Data: 2016-08-03 17:00:41

suolo pubblico e ordinanza

Caso. Applicazione dell'art. 3 comma 16 della legge n° 94/2009 per occupazione abusiva del suolo pubblico. Il sindaco, nel caso di due violazione per occupazione di suolo pubblico, ha scelto di ordinare la chiusura dell'esercizio pubblico per 10 giorni.
Due dubbi.

Prima dell'adozione dell'ordinanza è necessario verificare d'ufficio se sia avvenuto il ripristino dello stato dei luoghi o la norma intende punire il comportamento già tenuto?

Una volta adottata l'ordinanza di chiusura per 10 giorni, se il trasgressore ripristina lo stato dei luoghi e paga la sanzione l'ordinanza decade o comunque il sindaco la deve revocare? Il tenore del comma 16 è un pò ambiguo. Con quel "e, comunque," sembra che anche se dovessero pagare e ottemperare i 5 giorni di chiusura siano dovuti. C'è giurisprudenza?

Grazie

riferimento id:35512

Data: 2016-08-04 07:42:10

Re:suolo pubblico e ordinanza

1) la competenza NON è del Sindaco ma del Dirigente (anche se sul punto la Giurisprudenza ammette la legittimità di una ordinanza-quadro del Sindaco. Vedi Consiglio di Stato, sezione 5, sentenza 27 marzo 2015, n. 1622).

2) la sanzione accessoria ha validità " fino al pieno adempimento dell'ordine e del pagamento delle spese o della prestazione di idonea garanzia"

3) quindi in caso di ripristino NON si dà luogo ad applicazione della sanzione accessoria

4) la motivazione deve essere FORTE in quanto si tratta di sanzione accessoria FACOLTATIVA. Ed anche la previsione di un periodo superiore al minimo (5 giorni) va ben motivata

5) l'atto adottato dal Comune di Roma di cui alla citata sentenza prescriveva la CHIUSURA MINIMA di 5 giorni "e, comunque, fino al completo ripristino dello stato dei luoghi", interpretando la norma sui 5 giorni come sanzione "minima"

6) TAR Lazio sembra di questo avviso: http://www.omniavis.it/web/forum/index.php?topic=31284.0

Vedi anche
http://www.quotidianoentilocali.ilsole24ore.com/print/ABYfcPZ/0

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N. 01611/2015REG.PROV.COLL.

N. 06392/2014 REG.RIC.

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REPUBBLICA ITALIANA


IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)

ha pronunciato la presente
SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 6392 del 2014, proposto da:
Profumi e Sapori s.r.l., in persona del legale rappresentante, rappresentata e difesa dagli avvocati Giancarlo Mancini e Andrea Ippoliti, con domicilio eletto presso lo studio del primo in Roma, corso Trieste 61;
contro
Roma Capitale, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentata e difesa per legge dagli avvocati Alessandro Rizzo e Rosalda Rocchi, domiciliata in Roma, Via del Tempio di Giove, 21;
per la riforma
della sentenza in forma semplificata 8 luglio 2014 n. 7257 del Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, Roma.

visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
visto l'atto di costituzione in giudizio di Roma Capitale;
viste le memorie difensive;
visti tutti gli atti della causa;
relatore nell'udienza pubblica del giorno 3 marzo 2015 il Cons. Vincenzo Lopilato e uditi per le parti gli avvocati Giancarlo Mancini e Rosalda Rocchi.

