LA DISCREZIONALITA’AMMINISTRATIVA.
UN PO’ DI STORIA DELLA DISCREZIONALITA’ AMMINISTRATIVA .
Le prime acquisizioni in tema di discrezionalità amministrativa si devono alla elaborazione della scienza del diritto amministrativo in Francia.
E’ in questo paese che prende avvio la teorizzazione sul cd acte discretionnaire per individuare un atto totalmente sottratto al controllo del giudice e, conseguentemente , impenetrabile al suo sindacato.
L’insindacabilità dell’atto discrezionale costituisce, fin dalle prime battute , il portato della divisione dei poteri la quale trova rigida applicazione ai primordi , proprio per scongiurare il rischio di una invasione di campo esiziale per la sopravvivenza di democrazie in crescita.
Ed è sempre in Francia che la giurisprudenza del Conseil d’Etat ha cominciato a scorgere nel detournement de pouvoir( sviamento di potere) un vizio tipico dell’atto amministrativo , capace di far scattare un primo controllo sull’esercizio del potere discrezionale.
Occorre anche riferire che, dal punto di vista della prospettiva storica, la discrezionalità della pubblica amministrazione è qualcosa di diverso dalla scelta arbitraria , la quale ha connotato lungamente l’esercizio del potere dei governanti nella storia.
Il potere arbitrario ha caratterizzato l’azione dei reggitori della cosa pubblica in determinate epoche storiche in cui si è ritenuto che , ad es, il sovrano- detentore di tutte le funzioni principali, ivi compresa quella di amministrare gli interessi dei sudditi -fosse del tutto svincolato dal rispetto della legge( legibus solutus).
Il tema della discrezionalità si colloca, quindi, non solo dall’angolo visuale della storia del diritto amministrativo, ma anche sotto il profilo delle categorie di teoria generale del diritto, nel contesto del rapporto tra la funzione amministrativa e la legge.
La legge costituisce, infatti, l’alveo naturale entro il quale le scelte della P.a. devono compiersi ed è , perciò, il quadro di riferimento nel cui contesto può essere concepito un potere amministrativo da esercitare nell’interesse dei consociati .
La discrezionalità amministrativa reclama un ruolo di primissimo piano in ogni studio di diritto amministrativo perché si tratta di una nozione di rilievo centrale per la nostra materia, dalla cui disamina si irradiano innumerevoli altri istituti di diritto sostanziale e processuale.
LA CENTRALITA’ DELLA NOZIONE DI DISCREZIONALITA’ AMMINISTRATIVA
La nozione di discrezionalità amministrativa è, come già posto in risalto, al centro del diritto amministrativo.
Essa è, in un certo senso, il cuore pulsante della materia : l’essenza del potere della pubblica amministrazione risiede, infatti, nella facoltà di prendere decisioni nei settori che sono oggetto di amministrazione attiva, cioè negli ambiti di cura concreta di interessi pubblici .
Ma il termine discrezionalità amministrativa nasconde una ambiguità di fondo che rischia di produrre un fraintendimento, non solo in ordine alla valenza semantica della parola , ma anche in merito al significato che si riconosce, più propriamente, alla nozione dal punto di vista squisitamente giuridico.
Il concetto serve , come è noto,a individuare l’ambito di scelta entro il quale si muove il potere amministrativo che costituisce espressione di capacità giuridica speciale della P.a.(Cerulli Irelli) .
Se si deve procedere alla espropriazione di un terreno per la realizzazione di un’opera di pubblico interesse per la collettività , la P.a. di settore è chiamata a compiere una scelta che costituisce esercizio di potere discrezionale.
Non si deve pensare, tuttavia, all’esercizio di un potere del tutto svincolato dal rispetto di ben precisi limiti.
Non è possibile, ad esempio, sacrificare un fondo di proprietà del privato in tutta la sua estensione quando per realizzare un’opera pubblica può essere sufficiente espropriarne solo una parte .
Ciò vuol dire che la discrezionalità può implicare un sacrificio delle ragioni del privato solo quando il sacrificio stesso è accettabile perché proporzionato all’obiettivo da raggiungere e quando rappresenta misura adeguata per conseguire l’obiettivo medesimo.
