Data: 2016-11-10 06:29:50

Limiti per centri commerciali - sollevata questione alla Corte di giustizia UE

Limiti per centri commerciali - sollevata questione alla Corte di giustizia UE

[b]Sollevata la questione della conformità al diritto dell'Unione europea dei limiti all'apertura di centri commerciali dettati dalla legislazione statale e regionale[/b]

[color=red][b]T.A.R. Catania, Sez. I, Ord., 26 ottobre 2016, n. 2742[/b][/color]

COMMENTO: http://www.quotidianopa.leggiditalia.it/quotidiano_home.html#news=PKQT0000165694

ORDINANZA:

REPUBBLICA ITALIANA
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia
sezione staccata di Catania (Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
ORDINANZA
sul ricorso numero di registro generale 2594 del 2015, integrato da motivi aggiunti,
proposto da:
XXXX, C. YYYY S.r.l., in persona del legale rappresentante p.t., rappresentate e
difese dagli avvocati Mario Fiaccavento C.F. (…), Andrea Scuderi C.F. (…), con
domicilio eletto presso Andrea Scuderi in Catania, via V. Giuffrida, 37;
contro
Comune di Siracusa, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e
difeso dall'avvocato Salvatore Bianca C.F. (…), con domicilio eletto presso
Giuseppe Caltabiano in Catania, via Livorno, 10;
Assessorato delle Attività Produttive per la Regione Siciliana, in persona del legale
rappresentante p.t., rappresentato e difeso dall'Avvocatura dello Stato, domiciliata
in Catania, via Vecchia Ognina, 149;
Libero Consorzio Comunale – già Provincia di Siracusa, non costituito in giudizio;
Camera di Commercio di Siracusa, in persona del legale rappresentante p.t.,
rappresentata e difesa dall'avvocato Sebastiano D'Angelo C.F. (…), con domicilio
eletto presso Tito Monterosso in Catania, via V.E.Orlando, 56;
per l'annullamento, quanto al ricorso principale:
1) della nota n. 113805 dell’08.09.2015, con la quale il Comune di Siracusa, facendo
seguito alla nota dell'Assessorato Regionale alla Cooperazione, Commercio,
Artigianato e Pesca n. 45825 del 04.09.2015, ha comunicato alla ricorrente che “la
Conferenza dei servizi prevista ai sensi dell'art. 9 della L.R. n. 28/99 e del DPRS n.
176 del 26.07.2000, è stata fissata per il giorno 21 settembre 2015…per l’esame
della istanza di "richiesta proroga per l’apertura del centro C.e "Epipoli",…
presentata dalla Società XXXX srl ed acquisita al prot. gen. n. 145540 del 22.12.2011”;
2) della nota n. 119078 del 18.09.2015, con la quale il Comune di Siracusa ha
chiesto al citato Assessorato regionale “il rinvio della conferenza di servizi a data
da destinare”.
quanto ai 6 ricorsi per motivi aggiunti:
delle note con cui vengono di volta in volta fissate le successive conferenze di
servizi, o viene semplicemente chiesta tale convocazione.
Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di Siracusa, Assessorato
regionale Attività Produttive, e Camera di Commercio di Siracusa;
Viste le memorie difensive;
Visto l'art. 79, co. 1, cod. proc. amm.;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 20 ottobre 2016 il dott. Dauno
Trebastoni e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
La ricorrente (che il 18.10.2013 ha conferito alla C. YYYY srl il ramo di azienda
avente ad oggetto le attività di Trading & Development) è titolare
dell'autorizzazione C.e rilasciata dal Comune di Siracusa l’11.02.2011 per l'apertura
di una grande superficie di vendita estesa mq. 8.442,00.
Con istanza del 22.12.2011 la ricorrente ha chiesto una proroga del termine
previsto per l’avvio dell'attività C.e autorizzata.
Con il ricorso in esame, la ricorrente rappresenta ora che, dopo circa due anni di
inattività dall'ultima richiesta di rinvio, con nota del 26.05.2015 il Comune di
Siracusa ha nuovamente chiesto all'Assessorato regionale intimato di indire, ai
sensi dell'art. 9 della L.R. n. 28/99, la conferenza di servizi per trattare la citata
richiesta di proroga dell'avvio dell’attività C.e.