FATTO e DIRITTO
1.– Roma Capitale, Municipio Roma Centro Storico, con determinazione dirigenziale 12 maggio 2014, prot. n. 63980, ha disposto nei confronti di Società Profumi e Sapori s.r.l. (d’ora innanzi anche solo società) la immediata rimozione dell’occupazione di suolo pubblico antistante l’attività commerciale da essa svolta, il ripristino dello stato dei luoghi e la chiusura dell’esercizio per un periodo di cinque giorni e, comunque, fino al completo ripristino dello stato dei luoghi.
2.– La società ha impugnato tale determinazione innanzi al Tribunale amministrativo regionale del Lazio, Roma, per i motivi riproposti in sede di appello e riportati nei successivi punti.
3. – Il Tribunale amministrativo, con sentenza 8 luglio 2014 n. 7257, ha rigettato il ricorso.
4.– La società ha proposto appello, con richiesta di sospensione dell’efficacia della sentenza impugnata.
4.1.– Si è costituito in giudizio il Comune di Roma chiedendo il rigetto dell’appello.
4.2.– La Sezione, con ordinanza 27 agosto 2014, n. 3882, ha accolto la domanda cautelare nella sola parte in cui si chiedeva la sospensione dell’atto irrogativo della sanzione relativa alla chiusura dell’attività economica.
5.– La causa è stata decisa all’esito dell’udienza pubblica del 3 marzo 2015.
6.– L’appello è infondato.
7.– In via preliminare occorre riportare la normativa e gli atti amministrativi rilevanti.
L’art. 3, comma 16, della legge 15 luglio 2009, n. 94 (Disposizioni in materia di sicurezza pubblica) dispone che «fatti salvi i provvedimenti dell’autorità per motivi di ordine pubblico, nei casi di indebita occupazione di suolo pubblico» previsti dall’articolo 633 del codice penale e dall’articolo 20 del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada) «il sindaco, per le strade urbane, e il prefetto, per quelle extraurbane o, quando ricorrono motivi di sicurezza pubblica, per ogni luogo, possono ordinare l’immediato ripristino dello stato dei luoghi a spese degli occupanti e, se si tratta di occupazione a fine di commercio, la chiusura dell’esercizio fino al pieno adempimento dell’ordine e del pagamento delle spese o della prestazione di idonea garanzia e, comunque, per un periodo non inferiore a cinque giorni».
Il richiamato art. 20 del d.lgs. n. 285 del 1992 dispone, al comma 4, che chiunque occupa abusivamente il suolo stradale, ovvero, avendo ottenuto la concessione, non ottempera alle relative prescrizioni, è soggetto alla sanzione amministrativa del pagamento di una somma da euro 168 ad euro 674 e, al quinto comma, che tale violazione importa la sanzione amministrativa accessoria dell’obbligo per l’autore della violazione stessa di rimuovere le opere abusive a proprie spese.
Il Sindaco di Roma Capitale, con ordinanza 27 novembre 2012, n. 258, ha disposto che i dirigenti dei competenti uffici dell’amministrazione, nei casi di occupazione di suolo pubblico totalmente abusiva effettuata, per fini di commercio, su strade urbane ricadenti nel territorio capitolino, delimitato dal perimetro del sito Unesco, avrebbero dovuto applicare le norme previste dalle disposizioni sopra riportate.
In particolare, nell’ordinanza si afferma quanto segue:
- «il crescente fenomeno di occupazione abusiva di suolo pubblico, da parte di titolari di esercizi commerciali, ampiamente registrato dagli organi di comunicazione ed oggetto di persistenti segnalazioni da parte della comunità cittadina, testimonia la necessità di dar corso ad una nuova valutazione generale dell’equilibrio tra l’interesse pubblico di massima fruizione del territorio, da un lato, e l’interesse pubblico di tutela del patrimonio, dall’altro»;
- «la sanzione della chiusura del pubblico esercizio si rivela quale misura accessoria alla violazione dell’art. 20 del Codice della Strada che già prevedeva l’obbligo della rimozione delle opere e, quindi, rientrante nell’ordinaria attività di vigilanza e controllo da parte della Polizia Municipale e dei competenti Uffici»;
- «il Sindaco intende avvalersi del potere previsto dall’art. 3, comma 16, della legge n. 94 del 2009, per sanzionare le occupazioni totalmente abusive di suolo pubblico, per fini di commercio, ricadenti nelle strade urbane del territorio capitolino delimitato dal perimetro del sito Unesco».
Il dirigente, con atto 12 maggio 2014, prot. n. 63980, ha rilevato che il I Gruppo di Polizia Locale di Roma Capitale, ha accertato che la società «occupava il suolo pubblico in piazza San Salvatore in Lauro con tavoli, sedie, poltroncine, n. 4 ombrelloni raccordati tra di loro con teli e sorretti da una barra metallica trasversale ancorata a due sostegni laterali, il tutto delimitato da fioriere con piante a dimora, per una superficie complessiva di 140,00 mq senza essere in possesso della relativa concessione». Sulla base di tale accertamento è stata irrogata la sanzione della rimozione dell’occupazione abusiva e della chiusura dell’esercizio per un periodo di cinque giorni e, comunque, fino al completo ripristino dello stato dei luoghi.
8.– L’appellante, con un primo motivo, assume che gli atti impugnati sarebbero illegittimi in quanto l’art. 3, comma 16, della legge n. 94 del 2009 prevede un potere discrezionale e non vincolato. Nella specie, si rileva, mancherebbe qualunque valutazione calibrata, all’esito di adeguata istruttoria, sul caso concreto, con violazione anche del principio di proporzionalità. A tale ultimo proposito, si sottolinea come dalla visione degli atti dei procedimenti posti in essere dall’amministrazione risulterebbe che la medesima sanzione è stata applicata indistintamente «nel caso in cui siano stati occupati abusivamente cinque ovvero 100 metri quadrati».
Il motivo non è fondato.
La norma attributiva del potere conferisce al sindaco una facoltà discrezionale di chiusura dell’attività commerciale per un termine non inferiore a cinque giorni.