E’ opportuno chiarire che la discrezionalità amministrativa si manifesta nell’esercizio di una potestà e non solo di un potere tout court: solo così si coglie il profilo della doverosità nell’esercizio dei compiti della P.a.: si parla di potestà proprio perché il potere è attribuito alla P.a. non già per il soddisfacimento di un interesse che ad essa fa capo, ma per conseguire interessi , per così dire, altrui, della collettività nel suo insieme.
La P.a. è tenuta, in questa prospettiva, (e non può mai sottrarsi) alla esecuzione delle sue attribuzioni atteso che essa esercita le sue prerogative in una dimensione assai diversa dalla arbitrarietà del potere e dalla autonomia negoziale dei privati.
La discrezionalità amministrativa , infatti, pur risentendo inizialmente della relazione di contiguità con l’atto arbitrario, si colloca all’interno di un perimetro di azione tracciato essenzialmente dal legislatore .
Così, nell’esempio prima delineato , la potestà di espropriare il fondo del privato deve essere , prima di tutto , prevista espressamente dal legislatore.
Ciò significa che la P.a non può espropriare a suo piacimento un immobile , solo perché, ad es., vi sono rapporti conflittuali con il suo proprietario ; essa può mettere in moto un potere( meglio, una potestà) del genere solo quando e se si realizzano in concreto le condizioni che una norma di legge prevede per attivare la relativa potestà pubblicistica.
La potestà della P.a. di privare il proprietario di un fondo di sua pertinenza al fine di costruire un’opera di interesse generale è dunque senz’altro disciplinata dal legislatore , addirittura al massimo livello delle fonti normative , come accade con l’art.42 della Cost.
Ma anche il legislatore ordinario dedica alcuni importanti testi normativi per regolamentare il fenomeno o, meglio, per disciplinare la potestà cd ablatoria nel nostro ordinamento.
Va, per questa ragione, senz’altro indagato il rapporto sussistente tra discrezionalità e legge, autentica chiave di volta utile a svelare le connessioni più inesplorate tra categorie fondamentali della scienza giuridica.
DISCREZIONALITA’ E LEGGE
Non è facile stabilire fino in fondo cosa vuol dire esercitare un potere discrezionale.
La nozione si presta ad ambiguità, come si è già rilevato, perché, in un primo approccio all’argomento, essa rasenta il concetto di arbitrarietà.
Si parla, anche comunemente, di decisione riservata alla discrezionalità di qualcuno per alludere ad un’area di ampia libertà di provvedere.
Ciò fa pensare , con tutta evidenza, ad una sfera di potere incontrollato, svincolato da limiti, libero di estrinsecarsi fino al culmine dell’atto arbitrario.
In realtà, il potere si definisce discrezionale perché, pur rappresentando il raggio di azione libera della P.a ( ciò che la dottrina suole definire il merito della scelta amministrativa), esso si muove nell’ambito dei fini determinati dal legislatore, che ne individuano un limite teleologico.
Questo approccio alla nozione (ed insieme ad esso, il rapporto tra atto discrezionale e legge) è pienamente confermato dalla norma di apertura della legge sul procedimento amministrativo, a mente della quale “ l’attività amministrativa persegue i fini determinati dalla legge”( art 1 legge 7 agosto 1990, n,241).
Forte e chiaro appare, dunque , il messaggio del legislatore che ribadisce in maniera inoppugnabile il carattere strumentale o servente della attività amministrativa rispetto all’attività legislativa, nella architettura istituzionale dei poteri dello Stato.
E, tuttavia, occorre subito ricordare che i fini determinati dalla legge sono raggiunti secondo modalità che la P.a. si riserva di scegliere.
In questo atteggiarsi del potere è lecito, peraltro, cogliere la sfera di libertà dell’atto discrezionale, ossia il raggio di azione entro il quale , ( si può dire parafrasando i rapporti tra legge ordinaria e regolamento in ambito penale), la P.a. esercita la delega conferitale dal potere legislativo per il raggiungimento dei traguardi ( fini) di volta in volta ritenuti di interesse generale per i consociati.
Il rapporto sussistente tra potere legislativo e potere esecutivo/amministrativo può dunque essere decifrato alla stregua di una relazione tra potere delegante e potere delegato, il che chiarisce come mai il potere esecutivo è, non diversamente dal potere giudiziario , subordinato al rispetto della legge .
Ma la legge non serve solo a definire i fini al cui raggiungimento sono vocati organi e uffici amministrativi e, in una parola, è rivolto il potere discrezionale.