Con posta elettronica certificata del 17.09.2015 il Comune ha quindi trasmesso alla
ricorrente la nota n. 113805 dell’08.09.2015, con la quale il Comune le comunicava
la convocazione della conferenza di servizi per il giorno 21.09.2015 (poi rinviata
dall’Assessorato al 25.09.2015).
A seguito della nota del 18.09.2015, con la quale la ricorrente aveva sollevato
alcune eccezioni circa la legittimità della stessa convocazione della conferenza, con
nota n. 119078 del 18.09.2015 il Comune ha quindi chiesto all’Assessorato
regionale “il rinvio della conferenza di servizi a data da destinare”, “al fine di
consentire un approfondimento circa le suddette osservazioni”.
Con il ricorso principale la ricorrente ha quindi impugnato sia la nota n. 113805
dell’08.09.2015, con la quale il Comune aveva comunicato alla ricorrente l’avvenuta
convocazione della conferenza di servizi per il 21.09.2015, e sia la nota n. 119078
del 18.09.2015, con la quale il Comune ha poi chiesto all’Assessorato regionale “il
rinvio della conferenza di servizi a data da destinare”.
Con i successivi ricorsi per motivi aggiunti la ricorrente ha poi impugnato tutte le
note con le quali, di volta, in volta, il Comune ha comunicato l’avvenuta
convocazione della conferenza di servizi, o ha semplicemente chiesto tale
convocazione.
In sostanza, la ricorrente sostiene che la richiesta di proroga del termine di avvio
delle attività C.i autorizzate dal provvedimento comunale emesso l’11.02.2011
trovava la sua "ratio" in quella prescrizione della L.R. n. 28/99 secondo cui,
essendo contingentate le attività C.i autorizzate, la loro mancata attivazione
comportava la decadenza dell’autorizzazione, e “la rimodulazione in favore di altre
imprese richiedenti”.
Secondo la ricorrente, tale "ratio" sarebbe però “radicalmente venuta meno” in
conseguenza dell'entrata in vigore del D.L. 06.12.2011 n. 201, convertito in legge,
con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, L. 22.12.2011 n. 214, il cui art. 31 –
relativo agli “esercizi C.i”, e inserito nel “titolo IV” del citato d.l., recante
“disposizioni per la promozione e la tutela della concorrenza”, e specificamente
nel “capo I”, relativo alle “liberalizzazioni” – ha previsto, al comma 2, che
“secondo la disciplina dell'Unione Europea e nazionale in materia di concorrenza,
libertà di stabilimento e libera prestazione di servizi, costituisce principio generale
dell'ordinamento nazionale la libertà di apertura di nuovi esercizi C.i sul territorio
senza contingenti, limiti territoriali o altri vincoli di qualsiasi altra natura, esclusi
quelli connessi alla tutela della salute, dei lavoratori, dell'ambiente, ivi incluso
l'ambiente urbano, e dei beni culturali. Le Regioni e gli enti locali adeguano i propri
ordinamenti alle prescrizioni del presente comma entro il 30 settembre 2012,
potendo prevedere al riguardo, senza discriminazioni tra gli operatori, anche aree
interdette agli esercizi C.i, ovvero limitazioni ad aree dove possano insediarsi
attività produttive e C.i solo qualora vi sia la necessità di garantire la tutela della
salute, dei lavoratori, dell'ambiente, ivi incluso l'ambiente urbano, e dei beni
culturali”.
Il D.L. 24/01/2012 n. 1, anch’esso invocato dalla ricorrente, all’art. 1, relativo alla
“liberalizzazione delle attività economiche e riduzione degli oneri amministrativi
sulle imprese”, ha previsto che, “fermo restando quanto previsto dall'art. 3 del d.l.
