La legittimazione al ricorso tra concorrenti commerciali si fonda sul criterio della vicinitas
[color=red][b]Cons. di Stato, Sez. V, 24 ottobre 2016, n. 4435[/b][/color]
[b]COMMENTO[/b]:
[b]SENTENZA[/b]:
Pubblicato il 24/10/2016
N. 04435/2016REG.PROV.COLL.
N. 03253/2014 REG.RIC.
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REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 3253 del 2014, proposto da:
xxxx s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Luigi Manzi e Marco Sica, con domicilio eletto presso lo studio del primo, in Roma, via Federico Confalonieri, n. 5;
contro
Comune di Albano Laziale, in persona del legale rappresentante in carica, rappresentato e difeso dall'avvocato Giuseppe Piazza, con domicilio eletto presso Leonino Ilario, in Roma, via Fabio Massimo, n. 33;
nei confronti di
yyyy s.r.l., in persona del legale rappresentante in carica, rappresentata e difesa dagli avvocati Giovanni Pallottino e Francesco Nardocci, con domicilio eletto presso lo studio del primo, in Roma, via Oslavia, n. 14;
zzzz s.n.c. di Venturini Enzo ed Venturini Iva, in persona del legale rappresentante in carica, non costituita in giudizio;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. Lazio - Roma, Sezione II Ter, n. 02804/2014, resa tra le parti, concernente rilascio autorizzazione commerciale;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di Comune di Albano Laziale e di yyyy s.r.l.;
Visto l’appello incidentale da quest’ultima proposto;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 29 settembre 2016 il Cons. Alessandro Maggio e uditi per le parti gli avvocati Mariano Protto, in dichiarata delega dell'avvocato Luigi Manzi, Marco Sica, Giuseppe Piazza e Giovanni Pallottino;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
[b]Con determinazione in data 18/12/2009 il Comune di Albano Laziale ha rilasciato alla xxxx s.p.a. l’autorizzazione commerciale, per l’apertura di una media struttura di vendita destinata al commercio al minuto di prodotti alimentari e non alimentari, da ubicare in Parco della Rimembranza s.n.c., in un locale di proprietà della zzzz s.n.c. di Venturini Enzo e Ida.[/b]
[color=red][b]La yyyy s.r.l., titolare di un esercizio commerciale ubicato nelle vicinanze e operante nei medesimi settori merceologici, ha ritenuto illegittima l’autorizzazione rilasciata a favore della xxxx e l’ha, pertanto, impugnata, unitamente a tutti gli atti ad essa sottostanti, tra cui i presupposti titoli edilizi, con ricorso al TAR Lazio – Roma.[/b][/color]
Con sentenza 13/3/2014 n. 2804 il T.A.R adito, ha accolto il ricorso limitatamente all’autorizzazione commerciale, dichiarando inammissibili le azioni impugnatorie rivolte contro i restanti atti.
Avverso la sentenza ha proposto appello la xxxx chiedendone l’annullamento.
Per resistere all’appello si sono costituiti in giudizio sia il Comune di Albano Laziale, sia la yyyy (nelle more del giudizio divenuta Pavonacbf s.r.l.), che ha anche proposto appello incidentale.
Con apposite memorie difensive tutte le parti hanno ulteriormente illustrato le rispettive tesi difensive.
Alla pubblica udienza del 29/9/2016 la causa è passata in decisione.
In via preliminare occorre esaminare l’eccezione con cui la xxxx deduce che la yyyy, a seguito della chiusura della propria attività commerciale, avrebbe perso la legittimazione ad agire, per cui il ricorso di primo grado sarebbe divenuto improcedibile.
L’eccezione è solo parzialmente fondata.
E’ incontestato fra le parti come la yyyy sia stata dichiarata decaduta dall’autorizzazione commerciale con provvedimento comunale del 15/5/2015 ed abbia perciò definitivamente interrotto, da tale data, l’esercizio della propria attività commerciale, peraltro già sospesa a decorrere dal 28/2/2014. E tale circostanza ha, sicuramente, fatto venir l’interesse della detta società ad ottenere l’annullamento dell’impugnata autorizzazione commerciale, posto che indiscutibilmente siffatta condizione dell’azione si fondava sulla denunciata violazione dell’interesse a non subire concorrenza da parte della xxxx.