La legge è, in realtà, autentica fonte di legittimazione del potere amministrativo in generale, e del potere discrezionale in particolare.
Il rapporto tra potere discrezionale e legge è stato costruito, infatti, sulla base della cd norma attributiva del potere.
In altri termini, solo in presenza di una norma giuridica( di fonte legislativa) che riconosce e attribuisce un potere alla P.a , il potere stesso può essere esercitato legittimamente, perché al di fuori della legge esiste solo il puro arbitrio.
La intima connessione tra potere discrezionale e legge è ancor più rafforzata dal tramonto della teoria dei cd poteri impliciti( implied powers), dei quali la legislazione moderna sembra avere fatto giustizia .
Si è sostenuto a lungo, in proposito, che la potestà di provvedere contiene in sé la potestà di riesaminare l’atto in regime di autotutela.
E l’autotutela decisoria, almeno nelle sue manifestazioni essenziali della revoca e dell’annullamento dell’atto , non è mai stata disciplinata a livello normativo proprio perché si è ritenuto che essa fosse implicitamente riconosciuta a ogni pubblica amministrazione.
In un quadro come questo, la revoca e l’annullamento, tradizionali manifestazioni della potestà di riesaminare un atto precedentemente emanato, sono state sempre interpretate quali naturali propaggini del potere amministrativo di decidere una vicenda che non c’è alcun bisogno di attribuire espressamente alla P.a., ma che invece devono riconoscersi quali sue implicite prerogative.
C’è da chiedersi se questo approccio mantenga invariata la sua fondatezza ed attualità : esiste ancora uno spazio di azione per poteri impliciti una volta che il legislatore si è premurato di disciplinare compiutamente tutte le forme di autotutela decisoria ( vedi artt.21 quater e ss legge 241/90) ?
Entro quali limiti, ad es., la P.a. può procedere ad una soprassessoria procedimentale sine die?
Certo, bisogna osservare che se si è ritenuto di regolamentare così in dettaglio la potestà di autotutela, ciò significa che il legislatore ha inteso lanciare un monito alle P.a. al fine di arginarne il tentativo ripetuto di sconfinare gli ambiti suoi propri.
LA FUNZIONALIZZAZIONE DELLA SCELTA DISCREZIONALE: UN OBBLIGO DI RISULTATO
Proporsi il raggiungimento di determinati fini( prestabiliti dal legislatore) equivale, secondo una prospettiva coltivata da autorevoli giuristi (non solo in ambito pubblicistico), a funzionalizzare il potere, cioè a rendere il potere utile al raggiungimento di traguardi predeterminati in altra sede( politica).
L’idea della funzionalizzazione del potere o, più in generale, di un istituto giuridico non appartiene solo al campo del diritto pubblico : essa è impiegata largamente per spiegare come mai la proprietà privata, e cioè uno dei cardini della cultura civilistica italiana , possa essere, appunto, asservita ad una funzione sociale, come afferma l’art. 42 della Cost, la cui lettura conferma la tesi di una proprietà “funzionalizzata”
Con altre parole, la P.a. non ha il compito di scegliere gli obiettivi da raggiungere per migliorare le condizioni di vita di una collettività; essa sceglie, semmai, le modalità attraverso le quali quegli obiettivi debbono essere raggiunti.
Questa particolare configurazione del potere discrezionale e cioè l’essere, il potere medesimo, esercitato in vista del conseguimento di fini selezionati dal potere politico, ma secondo modalità che spetta alla P.a. individuare di volta in volta, esalta la visione secondo la quale la P.a., nello svolgimento dei suoi compiti, si accolla un autentico obbligo di risultato .
Si è detto che la discrezionalità costituisce uno spazio che il potere legislativo affida alla amministrazione al fine di perseguire gli obiettivi predeterminati in sede politica.
Occorre, allora, mettere in luce il concetto di riserva di amministrazione, perché l’attività amministrativa in generale ,e quella discrezionale in particolare, possono essere spiegate meglio con il ricorso alla nozione di riserva di amministrazione.
Per definire il concetto di riserva di amministrazione possiamo servirci della nozione di riserva di legge, elaborata dalla dottrina del diritto costituzionale.
Se la riserva di legge rappresenta un ambito in relazione al quale il potere di disciplina è accordato esclusivamente alla legge ordinaria ( o anche costituzionale, essendo presenti, nell’ordinamento, riserve di legge costituzionale) ), la riserva di amministrazione segna , dal canto suo, esattamente la sfera di intervento appositamente ritagliata al potere amministrativo per il suo dispiegarsi nella esecuzione dei compiti che gli vengo affidati istituzionalmente.