13 agosto 2011 n. 138, convertito, con modificazioni, dalla legge 14 settembre
2011 n. 148” (ai sensi del quale “i Comuni, Province, Regioni e Stato, entro il 30
settembre 2012, adeguano i rispettivi ordinamenti al principio secondo cui
l'iniziativa e l'attività economica privata sono libere ed è permesso tutto ciò che
non è espressamente vietato dalla legge nei soli casi di: a) vincoli derivanti
dall'ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali; b) contrasto con i
principi fondamentali della Costituzione; c) danno alla sicurezza, alla libertà, alla
dignità umana e contrasto con l'utilità sociale; d) disposizioni indispensabili per la
protezione della salute umana, la conservazione delle specie animali e vegetali,
dell'ambiente, del paesaggio e del patrimonio culturale; e) disposizioni relative alle
attività di raccolta di giochi pubblici ovvero che comunque comportano effetti
sulla finanza pubblica”), “in attuazione del principio di libertà di iniziativa
economica sancito dall'articolo 41 della Costituzione e del principio di concorrenza
sancito dal Trattato dell'Unione europea, sono abrogate, dalla data di entrata in
vigore dei decreti di cui al comma 3 del presente articolo e secondo le previsioni
del presente articolo:
a) le norme che prevedono limiti numerici, autorizzazioni, licenze, nulla osta o
preventivi atti di assenso dell'amministrazione comunque denominati per l'avvio di
un'attività economica non giustificati da un interesse generale, costituzionalmente
rilevante e compatibile con l'ordinamento comunitario nel rispetto del principio di
proporzionalità;
b) le norme che pongono divieti e restrizioni alle attività economiche non adeguati
o non proporzionati alle finalità pubbliche perseguite, nonché le disposizioni di
pianificazione e programmazione territoriale o temporale autoritativa con
prevalente finalità economica o prevalente contenuto economico, che pongono
limiti, programmi e controlli non ragionevoli, ovvero non adeguati ovvero non
proporzionati rispetto alle finalità pubbliche dichiarate e che in particolare
impediscono, condizionano o ritardano l'avvio di nuove attività economiche o
l'ingresso di nuovi operatori economici ponendo un trattamento differenziato
rispetto agli operatori già presenti sul mercato, operanti in contesti e condizioni
analoghi, ovvero impediscono, limitano o condizionano l'offerta di prodotti e
servizi al consumatore, nel tempo nello spazio o nelle modalità, ovvero alterano le
condizioni di piena concorrenza fra gli operatori economici oppure limitano o
condizionano le tutele dei consumatori nei loro confronti”.
I commi 2 e 4 del medesimo art. 1 del citato D.L. n. 1/2012 precisano anche che:
“le disposizioni recanti divieti, restrizioni, oneri o condizioni all'accesso ed
all'esercizio delle attività economiche sono in ogni caso interpretate ed applicate in
senso tassativo, restrittivo e ragionevolmente proporzionato alle perseguite finalità
di interesse pubblico generale, alla stregua dei principi costituzionali per i quali
l'iniziativa economica privata è libera secondo condizioni di piena concorrenza e
pari opportunità tra tutti i soggetti, presenti e futuri, ed ammette solo i limiti, i
programmi e i controlli necessari ad evitare possibili danni alla salute, all'ambiente,
al paesaggio, al patrimonio artistico e culturale, alla sicurezza, alla libertà, alla
dignità umana e possibili contrasti con l'utilità sociale, con l'ordine pubblico, con il
sistema tributario e con gli obblighi comunitari ed internazionali della Repubblica”;
“i Comuni, le Province, le Città metropolitane e le Regioni si adeguano ai principi e
alle regole di cui ai commi 1, 2 e 3 entro il 31 dicembre 2012, fermi restando i
poteri sostitutivi dello Stato ai sensi dell'articolo 120 della Costituzione. (…) Le
Regioni a statuto speciale e le Province autonome di Trento e Bolzano procedono
all'adeguamento secondo le previsioni dei rispettivi statuti”.