L’interesse ad agire, tuttavia, permane, ai sensi dell’art. 34, comma 3, c.p.a., in relazione all’accertamento, a fini risarcitori, dell’illegittimità della suddetta autorizzazione commerciale, avendo l’appellata formulato al riguardo apposita richiesta (Cons. Stato, Sez. V, 23/4/2014, n. 2063) in correlazione col manifestato intendimento di proporre, in un successivo giudizio, azione di condanna per i danni conseguenti all’affermato sviamento di clientela (si vedano memorie depositata in giudizio in data 29/7/2016 e 8/7/2016), senza che, ai fini della sussistenza dell’interesse all’accertamento, ex art. 34, comma 3, c.p.a., dell’illegittimità degli atti impugnati, occorra anche che la detta domanda sia stata già proposta (Cons. Stato, A.P., 13/4/2015 n. 4; Sez. VI, 15/9/2015, n. 4281).
Sul punto è appena il caso di aggiungere che, contrariamente a quanto dedotto dalla xxxx, l’appellante incidentale non è decaduta dal diritto di agire in giudizio per il risarcimento dei danni, in base all’art. 30, comma 3, c.p.a., atteso che, ai sensi del successivo comma 5, del medesimo articolo, allorquando, come nella fattispecie, “sia stata proposta azione di annullamento la domanda risarcitoria può essere formulata nel corso del giudizio o, comunque, sino a centoventi giorni dal passaggio in giudicato della relativa sentenza”, cosicchè, nel caso che occupa, è tuttora possibile la proposizione dell’azione risarcitoria.
Alla luce delle sopra esposte considerazioni appello principale e appello incidentale, vanno scrutinati ai limitati fini dell’accertamento dell’illegittimità degli atti impugnati in primo grado.
Occorre partire dall’esame dell’appello principale.
Col primo motivo si deduce che il giudice di prime cure avrebbe riconosciuto all’yyyy la legittimazione a ricorrere sulla base della sola “vicinitas”, mentre invece sarebbe stato necessario che quest’ultima dimostrasse il concreto pregiudizio subito dal rilascio dell’impugnata autorizzazione commerciale, anche perché nella fattispecie non sarebbe possibile alcuno sviamento di clientela, posto che le due strutture sono diverse per dimensioni (700 mq quella della xxxx, 500 mq quella della yyyy) e per organizzazione (la xxxx, a differenza della yyyy, avrebbe una capillare diffusione su tutto il territorio nazionale).
La doglianza è infondata.
[color=red][b]Per consolidato orientamento giurisprudenziale, il soggetto che esercita la propria attività commerciale in un determinato bacino d'utenza vanta un interesse tutelato a che nessun altro operatore vi si insedi ed è quindi legittimato a gravare gli atti abilitativi a questi rilasciati (Cons. Stato, Sez. IV, 30/11/2015, n. 5415).[/b][/color]
[b]Fra i titoli abilitativi che possono costituire oggetto di gravame rientrano, oltre quelli direttamente finalizzati a consentire l’apertura dell’esercizio commerciale, quelli edilizi presupposti.[/b]
[b]Si è ritenuto, infatti, che in materia di commercio il criterio dello stabile "collegamento territoriale" che deve legare il ricorrente all'area di operatività del controinteressato per poterne qualificare la posizione processuale e conseguentemente il diritto di azione, deve essere riguardato in un'ottica più ampia rispetto a quella usuale, identificandosi, in tal caso, il concetto di vicinitas nella nozione di identico bacino commerciale, il quale, a seconda dei settori merceologici e del tipo di attività esercitata, può essere ravvisato anche in relazione a strutture poste fra loro a notevole distanza (Cons. Stato, Sez. IV, 19/11/2015, n. 5278; 7/5/2015, n. 2324; 19/3/2015, n. 1444).[/b]
Nel caso di specie, la struttura dell’appellante principale e quella dell’appellante incidentale operavano ambedue nel settore della vendita al dettaglio di prodotti alimentari e non alimentari, avevano una dimensione non grandemente dissimile ed erano collocate a 280 metri di distanza l’una dall’altra.
Tanto basta a dimostrare l’insistenza delle medesime nell’ambito dello stesso bacino d’utenza, con conseguente legittimazione dell’yyyy a contestare l’abilitazione commerciale rilasciata alla xxxx e i titoli edilizi presupposti.
Col secondo motivo la xxxx lamenta che l’impugnata sentenza sarebbe erronea per aver ritenuto che la legittimazione della yyyy fosse strettamente connessa alla tutela della concorrenza, mentre, invece, quest’ultima avrebbe agito al solo scopo di determinare la chiusura dell’esercizio commerciale concorrente.
