REVISIONE DEI PREZZI - la competenza è del Consiglio Comunale
[color=red][b]CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. I CIVILE – sentenza 21 novembre 2016 n. 23628[/b][/color]
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1 – Con sentenza depositata in data 26 gennaio 2000 il Tribunale di Lagonegro, avendo già dichiarato la propria incompetenza per territorio in relazione a una domanda di garanzìa avanzata nei confronti di Agensud, previa revoca del decreto ingiuntivo emesso, ad istanza dell’imprenditore xxxx Domenico, per l’importo di lire 201.0030.066 a titolo di interessi per ritardato pagamento del compenso revisionale e del saldo dei lavori dati in appalto per il ripristino di una strada, condannava il Comune di Noepoli al pagamento della somma lire 20.923.304, oltre ulteriori interessi.
1.1 – Con la decisione indicata in epigrafe la Corte dì appello di Potenza, in parziale accoglimento del gravame proposto dal xxxx, per quanto in questa sede ancora rileva, ha condannato il Comune di Noepoli al pagamento degli interessi sul compenso revisionale di lire 306.219.000, calcolati ai sensi dell’art. 36 del capitolato generale o.o. p.p., con decorrenza dal 120° giorno successivo al 10 aprile 1989 e fino al 16 settembre 1991.
1.2 – La corte distrettuale, disattesa preliminarmente l’eccezione del xxxx intesa a far valere una rinuncia della controparte all’azione, a fronte delle contrapposte tesi che individuavano il “dies a quo” per il calcolo della revisione, da un lato, nella data del riconoscimento del relativo diritto avvenuto con delibera dell’Agensud, come ritenuto dal Tribunale, ovvero, come affermato da parte dell’impresa, nella data di ultimazione dei lavori o quanto meno in quella del precedente riconoscimento da parte del Comune (aprile 1989), ha premesso che nella specie, dovevano applicarsi, in virtù dell’articolo unico della 1. n. 700 del 1974, gli artt. 35 e 36 del capitolato generale d’appalto delle opere pubbliche, e che il suddetto riconoscimento doveva provenire dall’organo dell’ente committente a tanto abilitato.
1.3 – Ha quindi osservato che la Giunta del Comune di Noepoli (che in precedenza aveva stipulato il contratto di appalto) aveva approvato, in data 10 aprile 1989, la contabilità finale, contenente l’espressa previsione della revisione prezzi per lire 333.217.878 e che doveva quindi tenersi conto della data di tale delibera, non essendo necessaria, ai fini del diritto alla corresponsione del compenso revisionale, alcuna domanda da parte del xxxx, né avendo il Comune dimostrato che il ritardato pagamento era avvenuto per cause ad esso non imputabili, non rilevando a tale fine il momento del trasferimento delle risorse finanziarie a detto ente da parte dell’Agensud.
1.4 – Per la cassazione di tale decisione il Comune di Noepoli propone ricorso, affidato a cinque motivi, cui il xxxx resiste con controricorso.
MOTIVI DELLA DECISIONE
2 – Con il primo motivo si deduce la nullità della sentenza impugnata per lesione del principio del contraddittorio, con violazione degli artt. 82, 115 e 132 disp. att. cod. proc. civ., per non essere stata comunicato al difensore del Comune il decreto in data 9 marzo 2007 con cui il Presidente assegnava la causa al consigliere Materi, il quale aveva poi fissato l’udienza collegiale del 30 ottobre 2007, cui aveva partecipato il solo difensore della controparte.
2.1 – Con il secondo mezzo, denunciandosi violazione e falsa applicazione degli artt. 1 e 2 del d.lgs C.p.s. n. 1501 del 1947 e degli artt. 139 e 140 del R.D. n. 148 del 1915, si sostiene che erroneamente era stato ritenuta la sussistenza di un valido riconoscimento del diritto al compenso revisionale, non essendo a tal fine corretta la valorizzazione della delibera della Giunta comunale, non ratificata dal Consiglio comunale.