[b]Secondo la ricorrente “da tali principi legislativi – anche in considerazione
dell'intervenuta decorrenza di tutti i termini che nelle normative sopra indicate
venivano stabiliti al fine di introdurre eventuali eccezioni o deroghe – discende la
conseguenza,…dell'intervenuta abrogazione tanto dei regimi di contingentamento
delle attività C.i che dei correlati sistemi autorizzativi”. Inoltre discenderebbe “non
solo l'abrogazione delle previsioni di contingentamento contenute nella
sopramenzionata legge regionale 28/99, ma altresì l'impossibilità di ritenere
vigente, ferma restando la attuale validità ed efficacia dell'autorizzazione
"permanente"” rilasciata alla ricorrente, “l'incidenza sulla medesima di quel termine
di avvio delle attività C.i per il quale venne richiesta la proroga (non essendovene
più necessità ed essendo perciò illegittime le attività procedimentali a ciò
finalizzate, che sono oggetto dei provvedimenti impugnati)”.
E pertanto, secondo la ricorrente la stessa convocazione della conferenza di servizi
sarebbe “illegittima, in quanto l'apertura di esercizi C.i a seguito dell'emanazione
delle norme sopra enunciate è attività "liberalizzata", non essendo soggetta alla
procedura prevista dall'articolo 9 della Legge Regionale numero 28/1999 (e alle
relative disposizioni regolamentari applicative)”.[/b]
E in particolare, poiché il termine per la produzione dell’effetto abrogativo delle
precedenti disposizioni in materia – previsto allo scopo di consentire a Stato e
Regioni di adeguarsi al nuovo sistema normativo, e da ultimo fissato al 31.12.2012
– è scaduto, la ricorrente sostiene, esercitando in sostanza un’azione di
accertamento del proprio diritto alla libera iniziativa economica, che da ciò debba
trarsi “la conseguenza che l'effetto abrogativo di ogni regime autorizzatorio,
previsto dalle norme sopraccitate, si è oggi pienamente realizzato”, e che “l’atto
impugnato pertanto, allorchè richiama il regime autorizzatorio previsto dall'articolo
9 della legge regionale 28/1999, si fonda su una norma abrogata ed è pertanto
illegittimo”.
Il citato art. 9 della L.R. 22/12/1999 n. 28 prevede appunto che “l’apertura, il
trasferimento di sede e l'ampliamento della superficie di una grande struttura di
vendita sono soggetti ad autorizzazione rilasciata dal Comune competente per
territorio nel rispetto della programmazione urbanistico-C.e di cui all'articolo 5 ed
in conformità alle determinazioni adottate dalla conferenza di servizi di cui al
comma 3”.
[color=red][b]Questo Tribunale si è già occupato della problematica in esame, sebbene con
riferimento a diversa normativa nazionale, allorquando, con sentenza della II
Sezione n. 1286 del 21.05.2012, si è pronunciato sulla legittimità di un
provvedimento – emesso a seguito di conferenza di servizi convocata ai sensi
dell’art. 9, comma 5, l.r. n. 28/99 – di rigetto dell’istanza di rilascio di
autorizzazione per l’esercizio di commercio al dettaglio di una grande struttura di
vendita (come nel caso della attuale ricorrente).[/b][/color]
La conferenza di servizi aveva deliberato in modo non favorevole all’accoglimento
dell'istanza per le “problematiche degli esercizi di vicinato, costretti a chiudere per
l’exploit di queste grosse realtà”, perché “nelle logiche di analisi dello studio
d’impatto, è palese che occorre prioritariamente verificare il bacino d’attrazione”, e
perché bisognava comunque avere riguardo “al rispetto della programmazione
urbanistico C.e di cui all’art. 5 della stessa legge ed alla razionalizzazione della
distribuzione C.e al fine di evitare una irrazionale concentrazione di grandi centri
C.i sul territorio, con conseguente impatto ambientale negativo e una offerta
irrazionale rispetto alla consistenza del bacino di utenza potenziale”.
[b]Nel decidere il ricorso, la citata sentenza ha utilizzato, quale parametro normativo
di riferimento, la normativa introdotta con d.lgs. n. 59 del 26 marzo 2010, di
“Attuazione della direttiva 2006/123/CE relativa ai servizi nel mercato interno”.
