ANTITRUST - parere sul nuovo decreto SCIA - 20/9/2016
[color=red][b]Audizione del Capo di Gabinetto dell'Autorità alle Commissioni Industria e Ambiente del Senato su schema di Dlgs. SCIA
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COMMISSIONI 10A E 13A DEL SENATO DELLA REPUBBLICA
AUDIZIONE
DELL’AUTORITÀ GARANTE DELLA CONCORRENZA E DEL MERCATO
AVV. FILIPPO ARENA
CAPO DI GABINETTO
sullo schema di decreto legislativo in materia di individuazione di procedimenti oggetto di
autorizzazione, segnalazione certificata d inizio attività (SCIA), silenzio assenso e
comunicazione e di definizione dei regimi amministrativi applicabili a determinate attività e
procedimenti, ai sensi dell’art. 5 della legge 7 agosto 2015, n. 124
Roma, 20 settembre 2016
Onorevole Presidente, Onorevoli Senatori,
il tema oggetto dell’audizione è di grande interesse per l’Autorità garante della concorrenza
e del mercato, che ha riservato nel corso degli ultimi anni particolare attenzione alla
necessità di semplificare l’accesso alle attività economiche da parte di cittadini e imprese, al
fine di assicurare il pieno esercizio della libertà di iniziativa economica privata.
Desidero in primo luogo esprimere l’apprezzamento dell’Autorità per la delega contenuta
nell’art. 5 della legge 7 agosto 2015, n. 124 (c.d. Legge Madia) che, per la prima volta, ha
previsto un organico riordino della disciplina generale applicabile ai procedimenti relativi
alle attività private non soggette ad autorizzazione espressa e soggette a segnalazione
certificata di inizio attività (di seguito, SCIA), nonché della disciplina relativa alle modalità
di presentazione delle segnalazioni o istanze alle pubbliche amministrazioni e delle modalità
di svolgimento delle successive procedure, affidando altresì ai decreti delegati la precisa
individuazione e distinzione dei procedimenti oggetto dei diversi regimi amministrativi
applicabili.
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Negli ultimi anni, del resto, l’Autorità è intervenuta in più occasioni con interventi di
advocacy finalizzati a indirizzare il legislatore verso una sempre più esaustiva
liberalizzazione delle attività economiche private e alla semplificazione delle procedure
necessarie per accedervi, consapevole dell’importanza cruciale che una tale semplificazione
riveste per il rilancio dell’economia, nonché a segnalare la necessità di recidere i nodi
gordiani che rendono l’amministrazione e l’assetto istituzionale troppo spesso incompatibili
con le esigenze dei mercati e della crescita.
L’importanza della delega contenuta nell’art. 5 della legge Madia non è limitata alla
circostanza, già di per sé assai rilevante, della riconduzione a un unico corpus normativo
della disciplina generale della SCIA, in risposta a prioritarie esigenze di certezza del diritto
e di chiarezza normativa, ma si rivela altresì nella concreta semplificazione prevista dei
regimi amministrativi delle attività private, in ossequio ai principi di tutela e promozione
della concorrenza.
Posta questa premessa di carattere generale, quanto al contenuto dei singoli articoli,
l’Autorità intende evidenziarne, in un’ottica pro-concorrenziale, i profili di maggior rilievo
e sottoporre all’attenzione delle Commissioni alcune considerazioni volte a fornire il
contributo dell’Autorità al processo normativo in atto.
Con lo schema di Decreto Legislativo di cui si discute (atto del Governo n. 322, c.d. SCIA
2) viene completata l’attuazione della delega contenuta nell’art. 5 della legge n. 124 del
2015 (c.d. legge Madia) - a seguito della già avvenuta adozione del Decreto Legislativo 30
giugno 2016, n. 126, pubbl. in GU 13 luglio 2016, n. 162 (Attuazione della delega in
materia di segnalazione certificata di inizio attività (c.d. SCIA 1)) -, procedendosi alla
prevista individuazione puntuale di quali procedimenti siano oggetto di SCIA, o di silenzio
assenso, o di autorizzazione espressa, o di comunicazione preventiva, attraverso la loro
elencazione in una apposita Tabella.
Si ritiene anzitutto che la mappatura così effettuata abbia il merito di fornire un quadro di
regole chiare e di immediata comprensione sia per gli operatori che per le pubbliche
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amministrazioni chiamate ai relativi adempimenti, contribuendo così a dare certezza ai
rapporti giuridici.