2.2 – Con il terzo motivo si sostiene che il riconoscimento del diritto alla revisione sarebbe validamente avvenuto soltanto con la delibera Agensud del 16 gennaio 1991, ragion per cui si sarebbe dovuto tener conto di tale dato ai fini della determinazione della decorrenza degli interessi in materia di revisione.
2.3 – La quarta censura attiene alla violazione dell’art. 1218 cod. civ. e alla mancata valutazione delle prove circa 1’addebitabilità del ritardo ad Agensud.
2.4 – Con l’ultimo motivo si deduce la violazione degli artt. 115 cod. proc. civ. e 1362 cod. civ., in merito all’omessa valutazione della clausola con la quale era stato escluso qualsiasi indennizzo per il ritardo nei pagamenti.
2.5 – In relazione a tutti i motivi sopra richiamati sono stati formulati validi quesiti di diritto ai sensi dell’art. 366 bis cod. proc. civ., applicabile ratione temporis.
Motivi della decisione
[b]2- Il ricorso appare meritevole di accoglimento, nei limiti appresso indicati.[/b]
3- Il primo motivo è infondato. La doglianza relativa all’omessa comunicazione al difensore del Comune del decreto con cui veniva fissata l’udienza collegiale del 30 ottobre 2007 non tiene conto del fatto che il difensore avv. Melfi, con studio in Senise, nel circondario del tribunale di Lagonegro, non aveva eletto domicilio in Potenza.
Deve in proposito richiamarsi il principio secondo cui l’art. 82 del r.d. 22 gennaio 1934, n. 37 – secondo cui gli avvocati, i quali esercitano il proprio ufficio in un giudizio che si svolge fuori della circoscrizione del Tribunale al quale sono assegnati, devono, all’atto della costituzione nel giudizio stesso, eleggere domicilio nel luogo dove ha sede l’autorità giudiziaria presso la quale il giudizio è in corso, intendendosi, in caso di mancato adempimento di detto onere, lo stesso eletto presso la cancelleria dell’autorità giudiziaria adita – trova applicazione in ogni caso di esercizio dell’attività forense fuori del circondario di assegnazione dell’avvocato, come derivante dall’iscrizione al relativo ordine professionale, e, quindi, anche nel caso in cui il giudizio sia in corso innanzi alla corte d’appello e l’avvocato risulti essere iscritto all’ordine di un tribunale diverso da quello nella cui circoscrizione ricade la sede della corte d’appello, ancorché appartenente allo stesso distretto dì quest’ultima (Cass., Sez. Un., 20 giugno 2012, n. 10143). Validamente, pertanto, la comunicazione venne effettuata presso la cancelleria della Corte di appello adita, come risulta dall’esame degli atti, consentito dalla natura procedurale del vizio denunciato.
4 – Ragioni di priorità sul piano logico giuridico impongono a questo punto l’esame della questione dedotta con il quinto motivo, essendo evidente la portata decisiva della clausola relativa all’esclusione di qualsiasi indennizzo per il ritardato pagamento.
4.1 – La censura è inammissibile, in quanto la questione risulta dedotta per la prima volta in sede di legittimità. Invero nella sentenza impugnata manca qualsiasi accenno alla suddetta clausola, né il tema può considerarsi ritualmente sottoposto all’esame della Corte distrettuale (in maniera tale da configurare una omessa pronuncia, per altro non dedotta) attraverso – come si legge nel ricorso -“l’espresso rinvio a quanto eccepito e dedotto nei propri scritti difensivi e nei verbali di primo grado”.
Infatti, con riferimento alla disposizione contenuta nell’art. 346 cod. proc. civ., questa Corte ha in più occasioni affermato che il mero richiamo generico alle conclusioni assunte in primo grado non può essere ritenuto sufficiente a manifestare la volontà di sottoporre al giudice dell’appello una domanda o eccezione non accolta dal primo giudice, al fine di evitare che essa si intenda rinunciata (Cass., 25 novembre 2010, n. 23925; Cass., 11 maggio 2009, n. 10796).