Poiché, ai sensi degli artt. 8 e 10 del citato d.lgs., per “servizio” deve intendersi
“qualsiasi prestazione anche a carattere intellettuale svolta in forma imprenditoriale
o professionale, fornita senza vincolo di subordinazione e normalmente fornita
dietro retribuzione”, e “…l'accesso e l'esercizio delle attività di servizi
costituiscono espressione della libertà di iniziativa economica e non possono
essere sottoposti a limitazioni non giustificate o discriminatorie”, con la citata
sentenza questo Tribunale, sebbene in modo confuso (perché da una parte ha
affermato che la normativa introdotta con il citato d.lgs. “comporta una sostanziale
abrogazione delle norme regionali in materia di autorizzazioni C.i difformi e
contrastanti con i principi che informano la normativa comunitaria e nazionale in
materia di libera concorrenza”, ma contemporaneamente ha affermato che la
medesima normativa regionale “va disapplicata in quanto incompatibile con norme
e principi di diritto comunitario dotate di efficacia diretta nell’ordinamento
interno”), ha ovviamente ritenuto che la citata normativa regionale dovesse cedere
il passo a quella nazionale, nonostante la Regione Sicilia abbia, ai sensi delle
proprie disposizioni statutarie, competenza legislativa esclusiva in materia di
commercio.[/b]
E ciò alla luce della sentenza della Corte Costituzionale n. 430 del 14/12/2007, che
ha precisato come la disciplina stabilita dal citato d.lgs. non sia riconducibile alla
materia "sviluppo economico", attribuita alla competenza residuale delle regioni,
perché “concernendo la modalità di esercizio dell'attività della distribuzione C.e,
incide invece sul "commercio", materia attribuita alla competenza legislativa
residuale delle regioni, e detta prescrizioni coerenti con l'obiettivo di promuovere
la concorrenza, in quanto tali riconducibili alla materia di competenza esclusiva
"tutela della concorrenza" di cui all'art. 117 comma 2 lett. e) cost., e proporzionate
allo scopo di garantire che le attività di distribuzione dalle stesse considerate
possano essere svolte con eguali condizioni”.
La Corte ha anche precisato che “l'espressione "tutela della concorrenza", utilizzata
dal legislatore costituzionale all'art. 117 comma 2 lett. e), coerentemente con quella
operante nel sistema giuridico comunitario, comprende, tra l'altro, interventi
regolatori che a titolo principale incidono sulla concorrenza, quali le misure
legislative di tutela in senso proprio,…e le misure legislative di promozione, che
mirano ad aprire un mercato o a consolidarne l'apertura, eliminando barriere
all'entrata, riducendo o eliminando vincoli al libero esplicarsi della capacità
imprenditoriale e della competizione tra imprese, e in generale i vincoli alle
modalità di esercizio delle attività economiche, così perseguendosi finalità di
ampliamento dell'area di libera scelta sia dei cittadini, sia delle imprese, queste
ultime anche quali fruitrici, a loro volta, di beni e di servizi, e cioè finalità di
promozione della concorrenza. La "tutela della concorrenza" non è quindi una
"materia di estensione certa", ma è configurabile come "trasversale", il che, da un
lato, comporta che la "tutela della concorrenza" influisce necessariamente anche su
materie attribuite alla competenza legislativa, concorrente o residuale, delle regioni,
e, dall'altro, impone di garantire che la riserva allo Stato della predetta competenza
trasversale non vada oltre la "tutela della concorrenza" e sia in sintonia con
l'ampliamento delle attribuzioni regionali disposto dalla revisione del titolo V della
parte seconda della cost”.
[color=red][b]Il problema è dato dal fatto che, nell’accogliere l’appello proposto dall’Assessorato
regionale avverso la citata sentenza di questo Tribunale, con sentenza n. 895 del
14.11.2013 il Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana –
CGARS ha affermato che la circostanza che nella materia della "tutela della
concorrenza" lo Stato goda di potestà legislativa esclusiva “non comporta di
ritenere abrogata tutta la normativa regionale di settore a seguito dell’entrata in
vigore delle norme statali sulle liberalizzazioni”, perché i principi in materia di
liberalizzazione dell’esercizio di attività C.i costituirebbero semplici “criteri direttivi
per l’interpretazione e l’adeguamento nel termine prefissato delle norme regionali,
fatto salvo comunque il rispetto delle prerogative statutarie delle Regioni ad
autonomia speciale”, tra cui rientra la Regione Sicilia.[/b][/color]
E ad avviso del CGA, “la programmazione della rete distributiva, così come
disciplinata dall’art. 5 L.R. n. 28/1999,…rispetta il principio della libera
concorrenza, realizzando, in maniera proporzionata e non discriminatoria, esigenze
imperative di interesse generale tra le quali (attraverso un rapporto equilibrato tra
gli insediamenti C.i e la capacità di domanda della popolazione residente e
fluttuante) spicca la salvaguardia della compatibilità degli insediamenti C.i sul
territorio con particolare riguardo alla mobilità, al traffico e all’inquinamento, e
dunque la salvaguardia di primari valori urbanistici e ambientali”.