E’ noto che il potere politico individua i fini che lo Stato deve perseguire in un dato momento storico, e il potere legislativo provvede a costruire la cornice di riferimento entro la quale quei fini devono essere raggiunti.
Si comprende agevolmente, a tal punto, che il potere esecutivo / amministrativo ha il compito di dare attuazione ai fini selezionati dal potere politico , nel rispetto delle coordinate tracciate dal legislatore.
Ma l’obbligo della amministrazione di raggiungere determinati obiettivi individuati in sede politica si risolve , in un certo senso, in un obbligo di risultato e non di mezzi, essendo costituito dalla attuazione dei fini di cui si è detto, a prescindere dalle modalità con le quali i fini stessi vengono perseguiti
Le modalità concrete attraverso le quali questo avviene costituiscono il naturale perimetro di azione della discrezionalità amministrativa, cioè delle scelte riservate alla P.a.
ALTRE FORME DI DISCREZIONALITA’: LA DISCREZIONALITA’ DEL LEGISLATORE E QUELLA DEL GIUDICE
La discrezionalità amministrativa si distingue dalla discrezionalità del legislatore e dalla discrezionalità del giudice.
Quando si parla di discrezionalità del legislatore si fa riferimento non solo alla facoltà del potere legislativo in senso proprio di disciplinare materie che la collettività reputa di interesse generale in un dato momento storico , a seconda della sensibilità che le maggioranze parlamentari sono in grado di esprimere nelle diverse epoche storiche, ma anche alla possibilità di introdurre trattamenti normativi differenziati nei riguardi di talune categorie di cittadini.
La discrezionalità del legislatore può comportare l’adozione di atti che si allontanano dal modello legale tipico di atto legislativo, connotato da generalità, astrattezza, e capacità innovativa dell’ordinamento: è così quando si emana una legge che ha in se tutti i tratti del provvedimento amministrativo, specie la capacità di provvedere su di un oggetto determinato ; o ancora quando si vara una legge fotografia, cioè ritagliata apposta su di un soggetto dell’ordinamento.
Si tratta di provvedimenti che presentano aspetti di patologia nell’esercizio della discrezionalità legislativa, e richiedono una valutazione di compatibilità con la Costituzione , specie in ordine al sistema delle tutele che può immaginarsi nei loro riguardi .
La discrezionalità del legislatore incontra un limite nel rispetto dei valori tutelati dalla Carta Costituzionale .
Il controllo di conformità delle scelte discrezionali del legislatore, cioè delle leggi in definitiva è affidato alla Corte Costituzionale , alta Corte di Giustizia che si premura di verificare la compatibilità della legge e degli altri atti aventi forza di legge alla Costituzione.
La discrezionalità del giudice penale si esercita , a ben guardare, nel momento cruciale di determinazione della pena da irrogare al reo.
I parametri della scelta discrezionale del giudice penale sono enunciati dall’art 132 e 133.
L’istituto in questione riposa sulla esigenza di dotare il giudice di uno strumento elastico per adeguare la sanzione da irrogare al reo alle mutevoli circostanze ( oggettive e soggettive) del caso concreto.
LA DISCREZIONALITA’ AMMINISTRATIVA AL CONFRONTO CON L’AUTONOMIA NEGOZIALE DEI PRIVATI.
Va esplorato il rapporto tra la discrezionalità amministrativa e l’autonomia negoziale dei privati, la quale ultima divide con la prima il fatto di rappresentare una sfera di potere nell’ambito delle relazioni interpersonali e finanche nei rapporti con il potere pubblico.
Mentre , però, la discrezionalità reca con sé la dimensione della doverosità dell’esercizio del potere, l’autonomia negoziale è del tutto libera nella sua esplicazione.
Ulteriore tratto comune alle due figure è senz’altro quello della sindacabilità del potere da parte del giudice naturale.
Divergono, però, i parametri alla luce dei quali avviene l’esplorazione dell’atto discrezionale e di quello negoziale.
Quest’ultimo riconosce nel controllo di meritevolezza dell’interesse perseguito con l’atto ,un importante baluardo di difesa dell’ordinamento da ergere nei confronti di una sfera di libertà del cittadino che deve pur sempre dirigersi verso la realizzazione di una finalità apprezzabile dal punto di vista sociale, giuridico, in definitiva, dell’ordinamento nel suo complesso.