[b]5- Il secondo mezzo è fondato.[/b]
La corte distrettuale, dopo aver precisato che il soggetto abilitato ad approvare la revisione era il Comune di Noepoli, per aver stipulato il contratto di appalto, ha rilevato che “la Giunta del Comune di Noepoli, in data 10 aprile 1989, sul presupposto riconosciuto che i lavori erano stati regolarmente eseguiti dall’appaltatore, approvò la contabilità finale dando atto che essa conteneva l’espressa previsione della revisione prezzi per lire 333.217.878”.
5.1 – Il rilievo del ricorrente, secondo cui la delibera concernete la revisione, il cui riconoscimento da parte della stazione appaltante era necessario sulla base del quadro normativo vigente “ratione temporis“, non sarebbe stata approvata dall’organo competente, è condivisibile.
[b]Secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte in merito al quadro normativo applicabile nella specie, il diritto dell’appaltatore alla revisione dei prezzi, sorge (dopo la L. n. 47 del 1973) soltanto per effetto e dal momento del riconoscimento della revisione medesima da parte dell’amministrazione. Tale riconoscimento non può che perfezionarsi con le modalità richieste dalle norme sull’evidenza pubblica, per i comuni, contenute nel R.D. n. 148 del 1915, nonché nelle leggi successive in materia, e deve perciò provenire necessariamente dall’organo dell’ente pubblico abilitato a manifestarne la volontà che è esclusivamente il Consiglio comunale (Cass., Sez. Un., 25 febbraio 2009, n. 4463; Cass. Sez. Un., 5 aprile 2005, n. 6993; Cass. Sez. Un., 3 novembre 2005, n. 21292).[/b]
5.2 – Deve quindi ribadirsi che non può assurgere a valido ed efficace riconoscimento del diritto dell’appaltatore alla revisione il provvedimento, pur espressamente attributivo della revisione stessa, pur quando adottato dal Sindaco e dalla Giunta municipale in via d’urgenza, ove la delibera non sia stata ratificata dal Consiglio Comunale (v. anche Cass., Sez. Un., 19 marzo 1999, n. 165).
[color=red][b]5.3 – L’istituto della revisione dei prezzi contrattuali, onde adeguarli ai mutati costì dei fattori produttivi, per gli aggravi economici che impone alla stazione appaltante, è infatti disciplinato in ogni sua fase dalla legge e correlato ad un potere attribuito alla p.a. nell’interesse pubblico, che perciò opera al di fuori del contratto (nonché delle spese in esso previste) con effetti su di esso. Ben vero esso è strutturato come un procedimento concessorio rimesso alla discrezionalità dell’amministrazione appaltante. Conseguentemente, per l’impegno di nuove spese che esso comporta, il riconoscimento della revisione negli appalti dei comuni rientrava, già ai sensi del menzionato R.D. n. 148 del 1915, art. 131, nella competenza esclusiva del Consiglio comunale a deliberare “nuove e maggiori spese, nonché lo storno di fondi da una categoria ad un’altra del bilancio” (punto 10), e non in quella della G.M. (artt. 139 e 140), che al più, nelle ipotesi di particolare urgenza – tale da non consentire la convocazione del Consiglio – poteva adottare in via provvisoria la relativa deliberazione, tuttavia subordinata quanto alla sua efficacia alla ratifica del Consiglio comunale. Abrogate le nuove competenze degli organi, introdotte dal R.D. 3 marzo 1934, n. 383, ad opera del R.D.L. 4 aprile 1944, n. Ili, art. 13, la L. 9 giugno 1947, n. 530, art. 25, dispose: “Le attribuzioni ed il funzionamento dei Consigli e delle Giunte comunali sono regolati dal testo unico della legge comunale e provinciale, approvato con R.D. 4 febbraio 1915, n. 148 e dalle modifiche contenute nel R.D. 30 dicembre 1923, n. 2839″. Venne pertanto ripristinata la competenza del Consiglio comunale a disporre e/o riconoscere la revisione, che permaneva dunque sia all’epoca in cui furono stipulati i contratti di appalto tra le parti, sia a quella della delibera in esame.[/b][/color]