Nella specie, il Sindaco di Roma, in assenza di vincoli normativi in ordine alle modalità di esercizio del potere discrezionale, lo ha legittimamente esercitato, all’esito di una complessiva comparazione degli interessi rilevanti, mediante l’adozione di un atto di natura generale. In particolare, si è ritenuto che, per le ragioni indicate nell’atto, in tutti i casi in cui fosse stata accertata l’occupazione abusiva di suolo pubblico, in determinate zone storiche della città di Roma, sarebbe stato necessario applicare anche la sanzione della chiusura dell’attività commerciale. La particolare situazione in cui versavano ampie zone della parte storica ha, pertanto, giustificato l’adozione di un provvedimento di valenza generale con il quale si è disposta l’applicazione delle sanzioni previste.
Né varrebbe rilevare che sarebbero stati violati i principi generali che impongono il rispetto dell’obbligo di motivazione, istruttoria e proporzionalità.
In relazione alla motivazione, dalla lettura dell’ordinanza del sindaco emerge chiaramente la ragione di tutela del territorio comunale che ha giustificato l’applicazione della sanzione.
In relazione all’istruttoria, la decisione è stata assunta all’esito di una accertamento complessivo dello stato dei luoghi quale risultante dalle segnalazione degli stessi cittadini e dai mezzi di informazione, che imponeva un intervento celere ed efficace di tipo generale.
In relazione alla proporzionalità, la sanzione è stata applicata nella misura minima, con la conseguenza che la società non potrebbe dolersi, per mancanza di interesse, del fatto che in presenza di infrazioni più gravi l’amministrazione abbia applicato la medesima sanzione (cfr. sentenze 3 febbraio 2015, n. 501 e 14 ottobre 2014, n. 5066 di questa Sezione).
9.– Con un secondo e terzo motivo si deduce, da un lato, la violazione dei principi che stanno alla base della liberalizzazione delle attività economiche, i quali consentirebbero la chiusura di un esercizio commerciale soltanto in casi eccezionali tassativamente previsti e previa puntuale motivazione, dall’altro, l’esigenza di interpretare in modo rigoroso la norma, subordinando la sua applicazione alla sussistenza di «un grave problema per la sicurezza pubblica».
Il motivo non è fondato.
La tutela costituzionale dell’iniziativa economica, come è noto, incontra il limite dell’utilità sociale (art. 41 Cost.). Nella specie il legislatore, nell’esercizio non irragionevole della sua discrezionalità, ha ritenuto che lo svolgimento di tali attività commerciali in maniera non conforme alle regole di disciplina della materia e in particolare di uso del territorio cittadino giustifica l’applicazione della sanzione della chiusura, per un periodo di tempo limitato, del relativo esercizio commerciale. La sussistenza di ragioni di sicurezza pubblica è richiesta soltanto nel caso in cui il potere deve essere esercitato al di fuori degli ambiti territoriali specificamente individuati.
L’amministrazione, per le ragioni esposte, ha fatto corretta applicazione delle suddette regole normative.
10.– Con un secondo motivo si assume che il sindaco avrebbe esercitato il potere in mancanza dei requisiti della contingibilità ed urgenza che devono immancabilmente essere presenti perché le ordinanze possano ritenersi legittime.
Il motivo non è fondato.
L’art. 54, comma 4, del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 (Testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali) prevede che: «Il sindaco, quale ufficiale del Governo, adotta con atto motivato provvedimenti, anche contingibili e urgenti nel rispetto dei princìpi generali dell’ordinamento, al fine di prevenire e di eliminare gravi pericoli che minacciano l'incolumità pubblica e la sicurezza urbana».
La Corte costituzionale, con sentenza 7 aprile 2011, n. 115, ha dichiarato l’illegittimità di tale norma nella parte in cui consentiva al sindaco di adottare «ordinanze sindacali di ordinaria amministrazione» senza la predeterminazione di contenuto e modalità, con conseguente violazione del principio di legalità sostanziale. Nel caso delle «ordinanze sindacali di straordinaria amministrazione», invece, l’urgenza del provvedere giustifica la deroga al suddetto principio di legalità.
Ne consegue che è conforme a Costituzione la previsione normativa attributiva di un potere sindacale ordinario che contenga sia il fine pubblico da raggiungere (cosiddetta legalità-indirizzo) sia contenuto e modalità di esercizio del potere (cosiddetta legalità-garanzia).
Nella specie, l’art. 3, comma 16, della legge n. 94 del 2009, come risulta dall’analisi delle prescrizioni in esso contenute, rispetta entrambe le declinazioni del principio di legalità.
In questi casi, pertanto, il sindaco può esercitare il potere di ordinaria amministrazione anche in assenza del requisito della necessità ed urgenza.
11.– Con un terzo motivo e quarto motivo, si assume l’illegittimità degli atti impugnati in quanto, da un lato, il potere avrebbe dovuto essere esercitato dal Sindaco e non dal Dirigente, dall’altro, avrebbe dovuto essere preceduto dalla comunicazione di avvio del procedimento.
I motivi non sono fondati.
Il potere discrezionale, previsto dalla norma, è stato esercitato dal Sindaco. I successivi atti hanno valenza meramente esecutiva di un ordine puntuale adottato dall’organo competente.
La natura vincolata del potere di repressione esercitato in sede di attuazione dell’ordinanza giustifica l’omessa comunicazione dell’avvio del procedimento, in quanto, ai sensi dell’art. 21-octies della legge n. 241 del 1990, la eventuale partecipazione della società al procedimento non sarebbe stata comunque in grado di incidere sul contenuto sostanziale della determinazione finale assunta (in questo senso sentenza n. 501 del 2015, cit.).
12.– La parte appellante è condannata al pagamento, in favore dell’amministrazione resistente, delle spese del presente grado di giudizio che si determinano in euro 2.000,00 (duemila), oltre accessori.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato, in sede giurisdizionale, Sezione Quinta, definitivamente pronunciando:
a) rigetta l’appello proposto con il ricorso indicato in epigrafe;
b) condanna parte appellante al pagamento, in favore dell’amministrazione resistente, delle spese del presente grado di giudizio che si determinano in euro 2.000,00 (duemila), oltre accessori.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 3 marzo 2015 con l'intervento dei magistrati:
Mario Luigi Torsello, Presidente
Antonio Amicuzzi, Consigliere
Doris Durante, Consigliere
Vincenzo Lopilato, Consigliere, Estensore
Fabio Franconiero, Consigliere


