Il punto 5.2 della DELIBERAZIONE DEL CONSIGLIO REGIONALE Lazio 19 FEBBRAIO 2003, N. 139 “Adozione del Documento Programmatico per il commercio su Aree Pubbliche” prevede il divieto dello “svolgimento di qualsiasi tipologia di mercato su aree ricadenti in zone sottoposte a vincoli di cui al DECRETO LEGISLATIVO 29 ottobre 1999, n. 490 (ABROGATO DAL D.LGS. 22 GENNAIO 2004, N. 42), salvo che venga o sia stato già concesso dagli organi competenti apposito nulla osta”.
Viceversa, l’art. 52 del DECRETO LEGISLATIVO 22 gennaio 2004, n. 42 dispone (in particolare al comma 1-ter) che “i competenti uffici territoriali del Ministero, d'intesa con ((la regione e)) i Comuni, adottano apposite determinazioni volte a vietare gli usi da ritenere non compatibili con le specifiche esigenze di tutela e di valorizzazione, comprese le forme di uso pubblico non soggette a concessione di uso individuale, quali le attività ambulanti senza posteggio, nonché', ove se ne riscontri la necessità, l'uso individuale delle aree pubbliche di pregio a seguito del rilascio di concessioni di posteggio o di occupazione di suolo pubblico. …”.
DOMANDE:
1) Esistono casi di determinazioni di cui al citato Art. 52? In particolare, per la Regione Lazio?
2) Il generico nulla osta della citata DCR 139/2003 dove trova il suo fondamento giuridico?
3) Sentita la competente Sovrintendenza, sembra che non conosca la questione! Voi ne sapete di più …?
4) L’art. 149 del “Codice dei beni culturali e del paesaggio” fa salvo gli interventi che “non alterino lo stato dei luoghi e l'aspetto esteriore degli edifici” dalla richiesta delle prescritte autorizzazioni. Se l’area mercatale non prevede alterazione dei luoghi e/o modifica permanente dei luoghi può rientrare nella fattispecie di cui sopra ? ;
5) Quanto è prescrittiva la disposizione di “divieto” prevista dalla citata DELIBERAZIONE DEL CONSIGLIO REGIONALE Lazio 19 FEBBRAIO 2003, N. 139?
La questione, come al solito, è intrica e credo che sia finita nel dimenticatoio. Non mi risulta che esistano dei provvedimenti delle soprintendenze laziali o di altre regioni. lo Stato era intervenuto con due direttive per cercare di far applicare il controverso articolo 52 citato: Direttiva 9 novembre 2007 (GU n. 269/2007) e Direttiva 10 ottobre 2012 (GU n. 262/2012).
La corte Costituzionale però, ha, in certo senso, bloccato tutto quando, con la sentenza n. 140/2015 ha dichiarato la illegittimità delle disposizioni che hai citato [i]nella parte in cui non prevede alcuno strumento idoneo a garantire una leale collaborazione fra Stato e Regioni [/i] e [i]nella parte in cui non prevedono l'intesa fra Stato e Regioni[/i].
La sentenza n. 140/2015 è un caso di pronuncia “additiva”: viene dichiarata l’illegittimità costituzionale di una norma nella parte in cui non dice qualcosa, cioè non contiene un’ulteriore prescrizione che necessariamente esserci. In questo senso la C. Cost pone rimedio ad una illegittima omissione del legislatore.
La motivazione principale è riassunta qua (riporto un estratto della sentenza):
[i]Nella specie, va dunque ravvisata una situazione di "[b]concorrenza di competenze[/b]", comprovata dalla constatazione che le norme censurate si prestano ad incidere contestualmente su una pluralità di materie, ponendosi all'incrocio di diverse competenze ("tutela dei beni culturali", "valorizzazione dei beni culturali", "commercio", "artigianato") attribuite dalla Costituzione rispettivamente, o alla potestà legislativa esclusiva dello Stato, ovvero a quella concorrente dello Stato e delle Regioni, ovvero infine a quella residuale delle Regioni, senza che (in termini "qualitativi" o "quantitativi") sia individuabile un àmbito materiale che possa considerarsi prevalente sugli altri (sentenze n. 237 del 2009 e n. 219 del 2005).
Orbene, in tale contesto, l'impossibilità di comporre il concorso di competenze statali e regionali mediante l'applicazione del principio di prevalenza, in assenza di criteri contemplati in Costituzione e avendo riguardo alla natura unitaria delle esigenze di tutela e valorizzazione del patrimonio culturale, giustifica l'applicazione del principio di leale collaborazione, che deve, in ogni caso, permeare di sé i rapporti tra lo Stato e il sistema delle autonomie (ex plurimis, sentenze n. 44 del 2014, n. 273 del 2013 e n. 50 del 2008).
Ciò tanto più in quanto, nel modificare il quadro costituzionale delle competenze di Stato e Regioni per la parte che qui interessa, è significativo che il legislatore costituzionale del 2001 ha tenuto conto delle caratteristiche diffuse del patrimonio storico-artistico italiano, disponendo espressamente, al novellato terzo comma dell'art. 118 Cost. , che la legge statale disciplini forme di intesa e coordinamento tra Stato e Regioni proprio nella materia della tutela dei beni culturali (sentenza n. 232 del 2005). Norma, quest'ultima, di cui questa Corte ha, peraltro, auspicato un'applicazione che, attribuendo allo Stato la salvaguardia delle esigenze primarie della tutela che costituisce il fondamento di tutta la normativa sui beni culturali, non trascuri le peculiarità locali delle Regioni (sentenza n. 9 del 2004).
6.4.− Ne consegue, pertanto, che gli artt. 2-bis e 4-bis del D.L. n. 91 del 2013, introdotti dalla legge di conversione n. 112 del 2013 , e l' art. 4, comma 1, del D.L. n. 83 del 2014, come convertito dalla L. n. 106 del 2014 (che rispettivamente aggiungono e successivamente modificano i commi 1-bis e 1-ter dell' art. 52 del D.Lgs. n. 42 del 2004), devono essere dichiarati costituzionalmente illegittimi nella parte in cui non prevedono l'intesa a garanzia della leale collaborazione fra Stato e Regioni.[/i]
Quindi, visto il miscuglio di competenze e la sentenza appena citata (leggila tutta) direi che per adesso non è possibile applicare l’art. 52 finché non verranno adottati ulteriori atti in sede di conferenza Unificata o in sede di Conferenza Stato/Regioni.
La normativa laziale del 2003, ugualmente, non è applicabile se non nella misura in cui vuol significare che se una piazza o una via è sottoposta ad un vincolo monumentale (vedi art. 10 e 21del d.lgs. n. 42/2004), l’istituzione di un mercato potrebbe essere considerata una variazione della destinazione d’uso.
La normativa regolamentare regionale certamente non può intervenire in materia di tutela dei beni paesaggistici.
L’art. 149 riguarda delle ipotesi specifiche e comunque si applica all’autorizzazione paesaggistica che mi sembra impropria per un mercato settimanale.