5.4 – La questione sopra indicata si intreccia con il tema del riconoscimento implicito, in realtà non affrontato nella decisione impugnata, dovendosi al riguardo precisare che lo stesso in tanto può comportare l’insorgere di una valida obbligazione dell’Amministrazione committente alla revisione dei prezzi, in quanto la corrispondente manifestazione volontà provenga in ogni caso dall’organo deliberativo del soggetto pubblico appaltante (v. la citata Cass. n. 4463 del 2009 e Cass. , Sez. Un., 28 ottobre 1995 n. 11312). Sotto tale profilo la percezione di un acconto da parte del xxxx, cui si accenna nella sentenza impugnata (allo scopo di escludere – in parte qua – il conteggio degli interessi: pag. 7), in tanto può intendersi come riconoscimento implicito in quanto riconducibile a una volontà dell’organo del Comune a tanto abilitato (cfr. , amplius, la citata Cass. n. 4463 del 2009, in motivazione).
6- Il terzo motivo, a ben vedere, rimane assorbito: mette conto di sottolineare, per altro, che, indipendentemente dal rapporto di delegazione intersoggettiva instauratosi fra la Cassa per il Mezzogiorno e il Comune, ostativo alla rilevanza esterna, nei rapporti con l’impresa appaltatrice (cfr., per tutte, Cass. , Sez. un., 3 giugno 1992, n. 6188), della delibera in data 16 gennaio 1991 di Agensud, subentrata alla suddetta Cassa, la decorrenza degli interessi da tale data, invocata dall’ente ricorrente, corrisponde alla statuizione resa al riguardo dal Tribunale di Lagonegro, impugnata dal solo xxxx, con argomenti – condivisi dalla Corte di appello – contrastanti, per le ragioni evidenziate – con l’orientamento di questa Corte in tema di riconoscimento del diritto alla revisione.
7 – Va rilevata, infine, l’infondatezza del quarto motivo, dovendosi al riguardo richiamare l’insegnamento di questa Corte secondo cui in materia di responsabilità contrattuale, l’art. 1218 cod. civ. è strutturato in modo da porre a carico del debitore, per il solo fatto dell’inadempimento, una presunzione di colpa superabile mediante la prova dello specifico impedimento che abbia reso impossibile la prestazione o, almeno, la dimostrazione che, qualunque sia stata la causa dell’impossibilità, la medesima non possa essere imputabile al debitore. Peraltro, perché l’impossibilità della prestazione costituisca causa di esonero del debitore da responsabilità, non basta eccepire che la prestazione non possa eseguirsi per fatto del terzo, ma occorre dimostrare la propria assenza di colpa con l’uso della diligenza spiegata per rimuovere l’ostacolo frapposto da altri all’esatto adempimento. Con particolare riferimento al ritardo cagionato dal finanziamento da parte del terzo si rende applicabile il principio, già affermato da questa Corte (Cass., 23 ottobre 2014, n. 22580; Cass., 6 giugno 2013, n. 14340, in motivazione, proprio in relazione a finanziamenti da parte di Agensud; v. anche, in fattispecie analoga, Cass., 16 marzo 2012, n. 4214), secondo cui l’ente finanziatore non è tenuto a rivalere il concessionario della somma che si sia obbligato a versare all’appaltatore, salvo che non sia stata stipulata una convenzione accessoria all’atto di concessione, con la quale l’ente garantisca la tempestiva erogazione del finanziamento, ovvero la copertura del concessionario dai rischi derivanti per i ritardi nei pagamenti dovuti all’appaltatore.