L'ESTENSORE IL PRESIDENTE





DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 27/03/2015
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)

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N. 06499/2016 REG.PROV.COLL.

N. 01956/2016 REG.RIC.

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REPUBBLICA ITALIANA


IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Seconda Ter)

ha pronunciato la presente
SENTENZA

ex art. 60 cod. proc. amm.;
sul ricorso numero di registro generale 1956 del 2016, proposto da:
Società Campo De Fiori Cocktail Bar Srl, rappresentata e difesa dagli avv. Riccardo Sperti, Stefano Pichierri, con domicilio eletto presso Stefano Pichierri in Roma, Via Carlo Alberto Racchia,2;
contro
Roma Capitale - Municipio I, rappresentata e difesa dall'avv. Alessandro Rizzo, domiciliata in Roma, Via Tempio di Giove, 21;
per l'annullamento
della determinazione dirigenziale del 10.02.2016 con la quale è stata ordinata la chiusura del locale sito in Piazza della Cancelleria 65-66 per occupazione del suolo pubblico in assenza della relativa concessione.

Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Roma Capitale;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nella camera di consiglio del giorno 8 marzo 2016 il cons. Giuseppe Rotondo e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Sentite le stesse parti ai sensi dell'art. 60 cod. proc. amm.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO
1. Con il ricorso in epigrafe, la società CAMPO DE’ FIORI COCKTAIL BAR s.r.l. ha chiesto l’annullamento della Determinazione dirigenziale rep. n. CA/271/2016, del 10/2/2016, prot. CA/22596 del 10/2/2016 con la quale Roma Capitale le ha ordinato la rimozione dell’occupazione abusiva di suolo pubblico antistante l'esercizio sito in Roma, Piazza della Cancelleria n. 65-66, per l’immediato ripristino dello stato dei luoghi, nonché la chiusura del predetto esercizio per un periodo pari a cinque giorni, quest’ultima da eseguire dal settimo giorno successivo a quello di notifica.
Il provvedimento è stato adottato sul presupposto accertamento di cui al verbale n. 14150016442 del 23/10/2015 che la Polizia Locale ha elevato ai sensi dell’art. 20 C.d.S. per occupazione di “suolo pubblico antistante il proprio esercizio, sul marciapiede, con una tenda a rullo a braccio retrattile sopra i sesti delle porte, tavoli, sedie e pannellature per mq 16,00 senza essere in possesso della relativa concessione”.
Si è costituita in giudizio Roma Capitale, che ha depositato memoria difensiva e documenti.
1.1. Il ricorso è articolato in varie doglianze di natura formale (omesso avviso di avvio del procedimento, difetto di motivazione) e sostanziale (violazione dei principi di ragionevolezza, proporzionalità ed adeguatezza dell’azione amministrativa).
1.2. Alla Camera di consiglio dell’ 8 marzo 2016 la causa, chiamata per l’esame della domanda cautelare, è stata trattenuta in decisione per essere decisa nel merito con sentenza in forma semplificata, ai sensi dell’art. 60 del c.p.a., previe le ammonizioni di rito alle parti presenti in camera di consiglio circa la completezza e regolarità del contraddittorio e dell’istruttoria.
2. Il ricorso è infondato per le ragioni di seguito indicate.
2.1 La vicenda sottoposta all’esame del Collegio ripropone questioni che la Sezione ha ampiamente trattato e decise con pronunzie costanti di rigetto.
Il Collegio non ravvede motivi per cui discostarsi dai propri precedenti specifici, ai quali si riporta per relationem confermandone contenuto, motivazioni e conclusioni.
L’occupazione posta in essere dalla società ricorrente è priva di titolo di concessione concretandosi, pertanto, in una tipologia di occupazione “totalmente abusiva”.
2.2. Le censure dedotte, ancorché diversamente articolate, ricalcano sostanzialmente profili giuridici già sottoposti all’esame della Sezione, che hanno trovato costante pronunciamento di rigetto (vedi da ultimo sent. n. 2245/2015, nonché ex multis sentenze nn. 7931 e 7949 del 13 agosto 2013 e n. 1055/2015).
Con riguardo specifico alle occupazioni di suolo pubblico in Piazza della Cancelleria ed al contrasto delle stesse con il P.M.O., il Collegio richiama le sentenze della Sezione n. 7943/2013 e n. 7939/2013.
Più in generale, come seguono le considerazioni in punto di diritto.
Le precedenti decisioni della Sezione, sopra citate, muovono dalla ricognizione del relativo quadro normativo primario di riferimento (art. 20 del d.lgs. 30 aprile 1992, n. 285 – Codice della Strada; art. 3, comma 16, della legge 15 luglio 2009, n. 94), la cui combinata lettura impone di ribadire come possa essere comminata la sanzione della chiusura dell’esercizio (fino all’adempimento dell’ordine ripristinatorio e, comunque, per un periodo non inferiore a giorni cinque) per i casi di “indebita occupazione di suolo pubblico previsti … dall’articolo 20 del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285”.
