la Corte di cassazione penale a sezioni unite (sentenza Polo Castro, pubblicata l’8 maggio 1989).
Con tale sentenza, che ha risolto un contrasto giurisprudenziale, si è  ritenuto che “le norme della Convenzione europea dei Diritti dell’Uomo (l. esec. 4 agosto 1955 n.848) sono di immediata applicazione ove contengano il modello di un atto interno completo nei suoi elementi essenziali, tale cioè da poter senz’altro creare obblighi e diritti”.
Ora potrebbe essere oggetto di approfondimento la questione circa la necessità di rimessione alla C.C. di leggi precedenti la legge di ratifica ed esecuzione della Convenzione, ritenute in possibile contrasto con le norme della Convenzione.
Proprio perché le norme della Convenzione sono norme interposte, la cui fonte è una legge ordinaria, si potrebbe considerare la questione in modo diverso da quella del rapporto fra norme costituzionali e norme ad essa anteriori.
La tesi della non abrogazione delle norme anteriori,  da parte delle norme poste dalla Costituzione con esse contrastanti è stata fondata sulla differenza di grado fra la legge e la Costituzione (sentenze della Corte costituzionale nn. 1 del 1956, 1e 2 del 1962)[4].
La finalità perseguita da tale giurisprudenza, di rendere accentrato il controllo di costituzionalità, potrebbe anche porsi alla base del rapporto fra le norme poste dalla Convenzione e quelle poste da leggi precedenti la legge di ratifica ed esecuzione della Convenzione.
Le circostanze, però, che le norme della Convenzione siano soltanto norme interposte e che esse non siano il risultato della interpretazione della Corte costituzionale, ma della Corte di Strasburgo, potrebbero portare a conclusione diversa da quella raggiunta sulla relazione fra norme costituzionali e norme anteriori all’entrata in vigore della Costituzione.
Si potrebbe, cioè, ritenere che le norme convenzionali, che sono di grado inferiore a quelle poste dalla Costituzione, ma superiore alle norme ordinarie, abbiano la stessa forza abrogativa delle leggi ordinarie
Sulla questione solo implicitamente si è pronunciata la Corte Costituzionale (sentenza n. 39 del 2008) dichiarando la illegittimità costituzionale di due articoli della legge fallimentare del 1942 nel testo anteriore all’entrata del decreto legislativo 9 gennaio 2006, n.5[5].

5) Diritto ad un controllo giurisdizionale di piena giurisdizione.
Nella terminologia della Corte l’art. 6 richiede un organo giudiziario di piena giurisdizione. Il controllo giurisdizionale,cioè, deve essere completo sia in fatto che in diritto.
Mi pare che il controllo del giudice amministrativo risponda a tale requisito e che l’ambito del giudizio di ottemperanza esteso al merito, i poteri istruttori del giudice amministrativo in sede di cognizione come regolati dagli artt.63-69 del codice del processo amministrativo, la giurisprudenza amministrativa in materia di controllo giurisdizionale sull’esercizio della discrezionalità tecnica (Consiglio di Stato, IV Sezione nn. 601/1999, 6201/2003; VI Sezione, nn. 694 e 6559/2009), soddisfino in modo completo tale parametro.
In particolare, per quanto riguarda un caso all’esame della Corte EDU, il potere del g.a., esistente sulla base della giurisdizione anteriormente all’entrata in vigore del c.p.a., e da questo ultimo confermato (art. 134, comma 1), di modificare le sanzioni pecuniarie irrogate dalle Autorità, rende tale particolare giudizio coerente con la disciplina dell’equo processo di cui all’art. 6 della Convenzione, come interpretato dalla Corte EDU.