[b]Deve quindi ribadirsi che, in tema di responsabilità da ritardo del committente nei pagamenti degli acconti e del saldo quale corrispettivo delle opere eseguite nell’ambito di rapporto di appalto pubblico, in favore dell’appaltatore, causato dal ritardo nell’erogazione del finanziamento da parte di altro ente pubblico, non può essere esclusa la responsabilità del debitore per il ritardato pagamento in quanto i fatti, in apparenza ascrivibili ad un soggetto terzo-finanziatore, restano imputabili al committente-debitore in mancanza di una convenzione ulteriore, con la quale l’ente finanziatore garantisca al committente la tempestiva erogazione del finanziamento.[/b]
8 – La decisione impugnata, pertanto, va cassata
in relazione al motivo accolto, con rinvio alla Corte di appello di Potenza, che, in diversa composizione, applicherà i principi sopra indicati, provvedendo, altresì, al regolamento delle spese processuali relative al presente giudizio di legittimità.
P. Q. M.
La Corte accoglie il ricorso per quanto di ragione; cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, alla Corte di appello di Potenza, in diversa composizione.
Depositata in Cancelleria il 21 novembre 2016.
Suprema Corte di Cassazione, Sentenza n. 14559 del 13 luglio 2015
[b]Giurisdizione ordinaria quando si tratti di adempimento di una precisa clausola contrattuale e non si tratti quindi tecnicamente di applicare la “revisione prezzi” di cui alla normativa specifica sui contratti pubblici. Giurisdizione amministrativa quando si versi “tecnicamente” in un caso di applicazione della revisione prezzi prevista dal codice dei contratti pubblici.[/b]
http://www.legislazionetecnica.it/2811326/prd/news-giurisprudenza/le-sezioni-unite-della-cassazione-sul-giudice-competenza-tema-revisi
[color=red][b]Corte Costituzionale - Sentenza 28/12/2006 n. 447[/b][/color]
legge 109/94 Articoli 26 - Codici 25.1, 25.4.1
La disciplina in materia di revisione dei prezzi degli appalti di opere pubbliche, prevista dall’art. 26 della legge 11 febbraio 1994, n. 109 e s.m., come modificato dalla legge n. 311/2004 e da ultimo recepito nell’art. 133 del Decreto Legislativo 12 aprile 2006, n. 163 (Codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture in attuazione delle direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE), possiede i caratteri sostanziali identificativi delle norme fondamentali di riforma economico-sociale, al di là della autoqualificazione effettuata dall’art. 1 della stessa legge n. 109/1994 e s.m., secondo il quale “i principi desumibili dalle disposizioni” contenuti nella predetta legge “costituiscono norme fondamentali di riforma economico-sociale”. È indubbio, infatti, che l’istituto della revisione prezzi risponde ad un interesse unitario, afferendo a scelte legislative di carattere generale che implicano valutazioni politiche e riflessi finanziari che non tollerano discipline differenziate nel territorio. Ne consegue che, nella materia de qua, al legislatore statale deve riconoscersi, nella regolamentazione del settore, il potere di vincolare la potestà legislativa primaria anche delle Regioni a statuto speciale e delle Province autonome.Va pertanto dichiarata la illegittimità costituzionale dell’art. 1, comma 3, della legge della Provincia autonoma di Bolzano 3 ottobre 2005, n. 8 (Modifiche di leggi provinciali in materia di lavori pubblici, viabilità, industria, commercio, artigianato, esercizi pubblici e turismo e altre disposizioni), il quale ha regolamentato l’istituto della revisione del prezzo in modo difforme rispetto alla vigente regolamentazione statale, costituente disciplina fondamentale di riforma economico-sociale. Mentre, infatti, quest’ultima si caratterizza per la previsione del divieto di revisione dei prezzi, con espressa enunciazione della inapplicabilità dell’art. 1664 c.c., il legislatore regionale ha, invece, introdotto il principio della revisione del prezzo proprio secondo le modalità stabilite dall’art. 1664 c.c., di cui viene riprodotto pressoché testualmente il contenuto.