Particolarmente apprezzabile appare l’innovativa tecnica normativa all’uopo utilizzata, che
elenca nella Tabella, per ciascun tipo di attività (distinte nelle macro-sezioni “Attività
commerciali e assimilabili”, “Edilizia” e “Ambiente”): a) il regime amministrativo
applicabile (declinato, quanto alle attività commerciali, in relazione alle varie vicende
aziendali: apertura, subingresso, trasferimento, cessazione), b) la concentrazione degli
eventualmente plurimi regimi amministrativi, e c) i relativi riferimenti normativi.
Tale tecnica redazionale coniuga - come sottolineato dal Consiglio di Stato nel parere reso
sullo schema di Decreto - esigenze di riordino/codificazione ed esigenze di semplificazione.
L’individuazione puntuale di quali procedimenti siano soggetti a quali diversi regimi
amministrativi risponde dunque efficacemente all’indirizzo governativo volto alla
trasparenza e alla maggiore comprensione da parte di cittadini e imprese degli adempimenti
dovuti per l’esercizio delle attività private e delle relative procedure.
Allo stesso tempo, il Decreto persegue un altro obiettivo, che è quello della
semplificazione/liberalizzazione, ove possibile, e della riduzione degli oneri burocratici.
Come sottolineato dal Consiglio di Stato, l’individuazione delle attività e dei relativi regimi
amministrativi non è stata meramente ricognitiva dell’esistente, ma ha adeguato attivamente
la (più onerosa) disciplina esistente ai (più semplici) standard europei sull’accesso alle
attività di servizi.
Lo schema di Decreto sembra infine rispondere all’esigenza di riduzione dei tempi
amministrativi e di eliminazione degli sdoppiamenti procedurali. Sotto tale ultimo profilo, si
valuta positivamente il previsto ricorso alla “concentrazione dei regimi amministrativi” di
cui al nuovo art. 19 bis della legge n. 241 del 1990, introdotto dal D. Lgs. n. 126/2016 sulla
SCIA già adottato in prima attuazione della delega.
Tale norma, infatti, da un lato consente a chi sia interessato allo svolgimento di un’attività
soggetta a SCIA per la quale siano “necessarie altre SCIA, comunicazioni, attestazioni,
asseverazioni e notifiche”, la presentazione di una SCIA unica (art. 19 bis, comma 2), e,
d’altro lato, prevede la convocazione di una Conferenza di servizi ove sia presentata istanza
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per lo svolgimento di attività oggetto di SCIA “condizionata all’acquisizione di atti di
assenso comunque denominati, o pareri di altri uffici e amministrazioni, ovvero
all’esecuzione di verifiche preventive” (art. 19 bis, comma 3, che intende far fronte alla
criticità costituita dalla numerosità di atti presupposti che ha di fatto sinora vanificato la
SCIA).
[color=red][b]Con riguardo al censimento delle attività e dei relativi regimi amministrativi, effettuato in
Tabella, si segnala in ogni caso l’assoluta necessità di un suo costante aggiornamento in
relazione a disposizioni legislative sopravvenute o alla necessità di completare la
ricognizione delle attività, secondo quanto previsto dall’art. 2, comma 6, dello schema di
Decreto.[/b][/color] Ciò sia al fine di evitare lacune in relazione a nuove attività generate dal mercato e
dall’innovazione tecnologica - in particolare nel settore del commercio - che sfuggano alle
attuali classificazioni; sia anche per evitare che, allo stato, attraverso meri atti
amministrativi possano essere introdotti limiti alle semplificazioni previste in Tabella (ad
esempio mediante la riconduzione, ad opera delle amministrazioni, di attività non elencate a
quelle corrispondenti elencate, ex art. 2, comma 2 dello schema di Decreto - norma che
lascia alla discrezionalità delle amministrazioni l’individuazione delle attività sussumibili in
quelle elencate in Tabella, senza peraltro indicare i criteri sulla cui base le amministrazioni
possano operare tale assimilazione e la conseguente qualificazione legale).
Con specifico riferimento alla definizione dei regimi amministrativi applicabili alle attività
commerciali, deve preliminarmente ricordarsi come il Legislatore nazionale, allo scopo di
garantire la più ampia applicazione del principio di libera concorrenza al settore del
commercio, sia intervenuto in diverse occasioni, con successivi decreti legge, sancendo il
principio generale (nel rispetto della disciplina comunitaria in materia di concorrenza,
libertà di stabilimento e libera prestazione dei servizi) della libertà di apertura di nuovi
esercizi commerciali, senza contingenti e limiti territoriali o altri vincoli di qualsiasi altra
natura. Soltanto laddove sia effettivamente necessario tutelare interessi generali
specificamente individuati, quali la tutela della salute, dei lavoratori, dell’ambiente e dei
beni culturali, è riconosciuta la possibilità di introdurre limiti all’esercizio delle attività
commerciali purché nel rigoroso rispetto dei principi di necessità, proporzionalità e non
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discriminazione (cfr. D.L. n.138/11, convertito con modificazioni dalla legge n. 148/11;
D.L. n. 201/11 – c.d. Decreto “Salva Italia”, convertito con modificazioni dalla legge n.