[b]Quindi, in sostanza, la citata sentenza del CGA fa salvo in generale un potere di
“programmazione della rete distributiva, così come disciplinata dall’art. 5 L.R. n.
28/1999”, astrattamente compatibile anche con una contingentazione delle
autorizzazioni da rilasciare; che è proprio ciò che la normativa sulle liberalizzazioni
ha voluto far venir meno, laddove, all’art. 31 del citato d.l. n. 201/2011, ha
disposto che “costituisce principio generale dell'ordinamento nazionale la libertà di
apertura di nuovi esercizi C.i sul territorio senza contingenti, limiti territoriali o altri
vincoli di qualsiasi altra natura, esclusi quelli connessi alla tutela della salute, dei
lavoratori, dell'ambiente, ivi incluso l'ambiente urbano, e dei beni culturali”.
Quindi, ferma restando l’abolizione di “contingenti e limiti territoriali”, è venuta
meno anche la possibilità di utilizzare, al fine di negare autorizzazioni C.i, vincoli
che non siano “quelli connessi alla tutela della salute, dei lavoratori, dell'ambiente,
ivi incluso l'ambiente urbano, e dei beni culturali”. Pertanto, da una parte, la
sussistenza di tali vincoli smentisce comunque la tesi della ricorrente che nella
materia de qua si possa parlare ormai di liberalizzazione tout court, ma dall’altra
parte impone di ritenere tali vincoli e interessi non estensibili in via interpretativa, e
che a essi “mobilità e traffico” appaiano quindi difficilmente riconducibili.
Ora, considerato che la normativa nazionale appena citata è stata emanata in
dichiarata applicazione della “disciplina dell'Unione Europea e nazionale in materia
di concorrenza, libertà di stabilimento e libera prestazione di servizi”, che l’art. 9
della L.R. 22/12/1999 n. 28 – norma alla stregua della quale è stata indetta la
conferenza di servizi - prevede che “l’apertura, il trasferimento di sede e
l'ampliamento della superficie di una grande struttura di vendita sono soggetti ad
autorizzazione rilasciata dal Comune competente per territorio nel rispetto della
programmazione urbanistico-C.e di cui all'articolo 5 ed in conformità alle
determinazioni adottate dalla conferenza di servizi di cui al comma 3”, che tale art.
5 prevede che, “nell'individuare i limiti di presenza delle medie e grandi strutture di
vendita”, si debba sì “assicurare il rispetto del principio della libera concorrenza”
ma “favorendo…, per il settore dei generi di largo e generale consumo, un
rapporto equilibrato tra gli insediamenti C.i e la capacità di domanda della
popolazione residente e fluttuante”, e che secondo l’interpretazione che di tali
disposizioni il CGA ha fornito tale potere regionale non è venuto meno anche
dopo le citate disposizioni nazionali in materia di concorrenza, il Collegio ritiene
necessario rivolgersi in via pregiudiziale, ai sensi dell'art. 267 del TFUE, alla Corte
di Giustizia dell’Unione Europea, al fine di verificare la compatibilità di tali
disposizioni regionali con le norme e i principi dell’Unione in materia.