6) Comunitarizzazione della Carta dei Diritti fondamentali dell’Unione europea.
L’entrata in vigore del Trattato di Lisbona ha attribuito alla Carta dei Diritti fondamentali dell’Unione europea la stessa forza giuridica dei Trattati.  Questa innovazione riguarda anche le norme della Convenzione, in quanto molte disposizioni della Carta corrispondono a previsioni della Convenzione e l’art. 52, comma 3, della Carta prevede che “[l]addove la …Carta contenga diritti corrispondenti a quelli garantiti dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, il significato e la portata degli stessi sono eguali a quelli conferiti dalla suddetta Convenzione.  La presente disposizione non preclude che il diritto dell’Unione conceda una protezione più estesa.”
L’art. 51 della Carta ne definisce l’ambito di applicazione: “1) Le disposizioni della presente Carta si applicano alle Istituzioni e agli Organi dell’Unione nel rispetto del principio di sussidiarietà come pure agli Stati membri esclusivamente nell’attuazione del diritto dell’Unione. Pertanto, i suddetti soggetti rispettano i diritti, osservano i principi e ne promuovano l’applicazione secondo le rispettive competenze. 2) La presente Carta non introduce competenze nuove o compiti nuovi per la Comunità e per l’Unione, né modifica le competenze e i compiti definiti dai trattati.”  Il nuovo art. 6, comma 1, secondo periodo, del Trattato (TUE) prevede, come sopra riportato che “Le disposizioni della Carta non estendono in alcun modo le competenze dell’Unione definite nei dei trattati”. Tale previsione è ribadita dalla stessa Commissione europea nella comunicazione intitolata “Strategia  per una più efficace applicazione della Carta del diritti fondamentali”  del 19 ottobre 2010.
Presupposto di applicabilità della Carta è, dunque, che il caso sottoposto all’esame del giudice rientri in una fattispecie disciplinata dal diritto europeo – in quanto inerente ad atti dell’Unione, ad atti e comportamenti nazionali che danno attuazione al diritto dell’Unione, ovvero alle giustificazioni addotte da uno Stato membro per una misura nazionale altrimenti incompatibile con il diritto dell’Unione – e non già in fattispecie esclusivamente regolate da  norme nazionali prive di ogni legame con tale diritto.  Ế necessario cioè, utilizzando una espressione applicata dalla Corte di giustizia, che il caso “sia soggetto al diritto dell’Unione” (  ordinanza 11 novembre 2010, C-20/10, Vino, punto 53).  La Corte Costituzionale con la sentenza n. 80/2011, riportata opportunamente per esteso nella relazione (pagg. 29/31), ha chiarito, nel senso ora indicato, l’impatto del Trattato di Lisbona sulla propria giurisprudenza relativa all’efficacia e al valore delle norme CEDU, confermando la giurisprudenza della Corte di giustizia (sentenza 5 ottobre 2010, C-400/10PPU, MeB; ordinanze 11 novembre 2010, C-20/10, Vino; 12 novembre 2010, C-339/10, Krasimir e altri).
La distinzione fra “norme dei principi” e “norme dei diritti” posta dall’art. 51 della Carta, riveste particolare importanza, in particolare per quanto riguarda l’applicazione di tali norme e il loro trattamento.  Così come per la determinazione dell’ambito di applicabilità della Carta, anche  per la qualificazione delle norme della Carta quali “norme di principi” o “norme di diritti” (tale questione sarà connessa a quella della compatibilità fra norma della Carta e norma interna da applicare, anche se vi può essere incompatibilità anche con una norma di principio), nei casi in cui il giudice interno, che è anche giudice di diritto comunitario, sia in dubbio, il dubbio dovrebbe essere risolto attraverso la domanda di pronuncia pregiudiziale, trattandosi di questione di qualificazione di norma europea e, in definitiva, di rapporto fra norma interna e norma europea. 
La comunitarizzazione della Carta pone una serie di problemi, qui non trattati, che non concernono soltanto l’ambito di applicazione della norme della Carta, ma anche la loro efficacia nel diritto comunitario e nel diritto interno.
Qui si vuole soltanto sottolineare che questa straordinaria innovazione potrà avere conseguenze importanti per l’ordinamento comunitario e per gli ordinamenti nazionali e che su di essa nel nostro Paese, a differenza di quanto è avvenuto in altri Paesi dell’Unione, gli approfondimenti, sia in giurisprudenza che in dottrina, sono stati pochi e l’attenzione è stata tenue; e questo atteggiamento culturale è sbagliato e ci esclude dal processo di formazione del nuovo diritto che si formerà sulla Carta.