A dire dell’appellante principale la tutela della concorrenza presupporrebbe misure che favoriscano l’apertura del mercato, quali per l’appunto il rilascio di nuove autorizzazioni commerciali, mentre resterebbe pregiudicata dal “mero mantenimento dell’assetto concorrenziale esistente”.
La censura è infondata.
Al riguardo è sufficiente rilevare che, come ben rilevato dal TAR, nella specie il bene della vita che l’odierna appellata ha inteso preservare con la proposizione del ricorso di primo grado è quello ad evitare indebiti sviamenti di clientela, interesse personale, qualificato e meritevole di tutela nei casi in cui l’amministrazione autorizzi l’ingresso di un nuovo operatore economico nello stesso mercato alterando l’assetto concorrenziale esistente.
E’ appena il caso di aggiungere che, in ordine alla controversia per cui è causa, è del tutto inconferente il richiamo ai principi espressi nei precedenti giurisprudenziali invocati dall’appellante principale (Cons. Stato, Sez. V, 15/2/2013 n. 940; Corte Giustizia U. E., 11/3/2010, in c. 384/08, Attanasio Group).
Gli stessi sono stati, infatti, affermati in relazione alla problematica - del tutto estranea alla fattispecie - delle distanze minime obbligatorie fra strutture commerciali (nello specifico distributori di carburante).
Con la terza doglianza l’appellante deduce che il giudice di prime cure, una volta dichiarata l’inammissibilità dell’azione di annullamento proposta avverso i titoli edilizi, non avrebbe potuto, senza cadere in contraddizione, ritenere che ciò lasciasse “comunque integra la possibilità che i relativi vizi di legittimità siano esaminati al fine di sindacare la legittimità dell’autorizzazione commerciale rilasciata a xxxx in quanto la legittimità di tale ultimo provvedimento presuppone la regolarità urbanistica ed edilizia dei locali in cui l’attività è svolta”.
Ciò in quanto i titoli edilizi, ove anche illegittimi, se non annullati sarebbero, comunque, efficaci e quindi idonei a fungere da presupposto per il rilascio dell’autorizzazione commerciale.
La censura è improcedibile, tenuto conto che, come più sopra rilevato, l’esame della controversia è ormai limitato al mero accertamento dell’illegittimità degli atti oggetto del ricorso di primo grado.
Col quarto mezzo di gravame la xxxx critica l’impugnata sentenza per aver respinto l’eccezione di irricevibilità dell’azione di annullamento proposta avverso l’autorizzazione commerciale, atteso che quest’ultima è stata rilasciata in data 18/12/2009, mentre il ricorso è stato notificato solo il 16/11/2010.
L’eccepita tardività emergerebbe anche dal fatto che il titolo abilitativo si sarebbe formato per silenzio assenso in data 13/9/2007.
La doglianza è infondata.
Ai sensi dell’art. 41, comma 2, c.p.a. “Qualora sia proposta azione di annullamento il ricorso deve essere notificato, a pena di decadenza … entro il termine previsto dalla legge, decorrente dalla notificazione, comunicazione o piena conoscenza, ovvero, per gli atti di cui non sia richiesta la notificazione individuale, dal giorno in cui sia scaduto il termine della pubblicazione se questa sia prevista dalla legge o in base alla legge”.
La giurisprudenza ha, poi, precisato che la prova della piena conoscenza dell'atto da cui decorre il termine per la sua impugnazione deve essere fornita dal soggetto che ne eccepisce la tardività (fra le tante Cons. Stato, Sez. V, 22/3/2016, n. 1192).
Nel caso di specie, gli atti impugnati in primo grado, che non risultano notificati o comunicati all’yyyy, non erano di quelli soggetti a pubblicazione legale, pertanto incombeva sull’appellante principale, che non vi ha, invece, provveduto, l’onere di dimostrare che la detta società ne avesse acquisito piena conoscenza in epoca antecedentemente ai 60 giorni dalla notifica del ricorso.
Col quinto motivo si deduce che la sentenza sarebbe erronea nella parte in cui ha affermato che “la fattispecie, a far tempo dal 18 dicembre 2009, è certamente disciplinata dall’autorizzazione commerciale rilasciata dalla Città di Albano Laziale che, lungi dal costituire un mero titolo incorporante il titolo autorizzatorio tacito di cui xxxx è titolare, costituisce la manifestazione di volontà dell’amministrazione comunale volta a regolare il rapporto controverso”.