[b]TAR Puglia, Sezione II Lecce - Sentenza 20/09/2005 n. 4280[/b]
legge 109/94 Articoli 26 - Codici 25.1, 25.4.1
Il regime giuridico della revisione dei prezzi in materia di appalti pubblici, ascrivibile al cosiddetto ordine pubblico economico, ha sempre formato oggetto di discipline imperative di legge, di guisa che la scelta delle parti di farvi ricorso si atteggia a corollario di previe opzioni legislative circa l’opportunità di inserire o meno nei contratti d’appalto delle pubbliche amministrazioni clausole revisionali del prezzo originariamente convenuto. Tali previsioni normative in materia di revisione dei prezzi nei pubblici appalti, peraltro, si spingono ben al di là della semplice disciplina di cornice, offrendo indicazioni vincolanti circa i termini e le condizioni cui la revisione, quando è ammessa, deve rispondere, in tal modo risultando a maggior ragione acclarata la natura imperativa delle prescrizioni regolanti la materia, in quanto poste a presidio di rilevanti interessi pubblici.Nel caso in cui, con riferimento ad un appalto affidato col sistema dell’appalto-concorso, l’aggiudicazione sia intervenuta prima dell’abolizione dell’istituto della revisione prezzi ad opera dell’art. 3, D.L. 11 luglio 1992, n. 333, ma il contratto sia stato stipulato solo successivamente a questa data, non può essere riconosciuta la revisione prezzi. A differenza, infatti, di quanto accade nei sistemi di aggiudicazione degli appalti pubblici mediante incanto pubblico o licitazione privata, nei quali in forza degli automatismi propri di tali sistemi di affidamento il verbale di aggiudicazione tiene luogo del contratto (e quest’ultimo quando interviene ha solo valore riproduttivo del primo atto), nell’appalto-concorso sono distintamente individuabili due fasi: nella prima fase (propriamente l’aggiudicazione) la stazione appaltante provvede a selezionare il progetto, ma è solo nella seconda fase della stipulazione del contratto e della sua successiva approvazione che si consacra e diviene efficace il vincolo giuridico tra le parti (in questi sensi, SS.UU. 3207/74; Consiglio di Stato Sez. VI, 14 dicembre 1979, n. 886 e sez. IV, 28 ottobre 1996 n. 1159). Ne discende che in nessun caso potrebbe ritenersi, quando si verte in tema di appalto-concorso, che l’aggiudicazione sia di per sé sufficiente a far sorgere il vincolo contrattuale e/o a tener luogo del contratto vero e proprio, senza il quale al contrario non potrebbe ancora dirsi sussistente il vincolo giuridico. E’ proprio nel contratto, del resto, (e non nel verbale di aggiudicazione) che trova la sua sede naturale la pattuizione sulla revisione del prezzo, di guisa che davvero riuscirebbe difficile negare l’effetto abrogativo dell’istituto della revisione prezzi ad opera del citato art. 3, del D.L. 11 luglio 1992, n. 333, nel caso in cui il contratto sia stato stipulato, in esito ad un appalto concorso, successivamente a questa data.