Infatti, il citato art. 267 dispone che un organo giurisdizionale può, qualora reputi
necessaria per emanare la sua sentenza una decisione della Corte, domandarle di
pronunciarsi, in via pregiudiziale, sull'interpretazione dei trattati.[/b]
Anche perché lo stesso CGARS ha ribadito, con la sentenza n. 292 del 15.05.2014,
“la perdurante applicabilità in Sicilia del modulo procedimentale prefigurato
dall’art. 9 della legge reg. n. 28 del 1999, il quale demanda appunto ad una
Conferenza di servizi la valutazione dell’impatto che l’apertura di una grande
struttura di vendita ha oggettivamente sul territorio con particolare riguardo a
fattori quali la mobilità, il traffico e l'inquinamento nonchè il rispetto dei vincoli
relativi alla tutela del patrimonio artistico ed ambientale ( art. 5)”. Con l’ulteriore
precisazione che lo stesso art. 19 della L. n. 241/90 consente l’utilizzo della
“semplificazione certificata inizio attività” – SCIA “solo ove l’autorizzazione
all’esercizio di una attività sia atto vincolato (dipendente cioè esclusivamente dalla
verifica dei presupposti legali) e quindi esclude la praticabilità di tale strumento di
semplificazione allorché il rilascio del titolo è subordinato alla previa valutazione
dell’impatto che da tale attività può derivare sul tessuto urbanistico, ambientale
etc.”.
[color=red][b]Ciò che il Collegio intende chiedere alla Corte UE, pur lasciando impregiudicata
ogni altra questione di rito e di merito, è se le norme del Trattato e le altre fonti di
diritto dell’Unione “in materia di concorrenza, libertà di stabilimento e libera
prestazione di servizi” possano essere interpretate nel senso prospettato
dall'odierna ricorrente, perché un’eventuale risposta affermativa da parte della
Corte consentirebbe, o addirittura imporrebbe poi, l'accoglimento del ricorso in
esame, considerato che la ricorrente sostiene che la stessa convocazione di servizi
sulla sua istanza sarebbe tout court illegittima.[/b][/color]
In altri termini, il Collegio ritiene di dover chiedere alla Corte di Giustizia
dell’Unione:
se le norme del Trattato e le altre fonti di diritto dell’Unione “in materia di
concorrenza, libertà di stabilimento e libera prestazione di servizi” ostino oppure
no a che una regolamentazione regionale in materia di commercio, esplicazione di
potestà legislativa esclusiva, non sia considerata sostituita in toto dalla normativa
nazionale – anch’essa esplicazione di potestà legislativa esclusiva, ed emanata in
dichiarata applicazione della “disciplina dell'Unione Europea e nazionale in materia
di concorrenza, libertà di stabilimento e libera prestazione di servizi” – nella parte
in cui tale normativa nazionale specifica a tutela di quali interessi e vincoli una
attività economica può essere limitata;
se le norme del Trattato e le altre fonti di diritto dell’Unione “in materia di
concorrenza, libertà di stabilimento e libera prestazione di servizi” ostino
conseguentemente oppure no a che una regolamentazione regionale in materia di
commercio, esplicazione di potestà legislativa esclusiva, integri la normativa
nazionale – anch’essa esplicazione di potestà legislativa esclusiva, ed emanata in
dichiarata applicazione della “disciplina dell'Unione Europea e nazionale in materia
di concorrenza, libertà di stabilimento e libera prestazione di servizi” – e indichi
quindi anche interessi e vincoli diversi, a tutela dei quali una attività economica può
essere limitata, e che possono rendere necessario verificare previamente un
rapporto equilibrato tra gli insediamenti C.i e la capacità di domanda della
popolazione residente e fluttuante.
Il giudizio va quindi sospeso fino alla definizione della descritta questione
pregiudiziale da parte della Corte di Giustizia.
La prosecuzione del processo avverrà secondo quanto disposto dall’art. 80 cpa, ai
sensi del quale “in caso di sospensione del giudizio, per la sua prosecuzione deve
essere presentata istanza di fissazione di udienza entro novanta giorni dalla
comunicazione dell'atto che fa venir meno la causa della sospensione”.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia – Sezione staccata di Catania –
Sezione Prima rimette alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea, ai sensi dell'art.
267 del TFUE, la questione pregiudiziale di cui in motivazione, e sospende il
giudizio fino alla definizione di tale questione.

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