214/11 e D.L. n.1/12 – c.d. Decreto “Cresci Italia”, convertito con modificazioni dalla legge
n. 27/12).
L’Autorità, che ha sempre sostenuto e caldeggiato tali interventi normativi per il rilancio
dell’economia nazionale, lo sviluppo e la competitività, è più volte intervenuta,
nell’esercizio dei suoi poteri di segnalazione di cui agli artt. 21, 21 bis e 22 della legge
istitutiva n. 287/90, invocando la rimozione di ogni vincolo o restrizione alla libertà di
apertura di nuovi esercizi commerciali.
In tale ottica, si ricorda il parere AS1098 del 28 novembre 2013, reso in relazione alla
modifica apportata all’articolo 31, comma 2, del D.L. n. 201/11 (c.d. “Salva Italia”), ad
opera dell’articolo 30, comma 5ter, del D.L. n. 69/13 (a seguito della quale l’articolo 31,
comma 2, del D.L. n. 201/11 recita: “[...] 2. Secondo la disciplina dell'Unione Europea e
nazionale in materia di concorrenza, libertà di stabilimento e libera prestazione di servizi,
costituisce principio generale dell'ordinamento nazionale la libertà di apertura di nuovi
esercizi commerciali sul territorio senza contingenti, limiti territoriali o altri vincoli di
qualsiasi altra natura, esclusi quelli connessi alla tutela della salute, dei lavoratori,
dell'ambiente, ivi incluso l'ambiente urbano, e dei beni culturali. Le Regioni e gli enti locali
adeguano i propri ordinamenti alle prescrizioni del presente comma entro il 30 settembre
2012 potendo prevedere al riguardo, senza discriminazioni tra gli operatori, anche aree
interdette agli esercizi commerciali, ovvero limitazioni ad aree dove possano insediarsi
attività produttive e commerciali solo qualora vi sia la necessità di garantire la tutela della
salute, dei lavoratori, dell’ambiente, ivi incluso l’ambiente urbano, e dei beni culturali” - la
sottolineatura, aggiunta, si riferisce al periodo introdotto dall’articolo 30, comma 5ter, del
D.L. n. 69/13). In particolare, l’Autorità ha evidenziato che, alla luce del principio generale
di libertà di apertura di nuovi esercizi commerciali, che informa l’ordinamento giuridico
nazionale, le Regioni e gli enti locali potranno legittimamente introdurre restrizioni per
quanto riguarda le aree di insediamento di attività produttive o commerciali, così come
espressamente previsto dalla nuova formulazione della norma, solo ove esse risultino
giustificate dal perseguimento di un interesse pubblico, specificamente individuato,
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costituzionalmente rilevante e compatibile con l’ordinamento comunitario, e a condizione
che ciò avvenga nel rigoroso rispetto dei principi di stretta necessità e proporzionalità della
limitazione, oltre che del principio di non discriminazione (così il cit. parere AS1098).
I medesimi principi sono invocati dall’art. 5 della legge Madia, che delega il Governo a
procedere alla distinzione delle attività oggetto dei diversi regimi amministrativi proprio
“sulla base dei principi del diritto dell’Unione Europea relativi all’accesso alle attività di
servizi e dei principi di ragionevolezza e proporzionalità”.
Sembrerebbe oggi non del tutto compatibile con i principi richiamati, e dunque anche con
l’auspicio allora espresso dall’Autorità nell’esercizio del suo potere di advocacy, la
formulazione dell’art. 1, comma 3, dello schema di Decreto Legislativo SCIA 2 qui in
esame, il quale prevede che “Per le finalità indicate dall’art. 52 del Codice dei beni
culturali e del paesaggio di cui al Decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, il Comune,
d’intesa con al Regione, sentito il soprintendente, può adottare deliberazioni volte a
individuare zone o aree aventi particolare valore archeologico, storico, artistico e
paesaggistico, in cui è vietato o subordinato ad autorizzazione l’esercizio di una o più
attività di cui al presente decreto, individuate con riferimento al tipo o alla categoria
merceologica, in quanto non compatibile con le esigenze di tutela e valorizzazione del
patrimonio culturale” (sottolineatura aggiunta).
