La Corte costituzionale ritorna sulle conseguenze della violazione del c.d. giudicato costituzionale
[color=red][b]Corte cost. 20 ottobre 2016, n. 224[/b][/color]
Corte costituzionale - Giudicato costituzionale – Mantenimento in vigore di norme dichiarate incostituzionali – Incostituzionalità
E' incostituzionale, per violazione dell'art. 136 Cost., la norma statale o regionale che interviene al fine di mitigare gli effetti di una pronuncia di incostituzionalità, per conservare o ripristinare, in tutto o in parte, quanto previsto dalla norma dichiarata illegittima (fattispecie relativa all'art. 17, comma 1, l. reg. Lombardia 18 aprile 2012, n. 7 che - in relazione agli interventi di ristrutturazione edilizia oggetto della sentenza della Corte costituzionale n. 309 del 2011 - prescrive che i titoli edilizi rilasciati alla data di pubblicazione della sentenza stessa siano considerati titoli validi ed efficaci fino al momento della dichiarazione di fine lavori, a condizione che la comunicazione di inizio lavori risulti protocollata entro il 30 aprile 2012) (1).
(1) Con una sentenza tanto snella quanto decisa, la Consulta accoglie una questione di costituzionalità sollevata dal Tar Milano (sez. II, 5 novembre 2015, n. 2342) e con l’occasione ribadisce le regole fondamentali in tema di giudicato costituzionale, in specie rispetto ai limiti per il legislatore (nella specie regionale) che tenti di ridare vita a norme già cadute sotto la censura di incostituzionalità della stessa Corte.
La peculiarità della decisione deriva dal fatto che la norma regionale oggetto di censura costituisce una riedizione di una precedente disposizione già oggetto di declaratoria di illegittimità costituzionale su rimessione del medesimo giudice amministrativo.
Infatti, con sentenza 23 novembre 2011, n. 309 (in Giur. cost. 2011, 6, 4311 con nota Gorlani, sempre su ordinanza di rimessione del T.a.r. per la Lombardia), la Corte aveva già dichiarato costituzionalmente illegittime una serie di norme regionali, fra cui l'art. 22, l. reg. Lombardia 5 febbraio 2010, n. 7; in particolare tale ultima disposizione – a propria volta recante interpretazione autentica di altra precedente legge regionale del 2005 – nello stabilire che la ricostruzione dell'edificio è da intendersi senza vincolo di sagoma, è stata reputata in contrasto con il riparto di competenza di cui all’art. 117, comma 3, Cost., in materia di governo del territorio, in quanto in contrasto con il principio fondamentale stabilito dall'art. 3, comma 1, lett. d), d.P.R. n. 380 del 2001 t.u. edilizia, che definisce gli "interventi di ristrutturazione edilizia".
Il legislatore regionale, pur dinanzi a tale annullamento, ha adottato la norma oggetto della sentenza in commento, in base alla quale sono dichiarati “validi ed efficaci” i titoli edilizi riguardanti gli interventi edilizi oggetto della succitata sentenza n. 309 del 2011, e cioè gli interventi di ristrutturazione consistenti nella demolizione e ricostruzione senza vincolo di sagoma, a condizione che:
a) il titolo sia stato rilasciato prima del 30 novembre 2011;
b) la comunicazione di inizio lavori sia stata protocollata prima del 30 aprile 2012.
La Consulta - oltre a censurare l’ultra vigenza di titoli adottati sulla base di una legge dichiarata incostituzionale, per questa via ribadendo la competenza legislativa statale in materia di definizione e classificazione degli interventi edilizi (Corte cost. 9 marzo 2016, n. 49, in Rivista Giuridica dell'Edilizia 2016, 1-2, I, 8 con nota di STRAZZA, secondo cui: <<Nell’ambito della materia concorrente “governo del territorio”, prevista dall’art. 117, comma 3, cost., i titoli abilitativi agli interventi edilizi costituiscono oggetto di una disciplina che assurge a principio fondamentale e tale valutazione deve ritenersi valida anche per la d.i.a. e per la s.c.i.a. che, seppure con la loro indubbia specificità, si inseriscono in una fattispecie il cui effetto è pur sempre quello di legittimare il privato ad effettuare gli interventi edilizi>> - conferma la palese illegittimità costituzionale della norma, richiamando i propri precedenti applicativi dell’art. 136 Cost..
In particolare, la Corte ribadisce (da ultimo 16 luglio 2015, n. 169, in Giustizia civile, 2015, 27 luglio con nota di DI MARZIO) l’inammissibilità di disposizioni con cui il legislatore, statale o regionale, intervenga al fine di mitigare gli effetti di una pronuncia di illegittimità costituzionale, per conservare o ripristinare, in tutto o in parte, gli effetti della norma dichiarata illegittima.
Più in generale, sul c.d. giudicato costituzionale merita di essere altresì richiamata la più risalente giurisprudenza costituzionale secondo la quale, perché vi sia violazione del giudicato costituzionale, è necessario che una norma ripristini o preservi l'efficacia di una norma già dichiarata incostituzionale. In particolare il rigore del citato precetto costituzionale impone al legislatore di “accettare la immediata cessazione dell'efficacia giuridica della norma illegittima”, anziché “prolungarne la vita” sino all'entrata in vigore di una nuova disciplina del settore e che « le decisioni di accoglimento hanno per destinatario il legislatore stesso, al quale è quindi precluso non solo il disporre che la norma dichiarata incostituzionale conservi la propria efficacia, bensì il perseguire e raggiungere, “anche se indirettamente”, esiti corrispondenti a quelli già ritenuti lesivi della Costituzione (19 luglio 1983, n. 223, in Foro it. 1983, I, 2057).
Per più recenti pronunce in materia di violazione del giudicato costituzionale e sue conseguenze sulla legislazione residua v. Corte cost. 23 aprile 2013, n. 72, in Foro it., 2014, I, 2273, ivi gli ulteriori riferimenti di dottrina e giurisprudenza; Cass. pen., sez. un., 28 luglio 2015, n. 33040, Jazouli, id., 2015, II, 694, con nota di LO FORTE.