La misura interdittiva è, dunque, legittimamente applicabile a fronte delle violazioni consumate dall’occupazione di suolo pubblico totalmente “abusiva” (in assenza di titolo).
Nel caso in esame, – come in punto di fatto non contestato dall’odierna ricorrente – l’occupazione risulta posta in essere in difetto di titolo concessorio alcuno, cosicché essa è totalmente abusiva.
Più in generale, ed a confutazione delle doglianze di parte ricorrente in ordine alla asserita illegittimità degli atti presupposti al potere esercitato, il Collegio ribadisce, non ravvisando motivi per cui discostarsi dai costanti pronunciamenti, dunque in coerenza con i precedenti della Sezione, che il potere attribuito al Sindaco per le strade urbane ai sensi dell’art. 3, comma 16, della legge n. 94 del 2009, è indubbiamente un potere discrezionale e tale potere è stato esercitato dall’Autorità in via generale e preventiva, disponendo con tale Ordinanza n. 258 specifiche indicazioni, impartite ai Dirigenti dei competenti Uffici dell’Amministrazione capitolina, in ragione delle quali, nei casi di occupazione di suolo pubblico totalmente abusiva effettuata, per fini di commercio, su strade urbane ricadenti nel territorio capitolino, delimitato dal perimetro del sito Unesco, devono applicarsi le disposizioni previste dall’art. 20 del codice della strada e all’art. 3, comma 16, della legge n. 94 del 2009, con decorrenza dell’esecutività del provvedimento di chiusura dal settimo giorno successivo a quello della notifica.
L’art. 20 del d.lgs. n. 285 del 1992 prevede che chiunque occupa abusivamente il suolo stradale, ovvero, avendo ottenuto la concessione, non ottempera alle relative prescrizioni, è soggetto alla sanzione amministrativa del pagamento di una somma da euro 168 ad euro 674 (comma 4) e che tale violazione importa la sanzione amministrativa accessoria dell’obbligo per l’autore della violazione stessa di rimuovere le opere abusive a proprie spese; ai sensi dell’art. 3, comma 16, l. n. 94 del 2009 (comma 5); inoltre, fatti salvi i provvedimenti dell’Autorità per motivi di ordine pubblico, nei casi di indebita occupazione di suolo pubblico previsti dall’art. 633 c.p.p. e dall’art. 20 d.lgs. n. 285 del 1992, il Sindaco, per le strade urbane, può ordinare l’immediato ripristino dello stato dei luoghi a spese degli occupanti e, se si tratta di occupazione a fine di commercio, la chiusura dell’esercizio fino al pieno adempimento dell’ordine e del pagamento delle spese o della prestazione di idonea garanzia e, comunque, per un periodo non inferiore a cinque giorni.
L’Ordinanza sindacale n. 258 del 2012 costituisce, pertanto, applicazione della disposizione di cui all’art. 3, comma 16, della legge n. 94 del 2009 che ha attribuito al Sindaco uno specifico potere sanzionatorio, di natura dissuasiva, in via ordinaria ed a prescindere da situazioni contingibili ed urgenti, per le quali invece soccorre la previsione di cui all’art. 54 del d. lgs. n. 267 del 2000 (T.U. Enti locali).
Come è noto, infatti, ai fini dell'ordinanza sindacale emanata dal Sindaco ai sensi del predetto art. 54, i requisiti di necessità ed urgenza cui si riferisce la norma sono intesi nel senso che il provvedimento extra ordinem si deve necessariamente fondare su una eccezionale situazione di pericolo, tale da non potere essere fronteggiata se non con interventi immediati ed indilazionabili, non rientranti tra gli ordinari mezzi previsti dall'ordinamento giuridico (cfr. Cons. Stato, Sez. V, 3 giugno 2013, n. 3034; idem, 22 ottobre 2014, n. 5213).
Nel caso in esame, invece, ci troviamo di fronte all’esercizio di un potere espressamente regolamentato dalla legge per ipotesi assolutamente prevedibili, che non hanno né i connotati dell’urgenza né della eccezionalità.
Né tale attribuzione può ritenersi violativa di norme costituzionali in quanto non è enucleabile dal sistema un principio di carattere assoluto che escluda l’attribuzione di un potere ai Sindaci a prescindere dalle ipotesi di contingibilità ed urgenza (cfr. TAR Lazio, Roma, sez. II ter, n. 2573/2014).
2.3. Più in generale – e per completezza espositiva sulla vicenda che occupa - la Sezione ha chiarito che tutta la disciplina concernente l’occupazione del suolo pubblico è posta certamente anche a presidio della sicurezza pubblica, sia sotto il profilo della circolazione pedonale che veicolare, tanto è vero che la rubrica dell’art. 3, della legge n. 94 del 2009 è appunto “Sicurezza pubblica”, tuttavia la lettera del comma 16 dell’art. 3 della legge n. 94 del 2009 non consente di ritenere che una valutazione in concreto circa la sussistenza di pericoli per la sicurezza pubblica debba essere effettuata ogni qualvolta la condotta di occupazione di suolo pubblico abusiva venga sanzionata o che essa costituisca il presupposto per l’esercizio di volta in volta del potere sanzionatorio.