Tale norma conferisce alle autorità amministrative locali il potere di derogare la disciplina
legislativa statale emanata dal 2011 in poi in tema di liberalizzazione, per interi “tipi” di
attività o “categorie merceologiche”, la cui individuazione è demandata alla discrezionalità
agli enti locali.
Il rischio è che mediante una tale disposizione possa aver luogo la neutralizzazione in via
amministrativa e per interi settori dei principi generali in materia di concorrenza e di libertà
di stabilimento, principi basati sulle pari opportunità per gli operatori economici, e che
venga invece consentita una discriminazione tra diverse attività economiche o merceologie.
Ciò in contrasto con quanto previsto dall’art. 31, comma 2, del D.L. n. 201/2011, c.d. “Salva
Italia”, che, nel prevedere il potere di Regioni ed enti locali di interdire (o limitare) aree
all’insediamento di esercizi commerciali per la “necessità di garantire la tutela della salute,
dei lavoratori, dell’ambiente, ivi incluso l’ambente urbano, e dei beni culturali”, prescrive
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che ciò avvenga sempre “senza discriminazioni tra gli operatori” – norma, quest’ultima,
rimasta in vigore e di cui non viene prevista alcuna abrogazione espressa, dandosi così
luogo ad una sovrapposizione di discipline scarsamente compatibile con l’opposto scopo,
perseguito dal Decreto, di razionalizzazione e semplificazione della materia.
L’art. 1, comma 3, dello schema di Decreto in questione, peraltro, facendo riferimento a
tutte le “attività di cui al presente decreto” rischia di introdurre limiti discriminatori non
solo alla libertà di esercizio del commercio, ma nei confronti di tutte le attività economiche
private indicate nella Tabella (e cioè anche interventi edilizi e attività ambientali).
Pur dovendosi condividere la preoccupazione per la tutela di “zone o aree aventi particolare
valore archeologico, storico, artistico e paesaggistico”, dalle quali inibire o limitare lo
sviluppo di alcune attività, possono nutrirsi dubbi che la base normativa richiamata (l’art. 52
del Codice dei beni culturali) e la stessa norma di delega contenuta nella legge Madia
legittimino la soluzione proposta nello schema di Decreto per far fronte a tali
preoccupazioni.
Da un lato, infatti, la disposizione del Codice dei beni culturali circoscrive il potere
limitativo dei Comuni alle sole “aree pubbliche” aventi valore archeologico, storico,
artistico e paesaggistico (e non alle aree private) e solo con riferimento all’esercizio di
attività commerciale (e non di altre attività economiche).
Dall’altro, né la lettera né la ratio dell’art. 5 della legge Madia sembrano legittimare un
potere amministrativo idoneo a limitare, discriminando, l’obiettivo di semplificazione e
liberalizzazione perseguito dalla legge delega. Mentre, infatti, la SCIA è “strumento di
liberalizzazione imperniato sulla diretta abilitazione legale all’immediato esercizio di
attività affrancate dal regime autorizzatorio” (come definito dal parere n. 839 del Consiglio
di Stato, reso sul primo Decreto legislativo attuativo, c.d. SCIA 1), il comma 3 dell’art. 1
dello schema di Decreto SCIA 2 potrebbe re-introdurre un potere discrezionale di divieto di
attività (ovvero di sua subordinazione ad autorizzazione), che andrebbe invece
opportunamente perimetrato e orientato.
Si intende, in conclusione, segnalare la necessità di una riflessione sull’opportunità di
espungere la previsione in commento.
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Ove si intendesse, comunque, mantenerla, sarebbe comunque almeno necessario far
precedere la previsione in esame dal richiamo espresso al rispetto dei principi generali
dell’ordinamento nazionale in materia di libertà di apertura di esercizi commerciali, dei
principi comunitari di libera prestazione di servizi e di stabilimento, nonché dal rinvio al
principio di ragionevolezza e proporzionalità, nonché escludere, a priori, la possibilità di
ogni utilizzo discriminatorio di tale potere amministrativo derogatorio, evitando la possibile
penalizzazione di alcune attività rispetto ad altre.
http://www.agcm.it/segnalazioni/audizioni/8400-audizione-del-capo-di-gabinetto-dell-autorit%C3%A0-alle-commissioni-industria-e-ambiente-del-senato-su-schema-di-dlgs-scia.html