[b]TAR Emilia Romagna, Sezione Parma - Sentenza 25/03/2004 n. 130[/b]
legge 109/94 Articoli 26 - Codici 25.1, 25.4.1
In tema di appalto di opere pubbliche, gli atti aggiuntivi che comportino un incremento dell’importo dei lavori superiore al c.d. “quinto d’obbligo” diventano impegnativi per l’appaltatore solo a seguito di una sua nuova manifestazione di volontà - e sono quindi atti autonomi -, a nulla rilevando che nel nuovo atto vengano assunti come termini di riferimento i prezzi esistenti al momento della stipulazione del contratto principale. Ciò implica che, rispondendo l’istituto della revisione dei prezzi all’esigenza di rimediare a sopraggiunti oggettivi squilibri del sinallagma contrattuale, per i lavori eccedenti il quinto d’obbligo si deve comunque avere riguardo al momento del loro effettivo affidamento, mentre per i lavori suppletivi rientranti nel “sesto quinto” - i quali costituiscono una mera variante del contratto principale - resta ferma la decorrenza del computo revisionale alla data di presentazione dell’offerta originaria, con esclusione naturalmente degli eventuali nuovi prezzi concordati nel corso di esecuzione dell’appalto.
[b]TAR Veneto, Sezione I - Sentenza 18/02/2004 n. 333[/b]
legge 109/94 Articoli 26 - Codici 25.1, 25.4.1
Se un Comune, con una delibera della propria Giunta, dapprima riconosce il diritto di un’impresa alla revisione prezzi e successivamente revoca, in via di autotutela, la delibera stessa nella parte che concerne il riconoscimento del compenso revisionale, va esclusa l’esistenza di un provvedimento valido avente ad oggetto il riconoscimento formale del diritto dell’impresa al compenso revisionale e si deve, parimenti, escludere che sussista un riconoscimento implicito del diritto alla revisione. Conseguentemente, poiché la pretesa del soggetto appaltatore in tale circostanza attiene, prima che al “quantum”, alla stessa declaratoria del diritto alla revisione dei prezzi, la posizione in giudizio dell’interessato ha consistenza di interesse legittimo e la tutela della stessa compete al Giudice amministrativo.
[b]Consiglio di Stato, Sezione V - Sentenza 09/12/2003 n. 8059[/b]
legge 109/94 Articoli 26 - Codici 25.1, 25.4.1
In tema di revisione prezzi negli appalti di opere pubbliche, la posizione dell’appaltatore ha natura di interesse legittimo, tutelabile davanti al giudice amministrativo, nella fase in cui, con sua valutazione discrezionale, l’amministrazione, nel vigore della legge 22 febbraio 1973, n. 37, debba stabilire se al medesimo sia o no da accordare la revisione. Diversamente, una volta avvenuto il riconoscimento della revisione, la controversia che insorga sulla liquidazione del compenso revisionale rientra nella giurisdizione del giudice ordinario perché attiene esclusivamente al quantum di un diritto di credito già riconosciuto.L’art. 33, comma 3, della legge 28 febbraio 1986, n. 41, il quale stabilisce che la facoltà di procedere alla revisione dei prezzi contrattuali nei pubblici appalti è ammessa quando l’amministrazione riconosca che l’importo complessivo della prestazione è aumentato o diminuito in misura superiore al dieci per cento per effetto di variazioni dei prezzi correnti, intervenute successivamente all’aggiudicazione, è applicabile solo alle procedure nelle quali il contraente privato è scelto con il sistema dell’asta pubblica o della licitazione privata, poiché solo in questi sistemi l’atto conclusivo di procedimento del contratto è l’aggiudicazione, mentre l’eventuale successiva stipulazione costituisce solo una formalità che nulla aggiunge all’esistenza e alla perfezione del vincolo contrattuale.In caso di appalto concorso per la realizzazione di opere pubbliche, nessuna norma o principio impone che il contratto sia perfettamente conforme alle opere e ai lavori, come definiti nel bando o nei capitolati, in quanto il procedimento attiene alla scelta del contraente con il quale verrà stipulato il contratto, ma l’amministrazione conserva un ampio margine di negozialità, che si attualizza nel contratto, anche se ha per necessario presupposto la fase amministrativa. Ne consegue che il contraente non ha aspettative tutelabili alla conformità della convenzione con i contenuti economici determinati nella fase precontrattuale, e può solo rifiutare il consenso, ma se lo presta è vincolato dalle nuove statuizioni, liberamente accettate.