Recita infatti il citato comma 16: “Fatti salvi i provvedimenti dell’autorità per motivi di ordine pubblico, nei casi di indebita occupazione di suolo pubblico previsti dall’articolo 633 del codice penale e dall’ articolo 20 del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 , e successive modificazioni, il sindaco, per le strade urbane, e il prefetto, per quelle extraurbane o, quando ricorrono motivi di sicurezza pubblica, per ogni luogo, possono ordinare l’immediato ripristino dello stato dei luoghi a spese degli occupanti e, se si tratta di occupazione a fine di commercio, la chiusura dell’esercizio fino al pieno adempimento dell’ordine e del pagamento delle spese o della prestazione di idonea garanzia e, comunque, per un periodo non inferiore a cinque giorni”.
Appare chiaro dalla lettera della norma che il presupposto unico per l’esercizio del potere di disporre l’immediato ripristino dello stato dei luoghi e la chiusura dell’esercizio commerciale è la indebita occupazione di suolo pubblico.
Il riferimento alla sicurezza pubblica è espressamente compiuto dall’articolo in esame solo al fine di individuare la competenza del sindaco o del prefetto ad esercitare detto potere. Infatti, essa indica come organo competente “il sindaco, per le strade urbane, e il prefetto, per quelle extraurbane o, quando ricorrono motivi di sicurezza pubblica, per ogni luogo, (…)”, con ciò semplicemente volendo estendere, in caso di specifici motivi di sicurezza pubblica, la competenza del prefetto ad ogni luogo e, dunque, anche nel caso in cui non si tratti di strade extraurbane.
Tale tesi è confermata dal comma 17 dello stesso articolo, il quale dispone che “Le disposizioni di cui al comma 16 si applicano anche nel caso in cui l’esercente ometta di adempiere agli obblighi inerenti alla pulizia e al decoro degli spazi pubblici antistanti l’esercizio.” Appare infatti evidente che la violazione degli obblighi attinenti al decoro e alla pulizia degli spazi pubblici non possa ritenersi in alcun modo connesso a specifiche esigenze di sicurezza pubblica di circolazione veicolare o pedonale.
2.4. La previsione di un tale potere in capo al Sindaco per le strade urbane non pare, pertanto, in contrasto con i dettami costituzionali.
Come chiarito, infatti, in varie precedenti pronunce, non è enucleabile dal sistema un principio di carattere assoluto che escluda a livello costituzionale l’attribuzione di un potere ai Sindaci a prescindere dalle ipotesi di contingibilità ed urgenza (cfr. TAR Lazio, Roma, sez.II ter, n. 2573/2014).
La Sezione ha precisato, inoltre, che la sanzione ripristinatoria risponde all’esigenza di garantire il rispetto delle norme sulla occupazione di suolo pubblico, sanzionando l’indebita ed abusiva occupazione ad evidenti fini dissuasivi.
Una tale esigenza risponde anche a finalità di sicurezza pubblica in generale: finalità che tutta la disciplina delle occupazioni di suolo pubblico sicuramente persegue, anche se in modo non esclusivo (tanto è vero che il rilascio della o.s.p. è sempre subordinato ad una valutazione di questi profili).
Ciò, tuttavia, non significa che occorra che vi sia in concreto un pericolo imminente per la sicurezza stradale al fine di giustificare l’esercizio dei poteri sanzionatori, i quali semplicemente si accompagnano alla sanzione penale e a quella prevista dal Codice della strada.
Tali considerazioni fanno ragione sulla compatibilità del sistema normativo interno con i principi comunitari in tema di liberalizzazioni economiche, come più volte ha ribadito sul punto la giurisprudenza amministrativa.
3. La Sezione – nell’affrontare la tematica delle occupazioni di suolo pubblico nel territorio di Roma Capitale e, segnatamente, nel Centro Storico - si è fatta carico anche di affrontare la tematica relativa alla espansione del potere attribuito al Sindaco dall’art. 3, comma 16, della legge n. 94 del 2009 in ordine alla subdelega conferibile ai Dirigenti comunali.
Sul punto, essa ha osservato che l’Ordinanza sindacale n. 258 del 2012 disciplina in via generale e preventiva lo specifico potere sanzionatorio, di natura discrezionale, attribuito, per le strade urbane, al Sindaco dalla predetta norma (art. 3, comma 16), individuando le specifiche condizioni per il suo esercizio e impartendo specifiche indicazioni ai Dirigenti dei competenti Uffici dell’Amministrazione capitolina.