Il giudice, infatti, avrebbe dovuto tener conto del silenzio assenso formatosi sulla domanda di autorizzazione presentata in data 14/6/2007 e dichiarare, pertanto, il ricorso inammissibile, in quanto venuto meno l’atto emesso in data 18/12/2009, resterebbe, comunque, in vita l’autorizzazione tacitamente assentita.
Il mezzo di gravame non merita accoglimento.
Come emerge dal tenore della determinazione in data 18/12/2009, con essa l’autorità emanante ha inteso dar seguito, definendolo, al procedimento aperto dalla xxxx con la richiesta di autorizzazione commerciale avanzata in data 14/6/2007.
Si legge, inoltre, nella detta determinazione che con successive note la richiedente ha introdotto una “rettifica della domanda originaria”.
Non c’è dubbio, pertanto, che, come correttamente ritenuto dal TAR, gli effetti dell’eventuale autorizzazione tacita siano stati assorbiti da quella rilasciata in data 18/12/2009 e che, pertanto, quest’ultima costituisca, ormai, la fonte del rapporto controverso.
Col sesto motivo la xxxx critica l’avversata sentenza nella parte in cui ha ritenuto che la destinazione a “uso vario”, prevista dal certificato di abitabilità n. 44 del 10/8/1966, per i piani sotterranei e per il piano terra dell’unità immobiliare a cui si riferisce la contestata autorizzazione commerciale, non consentisse di destinare la struttura ad uso commerciale.
Il giudice di prime cure non avrebbe considerato che l’art. 65, del D. Lgs. 2008 n. 81, pur prevedendo il divieto di destinare al lavoro locali sotterranei o seminterrati sancisce, al comma 2, la possibilità di deroghe per particolari esigenze tecniche.
E infatti, nel caso di specie, la ASL Roma H ha espresso parere favorevole all’esercizio dell’attività nei locali in questione, per cui il certificato di abitabilità del 1966 sarebbe superato dal più recente pronunciamento dell’autorità sanitaria.
Il TAR, inoltre, nel ritenere l’uso commerciale del piano interrato precluso dal regolamento edilizio comunale, non avrebbe considerato la natura di fonte secondaria del regolamento edilizio, il quale, quindi, andrebbe disapplicato per contrasto col citato D.Lgs. n. 81/2008.
Oltre a ciò si rileva che l’immobile in questione risulta abitabile sin dal 1966 come dimostrato dal fatto che lo stesso è stato sede di vari uffici, e del resto il comune col rilascio della contestata autorizzazione commerciale ha riconosciuto la conformità edilizia dei locali in questione.
La Censura è infondata.
Nell’affermare che la destinazione ad “uso vario” prevista dal certificato di abitabilità del 1966 non consentisse la destinazione commerciale, il giudice di prime cure ha fatto riferimento, ad un tempo, tanto ai profili igienico-sanitari, tanto a quelli più specificamente urbanistico-edilizi, giudicando, quindi, i locali oggetto della contestata autorizzazione commerciale inidonei a ospitare una media struttura di vendita, prima ancora che sul piano igienico-sanitario, su quello urbanistico-edilizio.
Vero è che nell’argomentare le proprie conclusioni il TAR ha fatto riferimento alla normativa igienico-sanitaria (D.P.R. 19/3/1956 n. 303 e D.Lgs. 9/4/2008, n. 81), ma il che ha fatto al solo scopo di mettere in evidenza che l’originaria destinazione ad “uso vario”, non ha mai subito modificazioni, ricavando ciò dal fatto che, seppur consentiti dalla detta normativa (artt. 8 del D.P.R. 303/1956 e 65 del D.Lgs. n. 81/2008) non sono mai intervenuti provvedimenti di “deroga” e che, pertanto, mai i locali hanno acquisito una destinazione d’uso compatibile con quella abitativa o commerciale.
Alla luce delle esposte considerazioni è del tutto irrilevante che la ASL di Roma abbia dato il proprio assenso allo svolgimento dell’attività autorizzata, atteso che il parere non poteva che concernere gli aspetti di propria competenza, ovvero quelli igienico- sanitari.
E’ di tutta evidenza, infine, che la rilevata carenza di una corretta destinazione d’uso non viene meno per il solo fatto che il comune abbia rilasciato l’impugnata autorizzazione commerciale, atteso che è in discussione proprio la legittimità di quest’ultima per difetto di un essenziale presupposto, quale per l’appunto l’idoneità urbanistico-edilizia dei locali ad ospitare una media struttura di vendita.