[b]Corte di Giustizia Amministrativa, Sezione Giurisdizionale - Sentenza 09/10/2002 n. 587[/b]
legge 109/94 Articoli 26 - Codici 25.1, 25.4.1
Nell’ambito delle controversie in materia di revisione dei prezzi relativi a contratti d'appalto di opere pubbliche, occorre distinguere - al fine di individuare il giudice competente - tra controversie attinenti all'an della pretesa revisionale, afferenti all'esercizio di un potere amministrativo discrezionale, incidenti quindi su posizioni di interesse legittimo ed appartenenti alla giurisdizione generale di legittimità del giudice amministrativo, e controversie relative al quantum del compenso revisionale la cui spettanza sia stata comunque riconosciuta dall'amministrazione, coinvolgenti questioni patrimoniali afferenti al sinallagma contrattuale, incidenti quindi su posizioni di diritto soggettivo e devolute come tali alla cognizione dell'autorità giudiziaria ordinaria.Una controversia avente ad oggetto l'individuazione del termine iniziale per il calcolo della revisione prezzi riguarda il quantum del compenso revisionale, dato che in tale ipotesi l'oggetto del contendere è circoscritto alla determinazione dell'ambito temporale da porre a base del computo tabellare ai fini della liquidazione dell'ammontare dovuto; tale controversia, riguardando il quantum, rientra pertanto nella giurisdizione del giudice ordinario.La circostanza che una controversia riguardante il quantum del compenso revisionale abbia ad oggetto anche l'impugnazione di un provvedimento ministeriale assunto in sede di ricorso amministrativo ex art. 7 D.L.C.P.S. n. 1501/1947, non sposta la competenza giurisdizionale, trattandosi di gravame pacificamente proponibile sia a tutela di interessi legittimi che di diritti soggettivi, senza che la mediazione del provvedimento decisorio valga ad immutare la natura della situazione soggettiva azionata, né quindi ad incidere sull'individuazione del giudice competente.
[b]Consiglio di Stato, Sezione V - Sentenza 21/06/2002 n. 3389[/b]
legge 109/94 Articoli 26 - Codici 25.1, 25.4.1
La posizione dell'appaltatore, con riguardo alla revisione del prezzo degli appalti di opere pubbliche, anche se è di norma tutelabile innanzi al giudice amministrativo, in quanto si configura come di interesse legittimo, acquista natura e sostanza di diritto soggettivo, come tale tutelabile davanti al giudice ordinario, quando l'amministrazione abbia espressamente o implicitamente già riconosciuto l'esistenza del diritto alla revisione, ovvero il diritto alla revisione dei prezzi sia già stato previsto nel contratto di appalto.
[b]TAR Napoli 21/12/1998 n. 3837[/b]
legge 109/94 Articoli 26 - Codici 25.1, 25.4.1
L'art. 33 della legge 28 febbraio 1986 n. 41, il quale non ammette la facoltà di procedere alla revisione dei prezzi quando i lavori relativi alle opere pubbliche abbiano durata inferiore all'anno, va interpretato nel senso che per « durata dei lavori » deve intendersi la durata effettiva dei lavori stessi e non quella prevista nel contratto, salvo che il mancato rispetto degli impegni contrattuali sia da addebitare all'appaltatore.Le disposizioni dettate dalla legge 8 agosto 1992 n. 359, recante soppressione dell'istituto della revisione prezzi previsto dall'art. 33 co. 2 della legge 28 febbraio 1986 n. 41, non hanno carattere retroattivo e dispongono pertanto solo per i contratti di appalto da aggiudicare per il futuro.La durata effettiva dei lavori, utile ai fini del computo della revisione prezzi, va calcolata dalla data di aggiudicazione e non da quella antecedente della presentazione dell'offerta