D’altra parte, che l’Autorità competente abbia voluto prevedere per le occupazioni di suolo pubblico totalmente abusive la più incisiva sanzione della chiusura temporanea, sia pure nella misura minima, emerge in modo chiaro dalla motivazione dell’Ordinanza in cui è, tra l’altro, indicato come “il crescente fenomeno di occupazione abusiva di suolo pubblico, da parte di titolari di esercizi commerciali, ampiamente registrato dagli organi di comunicazione ed oggetto di persistenti segnalazioni da parte della comunità cittadina, testimonia la necessità di dar corso ad una nuova valutazione generale dell’equilibrio tra l’interesse pubblico di massima fruizione del territorio, da un lato, e l’interesse pubblico di tutela del patrimonio, dall’altro” nonché dal successivo snodo della stessa in cui è indicato che “la sanzione della chiusura del pubblico esercizio si rivela quale misura accessoria alla violazione dell’art. 20 del Codice della Strada che già prevedeva l’obbligo della rimozione delle opere e, quindi, rientrante nell’ordinaria attività di vigilanza e controllo da parte della Polizia Municipale e dei competenti Uffici; … il Sindaco intende avvalersi del potere previsto dall’art. 3, comma 16 della legge 94/2009, per sanzionare le occupazioni totalmente abusive di suolo pubblico, per fini di commercio, ricadenti nelle strade urbane del territorio capitolino delimitato dal perimetro del sito Unesco”.
Ne consegue, che il potere discrezionale attribuito al Sindaco dalla norma in esame è stato in concreto esercitato con una ragionevole valutazione “a monte” di carattere generale, coerente con le specifiche finalità di protezione di cui alla legge n. 94 del 2009 applicate in concreto, perché si è inteso perseguire – in maniera strutturata – un fenomeno di degrado avente dimensioni collettive e radicate nel contesto ambientale, assicurando in tal modo tutela alle strade urbane ricadenti nel perimetro del sito Unesco.
Si tratta di una scelta assolutamente legittima giacché non sussistono impedimenti di tipo giuridico o funzionale a che un organo della P.A. titolare di un potere discrezionale, decida di esercitarlo per il tramite di un atto a contenuto generale che ne fissi contenuti e presupposti e che ne demandi l’esecuzione (che, in presenza dei presupposti previsti, diventa attività vincolata) agli uffici dipendenti, anche avendo riguardo alla circostanza che in tale maniera viene assicurata uniformità di trattamento e prevedibilità di conseguenze per la trasgressione del precetto, a tutto vantaggio della trasparenza e dell’efficacia dell’azione amministrativa.
Non trattandosi, per quando si è detto sopra, di poteri extra ordinem non vi è inoltre nessuna preclusione all’esercizio in queste forme del potere attributo al Sindaco dalla norma.
Anche per le ragioni dianzi esposte, si riscontra la compatibilità del sistema normativo interno con la matrice di origine comunitaria.
4. Le considerazioni che precedono fanno ragione, dunque, su tutte le censure, attesa anche la natura vincolata del potere esercitato che rende irrilevante ogni doglianza di carattere formale e/o procedimentale dedotta in ricorso (art. 21 octies,L. n. 241 del 1990).
L’Ordinanza sindacale n. 258 del 2012, in vigenza della quale è stata accertata e perseguita l’infrazione (da cui, l’infondatezza di ogni rilievo attinente l’asserita inefficacia giuridica e/o nullità dei provvedimenti presupposti) ha dettato, infatti, stringenti indicazioni per i Dirigenti competenti per cui il potere del soggetto che adotta il provvedimento sanzionatorio risulta totalmente vincolato dalle determinazioni stabilite dal Sindaco in via generale con tale Ordinanza (cfr. su tutto quanto sin qui richiamato, TAR Lazio, Roma, II ter, 13 agosto 2013, n. 7931).
Va soggiunto, che l’occupazione di suolo pubblico si connota come abusiva - ai sensi e per gli effetti del Regolamento Cosap e della normativa richiamata nel provvedimento impugnato - in ragione della sua qualificazione di carattere ontologico/funzionale; per cui, ciò che rileva ai fini del riscontro di (il)legittimità è la mera occupazione materiale, sine titulo, del suolo pubblico (elemento ontologico), posta in essere al fine di assolvere esigenze strumentali all’attività commerciale (elemento teleologico).
5.Sulla base delle considerazioni che precedono, unitamente alla copiosa giurisprudenza della Sezione che qui si intende richiamata ad integrazione della motivazione, il ricorso è infondato e va, perciò, respinto.
Le spese di giudizio, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza e sono poste in favore di Roma Capitale.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Seconda Ter) definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Condanna la società ricorrente al pagamento delle spese di giudizio che si liquidano in euro 1.000,00 (mille) oltre accessori di legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 8 marzo 2016 con l'intervento dei magistrati:
Giuseppe Rotondo, Presidente FF, Estensore
Mariangela Caminiti, Consigliere
Maria Laura Maddalena, Consigliere