Appare convincente, in questo ordine di idee, il richiamo al referente normativo di cui all’art.1322 c.c., a tenore del quale “ le parti possono anche concludere contratti che non appartengono ai tipi aventi una disciplina particolare, purchè siano diretti a realizzare interessi meritevoli di tutela secondo l’ordinamento giuridico “.
Ma anche il tema più generale della rifiutabilità di una promessa unilaterale si iscrive nel solco dell’ampio riconoscimento, in diritto civile, di un criterio che fa da sfondo a tutta l’autonomia negoziale e a quella contrattuale in specie, quello della meritevolezza dell’interesse.
DISCREZIONALITA’ IN SENSO STATICO
Gli autori che si sono occupati del tema della discrezionalità amministrativa pura e semplice hanno fornito definizioni importanti di questa fondamentale categoria giuridica della scienza del diritto amministrativo.
E’ assai nota la nozione di discrezionalità che ci è stata lasciata da Virga .
Secondo questo illustre giurista la discrezionalità amministrativa è la facoltà di scelta tra più comportamenti giuridicamente leciti per il perseguimento dell’interesse pubblico primario e per la realizzazione di un fine rispondente alla causa del potere esercitato.
Simile definizione ha il merito di avere evidenziato il concreto atteggiarsi della scelta discrezionale , osservata dal punto di vista della amministrazione che, in effetti, si trova sempre al cospetto di una gamma di opzioni operative.
Tuttavia, la definizione di Virga è stata integrata con gli studi di Giannini.
L’eminente autore ha posto in evidenza che la discrezionalità della Pubblica amministrazione costituisce attività attraverso la quale si effettua un bilanciamento di interessi antagonisti tra loro.
Certo, va detto che la peculiarità di siffatto bilanciamento di interessi va ricercata nel fatto che esso culmina doverosamente in una scelta atta a soddisfare sempre l’interesse pubblico primario.
In questo senso si suole affermare che la scelta discrezionale della P.a. è funzionalizzata per sottolineare che il potere discrezionale della P.a. si legittima solo se le decisioni assunte hanno di mira , di volta in volta, il raggiungimento dell’interesse pubblico primario
Se questo è vero in linea di principio, è, però, altrettanto innegabile che la P.a. non può pervenire ad una affermazione incondizionata e prevaricatrice dell’interesse pubblico primario .
Il primato di questo interesse, la sua affermazione passano attraverso la meditata considerazione di altri interessi in gioco , i quali reclamano un ruolo attivo nel procedimento e non possono essere ignorati a pena di illegittimità della scelta finale.
La nozione di discrezionalità elaborata da Giannini è pienamente recepita dalla legge 7 agosto 1990 n.241.
Con questo intervento normativo generale , il legislatore ha coniato l’istituto della partecipazione procedimentale del destinatario del provvedimento e di altri soggetti che possono risentire effetti pregiudizievoli dalla adozione di un provvedimento.
La partecipazione al procedimento assicura l’emersione degli interessi che si contrappongono alla piena realizzazione dell’ interesse pubblico primario ed è diretta a tracciare la cd mappa delle situazioni di interesse rilevanti nella singola vicenda procedimentale.
In una visione moderna dei rapporti tra potere pubblico e consociati , la discrezionalità diventa, per tal via, il terreno di confronto tra interessi antagonisti che vanno contemperati attraverso l’esercizio partecipato del potere.
L’esercizio partecipato del potere assurge a dignità di strumento giuridico per orientare la P.a. verso la miglior sintesi degli interessi in gioco, e cioè, in ultima analisi, verso la scelta discrezionale più equilibrata
LA DISCREZIONALITA’ IN SENSO DINAMICO: LA MOTIVAZIONE
L’esercizio della discrezionalità vive il momento topico nell’atto in cui il potere della p.a. prende forma e sostanza di decisione della vicenda procedimentale , il che avviene con l’adozione della scelta, della determinazione finale.
La determinazione finale , a sua volta, nel costituire l’aspetto dinamico del potere discrezionale deve essere , prima di tutto ,portata a conoscenza del destinatario e di quanti possano subire effetti in seguito alla sua emanazione .