Tanto meno può rilevare la circostanza, meramente fattuale, che per anni i locali siano stati adibiti ad uso ufficio.
Col decimo motivo l’appellante principale lamenta che il TAR avrebbe erroneamente ritenuto che gli interventi realizzati nei locali oggetto della contestata autorizzazione commerciale abbiano comportato incrementi di volumetria non consentiti nella zona A dove lo stabile è ubicato.
Si tratterebbe, infatti, di opere interne che non riguardano i locali adibiti alla vendita e che possono, se del caso, dar luogo a mere irregolarità sanabili.
Il mezzo di gravame è infondato.
Come emerge dai permessi di costruire 17 aprile 2008 e del 4 agosto 2009 i lavori realizzati si sostanziano, rispettivamente, nell’“ampliamento del piano interrato per realizzazione cortili ed intercapedine, con modifiche interne e completamento opere sull’immobile Via Cardinal Altieri” e nella “chiusura di una rampa carrabile e conseguente realizzazione del sottostante magazzino, apertura di un nuovo accesso al locale interrato con destinazione uso vario sito in Via Parco della Rimembranza”, sicchè non può disconoscersi che i relativi interventi abbiano comportato un incremento di volumetria utile.
Ciò, del resto, risulta anche dalla relazione tecnica predisposte dall’arch. Maria Antonietta Mariani in vista di una delle richieste di permesso di costruire relative ai locali interessati dall’autorizzazione commerciale del 18/12/2009 (doc. 17 degli atti depositati dalla yyyy nel giudizio di primo grado), nella quale si prevede, infatti, un incremento di superficie utile.
Sennonché, è incontestato che l’area su cui è ubicata l’unità immobiliare per cui la xxxx ha ottenuto la detta autorizzazione commerciale ricada in zona A – centro storico, e in quest’ultima l’art. 20 delle norme di attuazione del piano regolatore generale del Comune di Albano Laziale vieta gli interventi di cui sopra.
Non merita accoglimento infine, l’undicesimo motivo con cui l’appellante principale censura l’impugnata sentenza nella parte in cui a posto a proprio carico le spese di lite.
La doglianza è inammissibile in quanto del tutto immotivata.
In ogni caso il giudice di prime cure ha fatto corretta applicazione delle regole che governano il riparto delle spese processuali ponendole a carico della parte soccombente, ai sensi dell’art. 91, comma 1, c.p.c. richiamato dall’art. 26 c.p.a..
L’appello principale è in definitiva di respingere, prescindendo dall’esame delle ulteriori censure prospettate, in quanto la sentenza si regge, comunque, sulle motivazioni ritenute esenti da vizi.
La reiezione dell’appello principale rende improcedibile quello incidentale.
Infatti, come più sopra rilevato, l’appellante incidentale ha agito a tutela dell’interesse a non subire indebiti sviamenti di clientela e tale interesse è già integralmente soddisfatto dall’accertamento dell’illegittimità dell’autorizzazione commerciale rilasciata alla xxxx, di modo che l’eventuale accoglimento delle doglianze proposte con la controimpugnazione non arrecherebbe alla Pavonacbf alcun ulteriore vantaggio.
Restano assorbiti tutti gli argomenti di doglianza, motivi od eccezioni non espressamente esaminati che il Collegio ha ritenuto non rilevanti ai fini della decisione e comunque inidonei a supportare una conclusione di tipo diverso.
La particolarità e complessità delle questioni affrontate, giustifica l’integrale compensazione di spese e onorari del presente grado di giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)
definitivamente pronunciando sugli appelli principale e incidentale, come in epigrafe proposti, così dispone:
a) in parziale riforma della sentenza impugnata dichiara improcedibile, sotto il profilo impugnatorio, il ricorso di primo grado;
b) respinge l’appello principale, confermando la sentenza impugnata, quanto all’accertamento dell’illegittimità dell’autorizzazione commerciale 18/12/2009;
c) dichiara improcedibile l’appello incidentale.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 29 settembre 2016 con l'intervento dei magistrati:
Francesco Caringella, Presidente
Sandro Aureli, Consigliere
Fabio Franconiero, Consigliere
Raffaele Prosperi, Consigliere
Alessandro Maggio, Consigliere, Estensore
L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
Alessandro Maggio Francesco Caringella
IL SEGRETARIO