IL PRESIDENTE, ESTENSORE





DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 06/06/2016
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)


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Data: 2016-08-04 13:33:47

Re:suolo pubblico e ordinanza

Qualora il trasgressore avesse a suo carico più violazioni per occupazione abusiva (7) verbali, dovrebbe pagarli tutti prima di dirsi ottemperata l'ordinanza di chiusura? Qui si è deciso di chiudere a 10 giorni dopo due verbali di osp abusiva, per cui l'ordinanza richiama gli ultimi due.

riferimento id:35512

Data: 2016-08-04 13:48:23

Re:suolo pubblico e ordinanza


Qualora il trasgressore avesse a suo carico più violazioni per occupazione abusiva (7) verbali, dovrebbe pagarli tutti prima di dirsi ottemperata l'ordinanza di chiusura? Qui si è deciso di chiudere a 10 giorni dopo due verbali di osp abusiva, per cui l'ordinanza richiama gli ultimi due.
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Il provvedimento introdotto nella L. 94/2009 è una SANZIONE ACCESSORIA e come tale opera NON in presenza di verbali di contestazione, ma di TITOLI ESECUTIVI (per il codice della strada, come in questo caso, il titolo diviene esecutivo per il decorso del termine di impugnativa).
La sanzione accessoria va applicata secondo i criteri dell'art. 11 L. 689/1981 e quindi assumono rilievo anche le numerose violazioni del soggetto.
Direi che in presenza di 7 illeciti si può anche arrivare a molti più giorni dei 10 previsti .... la valutazione è discrezionale e deve essere equa e proporzionata alla violazione (conta anche l'entità dell'occupazione abusiva e le caratteristiche).

riferimento id:35512

Data: 2016-10-27 07:06:46

Re:suolo pubblico e ordinanza

SUOLO PUBBLICO ABUSIVO - se rimosso non c'è sanzione accessoria

T.A.R. Campania Napoli, Sez. III, 23 settembre 2016 n. 4391

Ciò comporta che, qualora non vi sia alcuna esigenza di reintegrare lo stato dei luoghi precedente, viene a mancare il parametro stesso di riferimento cui è connesso l’ordine di chiusura.
In altri termini, se lo stato dei luoghi è già ripristinato, un ordine di ripristino è palesemente privo di oggetto e della sua ragion d’essere e quindi l’atto risulta nullo per difetto di un elemento essenziale, ex art. 21-sepries della legge n. 241 del 1990 (cfr. TAR Campania, sez. VII, 25/5/2015, n. 2882), per cui rimane corrispondentemente preclusa la possibilità di ordinare la chiusura per un ripristino che è stato già attuato fin dall’epoca dell’accertamento dell’abusiva occupazione.

http://buff.ly/2eOHjwO

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