In secondo luogo, occorre rendere note le ragioni che hanno indotto la P.a. a disciplinare la fattispecie concreta in un dato modo , attraverso l’esternazione dei presupposti di fatto e delle ragioni giuridiche della decisione, in rapporto ai risultati dell’istruttoria .
E’ così che il legislatore nostrano ha strutturato la motivazione, snodo nevralgico della vicenda procedimentale e strumento di verifica della legittimità dell’esercizio della discrezionalità amministrativa.
La motivazione costituisce , a pieno titolo, il volto dinamico della discrezionalità amministrativa e, ad un tempo, rappresenta apparato argomentativo scrutando il quale il giudice effettua la verifica della correttezza e della legittimità del potere discrezionale.
I limiti del potere discrezionale
Si è detto che la discrezionalità è lo strumento che la P.a. impiega per decidere in che modo si debbono curare gli interessi pubblici selezionati dal legislatore in via preventiva ed affidati in concreto alle singole autorità amministrative.
Si è anche osservato che la discrezionalità differisce dall’arbitrio perché la scelta discrezionale deve sempre esercitarsi nei limiti del doveroso rispetto della legge.
Si tratta di un limite esterno del potere discrezionale che conosce, tuttavia, limiti interni, cioè limiti che derivano dalla stessa definizione consolidata di discrezionalità L’individuazione dei limiti interni del potere discrezionale è compito relativamente facile.
E’ sufficiente,a tal fine, passare in rassegna i tre vizi tipici della funzione amministrativa.
L’insegnamento tradizionale poggia sulla norma che , nel delimitare il sindacato del Giudice amministrativo , gli assegna l’ indagine volta ad accertare se sussista o meno una violazione di legge, l’incompetenza, o l’eccesso di potere
Queste tre manifestazioni patologiche dell’atto discrezionale corrispondono ad altrettanti limiti della discrezionalità : vengono in rilievo, così la legittimità, la esatta attribuzione del potere di decidere (competenza)e , infine, l’esercizio finalisticamente orientato del potere stesso ( corretto esercizio del potere).
Quanto detto sopra permette di introdurre il tema del controllo giurisdizionale della discrezionalità .
dell’ambiente.
IL SINDACATO SULLA DISCREZIONALITA’
Questo controllo è affidato, nel nostro ordinamento , a un giudice professionale munito di particolari competenze, che si affianca fin dalla nascita del sistema di giustizia amministrativa al giudice ordinario.
Lo screening di legittimità dell’atto discrezionale si compie, com’è noto, attraverso la lente di ingrandimento dei vizi tipici della funzione amministrativa .
Ma è senz’altro l’eccesso di potere a destare le maggiori attenzioni di dottrina e giurisprudenza , per la sua capacità di ricondurre ad un unico filo conduttore una notevole gamma di ipotesi in cui il potere discrezionale è esercitato non correttamente dalla P.a .
Va ascritto al merito della giurisprudenza di avere proceduto ad una costante opera di elaborazione di figure sintomatiche di eccesso di potere, proprio per ampliare gli spazi di tutela del cittadino che contesta l’esercizio del potere discrezionale.
Sotto tale profilo, si suole affermare che la figura dell’eccesso di potere consente al giudice di avvicinarsi al cuore della scelta discrezionale perché il monitoraggio dell’atto avviene fino al limite della inopportunità e della non conveniente decisione amministrativa.
E’ presto per dire se le recenti riforme avutesi nella nostra materia – mi riferisco, in particolare, alle norme che consentono la valutazione della fondatezza sostanziale della pretesa del ricorrente - permettano all’operatore di immaginare addirittura uno spazio in cui il giudice , dopo aver sindacato l’atto discrezionale, si sostituisce alla P.a. in uno slancio di supplenza non estraneo alla tradizione complessiva della istituzione .
Bisogna pur sempre fare i conti con il tradizionale insegnamento che fa della divisione dei poteri l’asse portante del sistema ; così come appare insormontabile la barriera rappresentata dalla tendenziale inesauribilità del potere amministrativo; argomenti che si oppongono ad una invasione di campo del giudice negli ambiti di azione della P.a; ma non c’è dubbio che anche le tesi più ardite , una volta superata la fase della stigmatizzazione e dopo essere state additate quali manifestazioni di eresia , possano poi segnare tappa di evoluzione e di progresso dell’uomo.
Carlo Dibello
http://www.giustizia-amministrativa.it/documentazione/articolodiscrezionalit%C3%A0.htm