[1]  In base all’art. 1 della legge 9 gennaio 2006, n. 12, che ha inserito, all’art.5, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400, la lettera a-bis, “[i]l Presidente del Consiglio dei ministri, direttamente o conferendone delega ad un ministro:
…a-bis) promuove gli adempimenti di competenza governativa conseguenti alle pronunce della Corte europea dei diritti dell'uomo emanate nei confronti dello Stato italiano; comunica tempestivamente alle Camere le medesime pronunce ai fini dell'esame da parte delle competenti Commissioni parlamentari permanenti e presenta annualmente al Parlamento una relazione sullo stato di esecuzione delle suddette pronunce;” 



[1]  In base all’art. 1 della legge 9 gennaio 2006, n. 12, che ha inserito, all’art.5, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400, la lettera a-bis, “[i]l Presidente del Consiglio dei ministri, direttamente o conferendone delega ad un ministro:
…a-bis) promuove gli adempimenti di competenza governativa conseguenti alle pronunce della Corte europea dei diritti dell'uomo emanate nei confronti dello Stato italiano; comunica tempestivamente alle Camere le medesime pronunce ai fini dell'esame da parte delle competenti Commissioni parlamentari permanenti e presenta annualmente al Parlamento una relazione sullo stato di esecuzione delle suddette pronunce;” 
[2] Il caso è ampiamente trattato nella relazione ( cap. II, 1.1.1., pagg. 27-31) e nella relazione “Rapporti tra la giurisprudenza sella Corte di cassazione e la giurisprudenza della Corte EDU” (par. 2.1) predisposta dall’Ufficio del Massimario e del Ruolo della Corte di cassazione in occasione di questo incontro.
[3]  Per un diverso caso di considerazione di imperativa esigenza di interesse pubblico, che è stata ritenuta legittimare l’ingerenza dello ius superveniens sul giudizio in corso, si veda: Consiglio di Stato, VI Sezione, n. 3944/2008.
[4] Così la sentenza della Corte costituzionale n. 1 del 1956, discussa all’udienza pubblica del 23 aprile 1956,:” …L'assunto che il nuovo istituto della "illegittimità costituzionale" si riferisca solo alle leggi posteriori alla Costituzione e non anche a quelle anteriori) non può essere accolto, sia perché, dal lato testuale, tanto l'art. 134 della Costituzione quanto l'art. 1 della legge costituzionale 9 febbraio 1948, n. 1, parlano di questioni di legittimità costituzionale delle leggi, senza fare alcuna distinzione, sia perché, dal lato logico, è innegabile che il rapporto tra leggi ordinarie e leggi costituzionali e il grado che ad esse rispettivamente spetta nella gerarchia delle fonti non mutano affatto, siano le leggi ordinarie anteriori, siano posteriori a quelle costituzionali. Tanto nell'uno quanto nell'altro caso la legge costituzionale, per la sua intrinseca natura nel sistema di Costituzione rigida, deve prevalere sulla legge ordinaria.

Non occorre poi fermarsi ad esaminare se e in quali casi, per le leggi anteriori, il contrasto con norme della Costituzione sopravvenuta possa configurare un problema di abrogazione da risolvere alla stregua dei principi generali fermati nell'art. 15 delle disp. prel. al Cod. civ. I due istituti giuridici dell'abrogazione e della illegittimità costituzionale delle leggi non sono identici fra loro, si muovono su piani diversi, con effetti diversi e con competenze diverse. Il campo dell'abrogazione inoltre è più ristretto, in confronto di quello della illegittimità costituzionale, e i requisiti richiesti perché si abbia abrogazione per incompatibilità secondo i principi generali sono assai più limitati di quelli che possano consentire la dichiarazione di illegittimità costituzionale di una legge.


[5] Sulla questione della diretta applicabilità delle norme convenzionali: Guido Raimondi, “ Il Consiglio di Stato e la Corte  europea dei diritti dell’uomo”, punti 35-41, in Studi per il 180° anniversario del Consiglio di Stato.

http://www.giustizia-amministrativa.it/documentazione/studi_contributi/BARBAGALLO-cedu_11_LUGLIO_2011.htm

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